Giudici unica nota stonata in un coro di sì ai Bilaterali - regione - La ...

LUI LEI
18 gennaio 2009 IL CAFFÈ
L’ALTRO
LUIGI BONANATE
Perché non gli lasciamo
far il presidente
almeno per un giorno,
prima di incominciare
a criticarlo? La lotta
politica ha i suoi diritti,
la spettacolarizzazione delle
comunicazioni ha i suoi vizietti;
ma già ora Obama è intralciato a
ogni passo. Se nomina tal Panetta
capo della Cia, il giorno dopo
deve rimangiarsi la parola. Sceglie
Sanjar Gupta come consigliere
per la politica sanitaria, ma gli
rimproverano che è troppo bello
e fin troppo popolare. Manda
l’afro-americano Roland Burris,
Procuratore generale dell’Illinois,
a occupare il seggio senatoriale
che ha lasciato vacante, e gli
uscieri del Senato gli sbarrano la
strada. Promette di chiudere immediatamente
Guantanamo, ma
il giorno dopo deve correggere il
tiro. Se non è facile diventar Presidente,
più difficile è certo farlo!
Il bacio mortale di Bush ha riguardato
il terrorismo: riuscirà a
sconfiggerlo?
Le regolarità del sistema costituzionale
americano ne sono uno
dei punti di forza, così come la
certezza sulla data delle elezioni
e su quella dell’insediamento, rispettivamente
4 novembre e 20
gennaio successivo. Sappiamo
già tutto quel che Obama dirà e
persino che lo dirà bene e farà
uno splendido discorso, che a
Washington sarà ascoltato da diversi
milioni di persone, dopo
PRESIDENTE
Le opportunità di Obama nella politica interna ed estera
che il 18 sarà andato a Baltimora
a ricordare il sacrificio di Martin
Luther King. La messinscena mediatica
fa qualche passo avanti a
ogni insediamento presidenziale
e i diritti dell’immaginario collettivo,
dei passaggi in televisione,
delle feste e dei ricevimenti a cui
si può intervenire pagando qualche
migliaio di dollari dà vita a
una immensa kermesse, studiata
e organizzata in ogni particolare
da servizi di sicurezza che il 21
gennaio, se tutto avrà funzionato
a dovere, potranno andarsene finalmente
a dormire.
Ma quanto ha a che fare tutto ciò
con la politica? Perché tanta spettacolarizzazione?
Serve a migliorare
la performance del Presidente
o la nostra capacità di giudicarlo?
E poi: è giusto aspettarsi così
tanto da un “uomo nuovo” come
se potesse cambiare il corso della
storia politica di un paese, che è
poi il più importante del mondo?
Obama è il 44° Presidente e non
tutti hanno avuto lo stesso successo.
Quello che sta andandosene,
Bush figlio, è ormai bollato
dagli esperti come uno dei peggiori
se non il peggiore dei Presidenti
americani. Suo padre non
era stato gran che, incolore e opa-
Reuters
DIZIONARIO
co come pochi pur avendo avuto
dalla sorte la fortuna di esser Presidente
nel momento della caduta
del Muro di Berlino. Reagan,
dal quale nessuno si aspettava
nulla, fu invece certo un grande
Presidente, che in realtà influì
sulla storia del mondo ben più di
quell’affascinante John F. Kennedy,
che piaceva più agli europei (e
alle europee) che agli americani.
Talvolta, è successo a un vice, come
Biden, di diventare Presidente;
ma i predecessori avevano nomi
come Truman, e Johnson (che
si trovarono sulle spalle la guerra
di Corea e quella del Vietnam).
Il mondo si aspetta moltissimo da
Obama, dato la Presidenza degli
Stati Uniti ci coinvolge tutti perché
può influire sul futuro di tutti
noi. Anche chi non lo ha votato
e chi non ha fiducia in questo giovanotto
senza esperienza e fin
troppo rampante e aggressivo
vorrebbe che Obama riuscisse a
invertire la dinamica della politica
internazionale liberando il
mondo dagli incubi della crisi finanziaria
(che è tanto grave e tanto
globale che ogni giorno si
aprono nuove voragini) con i licenziamenti
che produce e i conseguenti
spaventosi tassi di di-
LA FRASE Il Pil scende del 2% per cento?
Come dire che torniamo
al 2006, mica al Medioevo
GIULIO TREMONTI, ministro dell’economia italiana
Roma – 15 gennaio 2009
SILLABARIO
MARTIN LUTHER KING
I Have a Dream
Nel Michigan, avevo tenuto un discorso
nella Cobo Hall, in cui mi ero servito
dell’espressione «io ho un sogno».
L’avevo già usata più volte nel passato, e semplicemente
mi venne fatto di usarla anche a
Washington. Non so perché: prima di pronunciare
il discorso non ci avevo pensato affatto…
“Oggi, amici miei, vi dico: anche se dobbiamo
affrontare le difficoltà di oggi e di domani, io
continuo ad avere un sogno. È un sogno che
ha radici profonde nel sogno americano. Ho
un sogno che un giorno questa nazione sorgerà
e vivrà il significato vero del suo credo:
noi riteniamo queste verità evidenti di per sé,
che tutti gli uomini sono creati uguali.
“Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne
della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli
degli ex padroni potranno sedersi insieme
alla tavola della fraternità”.
Praticamente nessuno aveva previsto la crisi finanziaria e ora
quella economica che sta martoriando il mondo. Ora, dire a
gennaio quel che sarà a dicembre per l’impresa, l’occupazione e
i consumi è roba squisitamente da astrologi. Gli Stati Uniti
altalenano, parlando di prodotto interno, tra il -2 e il -3 per cento.
Cina e India faticheranno a mantenere una crescita del 5 o 6 per
cento. La Germania prevede un -3 e l’Italia -2. La Svizzera poco
di meno. Scenari verosimili, ma... Potrebbe andar peggio, come
potrebbe andar meglio. A guardare i danni causati dalla finanza
soccupazione, dal timore di nuovi
conflitti, come quello che a Gaza
sta riaprendo una ferita che
potrebbe ora fungere da catalizzatore
per la follia anti-ebraica
dell’Iran di Ahmadinejad. D’altra
parte, se gli Stati Uniti trattassero
l’Iran come hanno trattato l’Iraq,
potrebbe davvero discenderne
un cataclisma: sarebbe una guerra
per il petrolio, il territorio, la religione,
la libertà…
Il dubbio è che gli Stati Uniti non
abbiano più la forza di cambiare
il mondo. L’attesa universale è
per una linea politica che, ribaltando
quella di Bush, si ispiri al
multilateralismo e rinunci all’atteggiamento
di superiorità e di
indifferenza per le opinioni altrui:
Obama ha promesso che la
svolta ci sarà e che sarà a 360°.
Aprirà un tavolo di dialogo con
l’Iran; sconfiggerà il terrorismo
senza annullare lo stato di diritto;
discuterà con gli alleati e gli altri
partner soluzioni collegiali e consensuali
ai problemi collettivi:
ambiente, fonti energetiche, lotta
alla povertà. E poi c’è anche la
politica militare: Obama rinuncerà
allo scudo spaziale che tanto
piaceva a Bush quanto inquieta
Putin? Saprà resistere all’espan-
La società
Il lago
di Sereni
raccontato
da Vitali
A PAGINA 41
sionismo economico cinese senza
cedere di fronte alle violazioni
dei diritti umani contro il Tibet e
i cittadini cinesi stessi? Saprà
convincere il mondo che, da un
giorno all’altro, la visione americana
del mondo è cambiata?
Forse non è neppure questa la cosa
più difficile. L’uomo ha già vinto
battaglie mediatiche difficilissime
con grande baldanza; quel
che potrebbe però fargli lo sgambetto
è l’establishment americano,
da una parte, e la pubblica
opinione dall’altra. È fin dagli anni
del Federalist (il grande testo
su cui si costruì il costituzionalismo
federalista negli anni della
rivoluzione americana) che il
problema viene ridiscusso, specialmente
negli Stati Uniti. Il dilemma
è di difficile scioglimento:
l’azione politica deve consistere
nel fare ciò che è (si crede sia) giusto
oppure ciò che avrà maggior
successo immediato, piacerà alle
folle e sarà applaudito? La democrazia,
in altri termini, deve inseguire
la popolarità o muoversi
con rigore alla ricerca delle soluzioni
migliori per il maggior numero?
Sarebbe facile per Obama
promettere ora lavoro per tutti,
pace nel mondo, salute e benessere
anche ai più sfortunati; ma
le difficoltà potrebbero schiacciarlo
e i problemi sfuggirgli di
mano.
La teoria politica realista tipica
del mondo anglosassone ha sempre
avuto una posizione ben
chiara su questo punto e che varrebbe
la pena ricordare a Obama
(a mio modo di vedere per evitargli
di cascarci a sua volta!): essa
consiste nel ritenere che lo statista
non possa fare politica (specie
estera) avendo di mira il successo
popolare, a meno di essere
in grado di manipolare il consenso.
La formula sarebbe: meno si
dice e più si fa; questa la ricetta di
una specie di curioso autoritarismo
benevolo, che avrebbe in vista
il vantaggio di tutti, ma rischia
di restare rinchiuso nelle mani di
alcuni potentati. Questo è anche
il problema di Obama: egli che
per ora viaggia sull’onda di un
grande successo popolare, lo potrà
spendere per modificare
l’inerzia della politica contemporanea,
non soltanto americana
ma mondiale? Politica interna e
politica internazionale, per gli
Stati Uniti, finiscono per coincidere,
e il suo insediamento, tra
pochissimi giorni, sarà il segnale
di una trasformazione epocale?
Ma possiamo davvero credere
che i personaggi più abili nel gestire
la scena e nel calcare il palcoscenico
siano poi anche nella
vita di tutti i giorni i migliori di
tutti? E anche in questo caso, non
ci saranno, accanto o dietro al
nuovo Presidente, gruppi potenti
e influenti che - dopo averlo
aiutato a vincere - vorranno vincere
qualche cosa anch’essi?
Obama passerebbe alla storia se
riuscisse a rimettere la barra dell’ordine
mondiale verso la stella
della pace (e delle pacificazioni).
Si sentono in giro per il mondo
tanti rumori e sinistri scricchiolii:
sarebbe bello pensare che dal 20
gennaio prossimo qualcuno lavorerà
sinceramente per consolidare
il nostro sistema di vita.
“creativa e liberista” all’economia reale, si è portati a pensare
che ogni previsione, anche la più accreditata, oggi equivalga alle
chiacchiere di un qualsiasi taxista. E in ogni caso, catastrofismo
e pessimismo faranno solo danni. In fondo ha ragione Tremonti.
Non spaventiamo la gente facendo credere che torneremo al
Medioevo. Un passo indietro di un anno o due nella ricchezza
accumulata non è un ritorno al Medioevo. A tornare ai vecchi e
sani principi dovrebbe essere invece quella finanza “creativa”
che ci ha portati, fuori da ogni previsione, all’attuale situazione.