<strong>La</strong> relazione di <strong>Pio</strong> <strong>La</strong> <strong>Torre</strong>al Congresso Cgil di Milano del 1960Pubblichiamo qui la relazione integrale di <strong>Pio</strong> <strong>La</strong> <strong>Torre</strong> al Congressodella Cgil che si tenne a Milano tra il 2 e il 7 aprile del 1960<strong>La</strong> lotta per i salari, per l'occupazione, inquadrati nell'addizioneunitaria di una politica di sviluppo economico capacedi rovesciare la linea dei gruppi monopolistici, non è unacosa facile a realizzarsi. E non è una cosa facile a realizzarsi particolarmentenell'iniziativa permanente quotidiana del nostro sindacato.<strong>La</strong> relazione del compagno Novella ha impostatoorganicamente una tale direzione di politica sindacale. Mi pare cheil compagno Foa abbia poi sottolineato acutamente le difficoltà diportare avanti con concretezza una tale linea di azione sindacale.Egli ha messo in particolare evidenza il determinarsi di due grandisettori nell'economia del paese, costituiti grosso modo dalle zonecapitalisticamente più sviluppate e dalle zone più arretrate. Il pericoloè che le iniziative, l'azione dei sindacati in queste due grandizone, possano, nella pratica, non incontrarsi e confondersi nelladireziona unitaria che è stata impostata dai temi congressuali edalla relazione fatta dal compagno Novella.Il compagno Trentin ha ripreso ancora questo tema, e io intendoqui sottolineare, che, particolarmente per le zone economicamentepiù arretrate, esiste il pericolo di un atteggiamento più genericamenteprotestatario, che al massimo ponga le rivendicazioni diuna nuova politica economica, che magari arrivi ad indicare alcuniobiettivi generali di sviluppo a livello regionale, senza riuscireperò ad articolare, sulla base di questa impostazione, unachiara e coerente linea di azione sindacale. Ed ancora di più ilpericolo è che questa impostazione di politica economica rimangaagganciata ad una reale rivendicazione dei lavoratorioccupati, delle categorie che ci sono anche nelle zone più arretratenel Mezzogiorno e che debbono partire comunque, inquesta lotta, dalle loro rivendicazioni salariali, dal rapporto dilavoro che esse oggi hanno. Il pericolo è appunto che in talmodo, proprio nelle zone più arretrate del paese, si venga aperdere il nesso fra la lotta per il salario e la lotta per il livello dioccupazione.E se si perde questo nesso, come spesso è accaduto in varieregioni del Mezzogiorno, e anche recentemente in queste ultimesettimane, si commette un grave errore; perché fra l'altrosi presume una realtà immobile, mentre invece essa è in movimento,e si vanno creando molte cose nuove, anche nelle zonearretrate del paese; nuove fabbriche che sorgono, nuove categorieche si sviluppano appunto sulla base dello sviluppo deigrandi e dei medi centri del Mezzogiorno, e che bisogna sindacalmenteorganizzare.24 2agosto2010 asud’europa
Nelle zone più arretrate il pericolo è perdereil nesso fra lotta per il salario e occupazioneLe trasformazioni e le profonde differenziazioni che si vanno determinandoin campo agrario, creano nuove categorie di lavoratorialla terra, nuove qualifiche e nuovi problemi e rivendicazioni sindacali.Scaturisce di qui la necessità di un'adeguata iniziativa dellenostre Camere del <strong>La</strong>voro, dei sindacati di categorie e delle leghedi categorie nelle regioni più depresse del paese, un sindacato perassolvere pienamente in queste condizioni alla sua funzione, deveriuscire a portare avanti con continuità le linee di un piano economico,ma aggiornandole continuamente e mobilitando le grandimasse dei disoccupati concretamente, con obiettivi precisi, e collegandoanche i ceti medi a tutte le categorie interessate ad opporsialla politica dei monopoli. Nello stesso tempo, però — equesta è condizione decisiva — il sindacato deve in primo luogofar leva sulle rivendicazioni salariali e il rapporto di lavoro delle categorieoccupate nelle vecchie e nelle nuove attività produttive,per fare diventare concretamente queste categorie le protagonisteprincipali della nostra politica di sviluppo economico.Il sindacato deve, perciò, scavare seriamente nella realtà che si vadeterminando nelle zone arretrate del paese. In particolare bisognaconoscere la realtà delle aziende vecchie e nuove, perchéanche se sono poche in determinate zone, hanno sempre un valoredeterminante per l'azione del sindacato. Si tratta, quindi, disapere sviluppare con continuità una iniziativa di aggiornamentoe di precisazione degli obiettivi rivendicativi, per cogliere in talmodo le contraddizioni del processo di sviluppo in atto che c'è eche semmai è distorto dal prevalere degli indirizzi monopolistici. E'dall'analisi e dalla conoscenza di tale realtà, già molto differenziataanche nelle zone più arretrate del paese, che bisogna far scaturiregli obiettivi di una politica di sviluppo che si contrapponga alla politicadi monopolio; e ciò solo per zone territoriali omogenee e persingoli settori produttiviSolo nel quadro di un'impostazione di questo tipo, si può sviluppare,anche nelle zone arretrate, la lotta rivendicativa salariale, facendoleassumere quel rilievo di forza propulsiva per portareavanti appunto tutto il processo di sviluppo economico. Lotta rivendicativasalariale (e qui sono d'accordo completamente colcompagno Fermariello) che deve avere il contenuto di grande battagliacontro ogni forma di sperequazione fra le zone più arretratedel paese e le zone più avanzate.Noi in Sicilia riteniamo di avere fatto dei passi in avanti nell'articolazionedi tale politica sindacale. <strong>La</strong> nostra lotta per il piano regionaledi sviluppi economico è stata impostata con questoorientamento; e ciò sia mentre era al governo lo schieramento democraticoe autonomista, sia oggi che le forze reazionarie sonotornate al governo della regione. Com'è che noi siamo arrivati a fardiventare il problema del piano di sviluppo economico regionale unargomento essenziale della politica in Sicilia? Appunto orchestrandoin maniera giusta l'iniziativa di vertici di propaganda, d'iniziativaparlamentare, di agitazione generale, e impostandoparallelamente e nel quadro di questa direzione di politica sindacaledeterminate iniziative e lotte di settore e per determinate zoneterritoriali.Quando il compagno <strong>La</strong> Porta, segretario della Camera del <strong>La</strong>vorodi Siracusa, l'altro ieri portava qui l'esperienza della grandelotta sostenuta dai 5.000 operai della SINCAT del gruppo Edison— il grande stabilimento appunto della zona di Siracusa —cosa metteva in evidenza? Che lì, a fianco alle rivendicazionisalariali e sindacali degli operai occupati nelle fabbriche del monopolio,si è creato un clima di grande solidarietà dell'opinionepubblica e delle masse. <strong>La</strong> lotta contro il monopolio è diventatecioè fatto di massa, di decine di migliaia di cittadini. E questo èil risultato di un'azione sviluppata in tutte le forme a Siracusa ilgiorno dello sciopero generale di solidarietà con gli operai dellaSINCAT in lotta da una settimana. Si discuteva fra i cittadini diquanti miliardi era costato lo stabilimento, del prezzo di monopoliodei concimi che produce la SINCAT, delle migliaia di altrioperai che potrebbero essere occupati in quella fabbrica, delladifferenza tra il salario degli operai della SINICAT di Siracusa equello degli altri grandi stabilimenti chimici del Nord e dellostesso complesso Edison e degli altri complessi monopolistici.Solo cosi è stato possibile arrivare alla trattativa e ad un accordosalariale di grande importanza.Ma vediamo l'esperienza diretta: la grande battaglia per la costruzionedi un grande complesso petrolchimico e per l'investimentodei 150 miliardi che l'ENI dovrà fare nella zona di Gela.Lì noi riteniamo di avere organizzato in maniera giusta la lottadei 6000 operai petrolieri dell’AGIP Mineraria, per i loro problemirivendicativi e salariali, per le qualifiche, e parallelamentea ciò perché si utilizzasse in luogo il petrolio che è stato scopertoe che viene estratto oggi dai pozzi di Gela. Attraversoquesta giusta combinazione fra la lotta degli operai occupatinei complessi esistenti e la mobilitazione dei disoccupati, deibraccianti e degli edili senza lavoro, dei ceti medi, dei comunie delle località interessate, e anche di strati di borghesia isolana,noi siamo riusciti ad ottenere finalmente l'impegno che nelmese di aprile avranno inizio i lavori per la costruzione dei complessiindustriali dell'ENI nella zona di Gela. Ma prendiamo unaltro settore, il settore dello zolfo che è un settore tradizionale,un settore dell'industria siciliana che era in crisi, dove i governidemocristiani che si sono succeduti per 12 anni nella direzionedella regione siciliana, avevano già deciso il licenziamento del50% dei 10.000 operai zolfatari.Solo con una grande battaglia che ha visto la grande lotta dei10.000 zolfatari, diventare un problema politico centrale della situazionepolitica siciliana, e la combinazione con l'azione parlamentaree la mobilitazione dei comuni, dei sindaci, dellepopolazioni, delle decine dei centri dello zolfo siciliani, è statopossibile conquistare in Sicilia quella legge che ha acconsentitodi sbloccare la situazione per la riorganizzazione e l'ammodernamentodell'industria zolfifera. Oggi noi abbiamo scongiuratola minaccia dei massicci licenziamenti delle miniere e, al contrario,abbiamo determinato le condizioni per la apertura di altreminiere e quindi un aumento dell'organico degli zolfatari siciliani.Contemporaneamente lo sbocco di questa situazione con-2agosto2010 asud’europa 25