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@ www.ricettedintorni.net www.accademiadellacrusca.it Dopo le abbuffate natalizie e di Capodanno è ora di fare un po’ di astinenza o, comunque, di restare un po’ leggeri. Eccoci, perciò, a parlare di consommé, zuppe e minestre. Il consommé, secondo il Larousse gastronomico, è brodo di carne o di pesce, servito caldo o freddo. Il più semplice è il brodo del bollito, un “potage chiaro”, arricchito, eventualmente, da carne tritata, vermicelli, julienne, midollo, formaggio grattugiato, crostini, ravioli. Il più conosciuto è quello preparato con una fetta di pane e con un uovo sopra. Si tratta della zuppa offerta a Francesco I, la sera della battaglia di Pavia (24 febbraio 1525). Un brodo storico quindi… Il brodo del consommé può essere concentrato e diventerà “consommé double” e, per renderlo un po’ più consistente, si può aggiungere del Porto o dello Sherry. Le minestre sono preparazioni a base di pasta o di riso arricchite con verdure e legumi. Solitamente sono servite a cena. Il diminutivo, sempre secondo il Larousse, indica un piatto di brodo molto leggero. In ordine di tempo le prime minestre erano di farine o legumi bolliti ed erano già note ai Greci ed ai Romani. Nel Medioevo apparvero le zuppe e cioè fette di pane inzuppato di brodo, di vino, di salsa o di qualsiasi liquido. Oggi la zuppa è un “potage” non passato né legato, reso denso dall’aggiunta di SAPORI E SAPERI Una pietanza ricca di proverbi e detti popolari fa l’altrui mestiere fa la zuppa nel paniere”. Vecchio adagio po- “Chi polare, analogo al noto “Ofelee fa il to mestee”. Saggezza antica per dire che non bisogna impicciarsi degli affari, delle professioni degli altri. Proverbi e detti legati ai cibi, ai piatti di un mondo tipicamente contadino. Come lo è la zuppa. Saggezza popolare sintetizzata in poche parole. Questo “Far la zuppa nel paniere”, significa far qualcosa che non serve a nulla, far un lavoro che non ha senso, “senza sugo” appunto. LUIGI BOSIA È la versione ridotta del proverbio “chi asino è, e cervio esser si crede, fa la zuppa nel paniere”, riportato nel Cinquecento da Antonio Vignali, lo scrittore noto con lo pseudonimo di Arsiccio Intronato, nella sua “Lettera in proverbi” indirizzata alla Repubblica di Siena. Le zuppe appartengono alla tradizione più antica delle nostre case; venivano preparate semplicemente con acqua, un po’ di condimento, la classica battuta di lardo e una sola verdura. Zuppa o minestra, piatto buo- Zuppe Minestre e pane, pasta, riso. Il pane usato deve essere raffermo, grigliato o abbrustolito al forno. Ciò gli dà un sapore gradevole. In certe provincie di Francia c’è ancora l’abitudine di servire la “soupe” e cioè una fetta di pane sulla quale viene, semplicemente, versato il brodo. Ogni regione ha un suo repertorio di zuppe, come la nota “soupe au pistou” (basilico) e tra le tipicità regionali c’è pure il “gazpacho andaluso” che però è una zuppa estiva, assai gradevole per il suo fresco sapore. Ci sono poi le zuppe gratinate come la famosa la “soupe à l’oignon”. Le minestre di verdura arrivarono dopo e si diffusero in particolare in Campania, per cui i napoletani vennero chiamati “mangia foglia”. Con lo sviluppo delle piantagioni di riso e l’aumento dei pastifici le zuppe si fecero più ricche e, parallelamente, nacquero le minestre dei resti, degli avanzi. Diventano più gustose se usiamo il termine “potage” come nel ticinovino wein LA RIVISTA DI CHI AMA I SAPORI DELLA TAVOLA Con verdure e brodini, la tavola light dopo le grandi abbuffate delle feste no a mezzogiorno e a sera. E anche per questo c’era il detto “La minestra l’è la biada de l’ôm”. Un piatto, però, che mangialo oggi, mangialo domani, alla fine stanca: “L’è na supa”, è una zuppa, per dire che è qualcosa che stufa. Che proprio non se ne può più. E poi, legati alla tradizione di questa cucina rurale, anche “Qual pane hai, tal zuppa avrai”, “dalla mano alla bocca spesso si perde la zuppa”, “Chi s'impaccia con le frasche, la minestra sa di fumo”, “Chi è vicina alla pignatta mangia la minestra calda”. Zuppa o ENOGASTRONOMIA, CULTURA, ARTE, STORIA, SALUTE, TURISMO, E-WINE… 4 edizioni all’anno, in italiano e in tedesco. Per soli 32.50 Fr. o 31 Euro. Per l’Italia le spese di spedizione sono comprese “potage à la reine” a base di purea di petti di pollo o altri volatili (piccione o pernice).Non va poi dimenticata la “bisque” di crostacei. Continuando di questo passo si arriva al minestrone che potete anche servire come passato di verdura. Nel genere rientrano anche: pasta e fagioli, pasta e ceci, minestra maritata, ribollita, zuppa di fave e salsicce, zuppa di barbabietole (apprezzata in Russia il bortch), crema di fagioli, minestra Esaù (a base di lenticchie). Il nome viene dato a questo piatto con riferimento alla Bibbia che racconta di Esaù, il quale cedette appunto la primogenitura per un piatto di lenticchie. Va però ricordato che la ricetta prevede l’aggiunta di pancetta ed è quindi proibita agli ebrei (ed anche ai musulmani). Da non dimenticare la nostrana e gustosa “bürbura” a base di zucca. ABBONATEVI Ufficio marketing TicinoVino Wein 091 756 24 00 abbonamenti@rezzonico.ch minestra che sia l’essere in cucina, chi ha in mano il mestolo (metafora del comando), ha il potere di decidere: “Chi ha il mestolo in mano fa la minestra a modo suo”. Ma attenti: “troppi cuochi guastano la minestra”. E poi via con le avvertenze della vecchia saggezza popolare: “Donna alla finestra, gatta alla minestra” o il classico “Mangia questa minestra o salta questa finestra”. Aut aut, non si dà alternativa, anche se è la “solita minestra”. Insomma “un minestrone” di proverbi. c.m. La zuppa di cipolle È un piatto tradizionale di molti Paesi, fatto con semplici ed economiche cipolle. La zuppa più rinomata però, è senz’altro quella francese, la parigina “Soupe à l’oignon. Il minestrone È un particolare tipo di minestra con molte verdure. Fra gli ingredienti più comuni fagioli, carote, cipolle e pomodori. La zuppa di barbabietole Se fatta senza burro (solo con margarina) può essere un ottimo piatto vegano (per quelli che non mangiano carne e prodotti di origine animale). IL CAFFÈ 18 gennaio 2009 45 IL DIETISTA di FABRIZIO VAGHI MEGLIO EVITARE LE DIETE ‘FAI DA TE’ Nelle settimane successive alle feste natalizie,siamo spesso assaliti da sensi di colpa per i cenoni a cui abbiamo partecipato e che ci hanno fatto aumentare di peso. È importante capire che, per tutelare la nostra salute, due soluzioni sono categoricamente da evitare: il digiuno ed il “fai da te”, che inizialmente possono anche farci pensare di aver ottenuto buoni risultati, facendoci amaramente ricredere dopo poche settimane. In questa fase hanno invece un ruolo importante le minestre di verdure, utili a integrare il nostro organismo di liquidi, spesso carenti nel periodo invernale, fibre, minerali, e dall’effetto saziante. Una buona minestra deve essere preparata preferibilmente partendo da un brodo vegetale fatto in casa, utilizzando anche verdure surgelate, ma non piatti pronti o buste liofilizzate, addizionate con grandi quantitativi in sodio e che r i c h i e d o n o p o c h i s s i m i minuti di cottura per la loro preparazione. Tra gli ingredienti della minestra, tutti esclusivamente vegetali, non dovrebbero mancare, oltre alle più svariate verdure, i legumi (fagioli, piselli, ceci, lenticchie), orzo o avena, altri prodotti ricchi in fibre solubili utili alla nostra funzionalità intestinale e difficilmente reperibili in quantità giusta negli altri alimenti. La scarsa quantità calorica del prodotto ci consente di consumarne senza problemi anche due piatti. Dobbiamo però ricordare che alcune vitamine del gruppo B e la vitamina C sono termolabili, ovvero si perdono con la cottura e non le ritroviamo quindi nelle fondine con la minestra. Essendo vitamine necessarie ed indispensabiliquotidianamente, vanno assolutamente integrate consumando anche una pozione di verdura cruda. Se durante il periodo natalizio avete accumulato chili di troppo, il consiglio è quello di evitare il “fai da te”. Rivolgetevi, invece, al vostro medico di fiducia in modo che vi prescriva una vera e propria terapia dietetica, tramite una serie di incontri con personale specializzato. Tutti i nuovi abbonati riceveranno in omaggio una bottiglia di Ticino doc Merlot Baiocco gentilmente offerta da “I vini di Guido Brivio Sa”, Mendrisio
46 IL CAFFÈ 18 gennaio 2009 Bocca Il decano del giornalismo italiano nel suo “In ultimo libro “È la stampa bellezza”, ripercorre una vita di interviste, inchieste, articoli sulle vicende italiane. “Un’Italia che ora è peggio di prima. Con una classe politica, dice, in gran parte corrotta”. Una vita di corsa, dall’esordio alla Gazzetta del Popolo al Giorno di Mattei, alla Repubblica di Scalfari, compresa la parentesi televisiva a Canale 5 CLEMENTE MAZZETTA stampa bellezza”. Giorgio Bocca, 88 anni, prende a prestito la battuta di Humphrey Bogart nel film “L’ultima “Èla minaccia” per raccontare la sua avventura nel giornalismo. Spiega: “Ho usato questa frase per evocare quel potere speciale, quella forza che ha la stampa, il giornalismo d’inchiesta sugli altri poteri”. È la storia del suo lungo viaggio, iniziato sulle pagine di “Gl”, il quotidiano del partito d’Azione nel 1945 e approdato sull’Espresso e poi su Repubblica fin dal 1976, anno della fondazione, dopo un lungo itinerario: Gazzetta del popolo, Europeo, Giorno. Anche da Canale 5 dal detestato Berlusconi. “Non avevo capito che voleva una copertura a sinistra; non gliene fregava niente delle mie inchieste che poi mandava in onda tardissimo. È un uomo dal cinismo totale, ma che ha compreso prima degli altri la modernità”. È seduto al suo tavolo di lavoro. In basso, il suo gatto rossiccio si frega la schiena contro una gamba. È un tavolo bello, grande, come gli raccomandò lo scrittore Mario Soldati che aveva incontrato per un’intervista: “Devi avere un tavolo largo per tenerci libri, penne, forbici, per poter lavorare comodamente”. Bocca quasi s’appoggia al computer. Davanti ha una serie di libri, fogli, giornali sparsi: il Foglio, la Repubblica, la nuova “piccola” Unità di Concita de Gregorio: “Non mi pare neanche un giornale, ha un formato insolito, graficamente non mi sembra un granché”. Dietro, sulla parete che dà su una via privata di Milano - poco lontano dal Cenacolo di Leonardo -, le foto della figlia, della moglie, di lui in Val d’Aosta, delle sue montagne. Dove ha imparato a essere libero. Oltre al giornalismo, la sua grande passione è stata lo sci. “Quando avevo vent’anni ho vinto i littoriali di sci di fondo a Madonna di Campiglio”. I littoriali erano manifestazioni culturali e sportive inventati da Mussolini negli anni ’30 per gli studenti del Guf, gioventù universitaria fascista. Bocca, era fortissimo, resistente. Ora cammina piano. Come un anziano montanaro. “Sono uscito dal fascismo, sono entrato nella Resistenza a capo di una divisione partigiana di Giustizia e libertà e poi, pur essendo stato vicino al Psi non mi sono più iscritto ad alcun partito: non ho più voluto avere uno che decidesse sulla mia testa”. È lucidissimo e “incazzato” come sempre. O forse è il suo modo di esprimersi: frasi brevi, essenziali, da montanaro. Giudizi taglienti, come quelle che si leggono nei suoi articoli. Nessuna concessione alla retorica. “La mia avventura nel giornalismo è iniziata giovanissimo ed è continuata anche durante la Resistenza, quando pubblicavo una serie di giornaletti partigiani…”. Concreto, semplice. Come si dice: parla come mangia. “Perché ho fatto il giornalista? Semplicemente perché al liceo ero negato per la matematica. Più che quattro non prendevo. Invece L’INCONTRO Giorgio LA RESISTENZA Sulle montagne: “Andrà già bene se poi non ci metteranno in galera” CON BERLUSCONI “Non avevo capito che con me voleva solo una copertura a sinistra LA SCRITTURA “C’è stato un tempo in cui avevo l’ossessione, la nevrosi della perfezione” avevo un orecchio particolare per la lingua, per la musicalità delle parole. Come mia madre, del resto, un’insegnante non di grande cultura, ma che scriveva benissimo”. Prima cronista alla Gazzetta del popolo: “Avevo un direttore - Massimo Caputo - che mi odiava, che me ne faceva di tutti i colori, forse perché lui era monarchico e io repubblicano”. Poi inviato all’Europeo, dove impara a far “durare” un pezzo oltre la stretta attualità, ad andar in profondità, a coniugare cronaca, analisi, anche ad inventare, e dove incontra una malmostosa Oriana Fallaci: “Mi dava sempre del bischero”. Bocca raccoglie invece le sue migliori soddisfazioni professionali al Giorno di Italo Pietra. È il giornale voluto da Enrico Mattei, il partigiano, poi “manager-padrone” dell’Eni che cerca uno spazio per la politica energetica dell’Italia nel dopoguerra, uomo spre- giudicato che usa i partiti come fossero taxi: “Li prendo, scendo e pago”. Mattei garantisce al Giorno e a Bocca la più grande libertà di manovra. Ad un raduno di partigiani lo presenterà dicendo: “Attenti, questo spara ancora dalle pagine dei giornali”. È sulle pagine del Giorno che Bocca racconta il boom dell’Italia del dopoguerra. Memorabile il pezzo su Vigevano, la città dei calzolai, entrata in crisi e poi messa definitivamente in ginocchio dalle scarpe che arrivano dalla Cina. “Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive non ne ho viste. Di abitanti cinquantasettemila, di operai venticiquemila, di milionari a battaglioni affiancati, di librerie neanche una. Non volevo crederci”. E così via, per un’intera pagina di giornale, allora ancora non s’usava, gli articoli erano brevi, a descrivere l’irrompere di una crescita economica senza regole, improvvisata, anarcoide. Una scrittura perfetta, lineare, tesa che svolge un concetto, incastra i fatti, presenta i personaggi, li fa parlare, tira le conclusioni. “Ma non è sempre stato facile per me scrivere. C’è stato un tempo in cui avevo l’ossessione, la nevrosi della perfezione. Se facevo un errore stracciavo subito il pezzo e ricominciavo da capo. Un articolo mi costava una fatica infinita. Poi mi son detto: Basta non sei Shakesperae. Piantala. Scrivi come sei capace… e così ho fatto”. E sono usciti pezzi formidabili, come quello su Vigevano. “L’ho riproposto anche sul mio ultimo libro”. Ultimo? “Sì, dannazione, è stata una faticaccia. Non ce la faccio più, alla mia età. Scrivi, leggi, correggi le bozze: poi rileggi, correggi…. Basta!”. Di libri inchiesta ne ha scritti una trentina. “Con ‘Il provinciale’ ho venduto 300 mila copie, è andato bene anche ‘Inferno’, pure ‘Napoli siamo noi’”. Un ritratto del caos meridionale, della monnezza, della mafia, utilizzato come paradigma per un’Italia in declino, scritto dieci anni fa. Con ‘il Piccolo Cesare’, invece, esamina il fenomeno-Berlusconi, la spia di un’involuzione generale, della modernità ma anche della stanchezza della democrazia. Fotogramma it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Bocca @ un’intervista ha detto che io sono un bravissimo giornalista che non capisce nulla di politica. Bocca non mi delude mai: riesce sempre a dire di me quello che io penso di lui” INDRO MONTANELLI giornalista “Sono libri che nascono assieme ai miei reportage - spiega - vado, intervisto, faccio inchieste, accumulo materiale, poi in sette otto mesi rielaboro tutto e scrivo il libro. Avevo cominciato con quelli storici, la Resistenza, la biografia di Togliatti, un lavoro di ricerca di 500 pagine su cui ho faticato un paio d’anni, creandomi qualche nemico nel Pci, poi sono passato a questo genere saggistico”. Nel libro “Una Repubblica partigiana”, racconta dei 40 giorni di libertà dell’Ossola, una delle esperienze più significative della Resistenza piemontese. Una vicenda che ha visto fra i protagonisti anche il suo editore Carlo Caracciolo, partigiano in Val Cannobina, di 5 anni più giovane di lui, scomparso recentemente. Bocca, Mattei, Caracciolo, uomini passati attraverso l’esperienza partigiana, ora oggetto di una forte revisione. Anche attraverso i libri di Pansa, che è stato suo collega nelle vicende di Repubblica. “Ma Pansa, è un tipo strano, che cerca la contrapposizione e che pensa di aver trovato un filone di successo. Più che una svolta ideologica, una scelta mercantile”. Che la Resistenza sarebbe stata messa fra parentesi, Bocca l’aveva già intuito nella primavera del ‘45: “Ero assieme a Livio Bianco sul monte Tamone in val Grana da cui si vede la pianura e la città di Cuneo. Indovinando il mio pensiero Livio disse: “Andrà già bene se non ci metteranno in galera”. “L’anno dopo fui indagato dalla questura. Scrissero nei loro rapporti di polizia: ‘Bocca è stato visto aggirarsi armato e con fare spavaldo’”. Forse è per questo che sull’Espresso da tempo immemorabile ha una rubrica l’Antitaliano. “L’ho scelto perché non amo quest’Italia di arrivisti, di gente come quel Villani, come quella Carfagna che parla di avere come valori ‘Dio, patria, famiglia’, di questo fascismo strisciante e prepotente che si ripresenta: non amo quest’Italia corrotta, questi politici senza principi. Quest’Italia che nel Sud è ormai consegnata alla mafia”. Un’Italia che Bocca ha cercato di contrastare con le sue inchieste, i suoi servizi, i suoi articoli. Anche rischiando. Come durante il tempo del terrorismo, delle Brigate rosse, raccontate sulle pagine di Repubblica e dell’Espresso. “Non ho mai capito perché negli anni ’70 esplose questo fenomeno: un volta intervistai Enrico Fenzi, un professore che era entrato nelle Br. Gli chiesi il perché della loro scelta. Mi rispose che per loro la politica era solo lotta armata”. Anni difficili, pericolosi, con le giornate scandite dalla paura. “Non giravo armato, ma facevo molta attenzione - ricorda -, abitavo nei pressi di via Bagutta accanto al seminario, e tenevo nella stanza una corda per calarmi dalla finestra in un giardino adiacente: non si poteva mai sapere”. Ma non per questo si è smesso di scrivere. Il giornalismo sarà anche in crisi, ma consente di superare momenti come questi. Bocca lo considera il mestiere più bello. “Comunque mi ha riempito la vita. Ora è sempre più difficile capire dov’è la verità. Ma il giornalismo d’inchiesta ci consente di capire cosa sta succedendo, e forse d’indovinare dove sta andando il mondo”. Intanto il gatto che ha seguito l’intervista annoiato, scivolando fra le gambe del tavolo, se ne è andato fra gli scaffali mobili della libreria. cmazzetta@caffe.ch
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