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Corsi e ricorsi
storici
La peste nera del Trecento
Arrivata in Europa dall’Asia, sterminò oltre un terzo degli
abitanti del continente
Un dramma sociale con conseguenze sui capisaldi etici e culturali
del Medioevo
di Barbara Santoro
Durante il XIV secolo, in particolare
tra il 1347 e il 1350, si
verificò in Europa la più diffusa
e terrificante epidemia di tutti i tempi,
che non solo provocò migliaia di vittime,
ma rimase endemica, ricomparendo periodicamente
ora in una regione ora in
un'altra, raggiungendo l’acme in Italia
nel 1348. Secondo le stime dell'epoca
si pensa che sia morto oltre un terzo
degli abitanti del continente. Passata alla
storia come “peste nera”, ebbe origine
in Asia, con molta probabilità in Cina,
e si diffuse con grande rapidità raggiungendo
la prima città europea, Caffa in
Crimea, che a quel tempo era un importante
centro commerciale dei genovesi.
Da lì si spostò a Bisanzio e in quasi tutti
i porti dell’Europa orientale. L'Italia fu
il paese in cui il morbo si manifestò con
Trionfo della morte (1346), affresco staccato, Galleria regionale di Palazzo Abbatellis, già a Palazzo
Sclafani, Palermo
maggiore violenza, lasciando segni indelebili
e conseguenze gravissime che fecero
sentire il loro peso anche nei secoli
successivi, tanto che alcuni storici hanno
fissato nel 1348 la data della fine del
Medioevo. Dai tanti cronisti dell'epoca
emerge in modo chiaro la drammaticità
della situazione. Il carattere improvviso
e letale della malattia e il terrore di
contrarre il morbo da una persona infetta
determinarono un sentimento di sfiducia
nei confronti del prossimo. Anche
gli stessi religiosi, che avrebbero dovuto
portare gli estremi conforti a chi stava
per morire, a causa della paura di
infettarsi non svolsero il proprio compito
come avrebbero dovuto. A Firenze
i malati rimasero a morire nelle proprie
case, mentre a Venezia il governo cittadino
decise che alcuni addetti prescelti
passassero nelle case a raccogliere moribondi
e morti per portarli nelle isole di
San Marco Boccalama, San Leonardo
Fossamala e Sant’Erasmo, dove furono
tutti seppelliti in grandi fosse comuni. Il
poeta Francesco Petrarca perse un figlio
e la tanto amata e celebrata Laura, altri
cronisti addirittura quattro o cinque figli.
Per non dimenticare il Boccaccio che
ne parla nel Decameron. Si continuava
a pensare che la malattia fosse una sorta
di castigo inviato da Dio allo scopo di
punire le depravazioni dei costumi che
caratterizzavano quell’epoca. Una moltitudine
di gente scese nelle piazze e per
le strade flagellandosi, pregando ed invocando
il nome di Cristo e della Vergine
Maria. La colpa dell'epidemia venne
fatta ricadere sugli Ebrei accusati di avvelenare
i pozzi delle città. Una grande
devozione si diffuse per quei santi che
in qualche modo erano legati alla peste,
soprattutto San Sebastiano e San Rocco.
Molti morivano senza poter fare testamento
e sentendosi vicini alla morte
cercavano di ottenere la salvezza della
propria anima affidandosi agli ordini
religiosi e alle confraternite che si approfittarono
dei lasciti testamentari per
accumulare ricchezze. La grande peste
del 1348 non soltanto determinò cambiamenti
radicali nell’aspetto delle città
e nei patrimoni dei sopravvissuti ma
mutò il modo di pensare di molti uomini
di quel tempo. Si pensò quindi di investire
i propri averi in nuove attività produttive,
nell'educazione dei figli e in dimore
più grandi e adornate con opere d’arte.
Questo cambio di mentalità dei sopravvissuti
contribuì fortemente al sorgere
delle epoche più fiorenti della nostra
storia, cioè Umanesimo e Rinascimento.
LA PESTE NERA
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