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Siamo attratti da qualcuno, da quel suo modo di fare, da quella<br />
forma o disposizione di forme, da quell’insieme, da quel particolare,<br />
da quella voce, da quel sorriso, da quell’esserci, da quelle<br />
labbra. Questo fatto accade tante volte nella nostra esistenza<br />
quanto più siamo aperti all’incontro col nuovo, con l’altro da noi.<br />
Succederà per tutta la vita all’interno e oltre il tempo che passa,<br />
con i mutamenti della sensibilità e del gusto, anche a seguito<br />
dell’esperienza, plasmati e modellati dagli incontri che abbiamo<br />
fatto e facciamo, dai riscontri che abbiamo avuto, nonostante gli<br />
affanni, le delusioni, le fatiche, ancora presenti, che, andare oltre<br />
noi, comporta.<br />
Realizziamo col tempo, crescendo non solo di età, che di qualcuno<br />
non possiamo fare a meno: ci manca un pezzo. Ci manchiamo<br />
senza chi ci fa incontrare parti di noi o quello che crediamo<br />
di essere. Sentiamo un vuoto senza l’altro che ci fa da specchio,<br />
anche se a volte lo specchio si rompe o è già un pò rotto. Lo<br />
specchio è fragile per natura e facilmente si può infrangere. Ma<br />
lo specchio siamo noi, ed è anche la metafora e l’occasione per<br />
infrangere e superare le regole imposte dalla biologia che ci confina<br />
in noi, quando un’altra parte di noi vola, oltre i limiti dello<br />
spazio-tempo a cercare qualcosa che ancora non sappiamo bene.<br />
Siamo esseri nella possibilità di essere, di essere sempre qualcos’altro,<br />
oltre il confine e approdo appena raggiunto, oltre la<br />
presunta pacificazione dello star bene soltanto da poco sentito.<br />
Qualcosa di noi chiede un altro esserci, che mai saremo appieno<br />
e che ancora non siamo. Abbiamo bisogno come l’aria che respiriamo<br />
di vederci e sentirci riflessi in un senso e significato ulteriore<br />
a noi, oltre i nostri confini, che assiduamente si rinnovi e si<br />
riattualizzi. Oltre i limiti del nostro corpo e del nostro essere. Abbiamo<br />
bisogno d’altro, sempre. L’altro è la boccata d’aria inattesa,<br />
ineliminabile e incessante, per essere noi, semplicemente<br />
noi. Questo semplice essere ed esserci è in realtà tutt’altro che<br />
facile da realizzare. È una costruzione che dura tutta una vita e<br />
non solo, è un progetto mai concluso dove la meta è il cammino,<br />
sempre da percorrere e mai terminato. Quello che ci attrae è anche<br />
il mondo intorno a noi. Le cose esterne a noi possono essere<br />
animate o non animate,<br />
ma per noi, che le incontriamo<br />
sul terreno<br />
del valore, del significato,<br />
della possibilità<br />
di farci essere altro dal<br />
solito essere che siamo<br />
o crediamo di essere,<br />
hanno sempre un’anima<br />
che emerge, come<br />
in un incontro galante,<br />
quando partecipiamo,<br />
con battito accelerato<br />
al piacere di chi riceve<br />
un nostro dono.<br />
Le cose cosi rivestite di<br />
un ulteriore senso, non<br />
sono più semplicemente<br />
cose e ci restituiscono a noi altre parti di noi, che, proprio nel<br />
contatto e nel confronto con loro, con qualcosa, possiamo condividere<br />
con qualcuno e con noi stessi. Siamo nati, apparsi alla<br />
luce e al mondo, ringraziando due possibili cellule, che fra molte,<br />
hanno pensato di incontrarsi e superare la loro separazione<br />
unendosi a condividere parti di loro, nella breve, fondamentale<br />
fusione. Da qui, da questo progetto iniziale, di riconoscimento e<br />
partecipazione, nasce l’individuo, colui che non è diviso. Noi gli<br />
indivisi, siamo parti di qualcosa di più grande che ci oltrepassa,<br />
oltre la nostra piccola storia che ci consente la vita. Siamo parti<br />
del cosmo, di molti cosmi e molti mondi. Siamo unità nella divisione<br />
e cerchiamo di riunirci, aggrapparci a qualcosa per poter<br />
stare dentro di noi non separati.<br />
L’altro è una soglia, un bilico, un confine, un passaggio. Una<br />
soglia sul mondo e sul resto. E allora si può sentire davvero il<br />
valore dell’esistenza, il sapore della vita che pulsa, quando per<br />
condividere pezzi dell’altro usciamo da noi e alcuni lembi di noi<br />
si perdono nel mare sconosciuto dell’altro. Possiamo così dimenticarci<br />
chi è l’altro e chi siamo noi, anche solo per un istante,<br />
per un momento che diventa oceanico, vasto come un sogno e<br />
reale e sconcertante come la pioggia improvvisa nel sole d’estate,<br />
dove convivono più realtà contemporaneamente e diversi<br />
stati d’animo e pensieri si mescolano e si coagulano. Possiamo<br />
riuscire a fare il balzo in avanti oltre la soglia della separazione<br />
e delle divisioni, sapendo dimenticare la soglia e il confini, e la<br />
pressante macchina delle definizioni. Prendendo i retaggi concettuali<br />
e le paure nell’incontro con l’altro per farne un mondo a<br />
parte, innocuo e silente, che assiste, in uno spazio che abbiamo<br />
creato dentro di noi, al nuovo nostro rappresentarci sul palcoscenico<br />
della nostra storia, dove tutto ha un senso, anche quello che,<br />
solo intravisto, non è compiuto.<br />
Saper stare accanto ad un’altra persona è arte dell’incontro,<br />
dove il regnante incontrastato e fragile è il silenzio, da custodire<br />
e proteggere. Nel silenzio della voce i corpi sentono meglio il<br />
suono di chi ci sta accanto, il respiro cellulare avverte l’attrazione<br />
reciproca e condivide lo scambio di battiti e voglie. Un silenzio<br />
che sa di appartenere alla parola e al linguaggio e sa quando<br />
verbalizzare, soprattutto nei momenti di intimità, parole che nascono<br />
dal silenzio piuttosto che dalla confusione o dalla paura.<br />
Ci fu un tempo in cui l’uomo non esisteva, in cui non c’era il<br />
tempo e l’ora. Non c’era l’adesso, il dopo e il prima. Non c’era<br />
alcun panorama da vedere o suono da sentire. L’assenza del linguaggio<br />
non pronunciava alcuna parola. Nessuna definizione, né<br />
frase, né significato. Eppure, in qualche modo, quello che c’era<br />
aveva un senso. Non certo per noi che non c’eravamo. Quando,<br />
non ancora nati, forte era il vento, che scuoteva foglie e fronde<br />
e gli alberi muovevano<br />
l’aria, nessuno di<br />
noi vedeva e sentiva,<br />
comunque qualcosa<br />
succedeva nel cosmo,<br />
come anche per quella<br />
goccia di brina che<br />
attraversava le ere. In<br />
quel tempo senza tempo<br />
in cui non c’era l’era,<br />
l’è e il sarà, si stava<br />
preparando l’evento<br />
di qualcosa di nascente.<br />
Come allora anche<br />
ora, qui, adesso, nella<br />
nostra vita possiamo<br />
essere, in modo nuovo,<br />
vento che scuote le<br />
foglie dei sensi e alberi con i rami “non tremanti della ben rotonda<br />
verità” dell’abbraccio con l’altro. Ritornare a un silenzio<br />
senza significato non si può. Possiamo, invece, ripresentarci al<br />
cospetto dell’altro con un silenzio pieno di senso. Un silenzio<br />
carico e pieno di ascolto di chi è vicino a noi, inaudibile il vibrare<br />
insieme, senza quello spazio interiore reso vuoto come un<br />
ampolla da riempire. Un vuoto pieno, una assenza, una sospensione,<br />
anche solo per qualche tempo opportuno, di frasi e parole<br />
e una presenza di silenzio che cala su certe abitudini verbali, sui<br />
pensieri automatici senza pensatore, che ancora ci portano dove<br />
non vogliamo andare e possono farci soffrire. Questo vuoto, pieno<br />
d’oriente, dove nasce il nostro sole interno, viene chiamato<br />
anche vacuità. Non è inconsistenza o futilità. La vacuità è condivisione.<br />
Vuol dire che tutte le cose non esistono in maniera<br />
indipendente. Il compimento, la messa in opera della vacuità<br />
sta nell’apprendere che tutti i fenomeni esistono non separati,<br />
sussistono nei modi dell’interdipendenza. Si può parlare di io in<br />
quanto presente il tu e viceversa. L’io è anche insieme al diverso<br />
e analogo polo che è l’altro. Siamo interdipendenti, all’interno di<br />
una rete di significati condivisi e da condividere, in mondi intersoggettivi<br />
che si costruiscono<br />
e si costituiscono.<br />
Quanti movimenti e quali<br />
parti, aspetti di me si incrociano,<br />
vengono intercettati<br />
e comunicano con l’altro?<br />
Quante reti e messaggi più<br />
o meno sottili intercorrono<br />
tra due persone in sintonia<br />
o con poca sintonia? Quanto<br />
ci sfugge e quanto ci deve<br />
sfuggire nella relazione con<br />
l’altro, come nella relazione<br />
con noi?<br />
La consapevolezza delle comunicazioni<br />
in atto, dei vari<br />
risvolti più o meno espliciti<br />
su vari piani, emozionale innanzitutto, verbale, cognitivo e sentimentale,<br />
fa la differenza tra stare in una relazione significativa,<br />
in modo soddisfacente oppure in modo sofferente.<br />
Nello stare con te quali parti di me interagiscono con le tue?<br />
Come mai non troviamo accordo a certi livelli mentre su altri<br />
c’è intesa e anche armonia?<br />
Le emozioni sono una grande palestra di condivisione tra noi e<br />
gli altri. Il discernimento, la consapevolezza può dirigere le varie<br />
emozioni che proviamo verso una direzione utile al loro ritrovamento<br />
dentro di noi. Possiamo sapere se quello che ho provato,<br />
soprattutto grazie a qualcuno, mi ha turbato, mi ha colpito, mi ha<br />
smosso, ha prodotto certi cambiamenti e non altri. Normalmente<br />
non siamo allenati a praticare qualcosa di ulteriore se non reagire<br />
a ciò che sentiamo. Inoltrarci dentro un ambito, che, grazie<br />
all’altro è emerso dal nascosto, è condividere con noi una parte,<br />
a volte, o ancora, spesso rimossa di noi, che non adeguatamente<br />
vista, trasformata e messa in contatto con le altre parti, permane<br />
nella sua condizione isolata di parte a volte dolente, a volte<br />
abbandonata. Senza rendercene conto ci abbandoniamo, tralasciando<br />
l’ascolto e il reclamo che da tempo parti di noi chiedono,<br />
anche con urgenza, di essere accolte e di stare in compagnia<br />
con qualcosa d’altro, di sedere alla tavola imbandita della nostra<br />
personalità composita e molteplice. A volte il solo stare insieme<br />
agli altri, agli altri io rende la solitudine, delle parti rimosse,<br />
visibile e presentabile alla visione, relativizzando stati interiori,<br />
forse da tempo non modificati, che qui possono trovare, nuove<br />
manifestazioni e apparentemente insperate integrazioni. Condividere<br />
dentro di noi luoghi e aspetti a volte a lungo separati, farli<br />
dialogare con quelli di altre persone e consentirne il gioco delle<br />
parti è dare spazio ad un nuovo tempo dell’incontro, un nuovo<br />
tempo interiore, pieno di opportunità di essere anche altro rispetto<br />
a quello che pensiamo di essere. Si può immaginarlo come un<br />
campo inesplorato che viene percorso per la prima volta, a cui<br />
assistiamo novizi e increduli, che può aprire scenari di conoscenza<br />
e nuove modalità di rapportarsi con noi e tra noi e gli altri, in<br />
uno spirito di rivelazione di verità nascoste e di cura di dolori<br />
non rimarginati, che ancora chiedono accoglienza, cittadinanza e<br />
ascolto. Nel tempo opportuno della relazione emozionale e consapevole<br />
si entra in un percorso anche labirintico dove molte<br />
sono le cose da dire e da provare, attraversando trame riflesse e<br />
rimandi senza fine come “in una rete crescente e vertiginosa di<br />
tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi<br />
che si avvicinano, biforcano, si intersecano o si ignorano…<br />
abbraccia tutte le possibilità..” Scrivere la storia delle nostre<br />
relazioni è scrivere un romanzo e costruire nel medesimo tempo<br />
un labirinto..” un labirinto di<br />
simboli…un invisibile labirinto<br />
di tempo” dai dettagli<br />
irrecuperabili, dove romanzo,<br />
labirinto e tempo sono “un<br />
solo oggetto”, un solo campo<br />
di esperienze, un solo progetto,<br />
dove risediamo, vivendo<br />
sospesi come in una costante<br />
“biforcazione del tempo”,<br />
come un giardino di sentieri<br />
“che si biforcano” dove la<br />
divergenza è nel tempo (interiore)<br />
più che nello spazio.<br />
La divergenza non è separativa,<br />
rimanda alla possibilità<br />
di riunirsi dalla separazione,<br />
dalla distanza verso una zona<br />
di confluenza. Riunirsi anche nel corpo dell’altro, facendosi<br />
raggiungere dalla capacità di essere posseduti e invasi nei nostri<br />
confini, arrendendosi e perdendo il controllo del controllo,<br />
è avere il coraggio di entrare nelle varie paure, evitando l’evitamento,<br />
come quando fiduciosi ci abbandoniamo al sonno ed<br />
entriamo in un altro tempo, in campi dalla diversa luce e dalla<br />
diversa vita. Separazione e allontanamento possono farci entrare<br />
in contatto con ferite ancora aperte, come fusione e unione<br />
possono alimentare paure non ancora affrontate e non superate.<br />
Avere il coraggio di condividere la fiducia nel lasciare andare le<br />
resistenze nell’incontro con l’interno di noi, qualunque esso sia,<br />
ci fa andare verso il ritrovamento di molti dei processi e percorsi<br />
di guarigione. Le nostre relazioni significative si specchiano<br />
dentro i riflessi cangianti dell’altro. Gli incontri che le nostre<br />
vite ci regalano rivelano e portano alla luce quello che siamo,<br />
che mai completamente sapremo, come un enigma che è ancora<br />
da risolvere.<br />
…‟trasformazione significa dissolverci nella sorgente vuota del<br />
nostro essere e riemergere esattamente nel modo in cui siamo.<br />
È a un tempo risolutivo e deludente il fatto che precisamente<br />
ciò che siamo sia la sorgente tanto della saggezza che della<br />
confusione. Prima di poter realizzare la non esistenza dell’io,<br />
dobbiamo fare amicizia con ciò che crediamo di essere. Dobbiamo<br />
accettare qualunque cosa noi siamo, non solo come punto di<br />
partenza ma anche, stranamente, come meta di arrivo. In questo<br />
c’è qualcosa di bizzarramente potente, qualcosa di imprevedibile<br />
e, in senso relativo, di estremamente inaffidabile…è l’energia<br />
del nostro essere manifesto… l’essenza…. di ciò che accade… la<br />
danza dell’esistenza e della non esistenza… il nostro rapporto<br />
con la vita...” (N.C) ■<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
KANDEL E.R., Alla ricerca della memoria, Codice edizioni,Torino (2010);<br />
BATESON G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi,Milano (2000);<br />
HOLDERLIN F., Iperione, Feltrinelli (2013);<br />
J.L.BORGES, “I Giardini dei sentieri che si biforcano”, Adelphi, Milano (2003)<br />
STILI DI VITA<br />
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ecoIDEARE - <strong>Settembre</strong> / <strong>Ottobre</strong> 2015<br />
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