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Toni Nadal Io e il tennis » Il n. 1 degli zii L’incredibile storia del rapporto fra il più forte giocatore del mondo e il suo coach, che è anche il fratello di suo padre, raccontata in prima persona. Un binomio straordinario, che fonde l’amore familiare con quello per il tennis: ecco come un campione mancato ha trasferito al nipotino i valori che lo hanno trasformato non soltanto in un grande campione ma anche in un ragazzo d’oro e in un esempio per tutti. di Angelo Mancuso R oland Garros, Wimbledon e Olimpiadi nella stessa stagione: un fenomeno chiamato Nadal. Ma la bella favola di Rafa forse non sarebbe mai esistita se non ci fosse stato lo zio Toni, fratello del padre del campione spagnolo e un tempo modesto maestro al Club de Tenis de Manacor: è lui che da sempre lo segue, lo consiglia, lo allena, lo accompagna ovunque. Ai recenti US Open entra- SuperTennis Magazine n. 8/9 24 Agosto/Settembre 2008 - Io e il tennis
vano insieme al campo di allenamento, posto proprio di fronte alla sala stampa: all’uscita Rafa regalava sorrisi e autografi ai fans, Toni, in disparte lo aspettava paziente. Un gran personaggio lo zio coach di Nadal: 47 anni, cordiale, sorridente, disponibile, innamorato del tennis. Lui e il nipote sono sul tetto del mondo ma a questo, lui, sembra non farci caso. Un fanatico della disciplina. “Per me il tennis è disciplina – sottolinea infatti – Solo così puoi raggiungere grandi risultati. A Rafa ho sempre detto che sarebbe diventato un campione, ma solo lavorando duro”. L’attuale numero uno del mondo lo ha ascoltato alla lettera: “Al mattino andava a scuola, al pomeriggio ore e ore di allenamento – spiega Toni – a volte rientravamo a casa alle dieci di sera, soprattutto quando dovevamo spostarci fino a Palma di Maiorca perché a Manacor non c’era nessuno più forte di lui con cui poter palleggiare”. Lo sport è di casa in famiglia Nadal. “Io giocavo molto bene a calcio, poi ho scelto il tennis, sono arrivato sino alla seconda divisione spagnola. Anche mio fratello Miguel Angel è stato un promettente tennista in gioventù. E’ stato campione di Maiorca prima di puntare sul calcio”. Ha fatto bene: ex capitano del Barcellona e dalla nazionale spagnola, squadre di cui è stato uno dei pilastri difensivi tra gli anni Ottanta e Novanta. Toni sorride e confessa: “In famiglia sostengono che abbia deciso di darsi al calcio per sottrarsi alla mia stretta di fratello maggiore…”. Gli è “sfuggito” Miguel Angel, ma lui ha “catturato” Rafa. Tutto ebbe inizio il giorno in cui per gioco lanciò una pallina da tennis al nipotino di quattro anni che armeggiava con una racchettina e se la vide tornare indietro con facilità sorprendente. “Già allora aveva una coordinazione fuori dal normale”, racconta Toni, che quando Rafa aveva sette anni lo convinse a lasciare la presa bimane di diritto. Ti guarda sornione a aggiunge: “Conosco solo un giocatore tra quelli forti che impugna a due mani la racchetta sia di diritto che di rovescio. Si chiama Santoro e non mi sembra sia mai diventato numero uno del mondo…”. Come dargli torto? Diritto a una mano il primo passo, rovescio bimane il secondo, quindi la decisione di farne un mancino. “Rafa da ragazzino giocava molto bene a football, sua grande passione - ricorda ancora Toni - come tutti in famiglia. Il pallone lo calciava di sinistro, mentre a tennis era destro. Però non serviva bene né con la destra né con la sinistra. Allora decisi che tanto valeva impostarlo come mancino”. I risultati cominciarono subito ad arrivare. Toni torna indietro di qualche anno, a quando Rafa ne aveva otto e si ritrovò a giocare uno dei primi match a squadre con di fronte un avversario di 12 anni. “Manacor- Alcudia - dice - era questa la sfida. Minacciava pioggia e mio nipote era emozionatissimo, il suo rivale, molto più grande di età gli sembrava un gigante. Io lo tranquillizzai dicendogli che se le cose si fossero messe male allora avrei fatto piovere… Rafa partì malissimo, subito sotto tre a zero, ma poi risalì fino al 3-2 e cominciò davvero a piovere. Lui mi guardò e disse: zio lascia stare, penso di potercela fare…”. Inflessibile negli allenamenti, ma anche un po’ psicologo e incantatore. Il rapporto strettissimo fra Toni e Rafa è cominciato così. Bastone e carota. A Rafa piace da matti andare a pesca, una passione nata quando era ancora piccolo. Se perdeva un match lo zio era pronto al rimbrotto: “Se pescavi qualche ora in meno e ti allenavi di più avresti vinto”, gli diceva. L’album dei ricordi è sempre aperto: “Mio nipote è molto goloso di cioccolata. Aveva sedici anni ed eravamo proprio in Italia: fece indigestione e decise di mangiarne ancora fino a vomitare… Qualche ora dopo entrò in campo e vinse, ma non mi rivolse neppure uno sguardo. Sapeva di averla fatta grossa, nel tennis non conta solo il risultato se prima hai sbagliato. Da quel giorno è sempre attentissimo a quel che mangia quando è in giro per tornei”. Sempre all’Italia, a Roma in particolare, sono legati bellissimi ricordi: “Tornare al Foro Italico è ogni volta una bellissima emozione – racconta Toni – il pubblico romano ha amato da subito Rafa, da quando vinse nel 2005 uno dei suoi primi titoli importanti. E poi l’anno successivo c’è stata quella magnifica finale strappata al quinto set a Federer”. Cinque ore di tennis stellare. Disciplina ed educazione sono i valori che la famiglia ha voluto inculcare al ragazzino fenomeno. E’ questo il tennis dei Nadal, con Toni in prima fila. “Ho sempre ripetuto a Rafa che se lo avessi visto solo una volta rompere una racchetta con me aveva chiuso. Trovo inaccettabile distruggere una racchetta, tanto più se sei un bambino. Sono molto costose e molti ragazzi della sua età che non potevano permettersela avrebbero fatto salti di gioia ad averne una. Su questo aspetto sono sempre stato intransigente, non mi piace chi in campo dà in escandescenza ed è SuperTennis Magazine n. 8/9 25 Agosto/Settembre 2008 - Io e il tennis
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