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N° 1 Anno XVII (LVII) ~ Gennaio/Marzo 2009 - Unione Nazionale ...

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Sentiero Tricolore 13<br />

L’Avvocato risponde<br />

studio.legale@modesti-associati.191.it<br />

Sapendo che non è consentito<br />

ad un istituto di credito addebitare<br />

sul conto del cliente gli<br />

interessi a suo debito con<br />

capitalizzazione trimestrale, ho<br />

inviato una diffida alla banca<br />

presso la quale ho aperto il conto<br />

chiedendone la restituzione.<br />

Questa, tuttavia, mi ha risposto<br />

che, siccome nella stessa clausola<br />

in cui è prevista la capitalizzazione<br />

degli interessi a debito è<br />

prevista anche la capitalizzazione<br />

trimestrale degli interessi a mio<br />

favore, la mia richiesta veniva<br />

respinta. Vorrei sapere se una tale<br />

affermazione è corretta ed<br />

accettabile.<br />

* * *<br />

La risposta è negativa. Si è ormai<br />

da tempo sedimentata l’interpretazione<br />

giurisprudenziale che ritiene<br />

nulla la clausola del contratto di<br />

conto corrente bancario che prevede<br />

la capitalizzazione trimestrale degli<br />

interessi passivi.<br />

L’operazione che viene condotta<br />

dalle banche, in breve, è la seguente:<br />

sulle somme che il cliente deve<br />

all’istituto di credito si producono,<br />

com’è noto, degli interessi passivi<br />

di conto corrente. Tali interessi, in<br />

forza della clausola di capitalizzazione<br />

trimestrale, producono a<br />

loro volta ulteriori interessi passivi<br />

che, sommandosi ai precedenti ed<br />

aggiunti al capitale, vengono<br />

addebitati al cliente ogni tre mesi sul<br />

conto.<br />

La clausola in parola, che, in<br />

gergo curiale è denominata<br />

“anatocistica”, è da anni colpita da<br />

pronunce che ne sanciscono la totale<br />

nullità sotto diversi profili.<br />

Nel tentativo di salvare la<br />

pattuizione illegittima, si è fatto<br />

a cura di Diego Modesti<br />

anche ricorso al sistema, descritto<br />

dal lettore, nel quale si prevede<br />

l’applicazione delle medesime<br />

condizioni contrattuali per il<br />

correntista, ossia si stabilisce che<br />

anche gli interessi a credito,<br />

sommandosi ai precedenti interessi<br />

e, quindi, al capitale, producano<br />

trimestralmente ulteriori interessi a<br />

credito.<br />

Tale circostanza, nelle intenzioni<br />

degli istituti finanziari, ricondurrebbe<br />

“ad equità” il contratto di<br />

conto corrente, prevedendo anche a<br />

favore del cliente le stesse<br />

condizioni ed impedendo, così,<br />

degli squilibri contrattuali ad<br />

esclusivo beneficio della banca.<br />

I tribunali, tuttavia, sembrano<br />

essere di diverso avviso.<br />

Una recente pronuncia del<br />

tribunale di Modena (sezione II,<br />

sentenza del 7 maggio 2008, n. 707),<br />

ad esempio, accogliendo le ragioni<br />

del correntista, ha stabilito che, in<br />

tema di rapporto di conto corrente,<br />

ha rilevanza solo ai fini della<br />

determinazione dell’importo<br />

rimborsabile e richiedibile da parte<br />

del cliente la circostanza che, a<br />

fronte dell’illegittima capitalizzazione<br />

trimestrale da parte<br />

dell’istituto di credito degli interessi<br />

debitori, siano stati parimenti<br />

capitalizzati trimestralmente al<br />

cliente interessi creditori.<br />

In pratica, dunque, prevedere che<br />

si possano capitalizzare con la stessa<br />

periodicità gli interessi a favore del<br />

cliente non salva dalla nullità la<br />

clausola di capitalizzazione degli<br />

interessi passivi a favore della<br />

banca, con la conseguenza che il<br />

correntista ne potrà richiedere<br />

legittimamente la restituzione,<br />

sottraendo le somme eventualmente<br />

maturate, con lo stesso sistema, a<br />

proprio credito.<br />

Sono proprietario di una<br />

vettura d’epoca. Da quando non<br />

è stato più possibile reperire un<br />

pezzo di ricambio del motore,<br />

l’automobile è ferma in garage.<br />

Vorrei sapere se sono ancora<br />

tenuto a pagare l’assicurazione,<br />

visto che il veicolo non può più<br />

circolare.<br />

* * *<br />

La risposta è affermativa. La<br />

giurisprudenza, infatti, mantiene,<br />

nella materia che ci occupa, una<br />

linea di rigore, escludendo<br />

dall’obbligo assicurativo solamente<br />

i veicoli per i quali si riesca a<br />

dimostrare la loro sostanziale<br />

equiparazione allo stato di rottame.<br />

In una recentissima pronuncia,<br />

infatti, la Corte di Cassazione<br />

(Sezione II, sentenza n. 22035 del 2<br />

settembre 2008), ha ribadito che i<br />

veicoli, ancorché privi di parti<br />

essenziali per un’autonoma<br />

circolazione o fortemente danneggiati<br />

o usurati, non sono esclusi<br />

dall’obbligo assicurativo se non<br />

risulti la prova della loro assoluta<br />

inidoneità alla circolazione e la loro<br />

materiale riduzione allo stato di<br />

rottame, non rilevando in contrario<br />

neppure la circostanza che il<br />

proprietario abbia raggiunto accordi<br />

con terzi per provvedere all’asporto<br />

ed alla successiva demolizione. Il<br />

consiglio, alla luce di quanto sopra<br />

esposto, è di provvedere al<br />

pagamento del premio assicurativo<br />

cercando, evidentemente, di riparare<br />

il veicolo d’epoca o, qualora non ve<br />

ne fosse alcuna possibilità, di<br />

procedere alla sua effettiva<br />

rottamazione.

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