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xiv biennale internazionale di scultura di carrara postmonument

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energia, <strong>di</strong> spostamenti cosmici, <strong>di</strong> connessioni tra la terra e l’universo, tra Oriente e<br />

Occidente. Alcune mostre recenti hanno segnato il percorso <strong>di</strong> antimonumentalità<br />

dell’arte degli ultimi anni. La prima, nel 2004, alla Deste Foundation <strong>di</strong> Atene, Monument<br />

to Now, continuata poi con Fractured Figures (2005), spaccati del- la collezione Jannou<br />

dove il pop e la precarietà della vita quoti<strong>di</strong>ana acquistano caratteri monumentali. Lo si<br />

vede bene in questa Biennale con la presenza <strong>di</strong> Paul McCarthy, che realizza in pietra un<br />

oggetto in sé basso e scurrile, un grande escremento <strong>di</strong> travertino la cui forma è però<br />

fortemente scultorea. L’altra è la mostra <strong>di</strong> apertura del New Museum, curata da<br />

Massimiliano Gioni e Laura Hoptman, Unmonumental, che ha teso a riportare al centro la<br />

<strong>scultura</strong>, ma in una <strong>di</strong>mensione frammentata, esplosa, precaria. Sam Durant, Urs<br />

Fischer, Carlos Bunga, rappresentano ora questo percorso. Che non ci siano oggi<br />

<strong>di</strong>rettrici preminenti, che la ricerca artistica si muova libera tra più <strong>di</strong>rezioni, è un fatto che<br />

questa Biennale intende evidenziare. Non mancano recuperi <strong>di</strong> forme, tipologie e<br />

materiali tra<strong>di</strong>zionali. Già da qualche anno artisti come Maurizio Cattelan e Gillian<br />

Wearing sono tornati a investigare il modello del monumento, il primo con All, nove corpi<br />

sdraiati e coperti da un panneggio, utilizzando proprio il marmo <strong>di</strong> Carrara per realizzare<br />

una sorta <strong>di</strong> monumento orizzontale a un’umanità <strong>di</strong>strutta, abbattuta. La seconda, già a<br />

Trento nel 2007, con Family Monument, in cui la relazionalità presente in tutto il suo<br />

percorso <strong>di</strong> ricerca si è andata a condensare in un monumento in bronzo alla “famiglia<br />

trentina tipo”, ambigua rappresentazione “eterna” <strong>di</strong> una definizione sempre meno stabile<br />

come quella della famiglia. A Carrara la Wearing ritrova un <strong>di</strong>verso modo <strong>di</strong> intrecciare<br />

l’istantaneo, l’in<strong>di</strong>viduale, lo psicologico, con il modello duraturo, chiedendo alle persone<br />

<strong>di</strong> mettersi in posa su un basamento per rappresentare le proprie idee e passioni. Ma<br />

l’occasione <strong>di</strong> lavorare a Carrara ha spinto molti a utilizzare il marmo, talvolta per la prima<br />

volta. È il caso <strong>di</strong> Antony Gormley, in realtà già scultore in senso pieno, ma che ora<br />

affronta una materia tra<strong>di</strong>zionalmente preziosa invece che il bruto ferro che ha<br />

caratterizzato la <strong>scultura</strong> d’avanguar<strong>di</strong>a nei decenni passati. È così anche per un’artista<br />

“dura” come Monica Bonvicini, che lascia i suoi metalli e i muri <strong>di</strong> cemento per innalzare<br />

una parete <strong>di</strong> marmo, all’apparenza leggera e quasi <strong>di</strong> aspetto decorativo; o anche<br />

Damián Ortega, che anziché espandersi, <strong>di</strong>ssipare nella stanza un oggetto smontato,<br />

questa volta lo racchiude, lo ingloba in una forma sferica che ne contiene in nuce la<br />

progressione <strong>di</strong> crescita. Santiago Sierra, autore spesso <strong>di</strong> azioni tra le più immateriali,<br />

conclude il viaggio del suo No, Global Tour con un No <strong>di</strong> marmo posato sulla piazza <strong>di</strong> un<br />

nuovo e anonimo complesso residenziale. Terence Koh, invece, figlio <strong>di</strong> una generazione<br />

cresciuta nella convulsione e nella fugacità <strong>di</strong> un’età dagli idoli me<strong>di</strong>atici, ripiega su<br />

stesso, ritraendosi piccolo e solo, rannicchiato in riva al mare, usando ovviamente il<br />

materiale tipico del candore michelangiolesco. Il marmo non può non portare con sé la<br />

sua storia, conferendo alla <strong>scultura</strong> una qualità antica pur nell’ambiguità del racconto <strong>di</strong><br />

una fase <strong>di</strong> trapasso. Sono casi eccezionali, anche determinati dall’occasione carrarese,<br />

e dalla <strong>di</strong>sponibilità della materia. Ma che ci sia un certo ritorno al fare manuale, all’uso <strong>di</strong><br />

mezzi tra<strong>di</strong>zionali, è ben confermato da una serie <strong>di</strong> artisti emergenti: Huma Bhabha,<br />

pakistana che risiede a New York, Thomas Houseago, inglese ora a Los Angels, e Ohad<br />

Meromi, rappresentano esattamente questo ripiegamento, in cui la produzione artistica<br />

torna ad essere un fatto in<strong>di</strong>viduale, una ricerca artigianale attenta ai particolari e alle<br />

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