Nocciolands - Associazione Nazionale Città della Nocciola
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<strong><strong>Nocciola</strong>nds</strong><br />
18<br />
Di rujìne e fracassi,<br />
di santi e di re<br />
Fu a Turturici la prima rujìna / chi persi quantu pèrdiri putìa. / Lu secunnu<br />
fracassu di sta china / l’appi la sfurtunata Castania... /<br />
Chiancinu ancora li Salvaturani... / vigni, canniti, siminati, e linu; / sulu<br />
chianciu li quattru cristiani / chi si purtàu cu tuttu lu mulinu.<br />
Alluvioni e frane appartengono alla storia delle valli nebrodensi:<br />
ne resta signfi cativa memoria nelle ottave dialettali scritte da<br />
un poeta <strong>della</strong> fi ne del ’600, Lionetto Domenico.<br />
Su per giù nella stessa epoca i Salvaturani (oggi Fitalesi… Insomma,<br />
gli abitanti di San Salvatore di Fitalia) furono benefi ciati di<br />
un miracolo da San Calogero che, ascoltando le loro preghiere, li<br />
liberò dai violenti nubifragi da cui erano tormentati da giorni.Il<br />
culto del venerato eremita ha originato la fondazione di un frequentatissimo<br />
santuario e da quattro secoli, il 5 febbraio, a ricordo<br />
del prodigio, la nera statua lignea del santo viene portata da<br />
qui alla chiesa madre, in silenziosa processione penitenziale, per<br />
far ritorno ‘a casa’ la domenica successiva, in festoso tripudio.<br />
Quanto alla Castania dei versi, nel 1865, essendo minacciata da<br />
incombenti frane a causa di ennesime “replicate tempeste”, venne<br />
sgomberata. Il capoluogo fu trasferito in contrade più sicure e<br />
prese il nome di Castell’Umberto, in onore dell’allora principe<br />
Savoia.<br />
Ma il vecchio centro storico resta luogo di grandissimo fascino:<br />
spicca per raffi natezza d’arte il campanile che, con la cuspide<br />
adorna di maioliche di Naso in cromia giallo-ferracia, si staglia<br />
sullo sfondo <strong>della</strong> rocciosa scarpata che pare ancora minacciarlo.<br />
Il maiorchino<br />
dalla codara alla sarva<br />
Vagolando<br />
Il più, il maiorchino, è farlo. Occorre latte di pecora montana.<br />
Occorre scaldarlo, senza bollirlo, in una caldera di rame – una<br />
codara – e poi versargli il caglio e mescolare e poi coprire con la<br />
pelle d’una pecora. Quando le pectine hanno fatto il loro lavoro di<br />
coagulo, si mescola la quagliata e si sminuzza e si mescola ancora,<br />
stavolta facendola bollire. Poi, un riposino: che, raffreddando, il<br />
gel decanti (in termini chimici, di questo si tratta). Ancora tiepido,<br />
l’impasto si lavora a mano per renderlo integro e compatto,<br />
schiacciando e sforacchiando di tanto in tanto perché l’acciado, il<br />
siero, gocci fuori. Allora si ripone tutto nella garba, una corazzetta<br />
in legno che imprime la forma circolare al cacio. Via in luogo<br />
fresco, a stagionare: sale di mare su un lato, tre giorni, capovol-