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Il modello istituzionale corporativo a Torino nel Settecento ...

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libero, ma regolato, avrebbe potuto creare condizioni favorevoli ad un'effettiva attivazione del ceto<br />

mercantile ai fini dello sviluppo della produzione interna. In questi casi i mercanti erano pronti a<br />

intercettare la domanda estera, poiché l'organizzazione produttiva era flessibile. Qui gli elementi di<br />

rigidità non andavano tanto ricercati dal lato del capitale fisso, il telaio il cui costo era facilmente<br />

ammortizzabile, quanto dal lato del capitale circolante per la necessità di conservare <strong>nel</strong>lo stato una<br />

dotazione sufficiente di risorse umane, di lavoro specializzato, impedendo la pericolosa emigrazione<br />

durante le crisi. Per mantenere un telaio battente tutto l'anno e quindi lavoro assicurato all'operaio<br />

indipendentemente dall'esito della produzione, secondo le stime dei mercanti, alla metà del<br />

<strong>Settecento</strong> sarebbe occorso un capitale di Lp. 5.000 per la sola materia prima, organzino e trame. A<br />

tale capitale si sarebbero dovuto aggiungere le spese di fattura e tintura, ossia manodopera e<br />

coloranti. Mantenerne cinque, come prescritto dalla legge, in contropartita al privilegio concesso di<br />

esclusiva importazione delle stoffe estere, rappresentava per i mercanti un’immobilizzazione non<br />

indifferente. Essi erano restii a produrre per il magazzino, dato che “oltre ad essere denaro morto,<br />

corre ancora il pericolo delle macchie e la mutazione delle mode d’un anno all'altro”, perciò<br />

avrebbero voluto mantenere in esercizio un numero di telai proporzionato all'andamento della<br />

domanda 68 .<br />

Alla tutela del lavoro specializzato era più interessato il potere centrale che non i mercanti i quali<br />

tenevano maggiormente alla conservazione del capitale e tendevano a scaricare interamente sui<br />

lavoratori, mastri e lavoranti, tutto il peso delle frequenti congiunture negative senza preoccuparsi<br />

delle conseguenze. La renitenza mercantile indusse allora il governo a reiterate precettazioni che<br />

rischiavano di trasformare il disinteresse di tale ceto verso l'attività di trasformazione in aperta<br />

ostilità. Difatti, se i mercanti volevano continuare ad operare in regime di monopolio commerciale<br />

dovevano farsi carico del problema della disoccupazione durante le fasi recessive. Spettava dunque<br />

alla loro università "far travagliare li detti operai e mantenere loro il lavoro continuamente per<br />

impedire che diversi di loro, privati di ogni alternativa ,se non la mendicità si "absentino dal paese".<br />

Così <strong>nel</strong> 1750 ,su parere dell'Intendente generale delle gabelle, non solo vennero sottoposti<br />

all'obbligo di tenere attivi un certo numero di telaio anche durante la crisi, a fronte del privilegio di<br />

esclusiva importazione delle stoffe estere tutelato dall'introduzione di un bollo, ma vennero costretti<br />

a partecipare al riparto forzoso degli operai disoccupati:<br />

«debba essere a peso di tutta l' Università di detti mercanti da seta di mantenere gli operai oziosi, che sono<br />

capaci e fedeli, secondo un giusto riparto» 69 .<br />

Per recuperare il rapporto con i mercanti, riconosciuti come gli autentici promotori delle manifatture<br />

, lo Stato intervenne in vari modi. Con sussidi alle imprese attraverso il Consolato che corrispose<br />

una “bonificazione”, ossia un dato numero di soldi per operaio e per giorno a quei mercanti che<br />

tenevano attivi i telai necessari ad assorbire i tessitori disoccupati. Durante la crisi del 1756<br />

risultarono in tale stato 49 mastri e 80 lavoranti. Ai mastri e lavoranti impose per contro una<br />

riduzione delle rispettive tariffe. I mercanti , tuttavia, restii a produrre per il magazzino in tempi di<br />

congiuntura negativa, durante la crisi del 1749 ,attraverso i sindaci della loro università, elevarono<br />

una vibrata protesta al Magistrato mentre rifiutarono i sussidi offerti dallo Stato durante quella del<br />

1756. Le forme di sostegno pubblico consistettero anche in elargizioni alle maestranze nei momenti<br />

più critici finanziate direttamente dal sovrano. Vi fu, inoltre ,il tentativo di costituire presso il<br />

Consolato una "Cassa del soccorso per le manifatture di seta" alla quale andavano i proventi del<br />

bollo delle stoffe e la tassa pagata dagli aspiranti per l'esame di abilitazione alla professione 70 .<br />

Più rilevante di quello dei mercanti ,ai fini di una radicale trasformazione delle forme organizzative,<br />

fu il comportamento dei mastri fabbricatori che avviarono processi di concentrazione e di selezione<br />

delle botteghe che misero in serio pericolo l'unità della corporazione tenuta assieme attraverso il<br />

68 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 9<br />

69 Asto Corte,Materie economiche, cat. IV, maz. 9<br />

70 Ibidem<br />

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