FASH ION DEM OCR ACY ALEX TI GUAR<strong>DA</strong>, ti studia, parla con te. Poi ti rifà il look al costo di una lezione di piano. Facile, no? Confessioni di una “personal stylist”. Che non si prende troppo sul serio testo: Sara Tedeschi foto: Enzo Dal Verme 20 URBAN Prima o poi arriva. Quella mattina in cui ci si alza, ci si veste, ci si guarda allo specchio e poi si sente un tonfo; inequivocabile, impietoso, sordo. Quello delle braccia (proprie) che cadono, senza incertezze. Inutile cambiarsi venti volte maglietta, pantaloni, scarpe e golf – accumulando ritardo; quello è un assoluto momento di non ritorno. Insoddisfatti dei vestiti (troppo larghi, troppo stretti, del colore sbagliato, dalle forme out o eccessivamente in), dei capelli e – all’apice del nervosismo – della propria immagine in toto, la giornata è già partita male. Anzi malissimo. Un’alternativa al buttarsi nello shopping selvaggio a tre zeri è prendere un caffè con Alexandra Hemon (Alex), o scriverle (lexemon@hotmail.com) e poi fare quattro chiacchiere. Alex, ventotto anni, francese della Réunion, ha vissuto e studiato a Tours e a Parigi e da due anni abita a Milano dove, tra le altre cose, fa la personal stylist, cioè una che vi parla, vi guarda e poi vi dà qualche consiglio. Di bellezza, di abbigliamento e di stile. Il tutto calibrato su di voi. Ma sempre sorridendo, con ironia e, cosa più importante, con grande autoironia. Fammi capire, ma com’è che uno diventa personal stylist? Guarda, io per essere sinceri sono designer e grafica e amo le nuove tecnologie, però quando ero a Parigi ho lavorato in uno studio di tendenze, Nelly Rodi, dove cercavo anche oggetti e arredamento. Poi qui in Italia ho cominciato quasi per gioco, con molta leggerezza. Ed eccomi qua. Va beh, mi spieghi come funziona? In pratica cosa fai? Beh, tu mi chiami, ci incontriamo, parliamo e intanto io guardo che tipo sei, molto semplicemente. Ascolto cosa vuoi, qual è il tuo problema, in cosa desideri cambiare e alla fine ti dico qualcosa sui colori, sugli abbinamenti, sui gioielli al limite, ma senza stravolgerti la vita. Cioè non mi dici di rasarmi i capelli a zero o di farmi bionda platinata… No, no! Evito interventi così radicali. La gente sui capelli ha mille resistenze. Più che altro spiego come sfruttare i vestiti che uno ha già. O magari consiglio qualche acquisto, ma sempre cose piccole. Certo, se poi qualcuno ha soldi da spendere si può comprare qualche vestito in più. E oltre agli acquisti su cosa ti concentri? Sul modo di muoversi, di presentarsi, per esempio, anche sul modo di parlare. Chi è che viene da te? Mi fai dei nomi? Si può? Certo! Ho cominciato con un calciatore di serie B, francese, di colore, poi qui in Italia mi sono occupata di Tamara Donà (come costumista nella sua trasmissione), di Filippo d’Aquarone giornalista del Tg4, di un uomo d’affari, ma anche di una ragazza borghese. Però, se devo dirlo, più uomini che donne. Particolare interessante questo, no? Eh… l’uomo italiano è curatissimo. Anche troppo curato. A volte fuori non c’è niente da migliorare… bisognerebbe curare cose più profonde… Sbagli mai? Tipo che dopo ti dici: “No, era meglio prima”. Matematico: se uno dopo tutto non è a suo agio vuol dire che sicuramente ho sbagliato. A chi rifaresti il look? A Maria De Filippi, che è maschile e avrebbe bisogno di vestiti semplici e raffinati proprio per compensare, invece la si vede con questi jeans molto lavorati, eccessivi. E poi? E poi, mi si perdoni la sfacciataggine, a Karl Lagerfeld. Una figura sacra della moda, che però più che vestirsi si nasconde… nei suoi vestiti. Con questi occhiali totali… troppo statico. Comprare vestiti, dicevi. Qui a Milano hai dei negozi di riferimento? Mi piace molto via Pier della Francesca, con negozietti magari anche di abbigliamento usati tipo Surplus o vintage strano. Ma anche il mercato va bene. Una parentesi: quali sono i posti che ti piacciono a Milano? Mi piace il Living, non mi piace per niente La Banque. Capito il tipo? E rifarsi il look quanto costa? Cioè venire da te che sei personal stylist. La stessa cifra che prendo per dare una lezione di pianoforte. Dai!? Sì sì, io suono anche il piano. Insomma dai 30 ai 100 euro. Dipende da chi ho di fronte, dal lavoro e dal tempo. Metti che andiamo in giro due pomeriggi e che magari sei un uomo d’affari o che sei studentessa e prendiamo solo un tè insieme. Una specie di beauty-democrazia… Mi sembra più che giusto. E poi… Poi adesso siamo qui da un’oretta. Adesso parliamo di te. Di me? Ma qui l’intervista non la facevo io? Per esempio tu sei vestita tutta di nero, si vede che lo fai sempre. Molto classico e molto semplice, ma anche sempre elegante. Grazie. E la cosa è molto interessante: nel teatro il nero viene indossato da chi lavora con il volto e le mani. E tu nella vita e qui con me lavori con le mani (scrivi) e il volto (occhi, orecchie, bocca). E poi i gioielli: si vede che quelli che porti hanno un significato, sono importanti e li metti sempre. Vero. Vedi cosa fa la personal stylist? URBAN 21
PUTTANOPOLY UN GIOCO <strong>DA</strong> TAVOLO è una metafora della vita. Ma quale vita? La vita d’inferno delle ragazze di strada. Sfruttate, picchiate, umiliate. Ma anche ironiche e intelligenti. Un lancio di dadi per capire tutto testo: Andrea Dambrosio / illustrazione: Quickhoney È un singolare mix tra il Risiko e il Monopoli, ma invece di cannoneggiare il vostro vicino di casa e conquistare Nord America e Africa o di costruire hotel e gettare sul lastrico gli altri giocatori, dovete cercare di guadagnare soldi, pagare il pizzo al pappone, evitare di cadere nelle mani della polizia e di farvi accoppare dall’immancabile sbroccato di turno. Mica facile. Provateci voi a girare nei quartieri gestiti dalla mafia e a districarvi tra retate, poliziotti onesti e corrotti, clienti, preti, serial killer e sfruttatori. Su e giù per la città, con due dadi in mano e la speranza di non URBAN 25