xiv biennale internazionale di scultura di carrara postmonument

Idealmente il percorso della mostra parte dall’ex segheria Adolfo Corsi, ad Avenza,
luogo emblematico per l’economia della città nei decenni passati. In questa sede,
accanto alla sezione storica che introduce il tema del monumento da un punto di vista
epistemologico, sono esposte opere di artisti contemporanei che portano invece un forte
elemento di rottura rispetto al tema. Come nel caso di Huma Bhabha, artista pakistana
residente a New York, che presenta una scultura di detriti nata dalla suggestione del
luogo, in particolare delle cave e della loro enorme mole di scarti di lavorazione; o come
Monica Bonvicini, che lascia i suoi muri di cemento per innalzare una parete di marmo,
all'apparenza leggera e quasi di aspetto decorativo; o ancora come Cai Guo-Qiang, che
a Carrara aggiunge un nuovo elemento nella sua ricerca di congiunzione tra Est e Ovest,
facendo incontrare la primordialità grezza di un blocco di marmo delle Alpi Apuane, da
cui Michelangelo estrasse il suo David, con la manualità emulativa degli studenti
dell'Accademia di Pechino. Anche Marcelo Cidade si confronta con il minimalismo di
alcuni grandi blocchi di marmo, introducendovi però un commento critico preso dalla
cultura underground dei writers da cui proviene, mentre Urs Fisher gioca sull’ambiguità
di un enorme blocco di alluminio color pietra che sembra un masso eroso dalle
intemperie. Se Daniel Knorr insiste su tematiche più generali, una specie di storia
naturale, quasi geologica, affrontando il tema della consunzione attraverso il lento
bruciare di un incenso per tutto il periodo della mostra, Damiàn Ortega propone invece
una riflessione sul futuro, presentando L’uovo, una reinterpretazione in marmo di uno dei
noti robot transformers, realizzata proprio grazie a un robot che utilizza un moderno
software 3D in grado di riprodurre i più svariati oggetti in materiale lapideo. Una profonda
riflessione storica è infine introdotta da Gustav Metzger, che espone quattro fotografie
che hanno per soggetto eventi drammatici del XX secolo, non riconoscibili perché celati
da teli di lino, mattoni, rovine e tavole di legno, mentre nel loro Family Album i kazachi
Yerbossyn Meldibekov & Nurbossyn Oris usano il monumento come essenziale
strumento di misurazione dei profondi cambiamenti vissuti dal loro Paese. Sempre un
confronto con la storia, anche se da un punto di vista molto differente, è proposto da
Dead Labour Day, l'installazione-performance di Sam Durant, che partendo da un fatto
di cronaca mette in scena l'eterna lotta di classe tra operai e padrone, riflettendo sulla
condizione dei lavoratori al tempo della crisi economica. Chiude l’olandese Kevin van
Braak, che ha creato ex novo per la sede una facciata post-monumentale, dove i numeri
romani e l'essenzialità delle forme rievocano immediatamente le memorie architettoniche
del Ventennio, in netta contrapposizione con gli spazi archeo-industriali della segheria
oggi abbandonata.
La mostra prosegue all’ex laboratorio Ugo Corsi con una nuova riflessione sulla storia e
la tradizione politica di Carrara. Qui Rossella Biscotti presenta dei tavoli tipografici su
cui sono disposti caratteri mobili per la stampa, incomprensibili a una prima occhiata, che
compongono frammenti di testi anarco-socialisti, mentre nello spazio Nemanja
Cvijanović trasmette la melodia dell’Internazionale comunista, amplificata e distorta da
un piccolo carillon azionato dai visitatori. Se Thomas Houseago espone quattro opere -
Clay Helmet (Cyclops), Study for Sun/Moon Figure, Milan (sitting figure) e Tongue mask
– che rappresentano un’umanità toccante, fragile e sofferente, specchio di un mondo in
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