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RELAZIONI INDUSTRIALI RELAZIONI INDUSTRIALI - Aidp

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escono a produrre ricchezza. Oggi si può produrre in<br />

diverse parti del mondo e quindi c’è un effetto in qualche<br />

modo di shopping d legislatura e di condizione del<br />

lavoro. Anche se questo non vale per tutte le imprese:<br />

non è così vero che si possono fare le stesse cose in Italia,<br />

in Cina, in Turchia o negli Usa. Sono importanti<br />

tanti fattori, come le competenze, le vicinanze con il<br />

consumatore, con il quadro legislativo. Produrre non<br />

è soltanto un problema di costi, ma resta il fatto che<br />

oggi le possibilità di arbitrare sui costi dei prezzi sono<br />

cresciute e questo ha contribuito in qualche modo a<br />

spezzare le convenienze del made in italy. Ma bisogna<br />

ricordarsi anche che le imprese non sono più uguali<br />

una con l’altra. Non hanno più gli stessi condizionamenti.<br />

Nella stessa congiuntura e nello stesso settore<br />

ci possono essere imprese che vanno molto bene e imprese<br />

che vanno molto male.<br />

Inoltre l’ondata di tecnologia ha spostato imprese da<br />

settore a settore. Un’industria meccanica che faceva<br />

macchinari per il calcolo (come l’IBM) è diventata<br />

un’industria di servizi (software e gestione di sistemi)<br />

oppure (come l’Olivetti) un’azienda telefonica. Nel<br />

settore metalmeccanico le lavorazioni differiscono da<br />

azienda a azienda a seconda delle produzioni che vengono<br />

fatte. Cresce in tutte le imprese la componente<br />

dei servizi e le professionalità impiegate si articolano<br />

su nuove categorie di lavoratori. Classificare gli operai<br />

in modo eguale in tutte le aziende di uno stesso settore<br />

non ha più molto significato. I contratti di lavoro<br />

sono fatti sulla base della classificazione merceologica<br />

dei settori degli anni Cinquanta e Sessanta quando i<br />

processi produttivi erano fisici, legati al materiale che<br />

si produceva (legno, minerali, cemento,...). Ma oggi la<br />

dinamica reddituale di un’azienda dipende sempre<br />

meno dalla dinamica del settore di riferimento e sempre<br />

più dalle scelte fatte dall’azienda stessa, al punto<br />

che nello stesso settore possono convivere imprese che<br />

esprimono dinamiche di crescita molto diverse a seconda<br />

dell’andamento dei marchi, delle nicchie di mercato<br />

e degli sbocchi commerciali dove sono situate.<br />

Le grandi imprese sono sempre meno interessate al<br />

mercato nazionale e guardano ai mercati internazionali,<br />

tendono ad avere regole di gestione simili in tutti<br />

i paesi, più facili da spiegare a consigli di amministrazione<br />

internazionali. La logica settoriale con cui si costruiscono<br />

i contratti di lavoro sta tramontando. Le imprese<br />

sono interessate più ai mercati di sbocco che alle<br />

classificazioni settoriali di natura merceologica.<br />

Un’impresa che produce profumi è senza dubbio<br />

un’impresa chimica, ma il suo riferimento è ormai il<br />

mercato della moda più che l’industria chimica. L’auto<br />

è un bene di consumo legato al reddito spendibile<br />

delle famiglie, al tempo libero, alla casa, al lusso, alle<br />

disposizioni ambientali ecc., più che alla meccanica o<br />

alla mineralogia. Domani un produttore di auto potrà<br />

essere un semplice designer o un assemblatore che<br />

costruisce auto su misura a seconda della domanda di<br />

segmenti specifici del mercato. Tutti questi elementi<br />

giocano nel senso di dare al contratto aziendale un<br />

ruolo maggiore, grazie alla sua capacità di adattarsi<br />

alle condizioni specifiche. E poiché ormai esiste una<br />

corposa legislazione del lavoro che assicura a tutti i lavoratori<br />

condizioni di base eguali e coesione sociale,<br />

ecco che i contratti nazionali di settore hanno finito<br />

per perdere d’importanza, anzi pongono problemi e<br />

rigidità inutili e si rivelano incapaci di rispondere alle<br />

esigenze non più omogenee delle imprese.<br />

Ma alla fine, serve ancora un contratto di lavoro<br />

collettivo?<br />

Innanzitutto la richiesta di un livello contrattuale<br />

aziendale è passata da essere una richiesta prettamente<br />

sindacale – vedi l’accordo del 1993 – a una richiesta<br />

anche da parte delle imprese. Questo processo<br />

è avvenuto a partire dal 2000 e si è concretizzato in<br />

diversi accordi separati tra CONFINDUSTRIA, CISL e<br />

UIL (e altre sigle) con l’astensione della CGIL, fino all’accordo<br />

sulle nuove relazioni industriali del 2009.<br />

Certo, nessuno di questi accordi ha seppellito il contratto<br />

nazionale di settore. Ma è ovvio che la creazione<br />

di uno spazio di contrattazione autonoma aziendale,<br />

nonché le possibilità di deroga al contratto nazionale<br />

sono tutti elementi che hanno eroso potere e<br />

ruolo al contratto nazionale. E infatti, come conseguenza<br />

di questi accordi si era pensato di accorpare i<br />

contratti nazionali per averne un numero minore, in<br />

modo da avere una contrattazione sui minimi contrattuali<br />

che interessasse un gran numero di aziende.<br />

A loro volta i contratti aziendali avrebbero dovuto riguardare<br />

materie di interesse specifico. Una tendenza<br />

che viene del tutto contraddetta dalla proposta di<br />

elaborare un contratto per il settore dell’auto. Ossia<br />

un contratto per un comparto all’interno del settore<br />

metalmeccanico, ciò che porterebbe all’esplosione dei<br />

contratti nazionali di settore, senza una vera logica<br />

tanto più che in Italia nel settore dell’auto c’é un’impresa<br />

dominante e poco più.<br />

In realtà, se si vuole far convivere il contratto aziendale<br />

rinforzato con la contrattazione collettiva, quest’ultima<br />

dovrebbe, a mio avviso, coprire quanti più<br />

settori possibile. Si potrebbe immaginare un contratto<br />

per tutto il settore industriale con minimi contrattuali<br />

e norme di carattere generale che rappresentino<br />

la base per tutte le imprese. Una sorta di minimo salariale<br />

che altri paesi hanno sotto forma legislativa, ma<br />

che da noi potrebbe essere di natura contrattuale.<br />

Un contratto nazionale riferito a una grande categoria<br />

potrebbe essere una soluzione per conservare una<br />

10 | DdP | GIUGNO 2011

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