Una visione unitaria e dialettica della politicaNel febbraio del ’57 i 3000 dipendenti comunali di Palermo, conuno sciopero di tre giorni, si rivoltano contro l’autoritarismo fanfaniano.E’ l’occasione per riaffermare il ruolo e i diritti dei sindacati.Particolarmente pressante è l’appello che <strong>Pio</strong> <strong>La</strong> <strong>Torre</strong> rivolge allaCisl affinché si renda conto che «la bramosia totalitaria dei fanfanianicolpisce tutti» e perché ritorni all’unità d’azione.Nei mesi successivi, accanto ai dipendenti comunali, scendono inlotta tutte le categorie dei lavoratori dipendenti delle aziende e deiservizi comunali: netturbini, autoferrotranvieri, lavoratori del Gas edell’Acquedotto, in un crescendo di lotte che culmineranno nellosciopero generale del 27 giugno 1960.Il 26 gennaio 1960 <strong>La</strong> <strong>Torre</strong> invia una lettera al giornale L’Ora invitandoload accompagnare con un’inchiesta giornalistica l’inchiestasul Comune di Palermo disposta dall’Assessorato regionaledegli Enti locali. Precedentemente, nel luglio del ’58, la rivolta antifanfanianaguidata da Silvio Milazzo travolgeva il governo regionalepresieduto dal fanfaniano <strong>La</strong> Loggia. E Silvio Milazzo, elettopresidente della Regione, dava vita a un governo di coalizione sostenutodai dissidenti Dc, dai monarchici, dai missini, dai comunisti,dai socialisti e dai socialdemocratici.<strong>La</strong> <strong>Torre</strong>, pur avendo sostenuto con convinzione l’esperimento delgoverno Milazzo, non era soddisfatto, non si contentava di soluzionipolitiche di vertice. Voleva che queste venissero sempresottoposte a un controllo democratico di massa, sia attraversoi movimenti sindacali e di lotta, sia per mezzo di campagne politichedi sensibilizzazione e di coinvolgimento dell’opinionepubblica. Ecco perché vuole che l’inchiesta sul Comune di Palermo,pur disposta da un governo “amico”, sia accompagnatada quella giornalistica.Nell’intervento al Congresso nazionale della Cgil (aprile ’60)come pure nell’articolo sull’Unità del 29 maggio 1960, <strong>La</strong> <strong>Torre</strong>dà conto della sua visione complessiva della lotta politica. Unavisione unitaria, dialettica, innovatrice. Due elementi sostengonoquesta visione: il rinnovamento dei quadri dirigenti, daperseguire «suscitando un’ondata di democrazia nei luoghi dilavoro» e chiamando a compiti di direzione e di responsabilitànuove leve di operai e impiegati; la promozione di lotte unitariecapaci di realizzare convergenze con la sinistra cattolica e conle organizzazioni di massa collegate alla Dc.Mi pare che si possa correttamente affermare che in questi 14scritti c’è già il <strong>La</strong> <strong>Torre</strong> di Comiso, capace di suscitare un movimentodi massa di rilevanza internazionale.40 2agosto2010 asud’europa
<strong>Pio</strong>, un combattente per la libertàGianni ParisiDalla inedita nota autobiografica, preparata da <strong>La</strong> <strong>Torre</strong> nel1954 per la scuola di Partito, apprendiamo che <strong>Pio</strong> siiscrisse al PCI nel 1945, a 18 anni.Da altri suoi scritti sappiamo che aveva studiato superando enormidifficoltà provenienti in particolare dal padre contadino povero ebracciante di una borgata dell’agro palermitano, Pietratagliata. Volevache il figlio lo aiutasse nel lavoro del piccolo fondo e nel governodegli animali. Ma la madre, donna lucana, fiera eintelligente, non voleva che <strong>Pio</strong> e gli altri figli seguissero la vecchiavia. <strong>La</strong> donna aiutò <strong>Pio</strong>, pur nella miseria, a studiare. Il padre e<strong>Pio</strong> trovarono un compromesso: studio e lavoro. Vita durissimaper il giovane <strong>Pio</strong> <strong>La</strong> <strong>Torre</strong>.Nell’autobiografia <strong>Pio</strong> parla di una “spinta istintiva” ad iscriversi alPCI. Nonostante i suoi limiti, anche a Palermo il PCI era una forza“rivoluzionaria”; e <strong>Pio</strong> pensava che per dare giustizia e libertà,pane e dignità ai contadini e ai braccianti ci voleva una “rivoluzione”.Qui troviamo un primo tratto distintivo di tutta la vita sindacalee politica di <strong>Pio</strong>: partire dalla realtà sociale per svilupparela lotta per l’emancipazione dei lavoratori, per la giustizia sociale,per la dignità. Il secondo tratto che <strong>Pio</strong> mette in rilievo: “lavorandonel 1946 per le elezioni del 2 giugno nelle borgate vicine alla miami scontrai con la mafia, allora separatista”. <strong>La</strong> mafia poi passòcon i monarchici e i liberali e poi si accasò definitivamente nellaDC.Lotta sociale e lotta alla mafia; già a 20 anni si delineano in <strong>Pio</strong> duecaratteristiche della sua figura politica che lo accompagnerannoper tutta la vita: fino alla fine, nel 1982. Nell’autobiografia <strong>Pio</strong> si“autocritica”. Allora era di moda. Accusò di “praticismo” e “attivismo”la sua attività, non illuminata abbastanza dalla “dottrina marxista-stalinianae dall’ideologia”. <strong>Pio</strong> alla scuola di Partito, doveandò anche prima del 1954 si dovette saziare di “ideologia” e di”dottrina”. Ma erano i tempi. Anche il PCI doveva pagare il suoprezzo al “legame di ferro”. Ma con il tempo <strong>Pio</strong>, come tanti di noi,“risciacquò i suoi panni in Arno”.Il nostro Arno era Antonio Gramsci e il suo marxismo non dogmatico,i suoi libri, i suoi “quaderni”; ed era anche Togliatti, che purstretto dalla obbligata fedeltà all’URSS, tornato in Italia iniziò lasua battaglia contro il dogmatismo e soprattutto fece pubblicarele opere di Gramsci. E così <strong>Pio</strong> crebbe “ideologicamente” e soprattuttotemperò la sua passione per le lotte sociali, nelle qualiera implacabile, con una sensibilità e una duttilità politica, specialmentenella ricerca delle alleanze.Tornando a <strong>Pio</strong> e alla sua borgata, <strong>La</strong> <strong>Torre</strong> racconta che la mafiaminacciò il padre per l’attività di quella “testa calda” di suo figlio. Ilpadre lo pose di fronte ad un ultimatum: niente politica, niente studioe laurea, lavoro con lui.<strong>Pio</strong> scelse la politica e si trasferì a Palermo. “A Palermo”: così usavanodire i borgatari. Infatti le borgate erano una sorta di paesinilontani chilometri dalla città; tra questa e le borgate c’era un maredi verde, di giardini di limoni e mandarini.Non c’era stata ancora la cementificazione degli anni a venire, cheinglobò le borgate in un mare di cemento. <strong>Pio</strong> lotterà strenuamentecontro la cementificazione nella Conca d’Oro.<strong>Pio</strong> si presentò alla Confederterra: fu assunto ed abbandonògli studi. Era diventato un “rivoluzionario di professione”. Ma<strong>Pio</strong> mantenne l’impegno con la madre; già quarantenne, giàdeputato, si laureò in economia.<strong>La</strong> <strong>Torre</strong> si impegnò con tanti altri giovani dirigenti nelle lottecontadine, in tutte le sue “ondate”. <strong>La</strong> lotta per l’applicazionedelle leggi Gullo, le leggi per il riparto dei prodotti, la lotta per laterra e la riforma agraria. Nel 1950 dopo l’occupazione di unfeudo a Bisacquino fu arrestato insieme a numerosi contadini:stette in galera più di un anno. Fu condannato a 4 mesi. Regalòun anno della sua vita alle galere scelbiane. Fu trattato come unincallito delinquente; non gli permisero neppure di vedere lamadre morente. <strong>Pio</strong> nella sua azione sindacale e politica (diventòsegretario della Camera del lavoro e consigliere comunale)aveva una attenzione minuziosa ai problemi della gentee al malgoverno comunale. Ne cito alcuni, fra i tanti problemi,piccoli e grandi: il funzionamento dell’ECA, lo sfruttamento delFestino come “oppio dei popoli”, la carenza di acqua a <strong>Torre</strong>lunga,la situazione dei mercati all’ingrosso nei quali era insediatala mafia, la miseria e il degrado dei quartieri popolari edella povera gente.In quegli anni sindaco era Scaduto, espressione del bloccoagrario, e politicamente del blocco clerico-monarchicomissino.Il cemento di questo gruppo di potere era la Curia del reazionarioCardinale Ruffini, contro cui <strong>Pio</strong> si scagliò con veemenza.Ruffini portò a Palermo l’Immobiliare Vaticana, gli impresari Vasellie Cassina; la città era sporca e dissestata nonostante leenormi cifre erogate ai Vaselli e Cassina. L’Immobiliare aprì lastrada al massacro creando i vari Villaggi Ruffini, Santa Rosaliae altre isole che permisero la cementificazione della ConcaD’Oro. Dopo qualche anno Gioia, Lima e Ciancimino, regnantesempre Ruffini, usarono ancora più scientificamente questometodo con i loro villaggi satellite: Borgo Nuovo, Bonagia, Cepe poi altri.<strong>La</strong> Curia rimase un baluardo di questo sistema e valorizzò sueproprietà lucrando immensi profitti. <strong>Pio</strong> condusse la lotta controquesti blocchi di potere, il vecchio e il nuovo. <strong>Pio</strong> parla di “cricche”,al Municipio di Palermo. Poi parla di “cozze”abbarbicateal potere. Speculazioni, affari, malgoverno, sporcizia, distruzionedella macchina comunale; sembra di trovarsi ai nostritempi. Sono passati 50 anni. Le “cricche” e le “cozze” erano legatedagli affari, erano imparentati fra di loro ed erano stretti inun vincolo antipopolare con la mafia.<strong>Pio</strong> non era un radicale anticlericale; era un combattente per lagiustizia e i diritti dei lavoratori e dei poveri dei quartieri popolari,dei disoccupati.In quella fase la Curia e il Cardinale erano un pilastro del malgovernocittadino e <strong>Pio</strong> nella sua battaglia li mise sotto il suo mirino.L’atteggiamento di <strong>Pio</strong> verso la Chiesa cambiò quandoquesta si aprì al vento nuovo del Concilio.2agosto2010 asud’europa 41