Il modello istituzionale corporativo a Torino nel Settecento ...

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le nazionali perché, così facendo, sarebbe venuta meno la possibilità di copiarle direttamente presso i mercanti da seta. L'orgoglio dei mastri operai tessitori li induceva a sostenere che se avessero avuto a disposizione i disegni e i filati di materia preziosa degli artigiani di Francia avrebbero fatto tessuti auroserici “al pari di loro”. Nel 1738 per attirare in città un maggior numero di disegnatori il Consolato proibì a ciascun mercante di avvalersi dei disegni dell’ altro "con fare rilevare copia di quelli e metterli a telaio". La mancata elaborazione di un originale stile torinese rendeva particolarmente vulnerabile la produzione degli artigiani cittadini specie nei momenti di caduta della domanda o di chiusura dei mercati . Per questa ragione un disegnatore francese, certo Beltramo venne stipendiato direttamente dalla Cassa del Consolato “a beneficio delle fabbriche del paese” con il compito di formare allievi. 42
Considerazioni finali A conclusione dell’ analisi della vicenda corporativa sabauda, considerata nell’ottica settoriale del tessile - seta torinese nel corso del Settecento, si può convenire sulla non staticità del sistema che presenta al suo interno dinamiche evolutive sia sul piano della organizzazione della produzione verso strutture più accentrate sia sul piano mutualistico con la nascita delle università dei lavoranti. La conflittualità interna alle organizzazioni dei mastri operai di stoffe e dei mastri operai di calze segnalata dalle fonti è da intendersi come una reazione agli stimoli di mercato piuttosto che come una chiusura corporativa. Proprio la dipendenza dal mercato riscontrata nelle arti tessili rivolte al “commercio”, ossia alla produzione dei beni internazionali , potrebbe avvalorare un paradigma interpretativo di tipo strutturalista e continuista incentrato sulle dinamiche interne per spiegare la fioritura e l’abolizione tardive delle corporazioni torinesi, pur essendo sostanzialmente prive di una tradizione medievale. Difatti, se nel Seicento sembra esistere un grande corpo nel quale confluiscono tanto gli interessi mercantili dei negozianti e dei banchieri quanto quelli produttivi della maggior parte degli artigiani della città , nei primi decenni del Settecento questa unità viene meno e la corporazione si frantuma fino a scomparire. Forze centrifughe portano i negozianti di stoffe in seta - importatori di stoffe lionesi e al contempo mercanti – imprenditori - a costituirsi in corporazione distinta dai mastri tessitori che a loro volta si danno una propria organizzazione corporativa, ma ben presto anche i lavoranti tessitori si renderanno visibili con proprie unioni finalizzate al mutuo soccorso. Dalla ricostruzione dei fatti relativi all’evoluzione settoriale del tessile –seta torinese emergerebbe la necessità di focalizzare l’attenzione sul mutamento delle condizioni di mercato come causa prima dell’agire di forze disgregatrici dell’unità iniziale. All’interno del grande corpo sorgono, infatti, interessi conflittuali che tendono a confrontarsi in forma organizzata. Gli interessi dei produttori sono altri da quelli dei mercanti ,dato che questi ultimi conseguono profitti più elevati commerciando le stoffe lionesi invece delle nazionali, ma proprio sui primi fa leva il potere centrale per piegare l’individualismo mercantile all’interesse più generale dello stato ponendo forti vincoli alla libertà d’intrapresa in cambio del privilegio concesso alla corporazione di esclusiva importazione . Dalla parte dei mastri tessitori , una élite tende a emanciparsi dalla subordinazione verso i mercanti importatori assumendo direttamente il controllo della distribuzione attraverso la doppia immatricolazione nella università dei tessitori e dei mercanti di stoffe. I processi di concentrazione cui entrambi i soggetti danno vita per sostenere la concorrenza sui mercati internazionali, tuttavia, scatenano gli interessi in conflitto della base dei produttori che chiedono e ottengono limitazioni al numero di telai per mastro così come i lavoranti, che vedono ridursi le possibilità di progressione nella carriera e perdono salario e lavoro in seguito al reclutamento da parte dei mastri di personale meno qualificato, chiedono e ottengono l’introduzione di limitazioni al numero degli apprendisti , ma soprattutto ottengono la possibilità di associarsi separatamente , sia pur per sole finalità assistenziali e previdenziali. In questo gioco delle parti le corporazioni sopravvivono fintanto che la base del mondo produttivo si aggrappa ai due principi fondanti del patto associativo: la distribuzione delle commesse tra tutti i mastri e la difesa del lavoro qualificato. Per quanto attiene all’aspetto della valutazione di efficienza ed efficacia dell’azione corporativa, si può ritenere che nella produzione di alta qualità su piccola scala il ruolo svolto dal lavoro corporativo non abbia rappresentato sostanzialmente un elemento di ostacolo al raggiungimento dei traguardi di valorizzazione della risorsa serica nazionale indicati dalla programmazione sabauda, anche se i risultati non raggiunsero la dimensione auspicata. Difatti, mentre il gioco competitivo nei confronti del produttore francese era perfettamente riuscito con il semilavorato piemontese che aveva messo fuori mercato i filatoi d'Oltralpe, altrettanto non era avvenuto nei confronti di Lione per i beni finali. Sebbene fossero stati conseguiti traguardi produttivi non del tutto insignificanti e fosse cresciuta la capacità tecnica dei fabbricatori fino ai più alti livelli, sebbene esistesse una reale convenienza economica da parte dei consumatori esteri all'acquisto dei tessuti torinesi, il destino del settore nel corso del secolo rimase incerto. Attribuirne la causa unicamente al mantenimento del 43
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