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Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana – IV - Caietele ...

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308<br />

ETTORE TOMASSI<br />

<strong>in</strong>teressante: si crim<strong>in</strong>is qualitas etiam catenarum acerbitatem postulaverit.<br />

L’<strong>in</strong>catenamento aveva accompagnato, come sappiamo l’arresto e la custodia<br />

dell’imputato dall’<strong>epoca</strong> severiana a quella tardoantica. Teodosio I aveva<br />

vietato l’<strong>in</strong>catenamento prima che fosse provata la colpevolezza Ci si orienta<br />

ora per l’abolizione delle catene, quale mezzo complementare alla detenzione<br />

carceraria, salvo che per crim<strong>in</strong>i gravi.<br />

La modifica si riflette anche sul lavoro che si compie nell’antologia<br />

giurisprudenziale. Immag<strong>in</strong>iamo accogliendo le ipotesi formulate, che i<br />

giust<strong>in</strong>ianei avessero d<strong>in</strong>anzi agli occhi il passo di Ulpiano <strong>in</strong> cui si diceva che<br />

il carcere era vietato se <strong>in</strong>flitto <strong>in</strong> catene e <strong>in</strong> perpetuo. L’idea della perpetuità<br />

di tale condizione non aveva senso nella loro ottica: se l’unica funzione<br />

legittimamente svolta dalla misura era quella preventiva, era da escludere,<br />

ovviamente, che ne fosse possibile un impiego <strong>in</strong><strong>in</strong>terrotto e <strong>in</strong>term<strong>in</strong>abile. Ma<br />

attraverso l’omissione dell’avverbio o dell’aggettivo che esprimeva l’idea della<br />

perpetuità, si poteva attribuire alle parole di Ulpiano un significato nuovo,<br />

coerente con l’orientamento che vietava, salvo casi eccezionali, la custodia<br />

preventiva <strong>in</strong> catene. Ut <strong>in</strong> v<strong>in</strong>culis cont<strong>in</strong>eantur poteva rappresentare la modalità<br />

vietata della custodia, bastava omettere perpetuis. L’applicazione delle catene<br />

all’imputato avrebbe avuto uno scopo <strong>in</strong>utilmente afflittivo. e illegittimo,<br />

perché il carcere doveva servire a custodire gli nom<strong>in</strong>i, non a punirli. Ci<br />

spieghiamo così l’omissione, che non conv<strong>in</strong>ceva Bartolo, Zasio o Dionigi<br />

Gotofredo.<br />

<strong>Il</strong> passaggio da una concezione giurisprudenziale ad una legislativa del<br />

diritto cristallizza per sempre il mutamento. L’affermazione giurisprudenziale,<br />

astratta dal contesto orig<strong>in</strong>ario, è pronta per essere usata, ma “<strong>in</strong> veste di<br />

normativa ermeneutica astrattamente v<strong>in</strong>colante”. Anche dal nostro limitato<br />

punto di vista, è vero che l’impero bizant<strong>in</strong>o fu responsabile della<br />

conservazione di una eredità culturale” 4.<br />

4.0 Considerazioni generali<br />

Lo svolgimento storico del diritto penale romano, sia nella sua fase<br />

sostanziale che <strong>in</strong> quella processuale mostra chiaramente che lentamente ma<br />

progressivamente lo Stato <strong>in</strong>terviene sempre di più, a partire dalle XII Tavole<br />

<strong>in</strong> poi f<strong>in</strong>o a Giust<strong>in</strong>iano, a gestire l’ord<strong>in</strong>e pubblico e a <strong>in</strong>cludere i reati<br />

sempre più nella sfera statuale.<br />

4 A. Lovato, <strong>Il</strong> carcere nel diritto penale romano dai Severi a Giust<strong>in</strong>iano, Bari, 1994, pp. 245-<br />

249.<br />

<strong>Caietele</strong> Institutului Catolic X (2011) 289-326

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