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Ecoideare Settembre Ottobre N31

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Siamo attratti da qualcuno, da quel suo modo di fare, da quella<br />

forma o disposizione di forme, da quell’insieme, da quel particolare,<br />

da quella voce, da quel sorriso, da quell’esserci, da quelle<br />

labbra. Questo fatto accade tante volte nella nostra esistenza<br />

quanto più siamo aperti all’incontro col nuovo, con l’altro da noi.<br />

Succederà per tutta la vita all’interno e oltre il tempo che passa,<br />

con i mutamenti della sensibilità e del gusto, anche a seguito<br />

dell’esperienza, plasmati e modellati dagli incontri che abbiamo<br />

fatto e facciamo, dai riscontri che abbiamo avuto, nonostante gli<br />

affanni, le delusioni, le fatiche, ancora presenti, che, andare oltre<br />

noi, comporta.<br />

Realizziamo col tempo, crescendo non solo di età, che di qualcuno<br />

non possiamo fare a meno: ci manca un pezzo. Ci manchiamo<br />

senza chi ci fa incontrare parti di noi o quello che crediamo<br />

di essere. Sentiamo un vuoto senza l’altro che ci fa da specchio,<br />

anche se a volte lo specchio si rompe o è già un pò rotto. Lo<br />

specchio è fragile per natura e facilmente si può infrangere. Ma<br />

lo specchio siamo noi, ed è anche la metafora e l’occasione per<br />

infrangere e superare le regole imposte dalla biologia che ci confina<br />

in noi, quando un’altra parte di noi vola, oltre i limiti dello<br />

spazio-tempo a cercare qualcosa che ancora non sappiamo bene.<br />

Siamo esseri nella possibilità di essere, di essere sempre qualcos’altro,<br />

oltre il confine e approdo appena raggiunto, oltre la<br />

presunta pacificazione dello star bene soltanto da poco sentito.<br />

Qualcosa di noi chiede un altro esserci, che mai saremo appieno<br />

e che ancora non siamo. Abbiamo bisogno come l’aria che respiriamo<br />

di vederci e sentirci riflessi in un senso e significato ulteriore<br />

a noi, oltre i nostri confini, che assiduamente si rinnovi e si<br />

riattualizzi. Oltre i limiti del nostro corpo e del nostro essere. Abbiamo<br />

bisogno d’altro, sempre. L’altro è la boccata d’aria inattesa,<br />

ineliminabile e incessante, per essere noi, semplicemente<br />

noi. Questo semplice essere ed esserci è in realtà tutt’altro che<br />

facile da realizzare. È una costruzione che dura tutta una vita e<br />

non solo, è un progetto mai concluso dove la meta è il cammino,<br />

sempre da percorrere e mai terminato. Quello che ci attrae è anche<br />

il mondo intorno a noi. Le cose esterne a noi possono essere<br />

animate o non animate,<br />

ma per noi, che le incontriamo<br />

sul terreno<br />

del valore, del significato,<br />

della possibilità<br />

di farci essere altro dal<br />

solito essere che siamo<br />

o crediamo di essere,<br />

hanno sempre un’anima<br />

che emerge, come<br />

in un incontro galante,<br />

quando partecipiamo,<br />

con battito accelerato<br />

al piacere di chi riceve<br />

un nostro dono.<br />

Le cose cosi rivestite di<br />

un ulteriore senso, non<br />

sono più semplicemente<br />

cose e ci restituiscono a noi altre parti di noi, che, proprio nel<br />

contatto e nel confronto con loro, con qualcosa, possiamo condividere<br />

con qualcuno e con noi stessi. Siamo nati, apparsi alla<br />

luce e al mondo, ringraziando due possibili cellule, che fra molte,<br />

hanno pensato di incontrarsi e superare la loro separazione<br />

unendosi a condividere parti di loro, nella breve, fondamentale<br />

fusione. Da qui, da questo progetto iniziale, di riconoscimento e<br />

partecipazione, nasce l’individuo, colui che non è diviso. Noi gli<br />

indivisi, siamo parti di qualcosa di più grande che ci oltrepassa,<br />

oltre la nostra piccola storia che ci consente la vita. Siamo parti<br />

del cosmo, di molti cosmi e molti mondi. Siamo unità nella divisione<br />

e cerchiamo di riunirci, aggrapparci a qualcosa per poter<br />

stare dentro di noi non separati.<br />

L’altro è una soglia, un bilico, un confine, un passaggio. Una<br />

soglia sul mondo e sul resto. E allora si può sentire davvero il<br />

valore dell’esistenza, il sapore della vita che pulsa, quando per<br />

condividere pezzi dell’altro usciamo da noi e alcuni lembi di noi<br />

si perdono nel mare sconosciuto dell’altro. Possiamo così dimenticarci<br />

chi è l’altro e chi siamo noi, anche solo per un istante,<br />

per un momento che diventa oceanico, vasto come un sogno e<br />

reale e sconcertante come la pioggia improvvisa nel sole d’estate,<br />

dove convivono più realtà contemporaneamente e diversi<br />

stati d’animo e pensieri si mescolano e si coagulano. Possiamo<br />

riuscire a fare il balzo in avanti oltre la soglia della separazione<br />

e delle divisioni, sapendo dimenticare la soglia e il confini, e la<br />

pressante macchina delle definizioni. Prendendo i retaggi concettuali<br />

e le paure nell’incontro con l’altro per farne un mondo a<br />

parte, innocuo e silente, che assiste, in uno spazio che abbiamo<br />

creato dentro di noi, al nuovo nostro rappresentarci sul palcoscenico<br />

della nostra storia, dove tutto ha un senso, anche quello che,<br />

solo intravisto, non è compiuto.<br />

Saper stare accanto ad un’altra persona è arte dell’incontro,<br />

dove il regnante incontrastato e fragile è il silenzio, da custodire<br />

e proteggere. Nel silenzio della voce i corpi sentono meglio il<br />

suono di chi ci sta accanto, il respiro cellulare avverte l’attrazione<br />

reciproca e condivide lo scambio di battiti e voglie. Un silenzio<br />

che sa di appartenere alla parola e al linguaggio e sa quando<br />

verbalizzare, soprattutto nei momenti di intimità, parole che nascono<br />

dal silenzio piuttosto che dalla confusione o dalla paura.<br />

Ci fu un tempo in cui l’uomo non esisteva, in cui non c’era il<br />

tempo e l’ora. Non c’era l’adesso, il dopo e il prima. Non c’era<br />

alcun panorama da vedere o suono da sentire. L’assenza del linguaggio<br />

non pronunciava alcuna parola. Nessuna definizione, né<br />

frase, né significato. Eppure, in qualche modo, quello che c’era<br />

aveva un senso. Non certo per noi che non c’eravamo. Quando,<br />

non ancora nati, forte era il vento, che scuoteva foglie e fronde<br />

e gli alberi muovevano<br />

l’aria, nessuno di<br />

noi vedeva e sentiva,<br />

comunque qualcosa<br />

succedeva nel cosmo,<br />

come anche per quella<br />

goccia di brina che<br />

attraversava le ere. In<br />

quel tempo senza tempo<br />

in cui non c’era l’era,<br />

l’è e il sarà, si stava<br />

preparando l’evento<br />

di qualcosa di nascente.<br />

Come allora anche<br />

ora, qui, adesso, nella<br />

nostra vita possiamo<br />

essere, in modo nuovo,<br />

vento che scuote le<br />

foglie dei sensi e alberi con i rami “non tremanti della ben rotonda<br />

verità” dell’abbraccio con l’altro. Ritornare a un silenzio<br />

senza significato non si può. Possiamo, invece, ripresentarci al<br />

cospetto dell’altro con un silenzio pieno di senso. Un silenzio<br />

carico e pieno di ascolto di chi è vicino a noi, inaudibile il vibrare<br />

insieme, senza quello spazio interiore reso vuoto come un<br />

ampolla da riempire. Un vuoto pieno, una assenza, una sospensione,<br />

anche solo per qualche tempo opportuno, di frasi e parole<br />

e una presenza di silenzio che cala su certe abitudini verbali, sui<br />

pensieri automatici senza pensatore, che ancora ci portano dove<br />

non vogliamo andare e possono farci soffrire. Questo vuoto, pieno<br />

d’oriente, dove nasce il nostro sole interno, viene chiamato<br />

anche vacuità. Non è inconsistenza o futilità. La vacuità è condivisione.<br />

Vuol dire che tutte le cose non esistono in maniera<br />

indipendente. Il compimento, la messa in opera della vacuità<br />

sta nell’apprendere che tutti i fenomeni esistono non separati,<br />

sussistono nei modi dell’interdipendenza. Si può parlare di io in<br />

quanto presente il tu e viceversa. L’io è anche insieme al diverso<br />

e analogo polo che è l’altro. Siamo interdipendenti, all’interno di<br />

una rete di significati condivisi e da condividere, in mondi intersoggettivi<br />

che si costruiscono<br />

e si costituiscono.<br />

Quanti movimenti e quali<br />

parti, aspetti di me si incrociano,<br />

vengono intercettati<br />

e comunicano con l’altro?<br />

Quante reti e messaggi più<br />

o meno sottili intercorrono<br />

tra due persone in sintonia<br />

o con poca sintonia? Quanto<br />

ci sfugge e quanto ci deve<br />

sfuggire nella relazione con<br />

l’altro, come nella relazione<br />

con noi?<br />

La consapevolezza delle comunicazioni<br />

in atto, dei vari<br />

risvolti più o meno espliciti<br />

su vari piani, emozionale innanzitutto, verbale, cognitivo e sentimentale,<br />

fa la differenza tra stare in una relazione significativa,<br />

in modo soddisfacente oppure in modo sofferente.<br />

Nello stare con te quali parti di me interagiscono con le tue?<br />

Come mai non troviamo accordo a certi livelli mentre su altri<br />

c’è intesa e anche armonia?<br />

Le emozioni sono una grande palestra di condivisione tra noi e<br />

gli altri. Il discernimento, la consapevolezza può dirigere le varie<br />

emozioni che proviamo verso una direzione utile al loro ritrovamento<br />

dentro di noi. Possiamo sapere se quello che ho provato,<br />

soprattutto grazie a qualcuno, mi ha turbato, mi ha colpito, mi ha<br />

smosso, ha prodotto certi cambiamenti e non altri. Normalmente<br />

non siamo allenati a praticare qualcosa di ulteriore se non reagire<br />

a ciò che sentiamo. Inoltrarci dentro un ambito, che, grazie<br />

all’altro è emerso dal nascosto, è condividere con noi una parte,<br />

a volte, o ancora, spesso rimossa di noi, che non adeguatamente<br />

vista, trasformata e messa in contatto con le altre parti, permane<br />

nella sua condizione isolata di parte a volte dolente, a volte<br />

abbandonata. Senza rendercene conto ci abbandoniamo, tralasciando<br />

l’ascolto e il reclamo che da tempo parti di noi chiedono,<br />

anche con urgenza, di essere accolte e di stare in compagnia<br />

con qualcosa d’altro, di sedere alla tavola imbandita della nostra<br />

personalità composita e molteplice. A volte il solo stare insieme<br />

agli altri, agli altri io rende la solitudine, delle parti rimosse,<br />

visibile e presentabile alla visione, relativizzando stati interiori,<br />

forse da tempo non modificati, che qui possono trovare, nuove<br />

manifestazioni e apparentemente insperate integrazioni. Condividere<br />

dentro di noi luoghi e aspetti a volte a lungo separati, farli<br />

dialogare con quelli di altre persone e consentirne il gioco delle<br />

parti è dare spazio ad un nuovo tempo dell’incontro, un nuovo<br />

tempo interiore, pieno di opportunità di essere anche altro rispetto<br />

a quello che pensiamo di essere. Si può immaginarlo come un<br />

campo inesplorato che viene percorso per la prima volta, a cui<br />

assistiamo novizi e increduli, che può aprire scenari di conoscenza<br />

e nuove modalità di rapportarsi con noi e tra noi e gli altri, in<br />

uno spirito di rivelazione di verità nascoste e di cura di dolori<br />

non rimarginati, che ancora chiedono accoglienza, cittadinanza e<br />

ascolto. Nel tempo opportuno della relazione emozionale e consapevole<br />

si entra in un percorso anche labirintico dove molte<br />

sono le cose da dire e da provare, attraversando trame riflesse e<br />

rimandi senza fine come “in una rete crescente e vertiginosa di<br />

tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi<br />

che si avvicinano, biforcano, si intersecano o si ignorano…<br />

abbraccia tutte le possibilità..” Scrivere la storia delle nostre<br />

relazioni è scrivere un romanzo e costruire nel medesimo tempo<br />

un labirinto..” un labirinto di<br />

simboli…un invisibile labirinto<br />

di tempo” dai dettagli<br />

irrecuperabili, dove romanzo,<br />

labirinto e tempo sono “un<br />

solo oggetto”, un solo campo<br />

di esperienze, un solo progetto,<br />

dove risediamo, vivendo<br />

sospesi come in una costante<br />

“biforcazione del tempo”,<br />

come un giardino di sentieri<br />

“che si biforcano” dove la<br />

divergenza è nel tempo (interiore)<br />

più che nello spazio.<br />

La divergenza non è separativa,<br />

rimanda alla possibilità<br />

di riunirsi dalla separazione,<br />

dalla distanza verso una zona<br />

di confluenza. Riunirsi anche nel corpo dell’altro, facendosi<br />

raggiungere dalla capacità di essere posseduti e invasi nei nostri<br />

confini, arrendendosi e perdendo il controllo del controllo,<br />

è avere il coraggio di entrare nelle varie paure, evitando l’evitamento,<br />

come quando fiduciosi ci abbandoniamo al sonno ed<br />

entriamo in un altro tempo, in campi dalla diversa luce e dalla<br />

diversa vita. Separazione e allontanamento possono farci entrare<br />

in contatto con ferite ancora aperte, come fusione e unione<br />

possono alimentare paure non ancora affrontate e non superate.<br />

Avere il coraggio di condividere la fiducia nel lasciare andare le<br />

resistenze nell’incontro con l’interno di noi, qualunque esso sia,<br />

ci fa andare verso il ritrovamento di molti dei processi e percorsi<br />

di guarigione. Le nostre relazioni significative si specchiano<br />

dentro i riflessi cangianti dell’altro. Gli incontri che le nostre<br />

vite ci regalano rivelano e portano alla luce quello che siamo,<br />

che mai completamente sapremo, come un enigma che è ancora<br />

da risolvere.<br />

…‟trasformazione significa dissolverci nella sorgente vuota del<br />

nostro essere e riemergere esattamente nel modo in cui siamo.<br />

È a un tempo risolutivo e deludente il fatto che precisamente<br />

ciò che siamo sia la sorgente tanto della saggezza che della<br />

confusione. Prima di poter realizzare la non esistenza dell’io,<br />

dobbiamo fare amicizia con ciò che crediamo di essere. Dobbiamo<br />

accettare qualunque cosa noi siamo, non solo come punto di<br />

partenza ma anche, stranamente, come meta di arrivo. In questo<br />

c’è qualcosa di bizzarramente potente, qualcosa di imprevedibile<br />

e, in senso relativo, di estremamente inaffidabile…è l’energia<br />

del nostro essere manifesto… l’essenza…. di ciò che accade… la<br />

danza dell’esistenza e della non esistenza… il nostro rapporto<br />

con la vita...” (N.C) ■<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

KANDEL E.R., Alla ricerca della memoria, Codice edizioni,Torino (2010);<br />

BATESON G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi,Milano (2000);<br />

HOLDERLIN F., Iperione, Feltrinelli (2013);<br />

J.L.BORGES, “I Giardini dei sentieri che si biforcano”, Adelphi, Milano (2003)<br />

STILI DI VITA<br />

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ecoIDEARE - <strong>Settembre</strong> / <strong>Ottobre</strong> 2015<br />

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