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Daniela Locatelli, Il mito dellÕuomo macchina e ... - Arbor scientiarum

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di studio con la quale il suo predecessore, Isaac Barrow, aveva concluso l’anno precedente, ma alla<br />

seconda lezione, e per quasi tutti i successivi diciassette anni, avrebbe parlato ad un’aula vuota. Era<br />

troppo grande per essere capito e l’ateneo cantabrigense troppo decaduto per offrirgli allievi degni<br />

di ascoltarlo. Crediamo che fu anche questo a spingerlo verso altre speculazioni, di segno esoterico<br />

e religioso, in grado come detto di imbrigliare e di esorcizzare gli aspetti più pericolosi dell’eredità<br />

di Cartesio, i cui scritti spinsero Newton a studiare l’ottica, 51 e del meccanicismo.<br />

Come professore, il suo primo sforzo scientifico fu questo ritorno all’ottica, infatti già a metà<br />

degli anni Sessanta aveva dimostrato che la luce bianca era composta di molti colori che potevano<br />

essere separati da un prisma, ottenendo luce rossa a un estremo dello spettro e luce blu all’altro. La<br />

memoria inviata alla Royal Society sul finire del 1671, la sua pubblicazione nei primi mesi del<br />

1672, le successive dispute con Hooke durate sino al 1675 sono storia nota.<br />

Newton trattò i fenomeni ottici con l’intento di dimostrare che la luce bianca è composta da tutto<br />

lo spettro dei colori e che il prisma scindeva la luce solare “pura” in quei colori perché rifrangeva in<br />

misura diversa le varie componenti dello spettro. In Of colours, del 1666 egli poté affermare, dopo<br />

aver fatto passare la luce rifratta da un prisma attraverso un secondo prisma, che i raggi<br />

esclusivamente rossi rifratti dal secondo prisma non davano altro colore che il rosso e così con il<br />

blu. Questa dimostrazione andava contro una comune credenza di allora, secondo la quale la natura<br />

della luce sarebbe stata modificata o alterata nel passaggio attraverso un mezzo come il vetro.<br />

Conclusioni alle quali Newton pervenne anche sulla scia dei propri studi alchemici. Una cosa simile<br />

si può dire per l’altro suo capolavoro scientifico.<br />

Le origini dei Principia mathematica possono farsi risalire all’incontro tra Edmund Halley, il<br />

grande astronomo, e Newton, avvenuto nel 1682 a Cambridge. L’astronomia ellittica di Keplero,<br />

ricalcolati i moti celesti, portò Newton a formulare la meccanica gravitazionale, mentre altri spunti<br />

gli vennero dalla cometa di Halley. In ogni caso, il sole centrale di cui parla Newton (lui, un<br />

copernicano convinto) era anche una rappresentazione del fuoco che ardeva al centro del pritaneo<br />

negli antichi culti. Un ulteriore richiamo ermetico, che ispirò in questo caso acquisizioni di tipo<br />

squisitamente scientifico. Un discorso simile può farsi anche per le queries dell’Opticks (1706).<br />

Venuto successivamente meno anche il ruolo dell’etere, Newton iniziò a dare sempre più peso a<br />

quell’idea alchimistica dei principi attivi, concetto già antico e assai radicato nella tradizione<br />

ermetica. Anche i principi attivi dell’alchimista era una sorta di spirito operante in natura: lo stesso<br />

Newton arrivò a percepire la gravità come una forza agente a distanza, resa proprio possibile da<br />

qualche principio attivo. <strong>Il</strong> concetto di spirito cominciò a fondersi con la concezione di Newton<br />

della gravità. <strong>Il</strong> bersaglio restava sempre e comunque l’ideale meccanicistico, con tutte le sue<br />

ricadute sul piano religioso. In questo senso, l’amico Locke – membro come Newton del partito<br />

liberale in parlamento, nel biennio 1689-1690 – non fece altro che sottoscrivere l’impostazione<br />

spiritualista newtoniana. Da Hobbes, infatti, Locke era lontano tanto sul piano politico (in quanto<br />

avversava l’assolutismo) quanto su quello filosofico (poiché, al pari di Newton e basandosi su di<br />

lui, respingeva esiti di tipo materialistico). 52<br />

51 M. MAMIANI, Isaac Newton filosofo della natura, Firenze 1976.<br />

52 M. WHITE, Newton. L’ultimo mago, tr. it. Milano 2001.<br />

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