Daniela Locatelli, Il mito dellÕuomo macchina e ... - Arbor scientiarum
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di Anne Conway (1630-1679), che si opposero fermamente alla nascente fisica sperimentale<br />
meccanicista per proporre una cosmologia spiritualista e riannodare i legami fra teologia, filosofia e<br />
scienza.<br />
More soprattutto fu molto attivo nel dibattito filosofico dell'epoca: ebbe una fitta corrispondenza<br />
con Cartesio, di cui inizialmente condivise il pensiero, ma col quale successivamente entrò in<br />
polemica. Si può quindi affermare che More sia mai stato “cartesiano”? Certamente no, se con quel<br />
termine si intende la rigida appartenenza a una scuola, o anche una elaborazione, entro certi limiti<br />
autonoma, che si svolga all’interno della scuola stessa 25 . Eppure, andando oltre la rigida<br />
attribuzione di etichette, vi è un periodo della vita intellettuale di More in cui egli più che mai si<br />
richiama a temi cartesiani, che integra ed inserisce nell’eclettica struttura del proprio pensiero,<br />
senza neanche preoccuparsi molto che la loro utilizzazione sia o meno consona allo “spirito” del<br />
sistema cartesiano. Tale periodo va, all’incirca, dagli anni dei poemi giovanili fino al 1665-’68: in<br />
questa accezione usiamo quindi per More il termine di “cartesiano”. Egli giustificava il proprio<br />
entusiasmo per la filosofia cartesiana soprattutto con la considerazione del giovamento che ne<br />
traeva la causa della religione, “sommo fine di ogni filosofia”. Che il sistema cartesiano potesse<br />
avere questa funzione era assunto allora ampiamente condiviso tra i platonici inglesi, ma forse tra di<br />
loro nessuno ne fu mai tanto convinto quanto More che, anche quando le sue simpatie verso<br />
Cartesio erano ormai smorzate, continuava a ribadire che il concetto di materia omogenea<br />
consentiva di inferirne l’esistenza di Dio e l’immaterialità e separabilità dal corpo dell’anima<br />
sostanziale.<br />
Nel giovane More il tentativo era quello di inquadrare la filosofia cartesiana entro una prospettiva<br />
che, attraverso successivi passaggi, la riallacciasse addirittura al sapere mosaico: in questo modo,<br />
chiaramente, egli non faceva che seguire quel noto procedimento attraverso il quale la religione<br />
giudaica prima, il cristianesimo poi, avevano potuto beneficiare del supporto razionale e collaudato<br />
della filosofia platonica. Non è un caso quindi che More stesso si professi platonico, così come lo<br />
era stato Marsilio Ficino, autore di una analoga operazione di recupero nei confronti del sapere<br />
ermetico durante il XV secolo.<br />
L’operazione di recupero della filosofia cartesiana, entro il gran corpo della filosofia perenne,<br />
benché More avesse molto chiara la paradossalità della cosa, trovava la propria giustificazione in<br />
tutta una serie di fattori, religiosi e culturali, non ultima proprio quella necessità di superare la<br />
profonda ostilità che gli ambienti conservatori nutrivano nei confronti di Cartesio, ostilità la cui<br />
forza verrà più tardi documentata dal ripensamento dello stesso More.<br />
Presupposto fondamentale, quindi, dal quale More muoveva, senza dubbio influenzato da quelle<br />
dottrine teosofico-ermetiche ben presenti nella cultura inglese del secolo, è che le verità espresse di<br />
volta in volta dalle filosofie storiche fossero già interamente note a Mosè. L’innovazione che More<br />
opera rispetto alla tradizione consiste nel privilegiare il filone fisico atomistico della filosofia<br />
pagana, come quello che più di ogni altro avrebbe tratto da Mosè le proprie dottrine; per fornire, a<br />
tal fine, un’ulteriore prova della sua erudizione filologica, il platonico inglese trasse dal Vossius la<br />
notizia secondo la quale, nei secoli precedenti la guerra di Troia, era vissuto un tale Moschus,<br />
autore primo della filosofia atomistica. Posto che il termine Moschus stia evidentemente per<br />
Mosche, nome con il quale in lingua ebraica era identificato proprio Mosè, More può tirare le<br />
conclusioni che tanto gli stanno care, richiamando in seguito tutti i rapporti possibili instaurabili tra<br />
Pitagora, Filolao, Democrito e Cartesio.<br />
<strong>Il</strong> platonico inglese, quindi, non è particolarmente interessato al metodo cartesiano e alla peculiare<br />
configurazione che vi assume la razionalità, neppure il cogito richiama la sua attenzione. Per lui la<br />
filosofia cartesiana è soprattutto una “fisica” che gli fornisce strumenti concettuali atti ad<br />
organizzare ed interpretare i fenomeni naturali, o a spiegare in termini razionali la cosmogonia<br />
biblica, mentre sullo sfondo prende forma il disegno del fine apologetico generale, ossia l’inferire,<br />
dall’ordine di una natura così spiegata, l’esistenza di Dio, con il correlato tradizionale<br />
25 A. PACCHI, Cartesio in Inghilterra, Bari 1973.<br />
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