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Daniela Locatelli, Il mito dellÕuomo macchina e ... - Arbor scientiarum

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due posizioni sembravano poter resistere. Quella che, secondo Hume, negava la possibilità per<br />

l’uomo di giungere ad una conoscenza oggettiva di qualsiasi genere; e quella che, sull’esempio di<br />

d’Holbach, accettava l’idea d’un universo di materia in movimento, in cui tutto accadeva per<br />

necessità, e in cui la risposta ad ogni domanda stava nell’impossibilità di qualcosa di diverso.<br />

Accettando l’idea d’un universo statico, o d’un mondo dotato di movimento casuale, e non regolato<br />

su alcuno schema identificabile, la filosofia sembrava tornare al materialismo classico di Lucrezio e<br />

di Epicuro. Se le cose erano in uno stato di flusso disorganizzato, il prodotto del determinismo<br />

naturale non poteva essere che una successione di forme caleidoscopiche 18 .<br />

La Mettrie, in qualità di medico, era rimasto molto colpito dalla misura in cui i pensieri sono<br />

determinati dalle condizioni fisiche proprie di un uomo, che è <strong>macchina</strong> tra le macchine.<br />

Perfettamente al corrente delle acquisizioni più nuove su delirio e reazioni muscolari, queste<br />

presenti anche in animali morti, egli era orientato a leggere in codeste reazioni una nuova forma di<br />

movimento che fosse proprietà meccanica inerente alla totalità della materia, spiegando il<br />

complesso articolarsi delle varie attività umane in ragione di tale moto. Un materialismo quindi<br />

iatrofisico, che non escludeva necessariamente l’esistenza di Dio, se La Mettrie medesimo<br />

affermava in maniera esplicita di non discutere affatto la realtà di un Essere Supremo. La bilancia,<br />

al contrario, sembrava essere inclinata in suo favore. Dio non era comunque il più Grande artefice<br />

dell’universo cui avevano sacrificato sia newtoniani sia massoni del primo <strong>Il</strong>luminismo britannico,<br />

profeti di una teologia naturale posta a salvaguardia del cosmo.<br />

In realtà, La Mettrie aveva radicalizzato quelle amare conclusioni alle quali era giunta la scuola<br />

scozzese del London Merchant (1731) di Hume, percorrendo analoghi intendimenti espressi da<br />

Voltaire stesso in Micromégas (1753). Si è prima fatto cenno alla pretesa superiorità delle facoltà<br />

legate all’intuizione, non solo in campo morale. Anche come fonte del pensiero, egli assegnava al<br />

potere dell’immaginazione una velocità e un’audacia percettiva assai maggiori che non alla più<br />

lenta ragione umana. Sarebbe senza dubbio piuttosto difficile, alla luce di quanto scritto finora,<br />

veder cantare le mai esauste lodi dell’immaginazione dal precursore dei robot.<br />

Eppure è proprio questo che accade con La Mettrie. L’uomo <strong>macchina</strong> non si merita di affermare<br />

senza mezzi termini che l’immaginazione sia nettamente superiore alla ragione, quale fonte di idee,<br />

nelle scienze come nelle arti. Così scrive, in merito all’immaginazione, il padre degli automi: “È<br />

tramite il suo lusinghiero pennello che il gelido scheletro della ragione si ricopre di rosea carne<br />

vivente”; una suggestiva commistione , capace di evocare nell’anacronistica mente del moderno<br />

lettore temi e atmosfere legati al movimento cyberpunk. Teorie filosofiche nate dalle ricerche<br />

mediche quelle di La Mettrie, sempre e comunque incompatibili non solamente con il Genesi<br />

biblico, ma anche con qualsiasi altro genere di fede che faccia ricorso più o meno manifesto a un<br />

piano provvidenziale. Teorie che comunque non implicavano nemmeno il principio di una<br />

evoluzione organica di tipo continuo.<br />

A ben guardare, si tratta di una forma di naturalismo filosofico e scientifico che ha per fine il<br />

restituire la guida della condotta umana alla legge o forza operante in tutta le realtà naturale. Se<br />

nell’Histoire naturelle de l’âme, sua prima opera, La Mettrie si era ancora permesso qualche piccola<br />

concessione al tradizionale impianto metafisico di riferimento, nell’Homme machine sviluppa in<br />

tutta la sua coraggiosa coerenza la tesi materialisica dell’unica causalità corporea nell’uomo,<br />

presentandola quasi fosse una mera ipotesi basata sulla sola esperienza, per nulla contraddetta dalla<br />

presenza di facoltà di natura superiore: siamo molto oltre l’originario meccanicismo di Cartesio e<br />

della scuola francese del ‘600.<br />

L’uomo <strong>macchina</strong> di La Mettrie risulta essere, quindi, un robot così composito da non poterne<br />

scoprire l’intera strutturazione, se non analizzando uno alla volta gli organi meccanici che lo<br />

compongono. Ogni attività mentale è prodotta e determinata da movimenti corporei, nei quali<br />

agiscono e si rispecchiano i movimenti dell’intero universo. <strong>Il</strong> corpo stesso non è altro che un<br />

orologio, i cui umori sono orologiai e la <strong>macchina</strong> che costituisce il corpo umano è in assoluto la<br />

18 N. HAMPSON, Storia e cultura dell’<strong>Il</strong>luminismo, trad. it. Bari 1976, pp. 98-99.<br />

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