Giudici unica nota stonata in un coro di sì ai Bilaterali - regione - La ...

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È stata presentata ieri, sabato, a
Luino una raccolta di prose di
Vittorio Sereni. La cittadina sul
lago Maggiore, dove nacque il
poeta italiano, è raccontata nelle
sue più intime e suggestive
atmosfere, tra partenze e ritorni
struggenti. Sereni e Luino, il
poeta e il lago, nell’omaggio dello
scrittore Andrea Vitali
CULTURA
ANDREA VITALI
1
Incontro Vittorio Sereni tutte le mattine, estate o inverno
che sia, anche in primavera, autunno. Lo incontro
nel silenzio, premio per chi si alza prima tra di noi in
casa, e si consola col sonno degli altri che dura ancora
e col privilegio di usare il bagno primo fra tutti. Sto ancora
in pigiama, una maglietta con sopra qualche scritta
e vecchi pantaloni di una tuta. So che lui è lì, giacca
e cravatta. Per questo non accendo luci, tendo a nascondermi
nel buio, non voglio che mi veda così disordinato
e soprattutto non mi saluti parlandomi della sua
terrazza.
Improvvisa ci coglie la sera
Più non sai
dove il lago finisca;
un murmure soltanto
sfiora la nostra vita
sotto una pensile terrazza
Stiamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera
entro quel raggio di torpediniera
che ci scruta poi gira se ne va.
Se ne va anche lui così, tutte le mattine, dopo avermi
salutato e ammonito insieme, nel buio che ancora attende
la luce dell’alba, nel silenzio che solo un murmure
immaginario di onda arricchisce.
Se ne va sull’eco di quell’ultimo verso.
Mi scruta, gira, se ne va: eccolo il gran lavoro del poeta,
ecco il sottrarre all’essenziale il cascame dell’inutile.
Non perde tempo la torpediniera, sul lago non ci sono
congiunzioni, onde infinite invece che vengono a
finire sulla riva, mai uguali, uniche anzi, irripetibili, come
le vite di ciascuno.
2
Ho conosciuto Vittorio Sereni molti anni fa. Per l’occasione
non camminava su due gambe ma su due versi.
Si sa come sono i poeti, gente stravagante, sempre con
la testa tra le nuvole o tra le onde.
Capitò, naturalmente, sul lungolago, di un lago imprecisato
però, forse la madre brontolona di tutti i laghi
che predicava, predicava e predicava quanto gli umani
non avrebbero mai dovuto scoprire il segreto di quel
profumo, quello del lago.
Che si spaccassero pure la testa e le meningi a cercare
di individuarne la formula mettendoci dentro alghe e
LA COMPOSIZIONE
Il taglio geometrizzante della
composizione, la successione articolata
dei piani, la disarticolazione e
reinvenzione dello spazio fisico sono tutti
elementi di ascendenza cubista.
IL COLORE
Il blu, il rosso e il giallo, i tre colori
primari usati allo stato quasi puro,
nella pienezza della loro accensione,
sono un evidente richiamo alla
tavolozza espressionistica-fauve.
di CLAUDIO GUARDA
Lo scorso 8 gennaio Anita
Spinelli, di cui è in corso la
bella antologica a Villa Ciani,
ha compiuto 101 anni: lunga
vita, allora, ad Anita! Nel 1925,
audace ragazza di soli 17 anni,
era partita alla volta di Milano
per frequentarvi dapprima il liceo
artistico e poi l’Accademia di
Brera conclusa nel ’33.
Nel frattempo si era sposata; segue
poi il definitivo rientro in Ticino,
a Pignora di Novazzano,
quindi il progressivo allentarsi
dei contatti con la vicina Italia a
seguito del rafforzamento del regime
fascista. Giocoforza, a questo
punto, spostarsi verso Nord:
non solo in senso espositivo (con
le mostre di Berna, Zurigo e Losanna),
ma anche artistico: ed ecco
che, poco alla volta, si attenuano
in lei le componenti più
intime e tonali di Novecento o del
paesaggismo lombardo, a favore
di una pittura più libera, immediata
e fresca, dove ben si coglie
il suo aprirsi alle suggestioni del
postimpressionismo, dei fauves
o del primo cubismo. Il tutto, e in
Tre rose per Anita Spinelli e la sua visione artistica
Intimità e toni
di una centenaria
LA MOSTRA
Anita Spinelli. Antologica.
Villa Ciani, Lugano
Fino al 1 marzo
Vaghe stelle
dell’Orsa, 1990,
olio su tela,
200 x 175 cm
mostra lo si vede bene, tra il ’33 e
il ’38; e, senza mai rinnegare la
propria radice, ma continuando
a stare all’interno del proprio
sentire, della propria poetica.
Perché allora tre rose per Anita?
La prima perché, pensando agli
artisti ticinesi di quegli anni, è
stata tra i primi ad allargare il panorama
di riferimento culturale
LO SPAZIO
Non è solo quello fisico, è anche quello
dell’anima, dove interno ed esterno si
mescolano, dove quello che vediamo è
simultaneamente cielo fisico ma pure
quell’anelito che spinge dentro.
L’ANELITO
Gesti, posa, sguardo, tutto in questa
giovane ragazza tende a quelle vaghe
stelle dell’Orsa che brillano nel cielo così
cariche di attese, di sogni, di possibili
mete. È la speranza che anima ogni vita.
e artistico del Cantone in tempi
in cui pochi avevano tale apertura
prospettica.
Che questo l’abbia fatto una donna
e madre, nel silenzio di Pignora,
in anni assolutamente non facili
per chiunque, figurarsi per gli
artisti, figurarsi poi per una
un’artista donna costretta a sopravvivere
in un mondo di maschi
in competizione per accaparrarsi
le poche committenze
sul piatto e le rare occasioni
espositive…beh, questo merita
certamente una seconda bella
rosa.
La terza è per aver seguito il suo
cuore, cioè aver dato sempre la
precedenza all’arte non come
linguaggio, ma come ricerca di sé
e partecipazione emozionale.
L’arte per lei non è mai stato un
far militanza di linguaggi, fare un
mestiere; l’arte è stata per lei un
vedere e un ascoltarsi: cosa che
l’ha messa nella condizione di restar
fedele a se stessa, di guardarsi
dentro, di esprimere il proprio
mondo e il proprio sentire: vuoi
nei temi come nella loro forma.
PAGINE D’OGGI
IL CAFFÈ 18 gennaio 2009
41
Sul “lago degli scrittori”
ricordando Vittorio Sereni
muschi, sassi bagnati e asciutti, pesci vivi e morti delle
più varie specie, le rare nebbie e le più frequenti foschie,
le umidità dei muri nelle vecchie case, le fronti
delle nobili ville, breve tivani phon, notti di cieli puntinati
di stelle, rumori di passi solitari, parole in quantità,
e fari di macchine che passano e vanno chissà dove,
baci schioccati, sguardi che vagano nel buio, canne
da pesca oppure canne al vento, le canne delle rive
solitarie, quelle che usavamo per pescare…
Si accomodassero gli umani per svelare il segreto della
formula…
So la stagione di questo lontano incontro, erano i primi
giorni di una scuola, un lago grigio ma sornione
che ronfava e ogni tanto muoveva le spalle per sistemarsi
meglio.
Si aggiunse, al segreto dei segreti, lo scrocchio dei passi
del poeta che, non va dimenticato, camminava su
due versi: ginocchia come musica, parole come passi,
poesia di un essere sempre in autunno, quando:
Già l’òlea fragrante nei giardini
di amarezza ci punge: il lago un poco
si ritira da noi, scopre una spiaggia
d’aride cose…
3
Perché non partiremo mai da qui,
non lasceremo mai le rive, quel primo pomeriggio estivo
quando anche loro, quelli
“che non sanno d’essere morti
i morti come noi,
non hanno pace.
ostinati ripetono la vita
si dicono parole di bontà
rileggono nel cielo i vecchi segni.”
I colori, gli odori e
gli umori del
Verbano, hanno
ispirato da sempre
artisti e letterati.
Il grande poeta
italiano, nato a
Luino, raccontato
dal romanziere
Andrea Vitali
IL PORTO
Un’immagine
del porto di
Luino; nella
foto piccola,
un ritratto del
poeta Vittorio
Sereni
Per questo non partiremo mai, per vedere e rivedere sempre
quei segni, l’Orsa coi suoi fratelli, i carri che navigano
le onde, una manciata di luci, spettinati dal vento
“cha fa musiche bizzarre”
Perché il coraggio di vivere ci viene da tutto ciò e con
lui, grazie a lui andiamo, andremo
“a lento guado coi cani
Nell’onda che rotola minuta”.
di MARCO BAZZI
LETTERA DI UN EBREO
CONTRO ISRAELE
giorno siamo informati della repressione
israeliana contro la popolazione palestinese. E
“Ogni
ogni giorno più distratti dal suo significato, come
vuole chi la guida”. Era il 14 maggio del 1989 quando
il poeta Franco Fortini pubblicò queste parole sul quotidiano
Il Manifesto sotto il titolo Lettera agli ebrei italiani.
Sono passati 20 anni ma nulla è cambiato. Oggi, come allora,
la cronaca dalla Palestina ci parla di guerra, stragi,
persecuzioni. La lettera di Fortini è pubblicata in appendice
al suo libro I cani del Sinai (Quodlibet Edizioni).
Fortini parla agli ebrei da ebreo. All’inizio del suo saggio
scrive: “Fare il cane del Sinai pare sia stata una locuzione
dialettale dei nomadi che un tempo percorsero il deserto
altipiano di El Tih, a nord del monte Sinai. Variamente interpretata
dagli studiosi, il suo significato
oscillava tra correre in aiuto del vincitore,
stare dalla parte dei padroni, esibire nobili
sentimenti. Sul Sinai non ci sono cani”.
Ma torniamo alla lettera che Fortini pubblicò
sul Manifesto.
“Cresce ogni giorno un assedio che insieme
alle vite, alla cultura, le abitazioni, le
piantagioni e la memoria di quel popolo
distrugge e deforma l’onore di Israele. In
uno spazio che è quello di una nostra regione,
alle centinaia di uccisi, migliaia di
feriti, decine di migliaia di imprigionati -
e al quotidiano sfruttamento della forza
lavoro palestinese, settanta o centomila uomini - corrispondono
decine di migliaia di giovani militari e coloni
israeliani che per tutta la loro vita, notte dopo giorno, con
mogli, i figli e amici, dovranno rimuovere quanto hanno
fatto o lasciato fare”.
Anzi, prosegue Fortini, “saranno indotti a giustificarlo. E
potranno farlo solo in nome di qualche cinismo real-politico
e di qualche delirio nazionale o mistico, diverso da
quelli che hanno coperto di ossari e monumenti l’Europa,
solo perché è dispiegato nei luoghi della vita di ogni giorno
e con la manifesta complicità dei più. Per ogni donna
palestinese arrestata, ragazzo ucciso o padre percosso e
umiliato, ci sono una donna, un ragazzo, un padre israeliano
che dovranno dire di non aver saputo oppure, come
già fanno, chiedere con abominevole augurio che quel
sangue ricada sui propri discendenti”.
E conclude: “Intorno ai ghetti di Gaza e Cisgiordania ogni
giorno Israele rischia una condanna ben più grave di
quella dell’Onu, un processo che si aprirà ma al suo interno,
fra sé e sé, se non vorrà ubriacarsi come già fece Babilonia”.