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Fatevi - VicenzaPiù

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Come è cambiata Vicenza, negli<br />

ultimi tre anni e tre mesi, cioè<br />

da quando il primo numero di <strong>VicenzaPiù</strong><br />

è arrivato nelle edicole?<br />

Si fa prima a dire quello che non<br />

cambia, in questa città. Il Corriere<br />

della Sera, in uno speciale dedicato<br />

al Veneto di qualche giorno fa, con<br />

slancio futuristico la defi niva “capitale<br />

hi-tech”. Le imprese ad alto<br />

tasso d’innovazione tecnologica,<br />

infatti, non mancano. E tengono<br />

botta alla crisi: Dainese (airbag<br />

speciali), T-net (telefonia), Smania<br />

(mobili ecologici), per fare i nomi<br />

citati dal primo quotidiano nazionale,<br />

sono piccoli gioielli che brillano<br />

nella lunga notte che stiamo attraversando.<br />

Il tessuto industriale<br />

del Vicentino non ha mai avuto un<br />

amore particolare per la fi nanza,<br />

e questo oggi si rivela un punto di<br />

forza. Roberto Zuccato, presidente<br />

degli industriali, si è fatto portabandiera<br />

dell’ottimismo tipicamente<br />

imprenditoriale che vede il<br />

bicchiere mezzo pieno: «La crisi è<br />

l’occasione per preparare un futuro<br />

migliore. Senza crisi non ci sono<br />

sfi de e senza sfi de la vita è routine,<br />

lenta agonia. È dalla crisi che affi<br />

ora il meglio di ciascuno». E ha<br />

caldeggiato un’«agenda di riforme<br />

che vanno fatte senza perdere tempo<br />

e senza indugi».<br />

Ma sul banco degli<br />

imputati sono soprattutto<br />

le banche, che<br />

strozzano le imprese<br />

negando loro l’ossigeno<br />

del credito. La<br />

Banca Popolare di Vicenza<br />

non è così matrigna,<br />

ma c’è da dire<br />

che non è tutto oro<br />

ciò che luccica: quel<br />

che hanno in mano<br />

i suoi azionisti non<br />

deve fare i conti con<br />

opinioni<br />

Una città immobile<br />

(sul lavoro instabile)<br />

Da tre anni raccontiamo una Vicenza vittima degli stessi difetti: il mito<br />

del Lavoro, l’incapacità di guardare al di là del proprio naso, la paura di cambiare<br />

la Borsa, e perciò il valore delle sue<br />

azioni è deciso in autonomia, a tavolino.<br />

Secondo la Cgil, i licenziati<br />

nelle fabbriche vicentine hanno<br />

raggiunto l’impressionante quota<br />

3 mila. Senza contare le centinaia<br />

di migliaia di ore di cassintegrazione,<br />

la mobilità e le ferie forzate che<br />

stanno gettando nella disperazione<br />

migliaia di famiglie, in particolare<br />

i giovani. Oscar Mancini, ex segretario<br />

Cgil, in una recente intervista<br />

su questo giornale ha ricordato di<br />

essere stato inascoltata cassandra<br />

quando negli anni scorsi accusava<br />

gli imprenditori berici di non voler<br />

(o non sapere) aggiornarsi, riqualifi<br />

carsi, innovare e puntare sulla<br />

green economy. «Hanno pensato<br />

solo a vivere di rendita e alla speculazione<br />

facile», cioè a investire<br />

sul mattone.<br />

Oggi lavorare a<br />

capofitto<br />

si rivela un<br />

auto-inganno<br />

suicida<br />

Il padroncino nell’helldorado<br />

Ma se crolla il mito della piena occupazione<br />

in una terra che sembrava<br />

un helldorado attira-immigrati,<br />

e se tutta la fi liera giù giù fi no alle<br />

micro-imprese è piegata dal deserto<br />

degli ordinativi, tutto sommato<br />

resiste la spina dorsale del sistema:<br />

il modello del padroncino. Il senso<br />

comune del vicentino medio non è<br />

stato scalfi to neanche un po’: qui si<br />

crede ancora che con fantasia, olio<br />

di gomito e spirito di sacrifi cio ci si<br />

possa arricchire.<br />

Ma è proprio questo il problema<br />

da cui partire per rifl ettere su noi<br />

stessi. Il nucleo più intimo dell’anima<br />

berica si identifi ca ancora e<br />

sempre col Lavoro visto come sostanza<br />

e scopo della vita. Ma oggi<br />

lavorare a capofi tto, “come se non<br />

ci fosse un domani”, si rivela un<br />

auto-inganno suicida. E anche<br />

leggermente idiota. Il padroncino<br />

sottende un modello economico ed<br />

esistenziale sul quale la crisi globale<br />

ha emesso la sua dura sentenza:<br />

fallimento totale. Perché mai dovremmo<br />

rincorrere gli indiani che<br />

producono l’acciaio meglio e più<br />

di noi, o i cinesi che ormai ci strabattono<br />

su tutti i fronti, se poi ci<br />

tocca rinunciare ai nostri progetti<br />

di vita, di persone con sogni, affetti<br />

e il diritto ad un po’<br />

di serenità? Perché<br />

dovremmo correre<br />

dietro all’imperativo<br />

della crescita econo-<br />

mica, se ciò signifi ca<br />

contratti precari, stipendi<br />

da fame, orari<br />

gonfi ati, ansia e stress<br />

da iperproduzione?<br />

Il vicentino è davvero<br />

l’esemplare in<br />

provetta dell’uomo<br />

globalizzato, attaccato<br />

ai soldi perché<br />

ce n’è sempre meno e perché se<br />

ne vorrebbe sempre di più, e perciò<br />

condannato all’infelicità anche<br />

quando pensa di essere felice.<br />

Modello da rivedere<br />

Alla radice di tutti i mancati cambiamenti<br />

di una cittadina affannata<br />

a mantenere un benessere<br />

sempre più incerto e fasullo c’è<br />

l’incapacità di guardare al di là del<br />

proprio naso. Nessuno, dico nessuno,<br />

si cimenta nel riconsiderare<br />

il nostro folle modo di vivere, tutto<br />

“lavoro&schei”. La casa brucia e<br />

noi pensiamo di spegnere l’incendio<br />

con qualche secchiata d’acqua,<br />

invece di costruirne una nuova, più<br />

a misura di noi stessi come uomini<br />

e donne, di esseri umani, per dio.<br />

E non come macchine produttive,<br />

cartellini da timbrare, numeri<br />

da schedare, consumatori da imbonire<br />

e rimpinzare di prodotti<br />

tanto innovativi quanto inutili.<br />

Non abbiamo bisogno di sfornare<br />

il gioiello più fi go, cari orafi di<br />

una Fiera che fa gola ai costruttori<br />

come Maltauro, più che ai clienti<br />

internazionali. Chi lo compra? “Gli<br />

ucraini di un certo tipo”, abbiamo<br />

sentito rispondere in un servizio<br />

televisivo. Cioè i neo-ricchi delle<br />

ex zone povere del pianeta. Il nostro<br />

edonismo si estende a tutto il<br />

mondo, e noi, impoveriti, non possiamo<br />

permetterci neppure ciò che<br />

produciamo.<br />

Il coraggio delle idee<br />

La vera ricchezza va cercata altrove.<br />

Nelle nostre bellezze. Artistiche<br />

e storiche, innanzitutto. Ma non<br />

rimestando per l’eternità sempre e<br />

solo il mortaio di Palladio, questo<br />

architetto morto cinquecento anni<br />

fa il cui fantasma ci perseguita.<br />

Reinventiamoci. Modena è diventata<br />

famosa per il festival della fi -<br />

losofi a, Mantova si è rifatta un’immagine<br />

con quello delle letteratura.<br />

Noi, ex sacrestia d’Italia, siamo<br />

fermi al festival biblico. Ma basta<br />

con preti, suorine, talari e avemaria.<br />

Non si rinnova una città coi paternoster.<br />

Ridiamole vita scompigliando<br />

l’immaginario e puntando<br />

su idee audaci. Nel suo piccolo, il<br />

piano di rivitalizzazione di Campo<br />

Marzo presentato dall’ex assessore<br />

Quero ma fi rmato dall’architetto<br />

Aldo Cibic (un sinistrorso candidatosi<br />

con l’azzurra Lia Sartori) è un<br />

segno che qualcosa si muove. Ancor<br />

più piccolo ma ugualmente signifi<br />

cativo, l’irrompere di musica e<br />

gioventù spritzomane sotto le volte<br />

della smorta Basilica (i sabati dedicati<br />

ai djset dal pomeriggio fi no<br />

alle due di notte: fi nalmente un po’<br />

di movida).<br />

Essenza democristiana<br />

La cultura di un paese – perché<br />

Vicenza in fondo non è una città:<br />

è un grosso paese – si rimodella<br />

intaccandone a poco a poco l’immobilismo.<br />

Che, accoppiato con<br />

l’ipocrisia, è la vera cifra della vicentinità.<br />

E allora si santifi chino<br />

altri segnali di vitalità come quello<br />

inviato dall’assessore alla cultura<br />

Francesca Lazzari, che ha attaccato<br />

a muso duro i vertici dello Stabile<br />

Veneto, rei di cristallizzare la<br />

gestione dell’Olimpico e del nuovo<br />

teatro. Non è usanza locale affrontare<br />

di petto le questioni e cantarle<br />

chiare: evviva chi comincia a farlo.<br />

E la questione che ha sconvolto il<br />

capoluogo moderato per eccellenza,<br />

la base americana al Dal Molin,<br />

in questo senso lascerà un’eredità<br />

importante: aver fatto scoprire ai<br />

cittadini di Vicenza la passione politica<br />

e civile, mezza tramortita da<br />

decenni di democristianità totalizzante<br />

e corsa al denaro, sterco del<br />

demonio.<br />

Intendiamoci: la Dc qui non è stata<br />

un partito. E’ stata ed è tuttora la<br />

mentalità che informa la politica<br />

berica, tutta quanta, di destra e di<br />

sinistra. Anche coloro che vengono<br />

comunemente considerati estremisti,<br />

qui sono democristiani dentro.<br />

Il sindaco Achille Variati, passato<br />

per masaniello degli sparuti<br />

noglobal nostrani, non è che un<br />

diccì di lungo corso<br />

sapientemente ammodernatosi.<br />

Dopo<br />

dieci, pesanti anni di<br />

Hullweck ostaggio di<br />

donne-virago (la moglie-dirigenteBressanello<br />

e la scaltra Dal<br />

Lago), a Variati va<br />

dato atto di una rivoluzione:<br />

ha scacciato<br />

l’ombra del torbido<br />

e dello sbracato<br />

clientelismo dal palazzo.<br />

Ma deve stare<br />

attento a non ricadere nella vecchia<br />

arte di non decidere. Un’arte<br />

dettata dalla paura di scontentare<br />

e farsi nemici, musa malefi ca del<br />

tipico vicentino arroccato nel quieto<br />

vivere.<br />

Il nodo informazione<br />

Lo specchio di questo esangue galleggiare<br />

è l’informazione. Siamo<br />

ancora al monopolio. Un quotidiano,<br />

uno solo, quello confi ndustriale,<br />

fa da fi ltro per l’opinione<br />

pubblica di massa. E così condiziona<br />

ogni evento, ogni fatto,<br />

ogni decisione. Se vuoi esistere,<br />

devi passare di lì. E pagare pedaggio.<br />

Un esempio, anzi l’esempio<br />

per antonomasia: le notizie<br />

sull’uso del territorio. L’altro,<br />

grande tesoro di queste lande<br />

piene di capannoni vuoti è il pa-<br />

numero 150 del 23 maggio 2009 pag 9<br />

| Loggia del Capitaniato vista dalla Basilica Palladiana<br />

Bisogna<br />

tornare<br />

all’agricoltura,<br />

alla produzione<br />

e al commercio<br />

locali<br />

esaggio. Orribilmente sfi gurato<br />

dall’industrializzazione prima<br />

e dalla cementifi cazione dopo.<br />

All’agricoltura, bisogna tornare.<br />

Ad un ritorno limitato, ragionato<br />

e graduale alla produzione e al<br />

commercio locali. Innovare, oggi,<br />

è tornare indietro. Sì, avete capito<br />

bene (e leggetevi Serge Latouche,<br />

Maurizio Pallante, Massimo<br />

Fini, Alain De Benoist: nei loro<br />

libri – i libri, questi sconosciuti -<br />

troverete tutto).<br />

Ma di questo l’informazione monopolistica,<br />

condizionata dagli<br />

interessi dei suoi proprietari che<br />

fanno affari con le<br />

costruzioni, con la<br />

concia, con l’industria<br />

pesante, non<br />

parla, o se parla lo fa<br />

sminuendo e defor-<br />

mando, delle deturpazioni<br />

urbanistiche,<br />

dell’inquinamento<br />

del sottosuolo, dei<br />

magna-magna e delle<br />

pressioni lobbistiche<br />

per quella lottizzazione<br />

o quel cambio<br />

di destinazione<br />

d’uso. Un bene di tutti, la qualità<br />

della vita, è merce di scambio fra<br />

politici e industriali, e il giornalismo<br />

mainstream, invece di mostrarne<br />

le deleterie conseguenze<br />

su legalità e vivibilità, fa sistematica<br />

opera di copertura.<br />

Ma ai vicentini, come gli italiani<br />

divisi fra fessi e furbi, va bene<br />

così. La vicentinità, lo abbiamo<br />

detto, non contempla i grandi<br />

cambiamenti. E sì che basterebbe<br />

buttare un sasso nello stagno. Per<br />

questo, siamo tutti nelle mani di<br />

Assindustria, il vero, immutabile<br />

centro di potere che domina la<br />

città. Se fosse vero che lì le cose<br />

cominciano a girare per il verso<br />

giusto, senza più genufl essioni ai<br />

poteri forti, allora sì che cambierebbe,<br />

Vicenza. Forse.<br />

Alessio Mannino<br />

flickr.com/seier

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