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Dunque il virus si colloca sotto la soglia<br />

della vita?<br />

Non proprio. La sua particolarità consiste nel fatto che, a seconda<br />

del contesto in cui si trova, manifesta caratteristiche e comportamenti<br />

diversi.<br />

Quando entra nella cellula ospite, abbandona la staticità chimica<br />

e manifesta un’attività notevole. Dopo essersi liberato dell’involucro<br />

integra il proprio acido nucleico con quello della cellula<br />

alla quale si fissa. In questo modo sfrutta i meccanismi riproduttivi<br />

dell’ospite per replicare il proprio materiale ereditario<br />

e sintetizzare le proteine del proprio involucro. Dall’assemblaggio<br />

del nuovo materiale ereditario e delle nuove proteine<br />

prodotte scaturiscono così nuovi virus che potranno a loro volta<br />

infettare altre cellule, propagando l’infezione. Ecco perché<br />

oggi diversi studiosi tendono a collocare i virus in una sorta di<br />

limbo tra vita e non vita.<br />

Perché allora non li consideriamo organismi<br />

viventi?<br />

Perché in fase di “riposo”, per esempio quando si trovano negli<br />

aggregati cristallini, essi si presentano come delle inerti sostanze<br />

minerali. Tuttavia dispongono degli stessi acidi nucleici<br />

e delle stesse proteine presenti nelle cellule, e all’interno di<br />

queste si comportano come esseri viventi, riproducendosi a<br />

migliaia. Qualche scienziato li considera gruppi di geni di cellule<br />

ospiti riusciti, non si sa ben come, a uscire dalla cellula stessa<br />

acquisendo in qualche modo un involucro proteico. Secondo<br />

questa ipotesi, i virus sarebbero dei “fuggiaschi” degenerati<br />

in parassiti.<br />

Il passato dibattito sul loro collocamento rispetto al confine “vita/non<br />

vita” ha posto comunque in secondo piano un aspetto<br />

cui oggi si tende a dare una grande importanza e cioè la funzione<br />

da essi svolta nel corso dell’evoluzione.<br />

apitolo 4 La cellula: struttura e funzioni<br />

C<br />

Fig. 2 La propagazione<br />

del prione a livello<br />

cellulare: al contatto<br />

con il prione patogeno,<br />

la forma normale della<br />

proteina è “costretta”<br />

ad assumere una<br />

configurazione<br />

di tipo patogeno. forma patogena<br />

della proteina<br />

forma normale<br />

soggetta<br />

a modificazione<br />

forma non patogena<br />

della proteina<br />

Quale ruolo giocano i virus sul piano<br />

evolutivo?<br />

Per quel che ci riguarda, essi ci hanno selezionati attraverso le<br />

malattie con cui ci affliggono da sempre. Hanno così favorito la<br />

sopravvivenza degli individui meno sensibili o resistenti ai loro<br />

attacchi.<br />

Essi presentano caratteristiche che li rendono un’importante fonte<br />

di innovazione genetica. Infatti, possiedono materiale ereditario<br />

facilmente modificabile; sono capaci di colonizzare l’ospite,<br />

talvolta dopo lunghi periodi di quiescenza, inserendovi il loro acido<br />

nucleico; possono viaggiare da un organismo all’altro.<br />

Non è ancora chiaro tuttavia se i virus rappresentino un “incidente<br />

di percorso” nel corso dell’evoluzione o se siano stati<br />

prodotti dalle cellule stesse per la messa a punto di schemi genetici<br />

vincenti.<br />

Esiste un’altra forma difficilmente<br />

classificabile, nel mondo microscopico?<br />

Sì, il prione (25 nm), responsabile del cosiddetto morbo della<br />

mucca pazza o malattia di Creutzfeldt-Jakob. Questo agente<br />

patogeno, a differenza del virus, è costituito solo da una proteina,<br />

dunque è privo anche di acido nucleico.<br />

Come fa allora il prione a riprodursi?<br />

Più che riprodursi il prione anomalo “contagia” e modifica la<br />

proteina “sana” (fig. 2).<br />

Nel nostro organismo è infatti fisiologicamente presente una<br />

forma non infettiva del prione, che svolge una funzione legata<br />

al sistema nervoso. Questa forma normale, quando entra in<br />

contatto con quella patogena, da cui differisce solo per la configurazione<br />

spaziale, assume una struttura del tipo patogeno.<br />

I prioni così modificati si legano poi in fibrille non degradabili<br />

che si accumulano nel cervello dell’organismo infettato e lo<br />

danneggiano in modo irreparabile.<br />

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