Alta cucina Leggere di gusto “INFINITA BELTÀ” DELLA TAVOLA Confetti, frittelle, frattaglie e altri “amori” di Giacomo Leopardi di Francesco Baucia v
“ C 51 osa arcana e stupenda / Oggi è la vita al pensier nostro, e tale / Qual de’ vivi al pensiero / L’igno- ta morte appar…”: così recita il coro di defunti, redivivi per un quarto d’ora appena al compimento dell’“anno grande e matematico”, all’incredulo scienziato nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie di Giacomo Leopardi, smentendo la possibilità che i morti conservino ricordi e rimpianti della vita trascorsa. Diversamente dunque dai molti fantasmi che popolano leggende e storie horror, i quali solitamente si mostrano oltremodo attaccati agli affetti e agli appetiti che li animavano da vivi. E se spesso gli affetti sono i più deteriori ‒ odio e rivalsa verso chi è rimasto in vita ‒, che dire degli appetiti? Chiunque è stato bambino, o ha avuto bambini, negli anni Ottanta non avrà dimenticato la temibile voracità di Slimer, l’ectoplasma verde sodale dei Ghostbusters, forse modellato dagli autori del film in omaggio all’altrettanto ingordo personaggio Bluto di Animal House. Leopardi sembra certo escludere un’eventualità del genere, e forse con amara ironia dovette pensare che, a differenza di Slimer, un gruppo di morti-viventi preferisse rispondere all’interrogatorio notturno del loro imbalsamatore piuttosto che approfittare del quarto d’ora disponibile per avventarsi nella prima casa a portata di scheletro e piombare sull’ignaro consumatore di una spaghettata di mezzanotte. Perché il poeta di Recanati, nel suo passaggio terreno, mo- È leggenda il fatto che a Napoli, nonostante la minaccia del colera, il conte non fosse capace di trattenersi dal mangiare gelati strò di apprezzare molto i piaceri della tavola, una delle poche beatitudini, tra le tante pene dell’esistenza, che la morte inevitabilmente e dolorosamente oscura per sempre. È leggenda il fatto che a Napoli, nonostante la minaccia del colera, il conte non fosse capace di trattenersi dal mangiare gelati. Alcuni anni fa, proprio nella Biblioteca Nazionale del capoluogo partenopeo, è stata ritrovata una lista di quarantanove ricette scritta di proprio pugno da Leopardi, una sorta di memorandum delle pietanze più degne di nota tra quelle assaggiate nel periodo napoletano, tra il 1833 e il ’37. Merito innanzitutto del cuoco personale dell’amico Antonio Ranieri, Pa- squale Ignarra, il quale si dedicava a soddisfare i desideri del suo padrone e dell’ospite con la devozione di un antenato nostrano del Fritz Brenner di wolfiana e goodwiniana memoria. Dal ritrovamento di questo prezioso autografo, Domenico (Dègo) Pasquariello e lo chef Antonio Tubelli hanno tratto quattro anni fa un libro sorprendente, Leopardi a tavola (Fausto Lupetti Editore), che sarà utile a quanti vorranno togliere un po’ di polvere dall’immagine volgare di Leopardi, solitamente presentato come cupo e tristanzuolo. Ne risulterà invece il ritratto di un genio ammaliato dal fascino del gusto, e amante di cibi genuini e non troppo elaborati, spesso basati su frutta e verdura di stagione (carciofi, spinaci, borragine, fiori di zucca). Non mancano tuttavia nella lista le carni, e sembra trasparire una certa passione da pretesti | Novembre 2012
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