Giudici unica nota stonata in un coro di sì ai Bilaterali - regione - La ...

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Nel dibattito sull’emigrazione di
ieri e di oggi, sollevato dal Caffè
con la presentazione di un volumetto
sulle lettere di un emigrante
ticinese in America, dopo
l’intervento del professore Renato
Martinoni sul Corriere del
Ticino, intervengono il sociologo
Sandro Cattacin e l’antropologo
Marino Niola.
Il sociologo
SANDRO CATTACIN *
gli
a l b a n e s i
e r a v a m o
noi” titola
“Quando
Gian Antonio
Stella in
un libro sulla migrazione italiana.
In quel libro racconta che un insieme
di cronaca, immaginario
hollywoodiano o semplicemente
incomprensione ha creato quella
rappresentazione dell’italiano
mafioso, rozzo, appartenente al
clan, che attirava xenofobia e razzismo
nella società d’accoglienza.
E come tutte le rappresentazioni
dell’altro era (ed è) difficile da
combattere; le rappresentazioni
sembrano verità perché sono
spesso basate su storie vere che
IL DIBATTITO
Pregiudizi e stereotipi collettivi
nella migrazione di ieri e di oggi
però non possono essere generalizzazioni
della realtà. Prendiamo
l’esempio del Ticino e dei Ticinesi,
conosciuti per secoli come
contrabbandieri, oppure come
cercatori d’oro in Australia e in
California, paesi senza legge dove
questi Ticinesi (e gli Italiani del
Nord) si fanno rispettare perché
sono forti e sanno lavorare col
piccone. Ma non tutti i Ticinesi
sono contrabbandieri, non tutti
sono forti e non tutti sanno lavorare
col piccone. Anzi. I pregiudizi
nascono velocemente. E li continuiamo
a vivere anche oggi in
Svizzera: i Rumeni sono ladri, i
Kosovari pazzi al volante, i Serbi
e i Croati violenti, i neri dei dealer,
e, ahimè, gli Ebrei influenti. La
lista potrebbe continuare e soprattutto
cambiare: ogni tanto un
gruppo esce dalla lista e ne entra
un altro.
D’altronde, questi pregiudizi si
rinforzano anche un po’ senza
volere. Per esempio, c’è la stampa
che, cercando in buona fede spiegazioni,
cade facilmente nel tranello
della riproduzione di stereotipi.
E poi lo stigmatizzato
stesso che interpreta il timore che
suscita nella popolazione, in
quanto appartenente a un preciso
gruppo, come una possibilità
di riscatto; non è dunque un caso
se qualche “giovane dei Balcani”
- tipica costruzione esterna accollata
alle persone che non si
percepiscono altro che Montenegrini,
Croati o Greci - mostri aggressività,
perché può facilmente
farsi rispettare usando veramente
la violenza. E non è nemmeno un
caso che quel certo ristoratore ticinese
si senta in obbligo di fare
un po’ di chiasso per confermare
l’immagine che hanno gli Svizzeri
tedeschi del Ticino visto come
terra di allegria. Lo stigma diventa
la forza di chi è debole; è ciò che
la teoria dei gruppi di Erving
Goffman ci insegna.
Migrazione oggi e ieri
Questa dinamica di produzione e
riproduzione di stereotipi che si
realizza senza grandi sforzi si ritrova
da sempre nel mondo della
migrazione, anche se, nel confronto
col passato, oggi è in atto
un cambiamento. Gli Svizzeri che
emigravano nell’ottocento non
potevano fare altro che adattarsi
al nuovo mondo. E lo facevano
perdendo di vista il paese d’origine
o vivendo la migrazione
come un incubo a rovescio: il sogno
era il ritorno e la realtà l’orrore.
U. Lucas
Seguono i capitali come fossero
il “Pifferaio di Hamelin”
MARINO NIOLA*
Onde gigantesche e impetuose che investono
la nostra civiltà. Così appaiono
le migrazioni ad un’Europa sempre più
spaventata e attraversata da sussulti xenofobi.
Ma per fortuna lo scenario reale è meno
preoccupante di quello immaginario. Intanto,
i diversi flussi migratori che interessano questo
o quel paese non sono fatti isolati ma formano
un sistema che va sempre considerato
nella sua totalità, si spiegano solo come movimenti
di un complesso insieme di processi
economici, di una geopolitica globale che ha
poco a che fare con la decisione individuale.
Nemmeno la povertà di certi paesi è sufficiente
a spiegare le ragioni profonde che
spingono gli uomini ad emigrare.
Insomma, nessuno emigra alla cieca. I processi
migratori sono in realtà estremamente
selettivi sia in partenza che in accoglienza.
E le “discipline” delle varie nazioni sono decisive
nell’orientare i flussi. Un po’ come le
opere idrauliche orientano il corso, l’intensità,
le deviazioni di un fiume. La piena è
quasi sempre scongiurata o provocata da chi
manovra le chiuse. L’immigrazione non è una
piena inarrestabile e se lo diventa è per calcolo,
o per negligenza.
Guidati soprattutto dalla geografia del mercato,
i migranti seguono in gli spostamenti
del capitale come se fosse il Pifferaio di Hamelin.
E comunque con il loro lavoro producono
ricchezza, come è stato per italiani, spagnoli
o portoghesi in Svizzera e in Ticino, o
per i Ticinesi emigrati in California tra la fine
dell’800 e l’inizio del secolo scorso. È bene ricordarselo.
Anche per non dimenticare chi
siamo e da dove veniamo.
* Professore ordinario di Antropologia culturale
all’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli
IL CAFFÈ 18 gennaio 2009
43
Studiosi a confronto sull’analisi dei movimenti demografici, tornati d’attualità
con la votazione sui Bilaterali, che dall’Ottocento al nostro secolo attraversano l’Europa
Dopo la corsa all’oro
ottocentesca, molti ticinesi
cercarono fortuna negli Usa
verso l’inizio del Novecento,
oltre 30.000 i ticinesi in California
La stessa cosa valeva per gli emigrati
italiani in Svizzera negli anni
1960. Al loro arrivo in massa si
trovavano a dover compiere una
scelta radicale: ricostruirsi completamente
un’identità partendo
dalla realtà d’accoglienza - diventare,
in un certo senso, più Svizzeri
degli Svizzeri - oppure confrontarsi
con la necessità di crearsi
un’identità all’estero in bilico
F.Garolla Il sogno americano
LETTERA DA ROMA
Roma, stazione Termini, 1959;
nella foto di Federico Garolla,
sempre tratta dal libro “Il lungo
addio - Der lange Abschied” un
emigrato scrive una lettera
Un esercito di 50mila
Tra il 1870 e il 1930 si stima che
siano stati circa 50mila i ticinesi
ad emigrare nei Paesi d’oltremare,
con in testa California, Canada e
Sudamerica, in primis Argentina
Verso
il sud
Anche gli Stati
dell’America meridionale
contano molti emigranti
ticinesi. Attorno al 1900,
12mila sottocenerini
partirono per l’Argentina
tra le pretese d’adattamento e la
ricerca di un’esistenza in quanto
diversi. La scelta era, in un certo
senso, tra l’assimilazione e
l’esclusione.
La migrazione di oggi, invece, si
ritrova in un’altra società che non
esercita la stessa pressione all’assimilazione
e che offre tante possibilità
di vivere un’identità diversificata.
Si tratta dell’effetto della
Gli anni
del boom
Nel 1870 le statistiche
indicano una media di
1.500 ticinesi l’anno in
quella che viene
definita come
emigrazione oltremare
L’antropologo
L’emigrante europeo
Verso la fine dell’Otto cento, gli emigranti ticinesi
verso Italia e Francia erano annualmente (in
media) oltre 3.200, verso gli altri cantoni svizzeri,
invece, oltre 1.600 ogni anno
pluralizzazione e della mobilità
della nostra società che si è accelerata
negli ultimi trent’anni; non
c’è più, in un certo senso, una cultura
del prendere o lasciare là
dove ti trovi, ma una molteplicità
di offerte identitarie. E questa società
ad opzioni multiple - per citare
il sociologo Peter Gross - che
sono anche identitarie, permette
a chi emigra di mantenere un le-
L’oro
australiano
L’emigrazione verso
l’Australia ha toccato
l’apice negli anni tra il
1853 e il 1855
quando coinvolse
circa 2.000 ticinesi,
attratti dalla scoperta
dell’oro nel nuovo
continente
game con le sue origini e questo,
come evidenziano le ricerche
sulle terze generazioni, anche
dopo decenni di lontananza dal
paese d’origine. Rispetto al nostro
Ticinese dell’ottocento, è anche
diventato molto più semplice
mantenere i legami: c’è il telefono,
naturalmente, ma anche internet
e la televisione con i suoi
40 canali arabi per esempio a Gi-
VALIGIE DI CARTONE
Un’immagine
emblematica
dell’emigrazione degli
italiani in Svizzera,
tratta dal libro
“Il lungo addio –
Der lange Abschied”
(ed. Limmat 2003).
La foto di Uliano
Lucas è stata scattata
nel ‘73 a Luino
IL SERVIZIO
DEL CAFFÈ
Nel numero scorso un servizio
di due pagine sul libro
di Martinoni con le lettere
inedite di un emigrante
ticinese in America
LA LETTERA
DI MARTINONI
Lo stesso Martinoni scrive una
lettera che il Corriere del Ticino
pubblica martedì 13, criticando
il paragone “quando noi
eravamo i rumeni d’Europa”
nevra. Le comunità, anche se piccole,
riescono a consolidarsi e ad
essere abbastanza legate da proporre
degli interventi come per
esempio le scuole di lingua e cultura.
Persino comunità piccole
come quella giapponese propongono
in Svizzera la loro scuola, di
sabato, per i bambini nati e cresciuti
qui.
Comunità e comunicazione transnazionale
non sono dunque utilizzate
solo per comodità, ma anche
per ritrovarsi in un mondo
dove scegliere diventa un problema
e dove essere conservatore
- anche sulle proprie origini - una
soluzione.
Contro i pregiudizi
Tutto questo non facilita ovviamente
una riduzione dei pregiudizi,
ma li rende più fragili, sia nel
momento della loro definizione
che nelle successive modificazioni.
Prendiamo i Bulgari e la
loro rappresentazione nella campagna
attuale sull’ampliamento
delle bilaterali. Fino a poco
tempo fa, non si sapeva nemmeno
dove si trovava la Bulgaria
sulla carta dell’Europa; oggi i Bulgari
sono percepiti come i futuri
invasori della Svizzera, come potenziali
criminali - la mafia bulgara.
Si tratta di un cambiamento
che ha avuto luogo in qualche
settimana. Questa velocità nell’etichettare
può essere anche interpretata
come una chance: un
giudizio può essere facilmente rivisto,
senza che si debba aspettare,
come l’hanno fatto gli Italiani
nel mondo, più o meno trent’anni.
Ciò che può portare a questa
società più aperta - come i
Ticinesi hanno potuto sperimentare
sulla loro pelle nell’ottocento
- è l’ascesa sociale, il riconoscimento
del lavoro e delle attività
realizzate nella nuova società.
Oggi si potrebbe anche girare il
discorso: creiamo subito una società
aperta con meno discriminazioni
e più mobilità sociale.
Magari, così facendo, si potrebbe
ridurre la sofferenza, ridere degli
stereotipi e non utilizzarli come
arma per proteggersi contro il
cambiamento che è inevitabile.
Cosi magari domani, se per caso
un Bulgaro dovesse smarrirsi in
Svizzera, potrebbe anche diventare
nostro amico.
www.unige.ch/ses/socio
* Professore di sociologia
decano all’Università di Ginevra