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xiv biennale internazionale di scultura di carrara postmonument

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materie. O, in altro modo, anche il cinese Liu Jianhua, autore <strong>di</strong> suggestioni <strong>di</strong> città e<br />

linee urbane attraverso materiali <strong>di</strong> tipo <strong>di</strong>verso, dalla plastica alla ceramica. La <strong>scultura</strong><br />

può tornare a erigersi, sebbene debba <strong>di</strong>scutere inevitabilmente con la sua controparte:<br />

la <strong>di</strong>ssipazione, lo sgretolamento, la fragilità. Perfino quei giovani in cui resta forte il<br />

metodo d’approccio concettuale non possono fare a meno <strong>di</strong> ripensare alla storia. Giorgio<br />

Andreotta Calò riesuma uno dei tra<strong>di</strong>zionali ambiti del monumentale, quello ai caduti,<br />

sebbene non possa esimersi dal tradurlo in un’esperienza personale come salire alle<br />

cave e riprovare l’attività dei cavatori a cui l’opera è de<strong>di</strong>cata. Cyprien Gaillard -<br />

suggestionato dalla storia che svanisce, dagli e<strong>di</strong>fici abbattuti, anche quando si tratta<br />

monumenti <strong>di</strong> architettura modernista poco illustre - fa compiere un viaggio a ritroso a un<br />

pezzo <strong>di</strong> marmo, un frammento superstite del rivestimento della lobby delle Twin Towers:<br />

unico modo oggi in cui si possano affrontare insieme la problematica della <strong>scultura</strong> e<br />

quella della storia. Rossella Biscotti torna agli archivi anarchici e lo fa recuperando anche<br />

la tecnica della tipografia a caratteri mobili, imponendo però un rapporto <strong>di</strong>- retto con il<br />

singolo visitatore, che deve decifrare i testi in caratteri <strong>di</strong> piombo posti a rovescio su vasti<br />

tavoli. Kevin van Braak investiga l’architettura fascista, in particolare quella che dava<br />

luogo a facciate scenografiche per parate e incontri <strong>di</strong> massa. Nemanja Cvijanović,<br />

sempre pronto a ri<strong>di</strong>scutere le ideologie politiche del Novecento in chiave critica e<br />

malinconica, lavora sull’Internazionale, l’inno che tanta parte ha avuto nella storia del<br />

secolo passato; Marcelo Cidade, invece, torna al minimalismo <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> blocchi <strong>di</strong> marmo<br />

introducendovi però un commento critico carpito dalla cultura underground dei writers da<br />

cui proviene. Valentin Carron ri<strong>di</strong>scute i simboli tipici della sua cultura d’origine e insieme<br />

del modernismo, con deplacement che mettono in dubbio il valore <strong>di</strong> quei simboli, al<br />

tempo stesso recuperandoli. Infine, c’è Daniel Knorr che insiste invece su tematiche più<br />

generali, su una storia naturale, quasi geologica, affrontando il tema della consunzione<br />

attraverso il lento bruciare <strong>di</strong> un incenso per tutto il periodo della mostra. A ben guardare,<br />

in realtà, la monumentalità più statica e imponente non è finita, ha solo cambiato registro.<br />

È l’architettura che ha preso il posto della <strong>scultura</strong>, fornendo i simboli, i monumenti in cui<br />

le nostre città si riconoscono, giacché la loro funzionalità avvalla più facilmente la<br />

proiezione <strong>di</strong> un desiderio <strong>di</strong> maestosità, <strong>di</strong> elevazione, da sempre insito nel- l’uomo.<br />

Ecco allora che una serie <strong>di</strong> maquette e alcuni progetti specifici stanno a segnare in<br />

mostra questo spostamento <strong>di</strong> versante. Da Zaha Ha<strong>di</strong>d a Norman Foster, da Jean<br />

Nouvel a Daniel Libeskind, da Massimiliano Fuksas a Frank O. Gehry, o a gruppi più<br />

giovani come gli Asymptote o MVRDV. Effettivamente, dal punto <strong>di</strong> vista della ricerca<br />

estetica, questi monumenti non si <strong>di</strong>scostano troppo dalla <strong>scultura</strong> <strong>di</strong> quarant’anni fa,<br />

postcubista, organica o informale, lasciando il primato della ricerca <strong>di</strong> punta ancora<br />

all’ambito dell’arte, o ad architetti utopisti come Yona Friedman che della visionarietà<br />

volatile hanno fatto da tempo il fulcro del loro lavoro. Non manca poi un accenno al lato<br />

opposto della monumentalità, alla performance, che nella sua fugacità pone il problema<br />

del tempo come istante, anziché <strong>di</strong> una temporalità duratura e stabile. Nevin Aladag,<br />

Vanessa Beecroft, Zorka Wollny, insieme a un work shop <strong>di</strong> Grzegorz Kowalski,<br />

rappresentano proprio questo aspetto <strong>di</strong> un’arte immateriale che attraversa lo spazio e il<br />

tempo, e che grazie alla possibilità <strong>di</strong> mescolanza sinestetica sembrerebbe uno degli<br />

ambiti più ricchi <strong>di</strong> futuro. Questa mostra non intende, comunque, dare risposte certe.<br />

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