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I boscosi monti “svizzeri” di fronte alle Eolie Siete stati in Sicilia. Non siete stati sui Nebrodi. Permettete una domanda? Cosa siete andati a fare, in Sicilia? Per carità! L’isola è assolutamente tutta da vedere. Ci mancherebbe! Il mare colore del vino, l’infuocata maestosità del vulcano, le emozioni antiche dei siti greci, la beltà delle vestigia arabe e normanne, la genuina grandiosità del barocco, i riarsi e grandiosi paesaggi del Gattopardo… Ma la catena di monti che sovrasta il mar Tirreno, proprio di fronte alle isole Eolie, ha qualcosa di veramente speciale: il verde. Un verde intensamente boscoso, davvero inusuale in una terra che ha fama d’essere tutta pietrosa e arida. È, a cercare un raffronto, un angolo di Svizzera. Ma forse è più semplice dire: sono i Nebrodi. Che, nelle vallate più occidentali – quelle che dal Tirreno, dirimpetto alle incantevoli Eolie, convergono verso la Portella dello Zoppo, proprio in faccia al maestoso Etna – s’impreziosiscono <strong>della</strong> peculiare presenza di assai estesi e secolari noccioleti. Ma sui Nebrodi, appunto, prevaleva la coltura del gelso, legata all’allevamento del baco da seta. Proprio negli anni in cui l’Alfonso scriveva il suo dotto trattato, una grave crisi colpì l’industria <strong>della</strong> seta e venne felicemente risolta con drastica misura: le vaste piantagioni <strong>della</strong> moracea furono interamente espiantate, ad eccezione di qualche esemplare, giusto per lasciarci assaggiare ancora le incredibili granite di more. Al posto dei gelsi, manco a dirlo, arrivarono i noccioli, che Sicilia <strong>Nocciola</strong>ndo Un singolare viaggio in Sicilia “Il nocciulo, in Sicilia, è l’arancio <strong>della</strong> montagna”.Lo ha scritto Ferdinando Alfonso, nel 1886, come incipit di un monumentale trattato su questa coltura che, nell’isola, era all’epoca alquanto diffusa. E ne attribuiva il merito a quegli stessi Arabi che avevano introdotto, lungo la costa delle felici terre isolane, proprio la coltivazione dell’arancio. Sbagliando, probabilmente: le prime piantagioni corilicole risalirebbero, infatti, al tardo periodo romano imperiale (III secolo d.C.), quando qualche ricco proprietario di terreni potrebbe aver trapiantato, forse in una delle rinomate Ville di Piazza Armerina, le celebri avellanae, che già tanti buoni risultati davano in Campania. Agli Arabi, però, andrebbe il merito di aver mantenuto viva questa tradizione produttiva, poi ereditata dai Normanni: i quali a loro volta – siamo ormai nell’XI secolo – la estesero a Polizzi Generosa, sul versante meridionale delle Madonie. Trascorsero altri secoli prima che la coltivazione delle nocciole raggiungesse le falde orientali dell’Etna e qualche collina nebrodense. hanno radicalmente ridisegnato il paesaggio delle valli. E mentre nel resto <strong>della</strong> Sicilia, con la felice eccezione dei giardini di Polizzi Generosa, le aree corilifere sono andate riducendosi (fi n quasi a scomparire), nelle aree nord-orientali dell’isola, nelle valli tra l’Etna ed il Tirreno, il nocciolo – con le varietà Curcia, Carrello, Ghirara, e le Minnulare – tiene terreno. Si spiega, così, anche la particolare e golosa tradizione pasticcera nebrodense: essa sì, certamente, debitrice degli infl ussi arabi. <strong><strong>Nocciola</strong>nds</strong> 13