schede - Carlo Marullo di Condojanni
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ti; la documentazione fotografica, prodotta dalla<br />
Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali<br />
nel 1976, testimonia, infatti, ancora a quella data,<br />
l’assenza del ritratto 5 .<br />
Si ritiene che ideatore del progetto d’insieme<br />
sia stato Antonio Amato, architetto e scultore che<br />
lavorò anche per la città <strong>di</strong> Catania 6 . All’affermato<br />
scultore Ignazio Buceti, già autore <strong>di</strong> una delle<br />
quattro fontane per l’incrocio tra Via Car<strong>di</strong>nes e<br />
Via Austria, vengono, invece, attribuite le due figure<br />
<strong>di</strong> schiavi 7 .<br />
I nomi dei due artisti ci vengono tramandati<br />
dalle fonti ottocentesche 8 senza alcun supporto documentario;<br />
l’unico elemento certo rimane il<br />
1716, anno <strong>di</strong> esecuzione, che viene riportato<br />
nell’iscrizione presente sopra un finto drappo in<br />
marmo e posta a celebrare i nipoti del Di Giovanni,<br />
committenti dell’opera 9 .<br />
L’esecuzione del busto in marmo bianco viene<br />
attribuita allo stesso Antonio Amato, che raffigurò<br />
il prode cavaliere vestito della corazza con la grande<br />
croce <strong>di</strong> Malta a campeggiare sul petto, la caratteristica<br />
parrucca a boccoli <strong>di</strong> moda settecentesca<br />
ed il mantello che gli ricopre le spalle. Andrea Di<br />
Giovanni ci appare ritratto in età matura, con il<br />
braccio sinistro piegato sul fianco, mentre l’altro,<br />
oggi purtroppo mutilo, era teso in avanti in un atto<br />
<strong>di</strong> comando che viene rafforzato dallo sguardo penetrante<br />
sotto le folte sopracciglia. La ferma autorevolezza<br />
del suo atteggiamento si contrappone<br />
volutamente al dolore dei prigionieri, rappresentato<br />
nelle due forme della composta rassegnazione e<br />
della debole invocazione <strong>di</strong> aiuto.<br />
Nelle belle figure degli schiavi si concretizza<br />
l’eloquente impianto retorico volto a richiamare il<br />
vasto intervento dell’Or<strong>di</strong>ne Gerosolimitano nei<br />
vari continenti. Si noti come l’impiego <strong>di</strong> marmi <strong>di</strong><br />
colore <strong>di</strong>verso, che a scopo puramente decorativo<br />
impronta l’intero monumento, assuma in esse un<br />
ruolo significativo, rafforzando l’evidente <strong>di</strong>fferenziazione<br />
dei loro tratti somatici: negroi<strong>di</strong> in<br />
quella <strong>di</strong> marmo scuro ed orientali nell’altra.<br />
I corpi delineati naturalisticamente si contorcono<br />
in pose forzate che, volte a mostrare il dolore<br />
per la cattività, <strong>di</strong>ventano pretesto per dare vita ad<br />
una esteriore eleganza <strong>di</strong> chiara memoria michelangiolesca.<br />
Lo stato attuale del monumento, vistosamente<br />
alterato rispetto all’originario, così come le descrizioni<br />
generiche tramandateci dalle fonti, non permettono<br />
<strong>di</strong> avanzare sicuri confronti stilistici. Tuttavia<br />
si può fondatamente supporre che esso facesse<br />
riferimento ai modelli, allora molto in voga, del ba-<br />
118<br />
rocco romano. L’ipotesi viene confermata dalle evidenti<br />
analogie con il sepolcro al Gran Maestro Nicolas<br />
Cotoner (1663-1680) presente nella Co-Cattedrale<br />
<strong>di</strong> San Giovanni Battista a La Valletta. Attribuito<br />
al carrarese Domenico Gui<strong>di</strong>, allievo dell’Algar<strong>di</strong><br />
attivo negli ultimi decenni del Seicento, esso<br />
fu scolpito a Roma ed eretto a Malta nel 1686 10 .<br />
L’opera, ad eccezione dell’angelo reggistemma<br />
e della personificazione della Fama, ci può dare<br />
un’idea <strong>di</strong> quella che doveva essere l’impostazione<br />
generale del monumento messinese. I due prigionieri,<br />
entrambi in marmo bianco, reggono una<br />
sovrabbondante panoplia su cui sta il ritratto in<br />
bronzo sovrastato da un obelisco.<br />
Nello schema consueto del sepolcro barocco <strong>di</strong><br />
fine Seicento, Domenico Gui<strong>di</strong> inserisce il particolare<br />
delle figure dei mori in catene, richiamando<br />
una delle opere del tardo manierismo toscano più<br />
imitate fino al XIX secolo: il Monumento bronzeo<br />
a Fer<strong>di</strong>nando I de’ Me<strong>di</strong>ci, eseguito per la città <strong>di</strong><br />
Livorno da Pietro Tacca, valido allievo del Giambologna<br />
11 .<br />
Tramite il sepolcro a Nicolas Cotoner, quegli<br />
schiavi dalle pose eleganti e complicate giungono<br />
a Messina.<br />
Non è chiaro attraverso quali vie il modello<br />
maltese sia pervenuto ad Antonio Amato. Sono co-