Non siamo un Paese per gay, adolescenti a rischio suicidio

IL CAFFÈ 3 marzo 2013
La politica
Il populismo & I partiti
LA SINDROME
DI GRILLO
NELL’EUROPA
CHE ZOPPICA
Quel fenomeno politico trasversale che poggia
sulle difficoltà del sistema liberale-democratico
CLEMENTE MAZZETTA
Il voto alle recenti “politiche” italiane
Come hanno votato i cattolici praticanti
Cdx
Csx
M5s
Monti
Riv.Civ
Fare
altri
LE ANALISI
Il verde Sergio
Savoia,
lo storico
Pompeo
Macaluso
e il deputato
plr a Berna
Ignazio Cassis
Mentre in Italia politici e intellettuali
stanno “correndo in soccorso”
a Beppe Grillo, vincitore
delle elezioni, lo spettro del populismo
s’aggira per l’Europa.
“Attenti, si tratta un fenomeno che va declinato
al plurale, perché il populismo ha molte sfaccettature”,
avverte lo storico Pompeo Macaluso.
Populismi, dunque: perché è etichettata
1
%
1
%
1
%
20 %
18 %
31 %
28 %
Il sondaggio è
stato pubblicato
on line
nei giorni scorsi
dall’istituto Swg
così la protesta contro gli
stranieri di Geert Wilders in
Olanda, come la lotta contro
l’euro di Marina Le Pen in
Francia, come la contestazione
dei partiti e delle istituzioni
dei “grillini”, in Italia.
Fenomeno in passato
sudamericano, dai tempi di
Juan Domingo Perón in Argentina
nel secondo Dopoguerra
per arrivare a Hugo
Chávez in Venezuela, il populismo
è presente in Europa,
in Finlandia con Timo
Soini, leader dei “Veri finlandesi”,
in Grecia – a destra
- con il razzismo di Alba dorata
di Krisi Avgi e - a sinistra
- con l’antieuropeismo
di Syriza, il movimento radicale
ed ecosocialista greco.
Ma è cresciuto soprattutto
in Italia dove ha preso piede
prima con la Lega, poi con Berlusconi, e ora è
esploso con Grillo.
“Non si capisce il populismo – spiega Macaluso
– se non si parte dalla crisi generale del sistema
democratico in Europa, della crisi del parlamentarismo,
che è incapace di rispondere in
modo rapido alla crisi economica e sociale e
che suscita una sorta di repulsa dalle classe
medie e nei ceti popolari sempre più preda del
sex appeal del populismo.
Con un grande rischio: senza
evocare il fascismo, perché
il ‘grillismo’ è un’altra
cosa, quando si è in presenza
di una saldatura fra la
protesta del ceto medio a
quello delle classe lavoratrici
in un contesto di grandi
difficoltà economiche, la democrazia
rischia di entrare
in crisi”. Fenomeno per altro
controverso, il “grillismo” è politicamente oggetto
di giudizi contrapposti. Per Ignazio Cassis,
consigliere nazionale per il Plr, il populismo
di Grillo è un modo di fare politica che si
nutre “di sfiducia verso i partiti e le istituzioni
e che ha un profondo bisogno di credere nelle
fiabe. Nei pifferai magici che sostengono tutto
e il contrario di tutto, purché piaccia alla gente.
Un’onda culturale che sta attraversando tutti i
continenti e che ha contagiato da tempo il Ticino
con la Lega”.
Sergio Savoia, leader dei Verdi ticinesi, rifiuta
invece di incasellare il “Movimento 5 stelle” di
Grillo nel panorama più ampio del populismo
europeo. “Non penso che quello di Grillo sia
più populista di altri movimenti, ritengo piuttosto
che sia riuscito a intercettare la rabbia
popolare – sostiene Savoia -. Dobbiamo anzi
essergli riconoscenti del fatto che ad interpretarla
siano ragazzi del Movimento 5 stelle, fantastici,
piuttosto che quello neofascista di Alba
Dorata, come è successo in Grecia”. Insomma
per Savoia, “bisogna smetterla di parlare di populismo
riferendosi a Grillo e cominciare a discutere
di cosa avrebbero dovuto fare e non
hanno fatto i partiti tradizionali”.
Cassis, invece, interpreta il populismo come
“un’onda culturale che attraversa i continenti,
in una determinata situazione economica, e
che porta ad un disorientamento intellettuale,
frutto di una politica giocata più sullo spettacolo
che sull’analisi dei fatti”.
E così, mentre in Europa si ridimensiona lo
stato sociale, i problemi complessi sono risolti
dai “venditori di fumo” con ricette semplici,
con banalità che diventano progetti politici. Il
tutto in nome di un popolo depositario delle
migliori qualità.
“Uno degli ingredienti del populismo - conclude
Macaluso - è stato sempre quello del capro
espiatorio, pertinente o meno, di cui ha bisogno
per raccogliere il consenso, un nemico su
cui far convergere le frustrazione che la crisi
produce e di cui sostanzialmente non ha soluzioni
vere”. È storia anche recente: si individua
un nemico nello straniero, o nelle istituzioni
(Roma ladrona) o nella classe dirigente (la casta),
o anche in un gruppo di cittadini (nel Ticino
della Lega, gli stranieri in generale e i frontalieri
in particolare), facendo leva sul popolo,
depositario delle migliori qualità. E su questo
raccoglie il consenso.
cmazzetta@caffe.ch
Q@clem_mazzetta
173’000
La cartina
Tra le varie configurazioni
possibili di macroregioni
ipotizzate (Euregio, Maxi-cantone,
Regione perialpina) quella
raffigurata nella cartina è la più
ambiziosa e più potente, al punto
da raffigurare l’area economicomanifatturiera
più grande del
continente europeo
27’850
130’000
6.212.000
25’250
Rodano
Alpi
Provenza
Alpi-Costa
Azzurra
4.951.000
53’400
405’700
18’020
Piemonte
4.468.000
30’500
Ticino
337.000
32’200
Lombardia
10.020.210
145’070
32’500
318’424
Veneto
Friuli
Venezia
Giulia
1.236.103
28’900
Carinzia
560.000
Slovenia
4.960.336 113’725 29’300 27’358
L’INTERVISTA/1 Il sociologo Ueli Mäder analizza il “vento ideologico” che scuote il continente
L’INTERVISTA/2 L’analisi dell’ex senatore Piero Bassetti, primo presidente della Regione Lombardia
fenomeno Cinque Stelle
può crescere ovunque. Fa- “Il
tico a ridurlo a una specificità
italiana”. Per Ueli Mäder, ordinario
di sociologia all’Università
di Basilea, esperto di populismo,
sono le condizioni sociali la base
del successo elettorale dell’ormai
ex comico Beppe Grillo.
Il M5S in Italia, Syriza in Grecia,
i Pirati in Germania. Tutti movimenti
populistici recenti. C’è
una radice comune?
“Sono il risultato dell’aumento
dei contrasti sociali, del vuoto politico
e dell’insicurezza. Questi
fattori fanno emergere le personalità
dotate di carisma”.
Parole invece di programmi.
Semplificazione. Le parole d’ordine
sono queste?
“Le persone, quando sono insicure
e arrabbiate, cercano sostegno
in leader capaci di orientare con
“I nuovi partiti di protesta
formati dall’insicurezza
possono nascere ovunque”
schemi semplici”.
Come Beppe Grillo?
“Sì, indubbiamente”.
Quali strategie possono contrapporre
i partiti tradizionali?
“C’è chi pensa che i partiti storici
debbano rispondere optando anch’essi
per una riduzione della
complessità, adottando schemi
social-populistici”.
È anche la sua opinione?
“No, perchè questo non fa che riprodurre
i meccanismi che si criticano”.
I partiti populistici propongono
soluzioni. Ma che ruolo ha il ri-
L’Europa delle coalizioni e dei populismi
Governi al potere negli Stati membri della Ue
Destra/Centro-destra Sinistra/Centro-sinistra
1. Bulgaria
2. Cipro
3. Estonia
4. Germania
5. Gran Bretagna
6. Lettonia
7. Lussemburgo
8. Malta
9. Polonia
10. Portogallo
11. Rep. Ceca
12. Slovenia
13. Spagna
14. Svezia
15. Ungheria
10
26 5
13
16. Croazia
17. Danimarca
18. Francia
19. Lituania
20. Romania
21. Slovacchia
18
IL SOCIOLOGO
Ueli Mäder,
ordinario di
sociologia
all’Università
di Basilea,
esperto di
populismo
23
27
17
4
22
12
8
11
14
16
9
21
15
25
20
1
24
3
6
19
22 - Austria
Nel 2008 rinnovata la
grande coalizione tra
Popolari e
Socialdemocratici
23 - Belgio
Fiamminghi e valloni
hanno impiegato 540
giorni per trovare un
accordo
24 - Finlandia
La coalizione vacilla
sull’opportunità di
garantire aiuti
all’Europa in crisi
25 - Grecia
L’alleanza tra Nuova
Democrazia e
socialisti unica via per
affrontare la crisi
26 - Irlanda
Intesa tra FineGael
(centro-destra) e
laburisti su come
affrontare il debito
27 - Paesi Bassi
Centro-destra e
laburisti uniti per
affrontare le misure di
austerità
sentimento nelle loro proposte?
“Il ‘ressentiment’ è un ingrediente
essenziale. È un veleno che
s’insinua nella società. E nemmeno
la Svizzera ne è immune”.
È corretto dire che il populismo
porta acqua al mulino degli
estremismi di varia natura?
“È una possibilità reale. Peraltro,
credo che, nell’immediato futuro,
i contrasti sociali si faranno ancora
più acuti”.
Crede che le forze tradizionali
rimarranno a guardare?
“No, saranno portate a rafforzarsi
ulteriormente e a rispondere in
modo convincente”.
Come interpreta i nuovi movimenti
sociali come gli “Indignados”
o “Occupy Wall Street”?
“La loro vera forza credo risieda
nel coraggio di porre una questione
fondamentale: cosa conta veramente
nella vita?”. m.l.r.
2
Le grandi coalizioni
Fonte: Corriere della Sera
33 %
M5s
30 %
Cdx
24
%
Csx
Flussi di voto
alle recenti elezioni
politiche italiane
Come hanno votato
gli elettori con
scolarità medio-bassa
e condizione
economica precaria.
Il sondaggio è stato
pubblicato on line
nei giorni scorsi
dall’istituto Swg
7
%
Monti
3
%
Riv.Civ
1
%
Fare
2
%
Altri
Sorride Piero Bassetti, “padre
storico” della Regione Lombardia
e del “glocalismo” nel
vedere rispolverata da Roberto Maroni
la macroregione. Un’idea che
l’ex senatore italiano vede ora in ritardo
di qualche decina di anni.
“Non voglio rivendicarne la paternità,
perché qualcuno ne avrà pur
parlato prima di me, ma questa
idea della regione perialpina l’avevo
già illustrata in un convegno ad
hoc nel 1972 - spiega il presidente
di Globus et Locus, associazione di
istituzioni il cui scopo è l'analisi dei
rapporti tra il globale e il locale -.
Oggi la macroregione è un concetto
invecchiato, visto che ormai dobbiamo
parlare di rete di aree metropolitane”.
Anche le reti metropolitane, però,
contengono economicamente la
negazione del vecchio concetto di
Stato.
EZIO ROCCHI BALBI
Quasi cinquanta milioni di abitanti
distribuiti in decine di regioni e
una manciata di Stati, 1’500 miliardi
di euro di Pil, pari a circa 33mila
euro procapite all’anno. Non ha fatto in
tempo ad insediarsi sul trono della regione
Lombardia che il leghista Roberto
Maroni ha dichiarato tramontato il sole
della Padania annunciando l’alba di una
macroregione, un maxi-cantone, un
land che dal sud est della Francia ingloba
le regioni del nord Italia, la Carinzia,
la Baviera e - perchè no - anche la Slovenia.
L’area economico-manifatturiera
più grande del continente, una sorta di
“cartello” che nell’idea del segretario
che ha resettato Umberto Bossi e la Lega
metterebbe al riparo dall’esosa pressione
del fisco, difendendo il patrimonio
delle aree coinvolte.
“Mi fa sorridere solo l’idea visto che, da
un punto di vista economico-commerciale,
le cose stanno già così”, obietta
Marco Passalia, vice direttore della Camera
di commercio del Ticino ricordando
che proprio a gennaio la Svizzera è
diventato il Paese extra europeo con cui
l’Italia ottiene, a colpi d’esportazione il
miglior saldo commerciale.” È da decenni
- riprende Passalia -, da quando è stato
istituito il libero scambio, che l’internazionalizzazione
dei mercati è un dato
di fatto. E i dati sono lì a dimostrarlo. Per
la Svizzera e il Ticino è già come se ci si
confrontasse con un insieme di aree
produttive competitor; è la realta con
cui ci si confronta tutti i giorni. I flussi di
persone e merci sono già una costante; a
meno che non si parli di flussi di capitali,
finanziari, ma questa è un’altra storia”.
“Ormai è un’idea vecchia,
si parli di aree metropolitane”
“Che gli Stati nazionali siano in dissoluzione
un po’ in tutto il mondo
non si discute. Ma dovrebbe essere
una Europa delle Grandi Regioni, la
confederazione europea che si voleva
ad assorbire questa dissoluzione
degli Stati”.
Anche il modello di Maroni si ispira,
per la sua macroregione del
Nord, alla struttura confederativa
della Svizzera.
“Una cosa è prendere coscienza
delle Alpi come aggregazione, perchè
è vero che il cuore d’Europa è lì,
altro è usarle come separazione,
come concetto anti geo-politico.
Quello della Lega è revanchismo
PIERO BASSETTI
Presidente
dell’associazio
ne Globus Et
Locus
Fonte: Elaborazione de “Il Caffè”
12.600.000
Baviera
Fatto sta che - forte del patto siglato a
giugno dai presidenti delle regioni nord
italiane, della Baviera, della Carinzia e
della Slovenia - la cosidetta “macroregione
alpina” è ritornata in auge immediatamente
dopo il voto lombardo, nella
prima conferenza stampa indetta dal
neo presidente regionale Maroni. Incassati
i complimenti via Twitter del collega
ticinese Norman Gobbi (“Al Pirellone
avremo un amico del Ticino - ha twittato
il direttore delle Istituzioni dimentican-
anti tecnocratico e anti romano,
cosa ben diversa dallo lo spirito di
regioni che partecipano veramente
al progetto macroregionale, ma con
un approccio glocal, cioè locale ma
nella globalità. Come già fa la Baviera,
per intenderci, o la regione
francese del Rhone-Alpes ”.
Insomma, secondo lei una macroregione
dovrebbe sviluppare al
meglio progetti comuni, senza
antagonismo con i rispettivi Stati
centrali?
“Io dico solo che una macroregione,
un’euroregione alpina (anche
se oggi andrebbe estesa a Baviera,
Croazia, Slovenia) per essere un
LEGENDA
Abitanti
25’500
2.056.000
Macroregione
28’843
Pil (in milioni di euro)
49’217
Pil procapite in euro ca.
LAPOLEMICA Divide l’idea di un “maxi cantone” con quasi 50 milioni di abitanti
I nuovi confini del Ticino
tra Côte d’Azur e Slovenia
La macroregione di Maroni all’insegna dell’antieuropeismo
Il capoluogo lombardo
torna al centro degli
“interessi” leghisti ticinesi
45’500
do che la Regione s’è trasferita nell’omonimo
nuovo grattacielo -. Con Maroni
Lega Nord saremo vicini più veri”) il neo
governatore ha subito avuto l’appoggio
del presidente del Veneto Luca Zaia:
“Parlare di macroregione significa confrontarsi
in Europa per proporre un modello
cantonale come la Svizzera”. E
poco importa se il padre putativo della
macroregione delle Alpi Piero Bassetti
(vedi intervista sotto) considera ormai
obsoleta l’idea. Per tacere di qualche
piccolo ostacolo, come la Costituzione
italiana che dovrebbe essere modificata
ad hoc, o il fatto che più di cento euroregioni
esistenti non presuppongono
nuovi livelli di amministrazione.
“In termini istituzionali se ne può discutere
finche si vuole, ma a livello economico
meno barriere ci sono meglio è, e
la maxiregione oltre ad essere un fantaprogetto
altro non sarebbe che un’ulteriore,
enorme barriera - commenta
l’economista Amalia Mirante, docente
all’Università della Svizzera italiana di
Lugano -. È una cartina che farà contenti
i grafici dei giornali, ma nulla di più. Perché
mettere insieme le regioni più forti
economicamente non ha alcun senso,
un’unione che non porta da nessuna
parte se non nelle parole e negli slogan
dei politici. Fortunatamente sarà la storia,
quella vera, a disegnare una configurazione
reale”. Ma già si discute una variante,
con nuove forme di collaborazione
sovraregionale e transfrontaliere:
una “Euregio” senza confini che vedrà le
“frontiere” del Ticino spostarsi ad ovest
sulla Costa Azzurra e ad est sulla Slovenia.
erocchi@caffe.ch
Q@EzioRocchiBalbi
vero progetto, credibile, deve avere
anche delle solidi basi culturali,
istituzionali. Si tratta di discutere di
trasferimenti di soggettività politica
con autorevolezza e competenza,
mica si risolve tutto con uno slogan
azzerccato. Altrimenti, lo ripeto,
era già tutto scritto e descritto nel
mio convegno di quarant’anni fa”.
Non c’è anche il pericolo che da
questa macroregione ne esca una
sorta di “Europa delle Alpi?
“Ma il localismo, l’altroeuropeismo
non funziona! C’è il rischio che
questo maxi motore europeo diventi
un motore anti europeo di
singoli stati nazionali. Ora è vero
che l’Europa è in crisi, ma in termini
politici, perchè l’idea di una confederazione
di Stati sarebbe ancora
attuabile e al passo con i tempi se si
riuscisse a trasformare in una moderna
rete di metropoli”.
e.r.b.
31
‘
TRA
VIRGOLETTE
FOGLI IN LIBERTÀ
RENATO MARTINONI
L’Italia
culturale?
Vive troppo
di rendita
C’è un punto sul quale gli Italiani
dovrebbero finalmente cominciare
a meditare. Senza retorica
anzi con molta serenità. Se il loro
paese è giustamente ammirato e
attira ogni anno frotte di turisti è
perché la sua natura, malgrado le
incessanti malefatte dell’uomo,
resta incantevole, il clima è eccellente,
la tavola buona come in
nessun altro posto del mondo, il
patrimonio culturale oltremodo
straordinario. Basta ammirare i
monumenti, o bighellonare per i
centri storici delle città, o passeggiare
per le piazze, o entrare nei
musei. Non sbaglia certo chi dice
che l’Italia è un paese di grande
tradizione culturale. C’è anzi chi
aggiunge che la cultura è il vero
capitale dell’Italia. Ma occorre
anche chiedersi di quale cultura
si tratta. E poi ancora chi l’ha
prodotta. E allora si è costretti a
rilevare che una bella fetta del
patrimonio culturale italiano è
arrivato all’oggi da epoche lontane.
I centri storici e le piazze dal
Medioevo, gli edifici più maestosi
dal Rinascimento, le opere mirabili
che ornano i musei da
un’epoca lunga e gloriosa che dal
Trecento, il tempo di Dante, si allunga
fino al Seicento barocco
del Caravaggio e al Settecento
neoclassico del Canova.
Sono il frutto,
cioè, di una concomitanza
di fattori
sostenuti da chi
aveva molti
soldi in tasca
da investire,
poco importa se per amore del
bello o per vanità. Di concause
che hanno favorito la fioritura di
un mondo artistico che ha visto il
concorso ineguagliato degli urbanisti,
degli architetti, degli ingegneri,
dei pittori, degli scultori,
dei poeti, degli scrittori, dei musicisti,
degli artigiani e via di seguito.
Tutto questo non sarebbe
potuto avvenire, va da sé, se gli
Italiani di un tempo, ancorché
privi di un grande centro di irradiamento,
non avessero avuto
quella creatività e quel gusto
estetico che da sempre li accompagna.
Semmai va forse aggiunto
che è proprio da quando l’Italia
ha una capitale politica, Roma,
che la sua creatività nel campo
della cultura è calata di molto:
prova ne è il fatto che gli impulsi
culturali più innovativi sono venuti
via via da altre città, come
Firenze e Milano. Ma la cosa che
più inquieta è che il Belpaese,
ahimè, vive troppo di rendita.
Vende come suo quello che hanno
fatto i suoi antenati. Vero è
che un patrimonio culturale va
conservato e valorizzato. E già
questo è un bell’impegno. Ma è
necessario comunque cercare di
continuo strade nuove, perché la
cultura non può sempre e soltanto
essere messa in un museo. Qui
sta uno dei limiti più grandi di
quella che per molti è anche la
nostra patria culturale. In altre
parole: è giusto amministrare
con oculatezza i patrimoni, quelli
finanziari come quelli immateriali,
lasciati dai nostri antenati.
Ma è altrettanto utile non accontentarsi.
Bisogna insomma fare
in modo che l’opera di chi ci ha
preceduto venga continuata anche
da chi vive nell’oggi. Lo fanno
altri paesi. Perché non dovrebbe
farlo l’Italia che, in fatto di
eredità culturali, se li beve tutti
d’un fiato come un ovetto fresco?