PDF N. 30 - Liceo Classico Ragusa
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CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
QUADERNI DEL<br />
LICEO CLASSICO “UMBERTO I”<br />
DI RAGUSA<br />
<strong>30</strong><br />
DICEMBRE 2011<br />
Direttore editoriale<br />
Vincenzo Giannone<br />
Coordinatore di Redazione<br />
Salvatore Cascone<br />
Redazione<br />
Gaetano Accardi, FilippoNeri Cascone,<br />
Andrea Guastella, Biagio Interi, Giuseppe Tumino<br />
Copertina<br />
Laboratorio di Arte del <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> “Umberto I” di <strong>Ragusa</strong>.<br />
Direttore del laboratorio Michele Canzonieri<br />
La presente pubblicazione è stata composta presso il laboratorio<br />
di Informatica del <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> “Umberto I” di <strong>Ragusa</strong>.<br />
Direttore del laboratorio Guglielmo Ruta<br />
Aut. Tribunale di <strong>Ragusa</strong> n. 2 del 16/01/2007<br />
Direttore responsabile<br />
Carmelo La Porta<br />
www.liceoclassicoragusa.it<br />
e-mail: liceoclassicoragusa@yahoo.it<br />
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
SOMMARIO<br />
5<br />
Premessa<br />
13<br />
Vincenzo Giannone<br />
IL LICEO CLASSICO OGGI E …. DOMANI:<br />
LE INCERTE E DISCUTIBILI COORDINATE DI UNA<br />
AVVENTUROSA PALINGENESI<br />
33<br />
Vincenzo Giannone<br />
LUCILIO E LO STOICISMO<br />
69<br />
Giuseppe Tumino<br />
MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE<br />
87<br />
Salvatore Cascone<br />
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE:<br />
UN EPISODIO DELLA STORIA ROMANA RIVISITATO ALLA LUCE<br />
DELLA TESTIMONIANZA DI APPIANO<br />
106<br />
Andrea Guastella<br />
MOSAICI IN SICILIA: LA VILLA DEL TELLARO<br />
123<br />
Maria Lenzo<br />
IL MOSAICO DEL RISCATTO DI ETTORE:<br />
UNA PROPOSTA DIDATTICA PLURIDISCIPLINARE<br />
129<br />
Andrea Guastella<br />
CHI TOCCA IL MARE MUORE:<br />
STORIA DI UN DIPINTO DI PIERO GUCCIONE<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
Con un po’ più di saggezza…<br />
Più saggiamente vivrai , o Licinio, non sempre l’alto<br />
mare sfidando o, saggiata la forza spaventosa<br />
delle tempeste, non tenendoti troppo vicino<br />
alla riva insidiosa.<br />
Chiunque della giusta misura, preziosa come l’oro,<br />
vive contento è al sicuro, senza provare<br />
la miseria di cadente tugurio, ma sa che deve tenersi lontano<br />
da invidiato palazzo.<br />
Più spesso è squassato dai venti immenso<br />
pino e con più grave rovina precipitano le alte<br />
torri e con più forza le folgori si abbattono<br />
sulle cime dei monti.<br />
Un animo ben preparato, se la sorte è nemica, ha la speranza<br />
e, nella fortuna, il timore che il corso degli eventi si inverta.<br />
Gli inverni, che oscurano la bellezza, a tempo li riporta<br />
Giove ed è sempre Lui che<br />
li porta lontano. Se oggi va male,non sarà sempre<br />
così. Talora con la cetra desta la Musa<br />
silente e non sempre tende<br />
il suo arco Apollo.<br />
Nelle difficoltà della vita mostrati coraggioso<br />
e forte, ma tu poi da saggio<br />
raccoglierai le vele quando saranno gonfie per vento<br />
troppo favorevole.<br />
Quinto Orazio Flacco (Carm., II, 10)<br />
(traduzione di V. Giannone.)<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
PREMESSA 5<br />
P R E M E S S A<br />
Questo numero antologico della nostra Rivista riteniamo che abbisogni<br />
di una breve puntualizzazione per almeno due ragioni, sulle quali cercheremo<br />
di richiamare l’attenzione di quanti hanno la bontà di seguirci ormai<br />
da un lungo lasso di tempo e ai quali ci piace pensare come a dei fidati<br />
amici con i quali interloquire in ogni frangente della nostra attività di studio<br />
e di ricerca, per averne l’assenso o per sperimentarne gli umori in un<br />
costruttivo confronto di idee.<br />
In primis piace sottolineare il fatto che con questo numero chiudiamo<br />
un quindicennio di attività editoriale, che non poteva non essere evidenziata<br />
ed opportunamente richiamata alla nostra comune memoria almeno<br />
per il fatto che dietro le realizzazioni editoriali che siamo riusciti a concretizzare<br />
c’è stato un enorme lavoro collettivo nell’ambito del nostro<br />
<strong>Liceo</strong>, il generoso sacrificio di quanti non si sono mai tirati indietro per<br />
garantire, nei settori operativi di loro pertinenza, la non facile periodicità<br />
della nostra Rivista, come c’è stato soprattutto l’indefessa volontà di tutti<br />
coloro che hanno redatto i testi pubblicati di difendere strenuamente una<br />
iniziativa per tanti versi assolutamente originale, anzi addirittura unica<br />
nel panorama delle scuole superiori del nostro Paese.<br />
Sia ovviamente detto senza iattanza alcuna, ma non ci consta che un altro<br />
<strong>Liceo</strong> o Istituto Superiore sia riuscito a coprire quasi un ventennio di<br />
attività scolastica, documentando quasi ogni semestre quello che si era<br />
potuto realizzare da parte degli studiosi operanti nello stesso <strong>Liceo</strong> o da<br />
specialisti esterni chiamati ad operare a beneficio della nostra comunità<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
6 PREMESSA<br />
in ben mirate iniziative di formazione o di aggiornamento professionale<br />
attentamente calibrate sulle nostre necessità del momento.<br />
Queste erano, infatti, le coordinate alle quali ab origine ci si era prefissi<br />
di fare riferimento, proprio per valorizzare al massimo grado le attitudini<br />
dei nostri docenti e il loro potenziale di ricerca e di raggiungimento di<br />
esiti scientifici e didattici di notevole consistenza qualitativa, ma troppe<br />
volte misconosciuti se non addirittura mortificati. Eravamo e siamo sempre<br />
convinti che nessun obiettivo di qualità può essere conseguito se<br />
manca nella comunità scolastica una forte e chiara tensione ideale e culturale,<br />
se in essa non si avverte imperioso il bisogno di riscattarsi da ogni<br />
forma di sudditanza e di farsi in modo autonomo protagonisti delle proprie<br />
vicende professionali, prendendo sempre più coscienza dei propri<br />
limiti e delle proprie possibilità, aprendosi al confronto e all’interscambio<br />
delle opinioni e delle cognizioni, ma anche dando il proprio responsabile<br />
contributo per la crescita, quanto più possibile armoniosa e solida culturalmente,<br />
della propria comunità scolastica.<br />
Tutto questo presuppone senso di responsabilità, dedizione a ben operare<br />
ed anche impegno indefesso e convinto a dare il meglio di sé in ogni<br />
senso, anche sul versante dell’attività didattica, che in nessun modo può<br />
prescindere da quella tensione ideale alla quale abbiamo fatto riferimento<br />
e dalla contestuale disponibilità a perennemente migliorare nelle proprie<br />
e specifiche competenze specialistiche, nel tentativo niente affatto velleitario<br />
di attivare un circuito virtuoso potenzialmente foriero di risultati<br />
ampiamente positivi su molti versanti operativi.<br />
Questa la motivazione di fondo della nostra iniziativa editoriale che,<br />
quindi, aveva ed ha come scopo primario il resoconto di quanto fatto in<br />
virtù di un collegiale ed attento lavoro di potenziamento e di affinamento<br />
delle nostre capacità operative sul versante delle competenze specialistiche<br />
e della connessa operatività didattica, ma che al contempo mirava a<br />
stimolare in ciascuno di noi il desiderio e il bisogno di una ulteriore cre-<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
PREMESSA 7<br />
scita per meglio operare a vantaggio dei giovani che ci sono affidati, ma<br />
anche per tendere ad un sempre più intenso appagamento personale, a sua<br />
volta alla base di ulteriori e possibili progressi in tutte le direzioni.<br />
Da quanto detto credo che emerga con nettezza quanto fosse opportuno<br />
fermarsi a qualche più consistente riflessione dopo tre lustri di fatica e di<br />
soddisfazioni, dopo tante vicende e tantissimi ricordi, che sostanziano<br />
comunque un iniziativa che ci ha visti impegnati al limite delle nostre<br />
possibilità e per la quale molti docenti di questo <strong>Liceo</strong> hanno dato prova<br />
di una disponibilità, di una abnegazione e di una nobiltà di intenti veramente<br />
ammirevoli e degne della più alta considerazione. Di questo si ricordino<br />
quanti sproloquiano sulla scuola di oggi e, da insipienti demiurghi,<br />
prospettano scenari operativi di cui subito si avverte la opacità e la<br />
futilità.<br />
Proprio in questa ottica, il presente numero di «Chronos» contiene una<br />
silloge, limitata certo ma significativa, di apporti specialistici di studiosi<br />
in forza al nostro <strong>Liceo</strong> e che hanno concretamente contribuito al buon<br />
esito della nostra Rivista, dove hanno pubblicato il frutto delle loro ricerche.<br />
Alcuni apporti erano, però, rimasti inediti o avevano trovato diffusione<br />
o collocazione in ambiti, qualificati certamente, ma un po’ troppo circoscritti<br />
o, addirittura, di nicchia, mentre avrebbero meritato una circolazione<br />
più ampia e una più diffusa attenzione. Per questa ragione abbiamo<br />
deciso di riproporli in questo numero speciale, accanto ad altri appositamente<br />
approntati per questo numero, a dimostrazione che in questo lungo<br />
lasso di tempo ci si è costantemente impegnati in concordia di intenti e in<br />
costanza di motivazione. E questo è già – mi pare - un ottimo risultato!<br />
Veniamo adesso alla seconda e più cogente ragione alla quale abbiamo<br />
fatto riferimento nell’intento di puntualizzare le ragioni che ci hanno<br />
condotto a preparare questo trentesimo numero della Rivista con una inconsueta<br />
attenzione a momenti pertinenti alla nostra pregressa attività. In<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
8 PREMESSA<br />
realtà dovremmo fare un discorso parecchio complesso e che ci porterebbe<br />
assai lontano, visto che ci indurrebbe a riflettere su quel che, ormai da<br />
troppi anni, sta avvenendo nei Licei Classici del nostro Paese, sui quali si<br />
è abbattuto un fuoco di sbarramento di notevolissima entità, ma anche per<br />
molti versi difficile da decodificare.<br />
Infatti, non si riesce a comprendere come mai, in un contesto scolastico<br />
– qual è quello nostro - parecchio accidentato e anchilosato, incapace di<br />
reggere il confronto con il più dinamico mondo esterno e di misurarsi con<br />
la realtà scolastica degli altri paesi europei (dove per la verità non è tutto<br />
oro quel che riluce e dove caso mai la gestione del sistema nazionale di<br />
istruzione risente di un atteggiamento “politico” in linea di massima serio<br />
e in genere immune da maldestra improvvisazione), ci si sia avventati<br />
con sospetto accanimento e con una determinazione degna di miglior<br />
causa contro il <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong>, contro, cioè, l’unico indirizzo di studi che,<br />
forte di un retaggio storico e culturale di indiscusso valore, ha dato secolare<br />
prova di meritare il posto centrale occupato nell’ambito del sistema<br />
scolastico italiano, avendo rappresentato fino ad ora un punto obbligato<br />
di riferimento per generazioni di nostri studenti, che hanno conseguito<br />
esiti anche di sicuro prestigio e che in tante occasioni si sono mostrati<br />
perfettamente in grado di reggere il confronto con i colleghi di qualsiasi<br />
altro Paese straniero.<br />
Certo i problemi non mancano e noi stessi che operiamo in questi Istituti<br />
siamo in grado di puntualizzarne i punti deboli e le inevitabili manchevolezze,<br />
come siamo capaci di suggerire tutti i possibili rimedi del caso,<br />
molto meglio certamente di aspiranti strateghi che magari ci sopravanzano<br />
in dottrina e in demiurgica capacità di congegnare un efficace sistema<br />
scolastico, ma che non sempre nelle loro proposte hanno travasato la<br />
stessa passione, lo stesso “entusiasmo” (uso questa parola nella sua accezione<br />
originaria!), lo stesso coinvolgimento emotivo che invece dimostrano<br />
quanti questo <strong>Liceo</strong> lo conoscono dall’interno, direttamente, per<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
PREMESSA 9<br />
lunga e generosa esperienza delle sue potenzialità e della sua collaudata<br />
offerta culturale e formativa.<br />
Come si vede, la questione è assai complessa, ma non per questo ci si<br />
deve astenere dall’intervenire nell’agone e dall’animare il dibattito, non<br />
fosse altro che per non lasciare che tutto il confronto avvenga e si esaurisca<br />
in partibus infidelium, ovverossia si svolga in modo sbilanciato e,<br />
talora, anche inaudita altera parte (come si esprimono i giurisperiti!).<br />
Nel nostro piccolo, nel nostro <strong>Liceo</strong> non ci siamo sottratti al confronto,<br />
ché anzi abbiamo avuta la possibilità di attivare un intenso dibattito interno<br />
e di dare il nostro, modesto ma sincero e documentato, contributo in<br />
vari ambiti operativi e in situazioni parecchio impegnative, sempre comunque<br />
animati dalla volontà di non rinnegare mai il confronto con chi la<br />
pensava in modo diverso da noi, di riflettere adeguatamente sulle proposte<br />
che di volta in volta venivano avanzate e di non accettare mai nulla<br />
supinamente a tutela di uno stile e di una tradizione culturale di cui sentivamo<br />
e sentiamo sempre l’onere e l’onore.<br />
Per questa ragione abbiamo concordato di anteporre agli altri contributi<br />
scientifici presenti in questo numero una riflessione sulla complessa faccenda<br />
della prospettata (e paventata) metamorfosi del nostro <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong><br />
(e di esso qualcuno arriva ad augurarsi addirittura una palingenesi!),<br />
quasi per segnare in modo netto i confini del campo d’azione entro il<br />
quale ci si è mossi e rendere in tal modo esplicito il fatto che il nostro<br />
lavoro intellettuale, le nostre appassionate ricerche, la nostra tensione<br />
ideale (per offrire agli studenti che ci sono affidati il meglio delle nostre<br />
possibilità e per far sì che si ingeneri nel nostro ambito un circuito virtuoso<br />
capace di “contagiare” chiunque in esso si trovi ad operare a tutti i livelli<br />
possibili) in tanto avevano un senso, in quanto alle nostre scelte era<br />
sotteso il convincimento di operare per un fine nobile, per esaltanti idealità,<br />
per un progetto culturale e didattico in grado perfettamente di realizza-<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
10 PREMESSA<br />
re ed esaurire tutti i nostri propositi professionali e la ragione stessa di<br />
operare in una scuola “dal cuore antico” e di straordinario fascino.<br />
Dal complesso dei contributi scientifici pubblicati non dovrebbe essere<br />
disagevole (almeno speriamo!) poter arguire non solo quello che si è potuto<br />
realizzare - pur in penuria di mezzi e in mancanza di un adeguato<br />
punto di riferimento istituzionale -, ma soprattutto quello che sarebbe<br />
possibile concretizzare se solo ci si decidesse a ridare ai Licei Classici<br />
quella straordinaria spinta propulsiva che un tempo li caratterizzava e ne<br />
costituiva il segno più evidente, ma anche ci si persuadesse a non aver<br />
paura di dire a chiare lettere che gli Istituti Classici non possono non ritornare<br />
ad essere, oltre che un eccellente veicolo di trasmissione del sapere,<br />
anche un luogo deputato in cui si fa cultura a livelli alti e si può benissimo<br />
fare ricerca magari in uno stadio operativo non sempre collimante<br />
con quello accademico, ma pur sempre ad esso accostabile e, in definitiva,<br />
complementare.<br />
Questo accadeva una volta, quando era all’ordine del giorno una intensa<br />
osmosi fra mondo accademico e larghi settori (letterari e scientifici) dei<br />
Licei Classici (al punto che non stupiva nessuno che una folta schiera di<br />
docenti liceali passava poi a tenere cattedra in molte Università, nelle<br />
quali poi trovavano le condizioni adatte per conseguire esiti scientifici di<br />
grandissimo rilievo), e questo può tornare a ripetersi anche ora, per la<br />
presenza nei nostri Istituti di docenti di enorme valore, che largamente<br />
compensano con il loro ineccepibile operato e con la loro rimarchevole<br />
competenza gli eventuali momenti di fragilità e di approssimazione che<br />
dovessero presentarsi, soprattutto in connessione con una diminuita attenzione<br />
nella selezione e nella formazione in itinere del personale scolastico<br />
destinato o destinabile ad operare in un settore formativo così delicato<br />
e particolare quale è quello di cui ci stiamo occupando.<br />
Non è facile fare questi discorsi, ma dobbiamo avere il coraggio di farli,<br />
se veramente vogliamo essere credibili quando scendiamo in campo per<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
PREMESSA 11<br />
schierarci a favore dei nostri Licei e delle loro straordinarie peculiarità,<br />
che - come si diceva - oggi rischiano di essere messe in discussione per<br />
ragioni non sempre chiare e convincenti, compreso il fatto che molto<br />
spesso a conquistarsi il diritto di parola sono proprio quelli che meno<br />
hanno diretta esperienza ed autentica cognizione della storia, delle vicende,<br />
delle benemerenze e delle larghe acquisizioni degli Istituti Classici<br />
del nostro Paese.<br />
Ora, se un piccolo (anche se antico) <strong>Liceo</strong> come il nostro, operante in<br />
un territorio onusto di storia e di civiltà, ma pur sempre caratterizzato da<br />
una pesante e multiforme marginalità, ha potuto creare le condizioni perché<br />
si potesse operare in un gratificante clima di serenità, di cooperazione<br />
e di condivisione di obiettivi culturali e didattici di un qualche rilievo,<br />
ben altro sarà certamente possibile conseguire con ben altra disponibilità<br />
di mezzi e, soprattutto, con una recuperata tensione ideale, affiancata ovviamente<br />
da una generale rimotivazione di tutto il personale docente e da<br />
una riconsiderazione (assolutamente necessaria ed auspicata) di una realtà<br />
di fatto neanche tanto difficile da cogliere e cioè che i nostri Licei<br />
Classici continuano ad essere nel nostro Paese il cardine di un sistema di<br />
istruzione, che di essi non può liberarsi, a meno di non volersi accontentare<br />
di un insieme di strutture formative di approssimativa consistenza<br />
qualitativa.<br />
Qualcuno, forse, vuole proprio questo e lavora sottotraccia (perché in<br />
campo aperto non avrebbe nessuna speranza di farla franca!) a danno dei<br />
nostri Licei, poco malleabili e strumentalizzabili, ma noi (e tutti quelli<br />
come noi che fanno una ragione di vita la salvaguardia della cultura classica)<br />
siamo sempre pronti a scendere in campo per contrastare una siffatta<br />
iattura.<br />
In sintesi, dietro il nostro modesto lavoro c’è la speranza di aver fatto<br />
qualcosa di utile per noi e per i nostri studenti, nella persuasione che ogni<br />
sforzo fatto in questa direzione, ogni tentativo di riaffermare la nostra<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
12 PREMESSA<br />
dignità professionale, ogni forma di testimonianza delle nostre conoscenze<br />
e delle nostre competenze traggono la loro vera giustificazione<br />
dall’orgoglio di essere una parte - anche se piccola - di un contesto di<br />
enorme rilevanza, in cui è gratificante operare e che vale la pena di difendere<br />
e di amare.<br />
Con queste coordinate abbiamo lavorato e di cuore ci auguriamo di poter<br />
continuare ad operare ancora per un bel po’, anche se faremmo sempre<br />
bene a non dimenticare che - come diceva Orazio nella quarta Ode<br />
del Libro I - «vitae summa brevis spem nos vetat incohare longam». Ovviamente<br />
non solo per questo abbiamo realizzato questo numero retrospettivo<br />
della nostra Rivista!<br />
Ad maiora!<br />
Vincenzo Giannone<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI 13<br />
Vincenzo Giannone<br />
IL LICEO CLASSICO OGGI E …. DOMANI:<br />
LE INCERTE E DISCUTIBILI COORDINATE DI UNA<br />
AVVENTUROSA PALINGENESI 1<br />
Una preliminare e doverosa attestazione di gratitudine non può non andare<br />
agli organizzatori di questo importante Convegno e in particolare al<br />
Preside di questo <strong>Liceo</strong>, mio fraterno amico, al quale mi legano mille indelebili<br />
ricordi attinenti ad un decennio di comune esperienza didattica<br />
nel <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> “Zucchi” di Monza per buona parte degli anni Settanta<br />
e i primi anni Ottanta, in un momento storico, cioè, in cui la Scuola italiana<br />
non poté non risentire dei turbinosi sommovimenti sociali e politici<br />
in atto allora nel nostro Paese, avviandosi così verso una ridefinizione del<br />
proprio assetto e della sua stessa configurazione culturale, ma con risultati<br />
sulla cui bontà non è mai stato e non è ancora oggi facile concordare.<br />
Infatti, troppe sono le valenze sociali, politiche e culturali che debbono<br />
essere tenute presenti per un equanime e sereno giudizio di valore su un<br />
processo di trasformazione a n-dimensioni e di così lunga durata qual è<br />
quello che ha interessato le Istituzioni Scolastiche, nelle quali ciascuno di<br />
1 Il testo qui riprodotto è sostanzialmente quello della relazione tenuta al Convegno di<br />
studi svoltosi nell’Aula Magna del <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> Statale “A. Manzoni” di Milano, nei<br />
giorni 2-3-4 maggio 2000. Si è voluta mantenere l’originaria configurazione del testo<br />
approntato per quella occasione, nonostante qualche evidente riferimento a provvedimenti<br />
normativi ormai superati o solo parzialmente efficaci, nella persuasione che sia<br />
ancora del tutto valido l’animus dal quale sono state dettate le argomentazioni presenti<br />
in questo intervento e pertinenti ad una problematica non certo superata ed ancora sostanzialmente<br />
sub iudice.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
14 IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI<br />
noi ha cercato di operare – come cerca ancora di fare – al meglio delle<br />
proprie possibilità, con i mezzi e negli spazi che ci erano e ci sono consentiti.<br />
Questo rapidissimo accenno ai vistosi mutamenti intervenuti negli anni<br />
Settanta e Ottanta mi viene spontaneo, ripensando alle mie personali<br />
esperienze nei Licei milanesi in quegli anni, ma mi torna anche utile per<br />
entrare in medias res nella vexata quaestio (immarcescibile tormentone<br />
che ciclicamente viene riproposto alla nostra ….. disattenzione!) della<br />
attualità dei Licei Classici, della loro asserita distonia, in termini di programmi<br />
di studio e di contenuti culturali con essi veicolati, rispetto alle<br />
declamate urgenze del mondo contemporaneo e, quindi, della conseguente<br />
necessità di intervenire, con tempestività e con fermezza, a reimpostare<br />
la loro offerta formativa.<br />
Tutte cose, come ben sapete, di cui da un po’ di tempo si fa un gran<br />
parlare, pur se talora con modi e con argomentazioni su cui è lecito avanzare<br />
qualche perplessità. Tutti hanno diritto ad esprimere quel che pensano,<br />
ma non credo che occorra sempre prestare orecchio ai vaneggiamenti<br />
o alle argomentazioni speciose e poco produttive.<br />
In queste cose è necessario essere seri, perché non di una schermaglia<br />
dialettica si tratta, ma di addentrarsi in una questione di grande momento,<br />
che investe il nostro nobile, ma disagevole e periclitante, compito di educatori,<br />
il futuro degli studi umanistici nel nostro Paese, l’avvenire stesso<br />
dei nostri studenti, verso i quali – diceva Quintiliano – si deve avere un<br />
sommo rispetto, cioè la più attenta considerazione per ciò che attiene ai<br />
contenuti culturali e ai valori che ad essi vengono proposti. Nel testo<br />
quintilianeo il termine re-verentia, nella sua chiara derivazione da vereor,<br />
dice quanta attenzione e quanta onestà debbono sempre caratterizzare<br />
l’opera del magister, che, proprio in quanto si propone in un più (magis)<br />
alto livello di conoscenza, tanto maggiormente deve dare testimonianza-<br />
sempre e ovunque sia chiamato ad operare –di essere consapevole che il<br />
suo è – come diceva Freud – un mestiere “impossibile”, che egli dovrà<br />
affrontare al limite della sua intelligenza e dl suo cuore, facendo di tutto<br />
per non sbagliare, ma sapendo che l’errore è sempre in agguato.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI 15<br />
Di quei contenuti e di quei valori che ci si ripromette di proporre ai nostri<br />
discepoli è ovvio che noi stessi, per primi dobbiamo essere autentici e<br />
credibili testimoni, avendo noi stessi sperimentato la bontà e la validità<br />
delle cose che ad essi vogliamo insegnare, senza infingimenti e senza titubanza.<br />
Di ciò non credo si possa discutere, perché tertium non datur: o la nostra<br />
prassi didattica e la nostra testimonianza culturale in classe rinviano<br />
ad una solida competenza e ad una forte motivazione a ben operare in una<br />
onesta oblazione del proprio sapere per intervenire con sagacia e responsabilmente<br />
nel disagevole controllo del processo di crescita dei propri<br />
studenti, oppure tutto rischia di perdersi nelle nebbie di un poco esaltante<br />
formalismo, che non si vede quali addentellati possa avere con un autentico<br />
rapporto didattico, che tutto può essere tranne che evanescente o indeterminato.<br />
“L’educazione” – diceva Montaigne –“è una questione di contagio” ed<br />
è bene non dimenticarlo mai. La passione dell’anima, il culto della interiorità<br />
e della riflessione si trasmettono appunto per contatto diretto,<br />
guardandosi negli occhi, condividendo con pari intensità una situazione<br />
esistenziale. Nessuna ricerca può fare a meno dell’inquietudine e la ricerca<br />
in cui l’insegnante non sia totalmente implicato risulterà per l’alunno<br />
per lo meno sterile, se non addirittura potenzialmente dannosa.<br />
Risulta difficile capire come possa fare ricerca e trasmettere amore per<br />
la ricerca, educando conseguentemente ad indirizzare tutte le proprie<br />
energie verso una sapienza che sappia farsi saggezza, un insegnante che<br />
appunto non testimoni e non crei inquietudine intellettuale, amore della<br />
sapienza, angoscia dell’ignoranza, turbamento del limite, ansia del suo<br />
superamento.<br />
Queste considerazioni squisitamente pertinenti alle complessissime scaturigini<br />
della nostra deontologia didattica non vi sembrino fuori argomento<br />
o, per lo meno, decentrati rispetto alla problematica di cui si discute,<br />
dal momento che, prima di ogni proposizione ingegneristica su un ipotetico<br />
futuro assetto dei Licei Classici viene una doverosa riflessione appunto<br />
sulla prassi metodologico-didattica sperimentata nelle nostre Scuole,<br />
sul nostro modo di proporre oggi ai giovani affidati alle nostre respon-<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
16 IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI<br />
sabilità i pur fondamentali e non facili contenuti culturali e valoriali delle<br />
discipline che caratterizzano, per antica e solida tradizione, gli Istituti<br />
classici.<br />
Lasciamo stare, come cosa troppo vile ed avvilente, le improvvide e<br />
malaccorte lamentazioni di un ex Ministro sulla carenza o assenza di manualità<br />
nei Licei Classici (anch’io a suo tempo ho segnalato una certamente<br />
non voluta ma sciagurata coincidenza fra queste lamentazioni e<br />
quelle, quasi uguali alla lettera, del Ministro Bottai, nella presentazione<br />
della Carta della Scuola al Gran Consiglio del Fascismo il 19 Gennaio<br />
1939!), confiniamo, quindi, nel posto che merita quella infelicissima sortita<br />
sulla quale si sono allora avventati tanti indignati professionisti della<br />
scuola, per chiederci però se qualcosa non può essere fatta per migliorare<br />
la didattica delle discipline classiche, ma anche delle altre discipline insegnate<br />
nei Licei, perché, può anche non piacerci constatarlo, ma qualche<br />
disagio i nostri giovani studenti pare che lo avvertano nell’approccio con<br />
il Greco e col Latino e di ciò non possiamo non tenere conto. Conseguentemente<br />
dobbiamo sentire imperioso il bisogno di non assumere in nessun<br />
caso una posizione di indisponibilità alla riflessione e al confronto,<br />
laddove invece è urgente il dialogo e prioritaria la prontezza a mettersi in<br />
discussione. Come un vero umanista ha sempre fatto e sa fare!<br />
Noi qui siamo fra addetti ai lavori e non in partibus infidelium, per cui<br />
non c’è nessuna necessità di ricordare a noi stessi che nel Greco e nel Latino<br />
vanno rintracciati gli incunaboli della cultura europea, che la civiltà<br />
greco-latina, assieme a quella giudaico-cristiana, è la nostra civiltà occidentale,<br />
che insomma da questi antecedenti culturali noi traiamo per così<br />
dire, il nostro cartiglio nobiliare, cioè recuperiamo il senso profondo ed<br />
autentico della nostra identità, il significato vero, o quanto più possibile<br />
incontaminato, dei nostri pensieri e delle nostre scelte.<br />
Queste cose le sappiamo bene e le diciamo con orgoglio e con fermezza<br />
quando necessita rintuzzare attacchi rozzi ed inconsulti contro gli studia<br />
humanitatis che nei Licei Classici si coltivano e si alimentano di generosa<br />
dedizione e di nobile abnegazione (e così dicendo, non faccio uso di<br />
iperboli!).<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI 17<br />
Chiediamoci, piuttosto, se è puramente casuale il fatto (ormai di palmare<br />
evidenza) che da alcuni anni e con particolare accanimento da parte di<br />
alcuni spericolati, quanto servili maîtres à penser (asinus asinum fricat<br />
dicevano argutamente nell’antica Roma!), è in atto una perniciosa e<br />
preoccupante (e molto provinciale) strategia di deconcettualizzazione<br />
dell’insegnamento e dell’apprendimento nella scuola secondaria italiana,<br />
con la conseguente, sistematica, martellante insistenza sulla necessità di<br />
trasmettere agli alunni un sapere eminentemente pratico, immediatamente<br />
operativo, depurato da ogni astrattismo concettuale che, come tale, sarebbe<br />
–così dicono i banditori del nuovo verbo pragmatico – privo di interesse,<br />
perché privo di efficacia, incapace di modificare e, per ciò stesso,<br />
di comprendere la realtà.<br />
Di fronte a questo scenario in molti si sono chiesti se (per palese astenia<br />
culturale o per incredibile cupiditas serviendi) si vuole ancora riproporre<br />
il modello “americano”, quello appunto di una scuola fortemente deconcettualizzata,<br />
nella quale – è stato detto – molti studenti non sono neppure<br />
in grado di capire bene cosa sia scritto sul Diploma che viene loro rilasciato<br />
alla fine del corso di studi.<br />
E non si è fatto (non molto tempo fa) un gran parlare di Scuola-azienda,<br />
retta da manager di comprovata efficienza, quanto più possibile intercambiabili<br />
e programmabili e valutabili come quelli di tante imprese<br />
pubbliche (pochine, in verità!) e private (un po’ più numerose!) ?<br />
Proviamo anche a chiederci en passant quale ratio fosse sottesa ai non<br />
lontani provvedimenti sulla parità scolastica, sugli Esami di Stato (non<br />
più Esami di Maturità, termine, quest’ultimo, che troppo da vicino faceva<br />
pensare alla cultura liceale, verso la quale si auspicava invece una sorta di<br />
autentica damnatio), sui cosiddetti “saperi minimi” (e Zeus soltanto potrebbe<br />
sapere come sia fattibile porre dei confini misurabili al sapere, che<br />
per sua stessa natura e definizione rifugge da ogni notomizzazione e da<br />
ogni metrologica parcellizzazione). In una prospettiva di quantificazione<br />
del sapere, potremmo dire, come nei ricettari da cucina: “di sapere quanto<br />
basta”!<br />
A molti dei miei colleghi qui presenti saranno venute in mente le<br />
splendide parole (o quam ridiculi sunt mortalium termini!) con cui Sene-<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
18 IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI<br />
ca stigmatizza con perfida ironia ogni maldestro tentativo di frammentare,<br />
di rimpicciolire e, in definitiva, di mortificare (e senza volere sono<br />
andato a finire in un anticlimax!) cose che invece possono essere apprezzate<br />
solo se mantenute nella loro originaria e necessaria integrità.<br />
Tornando velocemente alla breve lista delle cose problematiche sulle<br />
quali saremmo tentati di fermare la nostra attenzione, ovviamente per<br />
meglio intenderne la genesi e i limiti, potremmo tornare a discutere dei<br />
“cicli scolastici”, a proposito dei quali non si è mai capito perché, nel ristretto<br />
ambito cronologico di appena due lustri, si sono sostenute posizioni<br />
esattamente antitetiche o, comunque, molto distanti fra di loro, come<br />
se la scuola italiana non avesse di meglio da fare che trastullarsi in<br />
seriosi agoni fra improvvisati campioni di opposti indirizzi di “ingegneria<br />
scolastica”, mentre “per li rami” della complessa organizzazione della<br />
istruzione pubblica si sperimenta, a tutti i livelli, un tristissimo momento<br />
di disorientamento e di preoccupante calo di tensione.<br />
Fra latinisti ci possiamo concedere di ricordare ai non pochi giovani che<br />
stanno condividendo in questo auditorium le nostre riflessioni quello che<br />
accadeva nelle scuole di retorica della prima età imperiale, quando accademicamente<br />
ci si interrogava se fosse giusto uccidere il tiranno (e su<br />
questo tema si sviluppava un ampio e ardimentoso confronto dialettico!)<br />
fuori da quelle scuole nessuno avrebbe avuto il coraggio neppure di nominare<br />
il tiranno, non essendoci più spazi dove poter esercitare<br />
l’autonomia politica e la libertà di coscienza. S’intende che il riferimento<br />
vale solamente ad evidenziare la distonia, tangibile senza tanta fatica, fra<br />
le tensioni, le pulsioni e le perplessità della scuola militante e il problematico<br />
contesto esterno, di non proprio esaltante consistenza.<br />
Si accennava poco sopra alla questione dei “cicli scolastici” e si diceva<br />
quanto fosse arduo (almeno per me) comprendere il perché, a supporto<br />
dell’ennesima proposta pertinente alla durata della scuola di base, una<br />
schiera di pedagogisti non esitava a sostenere posizioni teoretiche che<br />
una decina di anni addietro altri noti studiosi avevano tenuto in pochissimo<br />
conto sulla base di studi scientificamente accreditati sul versante della<br />
psicologia dell’età evolutiva e della didattica.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI 19<br />
Non entro volutamente nei dettagli, ma anch’io mi sono chiesto se era<br />
possibile che quegli studiosi che avevano sostenuto con le loro argomentazioni<br />
scientifiche la antecedente struttura della scuola di base fossero<br />
tutti di scarsa affidabilità scientifica o se piuttosto molti di noi, che condividevamo<br />
quelle più lontane proposte sulla articolazione temporale dei<br />
primi anni di attività scolastica, non fossero così insipienti da recepire<br />
acriticamente quelle argomentazioni che si son volute fatte passare per<br />
inappropriate o inadeguate. Forse, però, è meglio passare oltre.<br />
Ma ancora mi domando (e a voi trasmetto il mio interrogativo) quale<br />
vero intendimento fosse sotteso a quell’insieme di provvedimenti che<br />
hanno messo a soqquadro la scuola italiana, rivedendo lo stato giuridico<br />
del personale della scuola ed intervenendo imperiosamente a “razionalizzare”<br />
la rete scolastica, reimpostandola secondo parametri di efficienza<br />
(quale?), di economicità (quanta?), di legame col territorio (come?), di<br />
produttività (perché?).<br />
La quantità, i numeri sono le nuove coordinate e in questa ottica a nulla<br />
vale lamentare che, in termini statistici, a pagare un altissimo tributo sono<br />
stati proprio i Licei Classici che, in applicazione di criteri rigidamente<br />
ragionieristici, hanno perduto in altissima percentuale la loro autonomia,<br />
accorpandosi o venendo accorpati con altri Istituti, anche di molto dissimile<br />
“facies” storico-culturale, realizzando così una promiscuità, una giustapposizione,<br />
un ibrido sulla cui bontà non possiamo non essere molto,<br />
ma molto perplessi.<br />
Come mai non si parla più di qualità del servizio scolastico,<br />
nell’accezione più nobile del termine che rinvia al valore formativo della<br />
“paideia disinteressata”, della cultura come seria ed unica risorsa per recuperare<br />
i più deboli, perché essi siano nella vita “promossi” non con gli<br />
“asterischi” (altra amena e aberrante novità di questi anni!), ma con acquisizioni<br />
teoretiche ed etiche solide, metabolizzate e seriamente verificate?<br />
Queste cose pensate voi che le possano far conseguire i profeti della<br />
manualità i tanti “bittaroli” che imperversano nelle nostre scuole o gli<br />
strateghi del P.O.F., che per ogni azione didattica si domandano angosciati<br />
quali soni i prerequisiti e quali i possibili criteri di verifica e quali<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
20 IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI<br />
le potenziali incidenze in ambiti più vasti? Tutto è possibile, ma personalmente<br />
avrei qualche dubbio.<br />
In questa surreale dimensione molti docenti, ma anche molti Presidi<br />
(termine prestigiosissimo del quale non si comprende e non si condivide<br />
la damnatio) stanno a guardare, incerti se chiamati a sperimentare uno<br />
storico momento di svolta o se coinvolti in un qualcosa di troppo strano<br />
ed inquietante, di cui non si riesce a comprendere la genesi e i possibili<br />
sviluppi. Confessiamo, per il momento, anche la nostra genuina perplessità.<br />
Quel che è certo, intanto, è che va avanti il ridimensionamento del ruolo<br />
del <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> e, più ingenerale, della cultura umanistica, che è<br />
appunto il regno del concetto, della ricerca interiore, della capacità di investigare<br />
la misteriosa genitura del pensiero e delle emozioni, la problematica<br />
dimensione del comprendere, la possibilità di teorizzare una sintesi<br />
astratta a partire dagli innumerevoli e dispersi dati dell’esperienza, tutte<br />
cose che costituiscono l’ineliminabile prodromo di ogni possibile ed<br />
autentico sapere. Proprio ciò che oggi tentano di esorcizzare talune teorie<br />
pedagogiche che propugnano (e non so quanto ingenuamente!) un approccio<br />
empirico e a-teoretico alla realtà.<br />
Il fatto è che una tale malaccorta scarnificazione della politica scolastica<br />
sta avendo come infausta conseguenza non solo l’emarginazione dello<br />
studio dei classici (e siamo qui a lamentarne le conseguenze), ma anche<br />
una inaspettata depauperazione dei fondamenti teorici e metodologici degli<br />
studi scientifici.<br />
È, infatti, a tutti noto che una sana educazione scientifica non può prescindere<br />
da una idonea teorizzazione, da una valida tensione alla speculazione<br />
e alla ricerca, da un diuturno esercizio del pensiero a misurarsi con<br />
i concetti complessi, in un esaltante tentativo di risolvere i problemi attraverso<br />
congetture e tentativi di confutazione. Un “problema” null’altro<br />
è se non una “domanda” per la quale, chi se la pone, non ha ancora una<br />
risposta. E se la risposta non c’è, è ovvio che deve essere trovata e può<br />
venir trovata formulando delle ipotesi e mettendole alla prova, sbagliando,<br />
discutendo, correggendosi; può venir trovata scatenando la fantasia<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI 21<br />
che produce appunto ipotesi, che la discussione e il rigore logico metteranno<br />
alla prova e magari smantelleranno.<br />
La risposta ad un problema esige, insomma, un autentico processo di ricerca.<br />
Non esiste in questo senso un metodo per le scienze dello spirito e un<br />
metodo per le scienze naturali. Le regole metodologiche, le “leggi” che<br />
guidano la ricerca in Fisica e in Chimica sono le stesse regole che guidano<br />
la diagnosi clinica, la ricerca nelle scienze storico-sociali,<br />
l’interpretazione di un testo filosofico, la traduzione di un passo di Tucidide<br />
o di un’ode di Saffo.<br />
La teoria ermeneutica di Gadamer e l’epistemologia fallibilista di Popper<br />
presuppongono uno stesso procedimento metodologico.<br />
In una prospettiva metodologica non c’è nessuna differenza tra la soluzione<br />
dei problemi posti da una traduzione dal Latino o dal Greco e la<br />
soluzione dei problemi che si prospettano ai fisici o ai biologi, dal momento<br />
che, se tradurre equivale ad interpretare ed interpretare equivale a<br />
risolvere problemi attraverso congetture e tentativi di confutazione, allora<br />
appare con tutta chiarezza che tradurre equivale a risolvere problemi attraverso<br />
congetture e confutazioni, cioè a svolgere un vero e proprio lavoro<br />
scientifico, esattamente come quello del fisico, del biologo o del chimico.<br />
Ora, se si consideri che l’insegnamento delle scienze sovente è stato, e<br />
in gran parte ancora è, un insegnamento non scientifico, in quanto aproblematico,<br />
a-storico e a-metodologico, mentre, ad esempio, la versione<br />
dal Latino e dal Greco è stata ed è (almeno in gran parte delle situazioni<br />
didattiche) un autentico lavoro scientifico, attività di soluzione di<br />
problemi, non ha forse ragione Dario Antiseri quando sostiene che nei<br />
nostri Licei Scientifici di veramente scientifico, il più delle volte, non c’è<br />
stato che la versione di latino?<br />
Stando così le cose, perché meravigliarsi se in diverse Facoltà scientifiche<br />
si registra un consistente calo di iscrizioni? Perché dovrebbero mostrare<br />
interesse per la scienza o subirne il fascino studenti che da anni sono<br />
stati abituati sciaguratamente a rinunciare al pensiero critico, al rischio<br />
della teoria? Perché dovrebbero questi giovani affrontare il disagevole<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
22 IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI<br />
cimento di uno studio rigoroso e sistematico, quando essi non hanno mai<br />
affrontato una autentica avventura intellettuale? La fantasia necessaria<br />
per formulare una ipotesi di ricerca e i pazienti tentativi per verificarla o<br />
falsificarla, il metodo proprio della costruzione del sapere scientifico non<br />
sono mai stati svelati con sufficiente persuasività.<br />
Questo disvelamento, se è avvenuto, si è verificato proprio nei tanto vituperati<br />
Licei Classici, che proprio per questa ragione hanno forse meritato<br />
tanta considerazione e tesaurizzato un successo formativo che solo da<br />
sprovveduti e incolti strateghi (nel senso di avventizi gestori di un sistema,<br />
quello dell’istruzione, della cui complessità non è detto che abbiano<br />
la necessaria cognizione) può essere frainteso, sottostimato o addirittura<br />
spregiato.<br />
Provate a rileggere, ad esempio, i cosiddetti “Contenuti essenziali della<br />
formazione di base”, l’eccentrico documento in cui ci si prometteva di<br />
delineare addirittura un quadro dei saperi fondamentali su cui basare<br />
l’apprendimento scolastico dei nostri giovani nei prossimi decenni. Qui<br />
non solo si ribadisce la linea pratica ed operativa del sapere (niente tema<br />
all’Esame di Stato!), ma si espelle lo statuto stesso di molte discipline<br />
scientifiche, si asserisce la scarsa utilità dello studio della lingua greca e<br />
latina e, per finire, si mostra uno sconsiderato entusiasmo per il … videogioco,<br />
considerato – fate attenzione!- “ la più grande rivoluzione epistemologica<br />
di questo secolo”. Gelidus nuntius chiamerei quest’ultima affermazione,<br />
che anche voi ben conoscete. Lo constato dalla vostra plateale<br />
consonanza.<br />
Vedete bene con quale tarditas ingenii siamo oggi costretti a confrontarci<br />
e come è facile preconizzare momenti non facili per la nostra scuola<br />
e per la nostra società se non saremo capaci di riconsiderare talune scelte<br />
in termini di maggiore serietà e di lungimirante responsabilità, ma soprattutto<br />
di vera competenza.<br />
Ora, ponendoci demisso animo in questa prospettiva e socraticamente<br />
(del Socrate dell’Apologia platonica!) avendo constatato che i cosiddetti<br />
“saggi” di ben scarsa sapienza erano portatori e che la loro fregola innovazionistica<br />
non appare ancorata a chiare e convincenti motivazioni, oseremmo<br />
suggerire ai prossimi reggitori della cosa pubblica nel settore<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
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IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI 23<br />
dell’istruzione(e ricordiamoci sempre che – come evidenziava Cicerone –<br />
res publica res omnium!) che bisogna troncare con determinazione questo<br />
autentico “nodo di Gordio” e, volendo reimpostare il settore secondario<br />
del nostro sistema scolastico, operare una coraggiosa scelta di campo,<br />
schierandosi a favore della vera licealità della scuola italiana, che è quella<br />
storicamente realizzatasi negli Istituti classici, che fino ad ora hanno fornito<br />
le migliori leve a tutte le Facoltà universitarie e, in particolare, a<br />
quelle umanistiche. Solo i Licei scientifici potrebbero un tantino risentirsi<br />
a questa categorica affermazione, ma essi sono molto più giovani (e potranno<br />
sempre dimostrare di saper fare di meglio) e, per di più, nati per<br />
filiazione dai Classici (e quindi in qualche modo compartecipi dei successi<br />
conseguiti)!<br />
Accenno, come vedete, a cose alquanto scontate, ma oggi è opportuno<br />
queste cose ribadirle, perché abbiamo la netta impressione che talora si<br />
tenda anche a negare l’evidenza. Veramente Zeus rende cieco chi vuole<br />
condurre a rovina! Senza un buon <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> anche le Facoltà umanistiche<br />
abbasseranno di molto il loro livello e inesorabilmente anche gli<br />
Atenei dovranno fronteggiare, più di quanto non avvenga oggi, gli stessi<br />
problemi di insipienza, di serpeggiante mediocrità, di “promozioni con<br />
l’asterisco” con i quali ai nostri giorni si è costretti a convivere nella<br />
scuola superiore.<br />
E allora si cominci a ridare al <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> la posizione che gli compete,<br />
senza pudibonde o farisaiche remore, anzi si smetta una buona volta<br />
di costringerlo sul letto di Procuste di volta in colta più conveniente, dando<br />
prova di un accanimento e di un compiacimento oltremodo scostanti<br />
(ma, se il termine non fosse troppo forte, meglio sarebbe dire “torbidi”),<br />
come se, una volta sbriciolato questo antipaticissimo monumentum, la<br />
scuola italiana ipso facto si sarebbe rigenerata, avrebbe riscattato un poco<br />
esaltante passato e avrebbe conseguito finalmente i meritati allori!<br />
Si ha l’impressione che il demiurgo di turno non riesca a considerare<br />
pienamente realizzato e gratificante il suo intervento sul sistema scolastico<br />
da mettere per l’ennesima volta a punto se non ha anche lui data una<br />
risistematina al più prestigioso dei percorsi scolastici, che poi magari è<br />
quello che lui conosce di meno. D’altra parte, visto che nessuno di quelli<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
24 IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI<br />
che in un modo o nell’altro (seu ratio dederit seu fors obiecerit illam… –<br />
direbbe Orazio!) che gusto c’è a firmare una proposta di riforma, se essa<br />
non preveda un coinvolgimento della scuola più antica, più collaudata e<br />
più rigorosa? De gustibus…<br />
Perché, invece, non ci si decide a lasciare che il <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> trovi da<br />
solo il modo di ridefinire la propria offerta formativa, con gli aggiustamenti<br />
(piccoli o grandi) che dovessero rendersi necessari, con gli innesti<br />
disciplinari ritenuti opportuni e con tutte quelle riconsiderazioni che possono<br />
venire da un ampio confronto all’interno di un settore specifico che<br />
si dovrebbe avere il coraggio e l’intelligenza di rispettare nelle sue peculiarità<br />
e nella sua sedimentata consistenza? È il minimo (o il massimo,<br />
dipende dai punti di vista) che si dovrebbe fare, visto che fino ad ora gli<br />
ultimi interventi demiurgici- proprio perché eterodiretti- non hanno sortito<br />
che esiti molto, ma molto discutibili, limitandosi a togliere qualcosa a<br />
quel monumentum, ad indebolirlo, a massificarlo, in modo che non svettasse<br />
sopra le altre costruzioni vicine e non fosse una seconda torre di<br />
Babele, simbolo di superbia e di presunzione?<br />
Ma per fare questo, occorrerebbe sganciare il <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> dalla<br />
“grande riforma” che si vorrebbe fare, tanto grande che ancora, a pochi<br />
mesi dall’attuazione della legge sull’autonomia delle Istituzioni Scolastiche,<br />
non si sa come dovrà essere il nuovo biennio unitario e neppure quali<br />
indirizzi dovranno caratterizzare l’area cosiddetta “classicoumanistica”.<br />
Personalmente ho letto con certosina pazienza l’enorme mole di materiale<br />
cartaceo prodotto dalle tante commissioni attivate a vari livelli e vi<br />
ho trovato di tutto, dalle argomentazioni più sensate alle più risibili ed<br />
eccentriche elucubrazioni. Provatevi a leggere, ad es., anche una sintesi<br />
dei lavori della Commissione Maragliano e concorderete con me che c’è<br />
poco da illudersi sul futuro dei nostri Licei, quando ancora si ritiene che<br />
uno degli “scandali” della nostra scuola nasce dal fatto che sussiste una<br />
«profonda mancanza di obbiettività “riguardo al genere” nella maggior<br />
parte del materiale attualmente in uso».<br />
È scritto in un italiano creativo, ma è chiaro che ci si riferisce al fatto<br />
che a quanto pare nei nostri Licei impera il più smodato maschilismo -<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI 25<br />
almeno a parere dei “saggi” di questa Commissione -, tanto vero che più<br />
oltre essi sostengono che sia giunto il momento di ingaggiare una dura<br />
lotta per debellare (cito testualmente) «la parzialità riguardo alla posizione<br />
preminente del soggetto maschile nel materiale scolastico e in parte<br />
nelle attività didattiche».<br />
Lascio a voi ogni considerazione su un linguaggio siffatto. Ancora nessuno,<br />
che io sappia, è riuscito a capire quale sia questo “soggetto maschile”<br />
che pretende di assumere una posizione preminente in una sola parte<br />
(chissà mai perché non in tutte!) delle attività didattiche!<br />
Ma lasciamo perdere queste amenità (con cui però si vorrebbe realizzare<br />
un a vera e propria palingenesi della scuola!) e torniamo a più costruttive<br />
argomentazioni.<br />
Sic stantibus rebus come ho cercato di puntualizzare pur se con rapidissimi<br />
accenni, molti pensano (e con loro io penso) che sia proprio il caso<br />
di sospendere ogni manomissione del <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> fino a quando non<br />
si avranno le idee più chiare, per evitare che si dia (involontariamente,<br />
per carità!) un autentico colpo di maglio ad una Istituzione che potrebbe<br />
non più riaversi da una velleitaria e miope revisione, per di più originata<br />
da non chiare pulsioni.<br />
Molti pensano anche (ed io con loro) che potremmo anche finirla con<br />
una strategia scolastica caratterizzata da inspiegabile (almeno per noi!)<br />
sudditanza nei confronti di potenti agenzie economiche esterne, in grado<br />
ormai di dettare le coordinate entro le quali far muovere la scuola nei<br />
prossimi decenni, additando anche “i criteri qualitativi” per selezionare e<br />
premiare i docenti (concorsone!) e i Capi d’Istituto (vedi gli attuali corsi<br />
di formazione!).<br />
Sono ormai queste “agenzie”, questi estrinseci punti di forza di cui tutto<br />
può dirsi, ma non che siano “disinteressati, che ci dicono o, meglio, pretenderebbero<br />
di dirci quali sono i parametri nuovi per giudicare<br />
l’efficacia dell’azione didattica di un Istituto, che per altro - come fosse<br />
un’azienda -, dovrà essere competitivo, nel servizio e nei costi di gestione,<br />
così come dovrà avere una dimensione ottimale, che è poi quella della<br />
cosiddetta “razionalizzazione”, che ha fatto perdere l’autonomia a tantissimi<br />
piccoli Licei Classici in tutto il nostro Paese, proprio per il fatto che<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
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26 IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI<br />
si sono trovati ad essere sottodimensionati in un “impossibile” e scontatissimo<br />
confronto unicamente quantitativo.<br />
Come vedete e come ben sapete, c’è una logica precisa in quanto è accaduto<br />
e sta accadendo nella nostra scuola, come non è casuale il fatto<br />
che ci si è accaniti solamente contro i Licei Classici, come se tutte le altre<br />
scuole non avessero i lori problemi e le loro manchevolezze. Ma a quanto<br />
pare siamo noi soli a dover cambiare, mentre gli altri Istituti, per le loro<br />
arcane benemerenze, potranno anche loro finalmente fregiarsi del titolo<br />
onorifico di “Licei”, anche se non sanno la ragione di quel nome, perché<br />
solo chi ha diuturna confidenza con la classicità sa quanto quel nome sia<br />
pregnante e di quante suggestive dimensioni esso sia per la mente e per il<br />
cuore!<br />
Sapete bene a cosa sto alludendo, perché anche voi conoscete quanta sia<br />
preziosa l’eredità classica, di cui noi vogliamo essere testimoni sinceri e<br />
mediatori credibili e capaci. I nominalismi di sicuro non ci interessano,<br />
ma i nomi hanno la loro forza e vanno usati con discernimento.<br />
Tutto questo per dire che il <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> deve mantenere il suo impianto<br />
e deve continuare ad avere una durata quinquennale, perché non è<br />
pensabile che si possano continuare a registrare esiti qualificati comprimendo<br />
di fatto in un triennio l’effettiva durata del corso di studi, essendo<br />
facilmente ipotizzabile che un eventuale biennio unitario, per quanto con<br />
un’area elettiva che preveda il Greco e il Latino, non potrà che assestarsi<br />
su un livello medio che sarà più funzionale agli altri indirizzi che non a<br />
quello di un indirizzo classico, dove non so quanti sapranno resistere alla<br />
tentazione di profittare delle ariose “finestre” (il termine lo traggo dagli<br />
atti ufficiali) su cortili contigui magari meglio arredati e pieni di ammalianti<br />
tentazioni (al “regno dei balocchi” di collodiana memoria è difficile<br />
resistere!).<br />
Sarò pessimista, ma credo che con il biennio comune saremo proprio<br />
noi ad essere i meno competitivi e a doverci adattare, rinunziando ad una<br />
bella fetta della nostra offerta formativa. Al contrario un <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong><br />
lasciato a riempire una intera area, magari articolato in più indirizzi (linguistico,<br />
storico, archeologico, dei Beni culturali e ambientali, di Storia<br />
dell’Arte e dei beni artistici …., tanto per citarne alcuni facilmente atti-<br />
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QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
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IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI 27<br />
vabili) potrebbe senza tante difficoltà avere un grosso successo, rispondendo<br />
ad una precisa esigenza dell’utenza, nonché ad una esplicita istanza<br />
di formazione pre-universitaria.<br />
Se così fosse potremmo difendere la centralità e la peculiarità di questo<br />
particolarissimo indirizzo di studi (che fra l’altro - e sia detto senza alcuna<br />
iattanza - gode all’estero di parecchia considerazione e lì a nessuno<br />
passerebbe per la testa di farne strame, perché troppo diverso e non riconducibile<br />
ai comuni modelli), facendolo diventare il perno di una serie<br />
di percorsi formativi, aventi come comune denominatore la civiltà grecolatina<br />
e le sue valenze culturali, dalle quali- come si sa- trae origine, alimento<br />
inesausto e vera giustificazione il complesso insieme delle nostre<br />
attuali coordinate civili, culturali ed etiche.<br />
Operando in siffatta maniera il <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> non solo non rischierebbe<br />
di immiserirsi in un indecoroso scimmiottamento di altre Istituzioni<br />
scolastiche, che in questo caso avrebbero il sopravvento perché appunto<br />
manterrebbero la loro identità e la loro capacità di richiamo, ma addirittura<br />
potrebbe avere un rilancio con una variegata offerta di percorsi oggi in<br />
parte malamente gestiti da altre Agenzie. Resta ovviamente inteso che la<br />
riorganizzazione per indirizzi del futuro <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> dovrebbe in parte<br />
essere concordata con le Università per definire dei protocolli circa le<br />
competenze effettive da cercare di assicurare ai nostri diplomati in vista<br />
del loro inserimento nelle varie Facoltà accademiche.<br />
Ora, un assetto del genere consentirebbe seriamente nei Licei Classici<br />
la necessaria ridefinizione dei programmi di studio, la riorganizzazione,<br />
anzi la razionalizzazione delle cattedre, una migliore messa a punto dei<br />
percorsi tematici privilegiati, la loro ottimale scansione temporale,<br />
l’eventuale innesto di nuovi insegnamenti e una sempre possibile riconsiderazione<br />
della prassi didattica, anche nell’ottica di un più intenso e funzionale<br />
impiego delle moderne tecnologie informatiche ad ampio spettro<br />
applicativo.<br />
In uno scenario “unitario”, ma “non unico”, potrebbe aversi la possibilità<br />
di predisporre una serie di percorsi formativi in ciascuno dei quali si<br />
potrebbe dare più ampio risalto ad alcune discipline (anche nuove) ed innestare<br />
le idonee metodologie didattiche, in modo da consentire a quanti<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
28 IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI<br />
più studenti possibile di attingere al patrimonio classico a diversificati<br />
livelli di fruizione, senza ovviamente mai perdere di vista le fondamentali<br />
coordinate alle quali occorre fare sempre riferimento per mantenersi fedeli<br />
alla rigorosa e seria tradizione che ha caratterizzato l’operatività dei<br />
Licei Classici.<br />
Per fare solo un esempio, un eventuale “indirizzo storico” potrebbe essere<br />
caratterizzato da una ricca messe di proposte didattiche attinenti ai<br />
momenti più significativi della ricerca storica, anche con una limitata valenza<br />
localistica, e prevedendo un ampio ventaglio di ampliamenti, realizzabili<br />
mediante ben mirati corsi brevi, su specifiche problematiche ritenute<br />
meritevoli di approfondimento.<br />
Nello sviluppo di questo particolare itinerario, il modo classico potrebbe<br />
essere proposto con una attenta selezione degli autori e dei testi ritenuti<br />
più idonei per una valida informazione sulla civiltà letteraria e sulla<br />
cultura del mondo antico, prescindendo forzatamente da uno studio sistematico<br />
della storia letteraria e da un rigoroso confronto con i testi originali,<br />
che resterebbero naturalmente pertinenti al l’indirizzo linguistico<br />
tradizionale, che resterebbe l’asse portante del nostro <strong>Liceo</strong>.<br />
Inutile sottolineare che in questo nuovo scenario si assicurerebbe sempre<br />
una adeguata conoscenza delle fondamentali strutture del Greco e del<br />
Latino, ma non si dovrebbe avere nessun timore di percorrere altre vie,<br />
diverse da quelle fino ad ora battute, come se rinunciare al rito della versione<br />
in classe fosse di per sé uno scandalo o come se dovessimo dare per<br />
scontato che il solo fatto di impegnare per cinque anni gli studenti in traduzioni<br />
di brani di autori classici dovesse condurre deterministicamente i<br />
giovani ad amare quegli autori e a comprendere come si deve il loro pensiero.<br />
Non sempre le cose vanno così, anche perché – è inutile negarlo – non<br />
omnis arbusta iuvant humilesque myricae e non a tutti possono essere<br />
proposte nella stessa maniera le identiche cose. Noi tutti abbiamo sperimentato<br />
che nelle nostre discipline il massimo del profitto non è di tutti<br />
(magari lo fosse!) e che probabilmente, se i nostri discepoli meno forti<br />
sul versante linguistico- grammaticale fossero stati inseriti in un parallelo<br />
indirizzo classico non propriamente filologico, essi con molta probabilità<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI 29<br />
avrebbero tratto maggiore godimento e avrebbero conseguito esiti di<br />
maggiore consistenza su diversi versanti.<br />
Naturalmente esprimo solo una ipotesi e sollecito un confronto, ma<br />
riaffermo l’idea che, se veramente la sola partecipazione alla nostra quotidiana<br />
frequentazione degli autori classici fosse di per sé capace di contagiare<br />
i nostri valorosi studenti e di farli innamorare delle cose splendide<br />
con cui vengono in contatto, allora forse non sperimenteremmo in troppi<br />
giovani un accentuato disamore, che faremmo bene non sottacere. Gli<br />
infingimenti non pagano mai.<br />
Un insegnamento documentato e rigoroso anche su aspetti non consueti<br />
del mondo greco-latino sono certo che lascerebbe in parecchi dei nostri<br />
discepoli un segno più profondo di quello originato da un corso tradizionale<br />
gestito con non adeguata perizia e caparbiamente incentrato totalmente<br />
sul versante linguistico, che invece dovrebbe essere funzionale a<br />
un ben specifico percorso culturale e che invece troppe volte si esaurisce<br />
in un autarchico isolamento e in narcisistico ed improduttivo isolamento.<br />
Quanto questo versante linguistico sia fondamentale non starò certo a dirlo<br />
a degli specialisti come voi, ma tutti noi sappiamo quanto esso sia difficile<br />
da proporre ed ostico da assimilare in un normale ed eterogeneo<br />
contesto scolastico.<br />
Lo dico col rammarico di chi dedica tante energie al confronto con i testi<br />
classici, ma lo dico anche con la forza di una ormai lunga consuetudine<br />
con la realtà effettuale della scuola militante.<br />
L’insegnamento del greco e del latino non può continuare sempre ad<br />
essere quello che è stato, in quanto troppe cose sono cambiate ed è per lo<br />
meno improduttivo restare ancorati ad una consuetudine che ha dato certamente<br />
enormi risultati, ma che non è detto che sia (e che fosse) la migliore<br />
possibile. Possiamo forse negare noi addetti ai lavori che nelle nostre<br />
scuole non sempre l’approccio ai testi classici è fatto con procedure<br />
di sicura efficacia metodologica e che la proposta del fascinoso mondo<br />
classico sovente si immiserisce in proposte didattiche capaci solo di ingenerare<br />
una infinita tristezza, tanto sono esangui e incapaci di “ parlare “<br />
al cuore dei nostri ragazzi, della cui intelligenza e della cui sensibilità<br />
dovremmo avere il più grande rispetto.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
<strong>30</strong> IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI<br />
Sospendo qui queste osservazioni, perché so di aprire un capitolo doloroso<br />
ma doveroso assieme, sul quale ci si potrà e ci si dovrà confrontare<br />
in altra occasione e con altro tempo a disposizione, come tutti noi auspichiamo.<br />
Mi premeva solo parteciparvi la persuasione che nel nuovo <strong>Liceo</strong><br />
<strong>Classico</strong> dovremmo (e spero dovremo) pur riflettere con sempre maggiore<br />
insistenza sulla questione della didattica delle lingue classiche, che -<br />
ripeto – per me dovrebbero avere uno spazio possibilmente anche maggiore<br />
di quello attuale, ma in uno specifico indirizzo linguisticofilologico<br />
e, comunque, dopo una opportuna rivisitazione delle connesse<br />
metodologie didattiche.<br />
E dovremmo pure verificare un possibile allargamento del nostro sperimentato<br />
campo d’azione, corroborando la nostra proposta grammaticale,<br />
linguistica e letteraria con innesti, opportunamente dosati, di altre discipline<br />
attinenti al mondo antico e alle discipline di nostra competenza,<br />
anche se appare evidente che una intellezione più ampi e più profonda<br />
della classicità esige, ad esempio, docenti diversamente preparati e motivati,<br />
nonché con competenze un po’ più ampie di quelle oggi accettate e<br />
(consentitemi la sincerità) e un po’ meglio accertate di quanto non si stia<br />
ancora facendo, ad esempio nei corsi abilitanti in fase di svolgimento. Gli<br />
insegnanti più seri ne trarrebbero vantaggio e sprone a meglio operare a<br />
beneficio dei loro studenti.<br />
Chiudo la parentesi, non senza prima aver accennato al fatto che bisogna<br />
già oggi (e di più bisognerà farlo per il futuro) trovare il modo di radicare<br />
nei nostri alunni la consapevolezza che il mondo greco-latino è<br />
fondativo della civiltà occidentale, della quale noi tutti siamo partecipi, e<br />
che la mediazione romana ha permesso la creazione dell’Europa ed ha<br />
iniziato la nostra storia culturale e linguistica.<br />
Vedete (e parlo ai tanti giovani docenti che mi onorano della loro attenzione)<br />
quali spazi enormi si aprono per una seria riprogrammazione dei<br />
contenuti culturali mediati da un <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> rinnovato, che potrebbe<br />
anche – perché no? –ambire a più esaltanti traguardi formativi, se opportunamente<br />
riconsiderato, ma con tutta la delicatezza e la serietà e l’amore<br />
di cui siamo capaci, anzi di cui dovrebbero farsi carico gli ardimentosi<br />
aspiranti demiurghi, ai quali abbiamo più volte accennato.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI 31<br />
Volutamente in questo nostro incontro parlo per universalia, poiché a<br />
me compete solo l’officium di intervenire nell’attuale dibattito con un<br />
apporto di idee e di suggerimenti, per animare il confronto, per sostenere<br />
la comune riflessione, per dare voce ai tanti e tanti colleghi che condividono<br />
la nostra apprensione per il futuro del nostro <strong>Liceo</strong> e che –ne sono<br />
certo –sarebbero perfettamente in grado di realizzare un piano di studi<br />
valido e al passo con i tempi per un <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> nuovo, che non disperda<br />
l’enorme patrimonio di ricerca e di trasmissione del sapere accumulato<br />
in un arco di tempo obiettivamente di considerevole portata, anche<br />
e soprattutto dal punto di vista qualitativo.<br />
Tutti noi abbiamo partecipato a diversi livelli all’attuale dibattito, per<br />
altro intempestivo e frettoloso, su come reimpostare il <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong> e<br />
tutti abbiamo constatato che, a forza di aggiungere o sottrarre ore di lezione<br />
a questa o a quell’altra disciplina (di più non si è proposto!), non si<br />
raggiungono grandi risultati, perché il contenitore è quello che è e le richieste<br />
veramente troppe e non agevolmente aggregabili.<br />
Per queste ragioni mi sono determinato a condividere l’opinione di chi<br />
è convinto che è meglio non fare passi avventurosi o potenzialmente<br />
sconsiderati e che, se proprio non si può fare a meno di coinvolgere<br />
nell’attuale fregola innovazionistica il nostro blasonato <strong>Liceo</strong> - sostenendo,<br />
con una seriosità alquanto sospetta, che esso corre il rischio di restare<br />
confinato in una marginalizzazione improduttiva ed anche, forse, autodistruttiva<br />
– che almeno lo si sottragga alla melassa degli indirizzi indifferenziati<br />
e senza più una loro forte identità, riservandogli uno spazio adeguato<br />
alla sua storia per potersi sviluppare per dinamismo interno e per<br />
eventualmente generare percorsi differenziati, ma sostanzialmente omogenei,<br />
dovendo avere essi come forte collante una compatta offerta formativa,<br />
una indiscutibile sistematizzazione delle procedure di approccio<br />
alle complesse problematiche (politiche, civili, etiche, storico-filosofiche,<br />
giuridiche …) che il mondo classico inesorabilmente propone, ma anche<br />
e soprattutto uno sperimentato metodo di lavoro di straordinaria efficacia<br />
e di somma delicatezza, insomma quell’insieme di originali caratteristiche<br />
di cui meniamo vanto e di cui siamo vigili ed insonni custodi.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
32 IL LICEO CLASSICO OGGI E … DOMANI<br />
Quale altro indirizzo - domanderei ai nostri biliosi oppositori - coltiva,<br />
proprio mediante l’insegnamento del greco e del latino, il pensiero strategico,<br />
l’approccio ermeneutico alla risoluzione di un problema, di qualsivoglia<br />
natura ed entità esso sia, l’abitudine ad un pensiero ordinato, consequenziale,<br />
ben impostato metodologicamente, in grado insomma di affrontare<br />
e di gestire la complessità di una situazione, ricorrendo (e non è<br />
di certo cosa facile o scontata!) a tutto il potenziale intellettivo di cui<br />
siamo capaci e alla indispensabile flessibilità, per ciò stesso rifuggendo<br />
da ogni avvilente conformismo, da ogni stereotipata acquiescenza, da<br />
ogni mortificante passività.<br />
Noi queste cose le sappiamo, ma dovremmo darci un po’ più da fare per<br />
ché esse siano meglio conosciute in partibus infidelium, ovviamente senza<br />
iattanza alcuna, ma nella consapevolezza che non possiamo lasciare<br />
che siano sempre gli altri a dettare le regole del gioco, a manipolare il<br />
nostro lavoro senza neppure avere un’idea sulle cose che fanno la differenza<br />
fra chi ha studiato le lingue antiche e chi no.<br />
Siamo, nel nostro piccolo ambito e con le nostre limitate possibilità,<br />
depositari di una tradizione culturale che non dobbiamo permettere che<br />
venga messa a repentaglio a nessun livello, soprattutto in assenza di ragioni<br />
chiare, oneste ed ancorate ad inoppugnabili dati di fatto.<br />
E’, questo, un dovere per ciascuno di noi, perché i nostri giovani, ai<br />
quali è destinata la parte migliore di noi stessi, possano continuare ad apprendere<br />
nei nostri Licei Classici (anche in una loro eventuale rimodulazione<br />
o, meglio, in un auspicato e auspicabile potenziamento) che il presente<br />
ha un cuore antico e che questo cuore può continuare a dare loro<br />
tanta forza e tante consolazioni.<br />
Grazie della cortese attenzione e un fraterno saluto.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 33<br />
Vincenzo Giannone<br />
LUCILIO E LO STOICISMO *<br />
Gli intensi rapporti che Lucilio ebbe con i prestigiosi componenti del<br />
Circolo degli Scipioni non furono senza conseguenze sugli orientamenti<br />
culturali del poeta, sulle sue scelte letterarie, sulla materia stessa delle sue<br />
composizioni, pur se, anche in questo caso, non è difficile sperimentare<br />
in Lucilio un atteggiamento personale e una indiscutibile autonomia di<br />
giudizio, che non vanno certamente sottovalutati al fine di un idoneo apprezzamento<br />
della sua personalità.<br />
Lucilio non rivendicò solo una marcata autonomia “politica” nei confronti<br />
dei potenti amici 1 - e questo fatto la dice lunga sulla pretesa malleabilità<br />
del nostro poeta - ma reagì in modo originale ai più stimolanti<br />
fermenti culturali del suo tempo, capace come fu di dare una risposta non<br />
scontata né banale ai problemi letterari, estetici, grammaticali, filologici<br />
con i quali ebbe a cimentarsi. Di tali questioni non fu ovviamente l'unico<br />
ad occuparsi fra gli intellettuali del suo tempo, ma la sua risposta e le sue<br />
1 * Relazione tenuta al Convegno «La forza del passato. Mito e realtà della cultura classica»<br />
(Berlino, 29-<strong>30</strong> novembre 2003), organizzato dal Centrum Latinitatis Europae,<br />
che ha curato la pubblicazione degli Atti.<br />
1 Cfr. B. Zucchelli, L’indipendenza di Lucilio, Firenze, 1977 ; E.A. Astin, Scipio Aemilianus,<br />
Oxford, 1967; H. Strasburger, Der Scipionerkeis, in «Hermes», 94 (1966), p. 60<br />
sgg.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
34 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
prese di posizione si segnalano per vigore, per chiarezza e, in qualche<br />
caso, anche per completezza, per cui è veramente motivo di rammarico il<br />
fatto che la frammentarietà delle sue Satire non ci consenta un più profondo<br />
ed esaustivo dialogo con questa prepotente personalità, della quale<br />
solo a tratti riusciamo a divinare il netto profilo.<br />
Il periodo storico in cui Lucilio visse era già permeato da ricchi apporti<br />
della cultura greca a tutti i livelli e ben maggiore disponibilità il mondo<br />
ellenico trovò nel raffinato entourage di Lelio e di Scipione, ma fu soprattutto<br />
lo Stoicismo ad avere larga diffusione nella buona società romana,<br />
che da allora in poi andò sempre più “metabolizzando” i fermenti che le<br />
derivavano dalla civiltà ellenistica, con la quale era, per molte ragioni, in<br />
un rapporto, per così dire, simpatetico, di consonanza. Non è un mistero<br />
il fatto che la Graecia capta se non proprio ferum victorem coepit, quanto<br />
meno diede un decisivo apporto alla cultura latina in ogni campo: l'epigramma,<br />
l'elegia, la storiografia, il teatro, la filologia (e si potrebbe<br />
continuare) ci danno la misura di quanto sia stato determinante per la civiltà<br />
latina l'innesto di modelli culturali e, nella fattispecie, letterari elaborati<br />
in un contesto storico di cui si riconosceva l'eccellenza e la esemplarità,<br />
senza ovviamente volere qui neppure accennare alla vexata quaestio<br />
della originalità del genio latino, sulla quale non si finirà mai di discutere.<br />
Anche la filosofia entrò prepotentemente a Roma e lo Stoicismo e l'Epicureismo<br />
iniziarono a fare proseliti a non finire. Lo Stoicismo in modo<br />
particolare 2 , ché il pensiero di Epicuro ebbe una contrastata fortuna nel<br />
mondo romano o, almeno, vicissitudini maggiori di quelle della Stoà. La<br />
scuola di Panezio fu invece quasi universalmente accettata a certi livelli<br />
2 Della enorme bibliografia sull'argomento si segnalano solamente alcuni lavori per le<br />
peculiari puntualizzazioni che essi contengono: L. Meylan, Panétius et la pénetration du<br />
Stoïcisme à Rome, in «Revue de Théologie et de Philosophie», 1929, pp.172-204; F:<br />
Villeneuve, Rome et lo Stoïcisme, Montpellier, 1947 ; F: Della Corte, Stoicismo in Macedonia<br />
e a Roma, in Studi di filosofia greca, in onore di R: Mondolfo, Bari, 1950; M.<br />
Van Straaten, Panétius, sa vie, ses écrits et sa doctrine avec une édition des fragments,<br />
Amsterdam,1946; Id., Panaetii Fragmenta, Leiden, 1952.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 35<br />
(per la gente semplice non era, infatti, facile assimilarne i nobili e difficili<br />
precetti) e anche se nel II sec. a.C. Roma non ebbe un filosofo degno di<br />
questo nome e se non si arrivò - come diceva il Terzaghi 3 - ad una<br />
«espressione teoretica e dottrinaria di sistemi o alla loro critica», è pur<br />
vero che «tutti gli uomini più in vista o aderivano allo Stoicismo o simpatizzavano<br />
per esso» o, si potrebbe aggiungere, si confrontavano con quella<br />
dottrina. «Lo Stoicismo» - aggiunge Terzaghi - «era praticato come regola<br />
di vita: Rutilio Rufo veniva additato quale esempio di vera virtù;<br />
stoici erano Scipione e Lelio; attorno a loro, e soprattutto al primo di loro,<br />
si riunivano quanti si erano fatti quasi una religione ed una ragione di<br />
vita dell'onestà e delle virtù pubbliche. Le idee stoiche erano penetrate<br />
così profondamente nella società, che anche coloro i quali non avevano<br />
proprio voglia di essere virtuosi sul serio, tuttavia si ammantavano di<br />
Stoicismo ed ostentavano una condotta rigidissima».<br />
A parte la genericità dell'ultima considerazione (ché il camaleontismo<br />
di certo non è una prerogativa dei contemporanei di Lucilio), non si può<br />
mettere in dubbio che molti furono gli stimoli che agli uomini del II sec.<br />
a. C. derivarono dallo Stoicismo verso l'analisi dei fenomeni naturali e,<br />
ineluttabilmente, verso l'indagine sull'uomo e sugli umani accadimenti.<br />
Ha ragione il Terzaghi quando dice che «forse il peso che lo Stoicismo<br />
dava a tutti i fenomeni della vita considerati come opera di natura e forniti<br />
di svolgimento imposto dalla natura stessa; forse anche perché, con l'allargarsi<br />
dei confini sello Stato, si era ampliata la conoscenza del mondo;<br />
forse per ambedue queste ragioni insieme (per le quali veniva messo in<br />
evidenza il problema della comunicazione fra gli uomini e, quindi, della<br />
loro maniera di esprimersi) si impose la necessità di studiare e di risolvere<br />
la questione della lingua. E poiché prodotti della lingua sono le opere<br />
letterarie, apparve necessario conoscere e studiare anche queste nella loro<br />
specificità e nelle loro peculiarità, tanto più dopo l'uso che i poeti latini<br />
avevano fatto delle opere poetiche greche». Basti pensare alla utilizza-<br />
3 N. Terzaghi, Lucilio, Torino, 1934, p. 85.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
36 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
zione, più o meno scaltrita, ma sempre consistente, di autori greci da parte<br />
di Plauto, Cecilio, Terenzio, Ennio, Pacuvio e tanti altri, che si erano<br />
tutti prodotti nel poderoso sforzo di adattare i propri modelli e i propri<br />
riferimenti paradigmatici alle mutate necessità spirituali e ideali del loro<br />
tempo, di recuperare originalmente una tradizione culturale che non era<br />
possibile riattualizzare se non forgiando una metrica, una morfologia, una<br />
sintassi di cui non si erano prima fissate le norme. Ne derivò una sempre<br />
più attenta e meticolosa comparazione fra le due lingue, la greca e la latina,<br />
e si andarono annotando le notevoli affinità lessicali e morfologiche<br />
in esse presenti e di siffatte analogie si cercò di capire la genesi e le ragioni<br />
più profonde, per cui si innescò un non indifferente processo ermeneutico<br />
e si andò sempre più consolidando un atteggiamento di investigazione<br />
anche linguistica, che sarebbero stati forieri di interessanti conseguenze<br />
a vari livelli e in differenti direzioni.<br />
Andava prendendo corpo un bisogno di ricerca anche in settori poco<br />
frequentati, quali quello grammaticale e quello linguistico, originato da<br />
un atteggiamento che si voleva non disgiunto da una fondamentale scientificità.<br />
Ora non par dubbio che tali esigenze “scientifiche” furono non<br />
poco favorite dallo Stoicismo, con la sua tendenza a riconoscere anche il<br />
linguaggio come fenomeno naturale e la sua evoluzione come necessità<br />
di natura 4 . Gli Stoici ritenevano che i primi uomini fossero più vicini alla<br />
divinità e che, quindi, le loro conoscenze fossero più pure in tutti i campi,<br />
proprio come nella dottrina del linguaggio, per cui la Stoà - dice il<br />
Pohlenz 5 - non ritenne «un giro vizioso, quando si compie una indagine<br />
su determinate cose, interrogarsi sul senso dei loro nomi, ché anzi è questo<br />
un percorso in cui ci si affida ad una guida esperta».<br />
4 Cfr. A. Virieux-Reymond, Quelques remarques à propos de la théorie du langage<br />
chez les Stoïciens, in «Le Langage - Actes du XIII Congrès des Soc. de Philos. de<br />
langue francaise», Neuchâtel, 1966, pp. 113-115 ; J. Moreau, Ariston et le Stoïcisme, in<br />
«Rev. Et. Anc.», 1968, pp. 27-48.<br />
5 M. Pohlenz, La Stoa, Firenze, 1967, p. 69.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 37<br />
Lo Stoicismo fu veramente il primo maestro di grammatica per i Romani.<br />
Al tempo di Lucilio lo Stoicismo domina la grammatica, soprattutto<br />
per quanto attiene all'etimologia e alla morfologia 6 , ma fu anche possibile<br />
pervenire ad una vera e propria critica letteraria in conseguenza di<br />
una via via sempre più compiuta conoscenza della produzione letteraria<br />
greca, nonché delle dottrine di Alessandria e di Pergamo in merito alla<br />
possibile decodificazione del fatto linguistico e alla sua trasformazione.<br />
Ovviamente non è che dei problemi della lingua non ci si fosse mai occupati<br />
prima, ma di essi si era discusso con una sostanziale episodicità e,<br />
in ogni caso, al di fuori di un compatto sistema concettuale di riferimento,<br />
senza, cioè, convincenti e solide coordinate che agevolassero l'indagine<br />
con apprezzabili auspici di successo. Tutto era affidato alla sensibilità<br />
del singolo e alla sua intuizione, con esiti inevitabilmente parcellizzati,<br />
per quanto talora di buona consistenza. Qualche esempio basterà a dimostrarlo.<br />
Ad Ennio si attribuiva il fenomeno della “geminatio” ortografica delle<br />
consonanti, prima scritte semplici, così come la fissazione di norme fonetiche<br />
7 , senza contare che a lui si accreditavano anche interessi etimologici<br />
(cfr. Ann. 59 V.). Di questioni etimologiche discussero anche Appio<br />
Claudio Cieco, Nevio, lo stessso M. Porcio Catone Censore e Cincio<br />
Alimento. 8 In tutti questi casi, però, non si era andati al di là di un semplice<br />
interesse occasionale, non essendoci stato ancora un organico tenta-<br />
6 Le prime analisi pare siano state compiute da Aristone di Chio, Diogene di Seleucia e<br />
Antipatro di Tarso, oltre al più conosciuto Crisippo che fissò l'insieme delle dottrine<br />
stoiche in opere di cui abbiamo solo numerosi titoli e che dovettero godere di un enorme<br />
credito se si arrivò a dire di lui che "se non ci fosse stato Crisippo, non ci sarebbe stata<br />
la Stoà" (Cfr. v. Armin, S. V. F. II,6).<br />
7 Sui due libri De litteris syllabisque e sul De metris (Suet. de gramm. 1) un accenno in<br />
F. Stolz- A. Debrunner- W.F. Schmid, Storia della lingua latina, Bologna, 1970, p. 78 .<br />
Molto più puntuali le considerazioni contenute in F. Della Corte, La filologia latina<br />
dalle origini a Varrone, Firenze, 1981, p. 42 sgg.<br />
8 Che Nevio si sia interessato di etimologia lo attesta Varrone (De l. Lat. V, 43 e 53). Si<br />
veda S. Mariotti, Il "Bellum Poenicum" e l'arte di Nevio, Roma, 1955, p. 69 sgg. Per<br />
Cincio Alimento cfr. il Fr. 2, p. 41 Peter («ab Evandro Faunum deum appellatum...»).<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
38 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
tivo di spiegare criticamente i fenomeni linguistici presi in esame, cosa<br />
che si ebbe verso la fine della prima metà del II sec. per influsso di Cratete<br />
di Mallo, venuto a Roma da Pergamo nel 169 a. C. a capo di una ambasceria<br />
9 .<br />
Cratete, nutrito di filosofia stoica, era un sostenitore dell'anomalia contro<br />
le rigide regole degli Alessandrini, capeggiati da Aristarco, e, avvalendosi<br />
di una solida competenza filologica, interpretò i testi greci classici<br />
(occupandosi di Arato, Aristofane, Omero, Esiodo ed Euripide), influenzando<br />
parecchio i Romani che, sulle sue orme, si affrancarono da<br />
uno studio puramente grammaticale, per approdare ad un'analisi letteraria,<br />
nel senso più ampio del termine, e colmare in tal modo lo iato che li<br />
separava dai Greci.<br />
Quanto detto a proposito di Cratete non deve affatto indurre ad ipotizzare<br />
una crescita ex abrupto della filologia romana e a vedere in Cratete<br />
quasi un demiurgo, ma non si deve neanche sminuire la portata della sua<br />
attività a Roma, in cui dispiegò una intensa opera esegetica, che ebbe<br />
come risultato una indubitabile accentuazione dell'influsso che la filologia<br />
alessandrina aveva già fatto registrare.<br />
Da Cratete prendono le mosse e a lui si rifanno 10 C. Ottavio Lampadione,<br />
nella sua lettura del Bellum Punicum di Nevio, e Quinto Vargunteio,<br />
nella sua “recensio” dei carmi di Ennio 11 . Anche Q. Lelio Archelao e<br />
Vettio Filocomo, amici e interpreti di Lucilio, debbono parecchio a Cratete.<br />
Ad ogni modo, ciò che qui importa mettere in evidenza è che nell'età di<br />
Scipione e di Lucilio la critica grammaticale, filologica e letteraria comincia<br />
ad assumere un aspetto ben definito, precorrendo in tal modo l'attività<br />
di Varrone nell'età successiva, così come lo studio delle forme les-<br />
9 Cfr. F. Della Corte, L'ambasceria di Cratete a Roma, in «Riv. di Filol. e di istruz.<br />
class.». 1934. p. 388 sg.= Opuscula, II, Genova, 1972, pp. 49-50.<br />
10 Cfr. A. Traglia, Elio Stilone e le origini della filologia latina, in «Cultura e Scuola»,<br />
n. 91, Luglio- Settembre 1964, p. 25 sgg.<br />
11 Cfr: F. Della Corte, op. cit. p. 113 n.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 39<br />
sicali e morfologiche gode di primaria importanza nel dibattito linguistico<br />
del tempo.<br />
Quintiliano (I, 7, 25) ci dice, ad es., che a Scipione si attribuiva il cambiamento<br />
della vocale o in e in parole comincianti per vor-: vertices e<br />
versus per vortices e vorsus. Manio Manilio, secondo Gellio (XVII, 7, 1),<br />
notava la differente incidenza nella interpretazione giuridica della forma<br />
verbale subruptum erit (nella Legge Atinia: quod subruptum erit, eius rei<br />
aeterna auctoritas esto), a seconda che si consideri come futuro o come<br />
perfetto. Quinto Muzio Scevola, infine, non si fermava davanti ad etimologie<br />
piuttosto spericolate, come quando spiegava che “pontifices” derivava<br />
da “posse et facere”, dal momento che i Pontefici potevano fare ciò<br />
che volevano.<br />
E non meno curiose le etimologie kat’ a\ntÍfrasin di Elio Stilone,<br />
che spiegava (Frr. 59; 7 Fun.) “lucus” con “parum lucere” e “ludus” dal<br />
fatto che “longissime sit a lusu” e sosteneva inoltre che “ditis” aveva tal<br />
nome “quia sit minime dives”, così come “miles” sarebbe derivato “a<br />
mollitia” (fr. 15 Fun.), poiché è dei soldati non avere “nihil molle”.<br />
Tutto questo, comunque, non inficia il fatto che Lucio Elio Stilone Preconino<br />
fu, tra la fine del II e l'inizio del I sec. a. ., il più insigne maestro<br />
di grammatica a Roma.<br />
Di lui, in vero, non sappiamo molto, ma quanto ci resta è sufficiente a<br />
dimostrare che, sia pure con moderazione, aderiva alla corrente stoica.Il<br />
titolo stesso dell'opera sua, “Commentarium de proloquiis” (Gell. XVI, 8,<br />
2) è indicativo della sua linea, basata su trattati perÌ a\xiwmaétwn, cioè<br />
sulle proposizioni enunciative, come quelle di Crisippo (Diog. Laert.<br />
VII, 190), che, a quanto ci dice Gellio (XVI, 8, 2), compose la sua opera<br />
“sui magis admonendi quam aliorum docendi gratia”.<br />
Uno di questi assiomi poteva essere, ad es., l'argomento kat’<br />
a\ntÍfrasin (per immagine contraria), consistente in una sorta di litote,<br />
in quanto che una cosa veniva designata con il nome opposto. La derivazione<br />
etimologica delle parole è stabilita da Stilone anche in base ad assonanze,<br />
che talora sono semplici combinazioni casuali di gruppi affini di<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
40 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
lettere. “Volpes”, ad es., veniva spiegata (Fr. 46) con una duplice derivazione<br />
dalle due sillabe di cui la parola è composta: vol- < volare e -pes <<br />
pes, is, e quindi se ne deduceva che la volpe derivava il proprio nome dal<br />
fatto che “volat pedibus”.<br />
Non si preoccupava Stilone della diversa quantità della sillaba iniziale<br />
di “vulpes” o di “volare”, né si pose il problema di un confronto fra il lessico<br />
latino e quello greco, preso com'era dal bisogno di spiegare il latino<br />
col latino. In questo, Stilone si comportava da coerente stoico.<br />
Infatti, secondo gli orientamenti stoici, fatti propri da Stilone, la lingua<br />
è un fenomeno di natura e, quindi, deve essersi sviluppata autonomamente,<br />
senza influssi esterni. Da questa persuasione discendeva anche l'idea<br />
che, pur nella sostanziale ignoranza sulle origini delle parole, non era affatto<br />
preclusa agli uomini, che sapessero indagare il fenomeno con idoneo<br />
accorgimento, la possibilità di accedere a conoscenze certe e definitive<br />
sulla “etimologia” delle parole, dal momento che “nullum esse verbum<br />
cuius non certa explicari origo possit”.<br />
Così la penserà anche Varrone.<br />
Accanto all'etimologia, Stilone metteva l'interpretazione delle parole,<br />
soprattutto quelle meno comuni e più difficili, che veniva condotta, a volte,<br />
su elementi derivatigli da una rudimentale comparazione non col greco,<br />
bensì con i dialetti italici, ritenuti forse una derivazione dal latino (cfr.<br />
Frr. 8; 40; 64 Fun.).<br />
Dalla interpretazione era facile il passaggio alla distinzione grammaticale<br />
e morfologica e alla storia delle parole. Stilone giungeva, infine, alla<br />
interpretazione delle opere letterarie e alla ricerca sulla loro autenticità.<br />
Scrisse un commento ai Carmina Saliaria (Varro, De l. L., VII, 2), approntò<br />
un index delle commedie plautine, riducendo da 1<strong>30</strong> a 25 quelle<br />
autentiche (Quint. X, 1, 99) e si impegnò, dunque, in un intenso lavoro<br />
ermeneutico che, pur se alieno dal rigore della contemporanea e precedente<br />
filologia greca, finì con l'influenzare il successivo lavoro critico dei<br />
Romani. Oltre al genero Servio Clodio (cfr. Suet. De gramm. et rhet. 3,<br />
3; 3, 1; Cic. Ad famil. IX, 16, 4), ne sentirono l'influsso L. Calpurnio Pi-<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 41<br />
sone Frugi, Giunio Graccano, Lutazio Catulo, Q. Muzio Scevola e forse<br />
anche Afranio ed Accio. Quasi tutti aristocratici e uomini di gran cultura.<br />
L'esempio di Stilone fu seguito anche dal grammatico Aurelio Opillo,<br />
liberto di un epicureo, ma molto vicino a Stilone nel metodo di lavoro 12 ,<br />
così come - dice Terzaghi 13 - «è tutt'altro che impossibile stabilire se e<br />
quanto Accio e Lucilio abbiano risentito delle idee e dei metodi di Stilone,<br />
loro contemporaneo, pur se un pò più giovane, in quanto all'epoca del<br />
suo esilio volontario a Rodi, nel 100 a.C., egli doveva essere già parecchio<br />
noto e le sue teorie e le sue discussioni dovevano far parte della cultura<br />
comune, almeno delle persone che si interessavano di più al movimento<br />
di idee del loro tempo. Tutti avevano imparato e imparavano da<br />
Stilone».<br />
Volcacio Sedigito, nel compilare il suo canone dei poeti comici (Gell.<br />
XV, 24) e Q. Valerio Edituo da Sora, nelle sue “Epoptidi”, risentono della<br />
lezione stiloniana, ma più interessa qui vedere quanto deve a Stilone, e<br />
in ultima analisi alllo Stoicismo, il nostro Lucilio, nella cui opera è certamente<br />
possibile ravvisare taluni orientamenti grammaticali, etimologici<br />
e letterari, che è oltremodo verisimile che a lui derivarono dalle dottrine<br />
della Stoà, che, come si è detto, di tanto peso fu nella sua formazione culturale.<br />
Da un esame, pur sommario, delle teorie stoiche sul linguaggio si vedrà<br />
comunque che anche in questo campo molte e profonde furono in Lucilio<br />
le suggestioni stoiche.<br />
L'enorme interesse che gli Stoici mostrarono di avere per i problemi del<br />
linguaggio nasceva principalmente dal fatto che il linguaggio era per loro<br />
parte costitutiva dell'esistenza spirituale dell'uomo, era il mezzo attraverso<br />
il quale si esprimeva il pensiero, il logos, che è il principio della nostra<br />
esistenza spirituale e che non solo si manifesta attraverso il linguaggio,<br />
ma è in qualche misura da esso influenzato (Frr. 45, 46, 74 di Zenone),<br />
12 Suet. De gramm. 6.<br />
13 N. Terzaghi, op. cit. p. 53.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
42 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
ragion per cui Zenone, nella sua Logica, sentì la necessità di analizzare<br />
non solo le forme e le leggi del pensiero, ma anche quelle del linguaggio<br />
(S.V.F. I, 148; II, 894).<br />
Tra il pensare e il parlare c'era per gli Stoici un nesso inscindibile, per<br />
cui chiarire, attraverso la dialettica e la retorica, le forme e le leggi del<br />
pensiero, comportava una rigorosa analisi della forma linguistica, cosa<br />
che fece appunto Zenone, che, come dice il Pohlenz 14 «quando esamina i<br />
modi del pensiero ha sempre davanti a sé la forma che essi assumono attraverso<br />
l'espressione linguistica”.<br />
Date queste premesse, si comprende agevolmente come, fin dal suo nascere,<br />
la Stoà abbia prestato particolare attenzione ai fatti della lingua,<br />
molto più dei Sofisti del V sec. a. C., di Platone (Crat. 424; Theaet. 202<br />
sgg.) e degli Alessandrini, approdando molto presto alla sistematica teoria<br />
grammaticale di Diogene di Seleucia, detto il Babilonese, che però<br />
non poco fu debitore di Zenone, al quale in vero risale la prima sistemazione<br />
e organizzazione delle riflessioni degli Stoici sul linguaggio.<br />
Zenone partì direttamente dall'analisi dell'espressione linguistica e, richiamandosi<br />
ad intuizioni platoniche (Sofista, 261 d - 262 d) ed aristoteliche,<br />
distinse nella dialettica (una delle due parti della logica) la parte<br />
che tratta dei “significanti”, shmaÍnonta, (il complesso dei suoni che<br />
formano una parola), da quella che si occupa delle “cose che vengono<br />
significate”, shmainoémena, che non hanno cioè esistenza concreta, ma<br />
esistono solo nella nostra lingua, sono solo un enunciato, un lektoén.<br />
Ovviamente preliminari furono in Zenone le osservazioni sulla voce<br />
umana, intesa come qualcosa di materiale, capace cioè di esercitare<br />
sull'orecchio un'azione fisica, come in passato aveva sostenuto Aristotele<br />
15 , che aveva già assimilato la voce all'aria (plhghè tou% a\napneomeénou<br />
a\eérov) proprio come farà Zenone, che parlerà di a\hèr peplhgmeénov (fr:<br />
74).<br />
14 M. Pohlenz, op. cit. p. 18.<br />
15 Aristot. De Anima, II,8.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 43<br />
Naturalmente Zenone allude alla voce umana, poiché quella degli animali<br />
«non nisi a caeco quodam impetu prorumpit», come dice lo Schmidt<br />
16 , mentre «in hominibus proficiscitur a ratione».<br />
Dirà Diogene di Babilonia (fr. 17) che «la voce umana è la voce articolata<br />
e proveniente dal pensiero», precisando, quindi, che senza una adeguata<br />
maturazione del logos non può esserci vero linguaggio, che serve<br />
appunto ad esprimere il pensiero umano.<br />
Eccoci così nel cuore della controversia sull'origine del linguaggio, che<br />
non doveva, quindi, intendersi come il punto terminale di una lunga evoluzione<br />
dai semplici e istintivi suoni con cui gli uomini primitivi esprimevano<br />
le loro impressioni - come sostenevano gli Epicurei -, ma, al contrario,<br />
esso è originato dal logos perché possa manifestarsi.<br />
I primi uomini, perciò, proprio in quanto guidati dal logos, attribuirono<br />
alle cose i rispettivi nomi in modo consapevole, ragionato, “logico”, in<br />
base alle loro proprietà, alle loro caratteristiche naturali.<br />
In questo modo gli Stoici finirono con l'assumere una posizione equidistante<br />
fra chi era del parere che l'imposizione dei nomi fosse un fatto di<br />
volontà (jeései) e chi invece si richiamava alla sola natura (fuései). Come<br />
dirà Varrone «natura dux fuit ad vocabula imponenda homini» 17 .<br />
Che questo fosse vero lo si poteva arguire dall'analisi di molte parole<br />
che si rivelano formate da suoni che tentano di riprodurre gli oggetti significati,<br />
come le parole onomatopeiche, alla cui genesi hanno concorso<br />
le impressioni trasmesse dai vari sensi (S.V.F. I, 76; II,136; 143;187; 195<br />
Armin). A questo primo nucleo lessicale, poi, si aggiunsero man mano<br />
serie sempre più lunghe e complesse di nomi, nati da ulteriori associazioni<br />
e derivazioni e differenziazioni che portarono la lingua sempre più lontano<br />
dalla sua primitiva purezza (S.V.F. II, 87).<br />
A questa primordiale semplicità occorreva, dunque, risalire se si volevano<br />
trovare risposte adeguate a tanti problemi, perché in quello stadio<br />
16 R. Schmidt, Stoicorum grammatica, Amsterdam, 1967, p. 47.<br />
17 Varro, De l. L. VI,3.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
44 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
della sua evoluzione l'uomo era più vicino alle sue origini divine, meno<br />
inquinate -oggi diremmo aurorali- erano le sue conoscenze e in questo<br />
viaggio a ritroso non era privo di senso analizzare il significato delle parole,<br />
per scoprire la verità (l'etimo) in esse racchiusa.<br />
In sostanza anche il filologo è, a suo modo, un filosofo, perché anche<br />
attraverso la perspicace intellezione della parola si può tendere alla conoscenza<br />
dell'uomo.<br />
Di questo erano convinti gli Stoici e non c'è ragione per non pensare<br />
che anche Lucilio di questo fosse persuaso, almeno per quello che ci è<br />
dato di giudicare dai frammenti delle sue Satire a noi pervenuti e in particolare<br />
da quelli pertinenti a questioni grammaticali e letterararie.<br />
Di questi frammenti merita particolare attenzione il verso 1111 M.:<br />
archaeotera * unde haec sunt omnia nata<br />
che così il Marx propose di integrare, sostituendo con il comparativo<br />
neutro plurale “archeotera” le forme “archeotyra” e “archeotypa” dei<br />
codici, in ciò seguito da Terzaghi - Mariotti 18 , Warmigton 19 ed altri, fra<br />
cui Krenkel 20 .<br />
Il verso così integrato, potrebbe essere chiosato - a parere di Marx - in<br />
questa maniera:<br />
“< nosce > archaeotera < illa > unde eqs.”<br />
È indubitabile che il verso raggiunge in questo modo una sua completezza<br />
e diventa obiettivamente intellegibile, ma qualche dubbio resta.<br />
È vero, infatti, che le parole di Lucilio perdono in tal modo la loro<br />
oscurità e riacquistano un ritmo e uno svolgimento logico, nonché un to-<br />
18 N. Terzaghi- I. Mariotti, C. Lucili Saturarum reliquiae, Florentiae MCMLXVI, p.104.<br />
19 W, Warmigton, Remains of old Latin, vol III, London, 1957, p. 54.<br />
20 Lucilius, Satiren, Lat. u. deutsch, von W. Krenkel, Leiden, 1970.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 45<br />
no, starei per dire, luciliano, ma è altrettanto indubbio che fa uno strano<br />
effetto un verso così compiuto e vigoroso, a cui, però, non si saprebbe<br />
davvero che ambito assegnare né che funzione nell'economia dell'originario<br />
contesto. E poi, quel “nosce” iniziale e il neutro plurale “illa” andrebbero<br />
bene solo se fossimo sicuri dell'argomento trattato o comunque se<br />
avessimo una qualche idea chiara sullo sviluppo del pensiero del poeta.<br />
Ma di questo non è il caso nemmeno di parlare.<br />
Il Marx si mostra convinto che qui «veteres commendavit, in primis<br />
Homerum, unde tamquam ex Oceano omnia posteriorum scriptorum nata<br />
esse docent Graeci», ma non dice donde abbia tratto questa convinzione.<br />
Certo l'ipotesi ha una sua verosimiglianza - ovviamente in assenza di<br />
qualsiasi altro punto di riferimento che non sia la generica sensazione che<br />
il verso faccia riferimento a una esplicita comparazione fra due termini di<br />
differente consistenza, essendo palesemente il primo, se non l'origine,<br />
almeno il presupposto del secondo - ma non pare che ci siano elementi<br />
sufficienti a far pensare che Lucilio volesse chiamare in causa gli antichi<br />
scrittori greci (Omero o, come pensa il Fiske 21 gli autori della Commedia<br />
a\rcaÍa), per contrapporli ai suoi contemporanei, contro i quali certo polemizza,<br />
e molto, ma ai quali non aveva senso contrapporre Omero come<br />
inesausta fonte di tutto ciò che dopo di lui è venuto.<br />
Questo potrebbe andare bene caso mai se il discorso fosse incentrato su<br />
argomentazioni pertinenti alla poesia, all'epica, alla mitologia o, comunque,<br />
a fatti artistici e letterari, che agevolmente potrebbero essere ricondotti<br />
al modello omerico come estremo e più significativo punto di riferimento,<br />
da cui (unde) hanno derivato gran parte della loro efficacia e<br />
della loro eccellenza. Ipotesi, questa, interessante, ma priva di riscontri.<br />
E, poi, quali altri “veteres” avrebbe Lucilio additato oltre l'aedo di<br />
Chio? Nomi non ne mancano, ma di essi ben pochi potrebbero essere<br />
equiparati ad Omero, nel suo diritto ad essere considerato la fonte primigenia<br />
di ogni altra espressione artistica, genericamente intesa. In ogni ca-<br />
21 G.C. Fiske, Lucilius and Horace, Madison,1920 (= Hildesheim, 1966), p. 281 sgg.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
46 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
so non si vede perché avventurarsi ad ipotizzare dei nomi, quando non<br />
siamo neppure sicuri che qui Lucilio ne abbia menzionato anche uno solo.<br />
Sarebbe più prudente concludere col Terzaghi che non è nemmeno<br />
chiaro «utrum de rebus philosophicis an grammaticis loquatur poeta», in<br />
attesa di più sicuri riscontri.<br />
E se Lucilio parlasse ad un tempo di cose pertinenti ugualmente alla filosofia<br />
e alla grammatica? Cioè, non potrebbe questo verso riguardare il<br />
problema della etimologia che, si è visto, tanto interessò lo Stoicismo di<br />
cui il nostro Lucilio sentì intensamente il fascino, anche a proposito di<br />
questioni linguistiche?<br />
L'esempio di Elio Stilone - ci chiediamo -non potè suggerirgli qualche<br />
incursione anche in questo campo, in cui più agevolmente e con più profitto<br />
sappiamo che si mosse l'altro discepolo di Stilone, cioè Varrone?<br />
Le parole del frammento hanno un tono filosofico, ma non sembra che i<br />
“primordia rerum” qui c'entrino molto.<br />
Ora noi sappiamo che Varrone, nel “De Lingua Latina”, oltre che di<br />
problemi di morfologia e di sintassi, si occupò anche di questioni etimologiche<br />
(quemadmodum vocabula rebus essent imposita). Anzi egli ci ha<br />
fatto sapere (al principio del V° libro) che in ben tre libri (II, III, IV) ha<br />
trattato “de disciplina quam vocant e\tumologikhén”, esponendo ciò che<br />
si può dire “contra eam, pro ea, de ea”, mentre in altri tre libri (V, VI,<br />
VII) avrebbe trattato “a quibus rebus vocabula imposita sint in lingua<br />
Latina”, cioè a dire che sarebbero state ricercate “singulorum verborum<br />
origines”.<br />
Nella spiegazione delle parole egli distingue 22 quattro gradi, su cui è<br />
opportuno soffermarsi brevemente.<br />
Il primo grado (gradus imfimus) è quello «quo populus etiam venit».<br />
Riguarda tutte quelle parole la cui etimologia è intuibile anche da una<br />
22 Varro, De l. L. V,7-8.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 47<br />
persona non eccessivamente colta, come ad es. l'it. “libraio” e tutti quei<br />
nomi che si spiegano facilmente per immediata derivazione.<br />
Il “secundus gradus”, poi, è quello “quo grammatica escendit” e riguarda<br />
la formazione di nuove parole o la riutilizzazione di vecchie parole<br />
in un differente contesto d'uso. Di esse Varrone non si occupa, in quanto<br />
non sono parte importante del lessico tradizionale latino.<br />
Il “tertius gradus”, «quo philosophia ascendens pervenit atque ea quae<br />
in consuetudine communi essent aperire coepit» (V, 8), è quello che riguarda<br />
l'etimologia nel senso usuale del termine.<br />
Solo del quarto grado non siamo compiutamente informati, ma in esso<br />
sono forse collocabili quelle parole che «si basano non sulla derivazione<br />
da altre parole, ma su impressioni non comprovabili, le quali dovrebbero<br />
in fondo ricondursi alle origini del linguaggio», come dice il Pisani 23 .<br />
Ora è notevole che Varrone precisi con molta chiarezza i due metodi<br />
impiegati contemporaneamente nelle sue analisi etimologiche, quelli,<br />
cioè, grammaticali propriamente detti e quelli filosofici, cioè stoici.<br />
Dice, infatti, nel passo sopra citato: «non solum ad Aristophanis lucernam,<br />
sed etiam Cleanthis lucubravi», intendendo significare che alla pura<br />
grammatica di scuola alessandrina, la lucerna di Aristofane, ha unito l'esperienza<br />
filosofica di spirito stoico, la lucerna di Cleante, tentando quindi<br />
una strada decisamente nuova per spiegare «a quibus rebus vocabula<br />
imposita sint» e per chiarire meglio «de nostris cur sint, de alienis unde<br />
sint», senza trascurare neppure le parole ormai in disuso (oblivia).<br />
Interessante il fatto che Varrone qui applichi il principio (di derivazione<br />
stoica) della “commutatio litterarum”, per cui “non reprehendendum igitur<br />
in illis qui in scrutando verbo litteram adiciunt aut demunt, quo facilius<br />
quid sub ea voce subsit, videri possit (VII, 1).<br />
Ma ancora più interessante il tentativo di giustificare questo principio<br />
23 V. Pisani, Non solum ad Aristophanis lucernam..., : La teoria grammaticale e quella<br />
filosofica nell'etimologia di Varrone, in «Atti Congr. internaz. di studi varroniani», vol.<br />
I, Rieti, 1976, pp. 197-207.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
48 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
con l'osservazione della sua efficacia in fasi storiche diverse o in ambiti<br />
differenti, cioè da un punto di vista diacronico e sincronico. Si vedano le<br />
osservazioni sulla oscillazione tra “ae” ed “e” a proposito dell'agg. obscaenum,<br />
in un passo (VII, 96) dove si cita il nome di Lucilio (... Lucilius<br />
scribit: “Cecilius pretor ne rusticus fiat”), o quelle fatte a proposito del<br />
passaggio di s in r o sul v intervocalico.<br />
Di particolare rilevanza, ai fini del nostro discorso, è un passo (VI, 36),<br />
in cui troviamo espressa una teoria grammaticale, per la quale le parole,<br />
mediatamente o direttamente, sono riconducibili a “verba primigenia”,<br />
cioè a “verba quae non sunt ab aliquo verbo, sed suas habent radices”.<br />
Già da questa sola citazione non c'è chi non veda la possibilità di un<br />
proficuo accostamento a questo passo varroniano del verso 1111 M., di<br />
cui stiamo cercando di investigare il significato.<br />
Da ogni “verbum primigenium” - precisa Varrone - derivano numerosissimi<br />
“verba declinata”, cioè quelle parole che “ab alio oriuntur” 24 , addirittura<br />
cinque milioni da ognuna delle parole primigenie.<br />
Ma dalla lucerna di Aristofane Varrone passa tosto a quella di Cleante,<br />
ovvero alla filosofia, perché meglio venga illuminata la “ratio” ultima<br />
delle parole, per conseguire la quale di molta utilità può essere l 'onomatopea<br />
(per cui res cum sono versi aliqua similitudine concinat), che più<br />
volte 25 viene chiamata in causa a gettare luce su alcune di quelle parole<br />
primigenie, la cui origine costituiva (e costituisce ancora) un problema<br />
non facilmente solubile.<br />
Certo non sempre le ombre furono diradate, ché anzi talora le cose finirono<br />
per ingarbugliarsi di più, ma i successi non furono pochi, anche per<br />
merito della tradizione stoica che fornì a Varrone un vigoroso orientamento<br />
teoretico e di metodo.<br />
Alla luce di queste ultime considerazioni, si potrebbe ipotizzare che nel<br />
verso di Lucilio in questione si parlasse proprio di questi “verba primige-<br />
24 Varro, De l. L. VI, 38.<br />
25 Varro, De l. L. V, 96, 78; VI, 67; VII, 101.<br />
CHRONOS<br />
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LUCILIO E LO STOICISMO 49<br />
nia”, di queste parole molto antiche o le più antiche, da cui poi sarebbero<br />
derivate tutte le altre.<br />
Cioè a dire, e senza far carico a Lucilio di interessi etimologici pari a<br />
quelli di Varrone, nulla vieta di pensare che qui si alludesse alla teoria<br />
stoica della derivazione delle parole da “verba primigenia”, cosa per altro<br />
non sorprendente dopo quanto si è detto circa la formazione culturale di<br />
Lucilio, la larga diffusione della dottrina stoica sui problemi linguistici e<br />
l'interesse che per questi ultimi Lucilio mostra di avere.<br />
Non si dimentichi, poi, che anche in altri versi, pertinenti o no al libro<br />
IX delle Satire, il poeta di Sessa mostra di essersi occupato di siffatte<br />
questioni, come avremo modo di evidenziare.<br />
Tornando al nostro frammento, inclinerei ad accettare la proposta di S.<br />
Timpanaro 26 , per il quale si potrebbe supporre un a\rcaioétupov, che starebbe<br />
ad a\rceétupov, come a\rcaioégonov sta ad a\rceégonov, per cui<br />
avremmo:<br />
“archaeotypa < illa > unde haec sunt omnia nata”,<br />
intendendo ovviamente il termine archaeotypa nel senso di “forme originarie”,<br />
“primigenie”, da cui poi sono nate tutte le altre parole.<br />
Il verso così inteso fornirebbe una indubbia conferma degli interessi<br />
etimologici di Lucilio, e, al contempo, sugli orientamenti filosofici o,<br />
meglio, culturali di questo “filologo”, anche lui, come Ennio, strettamente<br />
legato alla cultura greca ed ellenistica in particolare.<br />
Tutto questo, ovviamente, se la lettura proposta potesse andare al di là<br />
di una semplice “divinatio”, sempre risicata per quanto ragionevolmente<br />
formulata.<br />
Infatti, l'ipotesi in questa sede abbracciata non può essere immune da<br />
obiezioni e riserve, come quelle, ad es., avanzate dalla Degl'Innocenti<br />
26 I. Mariotti, Studi luciliani, Firenze, 1969, p. 38, n.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
50 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
Pierini 27 che, partendo da un riesame del testo di Atilio Fortunaziano<br />
(GL VI, 278, 19 K.), contenente il nostro frammento, arriva alla conclusione<br />
che non possa essere accettata la lettura “archaeotera” del Marx e<br />
che andrebbe accolta la lettura “archetypa” del Parrhasius 28 , in forza anche<br />
del riscontro con un altro passo di Fortunaziano (GL VI, 294, 5/6 K.)<br />
in cui “archetypon” sarebbe usato nel senso di “libro originale”, di “fonte”.<br />
“Archetypon” risulterebbe, perciò, attestato per la prima volta in Lucilio,<br />
prima dunque di Varrone, che lo usa come aggettivo 29 , e di Cicerone,<br />
in cui <strong>30</strong> avrebbe il significato di “primo esemplare ufficiale” di un'opera.<br />
Il termine, comunque, sarebbe ben più antico e un terminus post quem<br />
lo si potrebbe ricavare, più che da una testimonianza di Dionigi di Alicarnasso<br />
31 , in vero parecchio generica, da un epigramma attribuito a Leonida<br />
di Taranto 32 , vissuto negli ultimi decenni del IV sec. a. C. 33<br />
Secondo la Pierini, in questo epigramma, come anche in altri ambiti 34 ,<br />
il termine in questione avrebbe il significato di “modello ideale, che risiede<br />
nella mente dell'artista e sottintende quindi una precisa problematica<br />
in sede di valutazione estetica" 35 . Sarebbe, perciò, l'equivalente della<br />
“species pulchritudinis” di Cicerone 36 e, in ultima analisi, del paraédeigma<br />
platonico, con cui si rende il concetto di i\deéa.<br />
“Archetypon” (mai usato da Platone) sarebbe stato adoperato “ampiamente”<br />
(?) - dice la Pierini - nella divulgazione della teoria platonica del-<br />
27<br />
R. Degl'Innocenti Pierini, Due note a Lucilio, in «St. it. di Filol. class.», N. S.,1978, p.<br />
55 sgg.<br />
28<br />
Nell'editio princeps del testo di Fortunaziano, fatta da Ianus Parrhasius, Milano, 1504<br />
pei i tipi di G. A. Scinzenzeller.<br />
29<br />
Varro, Rust. III, 5,8.<br />
<strong>30</strong><br />
Cic. Att. 16,3,1.<br />
31<br />
in Fozio (Phot. Bibl. cod. 279. p. 582).<br />
32<br />
A. Pl. 206.<br />
33<br />
Cfr. M. Gigante, L'edera di Leonida, Napoli, 1971, p. 37 sgg.<br />
34<br />
Cfr. A. Pl. 204,2; A. P., 792,4; Macrob. Sat. 5, 13, 23.<br />
35<br />
R. Degl'Innocenti Pierini, op. cit. p. 66.<br />
36 Cic. Orator, 8-9.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 51<br />
le idee e avrebbe mantenuto, fino a Lucilio, il significato di “modello<br />
ideale”, a denotare, cioè, una cosa che può essere imitata, ma mai raggiunta.<br />
In conclusione anche nel nostro frammento si parlerebbe di “modelli<br />
ideali”, e questo perché l'espressione “unde haec sunt omnia nata” implicherebbe<br />
un concetto di filiazione diretta, che ben si conviene al rapporto<br />
fra modello e imitazione 37 . Tale ipotesi implicherebbe una matrice accademica<br />
del termine (Clitomaco) e testimonierebbe altresì l'eclettismo luciliano<br />
in materia filosofica.<br />
Ora, a parte il fatto che di questo eclettismo luciliano è più facile dire<br />
che non addurre prove, non riesce del tutto convincente l'accezione in cui<br />
“archetypon” sarebbe usato nel verso che stiamo esaminando.<br />
Infatti, quali sono questi “modelli ideali” irraggiungibili di cui parlerebbe<br />
Lucilio?<br />
La Pierini non lo dice e si limita ad ipotizzare che “poteva trattarsi di<br />
modelli letterari in senso lato, come i precedenti greci del genere satirico<br />
o di modelli utilizzati da Lucilio come fonte per qualche satira in particolare”.<br />
In fondo, con siffatte argomentazioni, si dicono le stesse cose di<br />
Marx, che chiamava in causa Omero, il sommo poeta al quale solo poteva<br />
convenire l'epiteto di “modello irraggiungibile”.<br />
Ma per gli altri poeti, e per di più satirici, a quale di essi si poteva alludere<br />
come a modello ideale? Se si pensa a quello che conosciamo sulla<br />
satira, non si può non essere molto scettici sull'esito di una simile ricerca.<br />
E poi, che Lucilio, poeta così sarcastico e insofferente e irriverente verso<br />
tanti suoi predecessori e contemporanei, abbia usato quel verso con<br />
quel significato non ci si riesce a capacitare, a meno che non fosse, questo<br />
verso, inserito in un contesto che lo giustificava. Ma, dicendo questo,<br />
ritorniamo ancora a quel desolante punto di partenza, che stimola la “divinatio”<br />
e legittima ogni ipotesi.<br />
Vediamo adesso di ricavare qualche altra utile informazione sugli inte-<br />
37 R. Degl'Innocenti Pierini, op. cit. p. 68.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
52 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
ressi linguistici di Lucilio, selezionando fra i parecchi frammenti delle<br />
Satire in qualche modo pertinenti a problemi grammaticali e linguistici<br />
alcuni versi luciliani che, sia per la loro intellegibilità e sia, soprattutto,<br />
per la particolare rilevanza delle questioni affrontate, meglio si prestano<br />
ad essere utilizzati ai fini dell'assunto del presente contributo.<br />
Di un qualche interesse può risultare un preliminare riferimento ad un<br />
passo del grammatico Diomede (I, 487, 23), che ci fornisce tre etimologie<br />
del nome “Tragedia”, attestate rispettivamente in Varrone, Orazio e, appunto,<br />
Lucilio, nel XII ° Libro delle sue Satire.<br />
Secondo il Reatino (Fr. <strong>30</strong>4 Fun.) trag§dÍa deriva da traégov, cioè<br />
dal capro sacrificato a Dioniso, come inclina a credere anche Orazio (Ars<br />
Poet. 220: “carmine qui tragico vilem certavit ob hircum”), in ossequio<br />
ad una antica e consolidata tradizione.<br />
Dice, dunque, Diomede:<br />
Alii autem putant a faece, quam Graecorum quidam truéga<br />
appellant, tragoediam nominatam, per mutationem<br />
litterarum u in a versa, quoniam olim nondum personis a Thespide<br />
repertis tales fabulas peruncti ora faecibus agitabant, ut<br />
rursum est Horatius testis sic:<br />
Ignotum tragicae genus invenisse Camenae<br />
infecti faecibus ora.<br />
Dunque, secondo questa etimologia, il termine “tragoedia” (gr.<br />
trag§dÍa) deriverebbe da truéx, nel significato di “mosto”, in quanto<br />
durante la recitazione gli attori avevano il viso impiastricciato di mosto,<br />
come appunto attestato da Orazio (Ars Poet. 275 sgg.), in un passo in cui<br />
si allude al problema dell'origine di quel genere letterario.<br />
Lucilio, invece, accetta del termine tragoedia una diversa spiegazione,<br />
per la quale all'origine della parola c'è sempre truéx, ma il riferimento<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 53<br />
sarebbe al fatto che “Liberalibus apud Atticos die festo Liberi patris<br />
vinum cantoribus pro corollario dabatur” (Diomed, I, 487, 23).<br />
Ora è evidente che - pensa Mariotti 38 -, come in Orazio, così anche in<br />
Lucilio è quanto mai probabile che si desse una spiegazione del termine<br />
in questione, che cioè non si trattasse solo di un fugace accenno alla consuetudine<br />
di dare del vino ai cantori durante le feste in onore di Dioniso,<br />
ma si tentasse, attraverso una specifica puntualizzazione sull'etimo della<br />
parola tragoedia, una vera e propria riconsiderazione delle prime vicende<br />
di questo genere letterario, secondo un procedimento di netta derivazione<br />
stoica.<br />
Nulla di strano, quindi, che nel libro XII delle sue Satire Lucilio parlasse<br />
proprio della tragedia, così come per altro aveva fatto Accio dei suoi<br />
Didascalica (cfr. Fr. 6 Fun.).<br />
Come detto, non sappiamo da chi Lucilio abbia attinto le informazioni<br />
in suo possesso, come non sappiamo se nel libro XII delle Satire si parlasse<br />
anche di altre teorie sulla origine della tragedia o se di essa si fornissero<br />
altri particolari, come avviene nell'Ars Poetica del Venosino.<br />
Possiamo, però, supporre che anche per questo problema Lucilio si avvalse<br />
di quelle fonti ellenistiche di cui fa tesoro pure Orazio, che infatti<br />
dice che fu Tespi (vv. 275-6) ad aver “inventato” la poesia tragica, di<br />
averla cioè perfezionata, di averle dato quella sistemazione che poi la caratterizzerà<br />
definitivamente, come puntualmente attestato da Aristotele<br />
nella sua Poetica (capp. IV-V).<br />
La dottrina ellenistica, partendo dalle stesse indicazioni di Aristotele,<br />
insisteva proprio su questo merito di Tespi, che “dicitur et plaustris vexisse<br />
poemata”, come dice Orazio, che è probabile che abbia fatto confusione<br />
con la Commedia, poiché alcune fonti parlano di lazzi e facezie che<br />
“dal carro” i kwmaézontev lanciavano ai passanti nelle feste dei coéev ed<br />
anche nelle Lenee.<br />
Può darsi che ci sia un accenno ad un primitivo uso drammatico (“carro<br />
38 I. Mariotti, op. cit. p.35.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
54 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
navale” di Dioniso), ma è più probabile che abbia ragione il Rostagni 39 ,<br />
quando pensa che il “genus” di Tespi sia qui inteso come “qualcosa in<br />
cui la Tragedia non era ancora del tutto distinta dalla Commedia”. E la<br />
questione dell'etimo può confermarlo.<br />
Sappiamo, infatti, che la Commedia fu chiamata, per scherzo o - come<br />
dice il Mariotti - “con evidente allusione parodica a trag§dÍa,<br />
trug§dÍa e questa parola veniva spiegata come segno o che il vino,<br />
truéx, fosse dato in premio al vincitore o che gli attori e i coreuti si tingessero<br />
col mosto la faccia.<br />
Lucilio e Orazio ci documentano le due spiegazioni, mostrando di derivare<br />
da un unico orientamento ermeneutico, molto probabilmente consolidatosi<br />
nel periodo ellenistico, quando si formò il convincimento che nel<br />
“genus tragicum” di Tespi era ancora implicata la Commedia, per cui si<br />
poteva parlare di trag§dÍa, perché il premio era il traégov (vilem certavit<br />
ob hircum), ma al contempo anche di trug§dÍa, dal momento che gli<br />
attori si tingevano di mosto e la rappresentazione era ancora saturikhèn<br />
kaÌ o\rchstikwteéran, non si era fatta ancora austera (a\pesemnuénjh),<br />
non era, cioè, ancora Tragedia.<br />
Aristotele dice appunto questo 40 .<br />
Nell'Ellenismo, poi, si pensò che Tragedia e Commedia avessero avuto<br />
comune origine in Icaria, patria di Tespi, da una medesima occasione e<br />
che trug§dÍa indicasse inizialmente quell'unico genere “tragico” ancora<br />
indistinto al quale, dunque, alluderebbe Diomede, che, attingendo ad<br />
un'opera perduta di Varrone 41 , avrebbe esplicitato i diversi punti di vista<br />
sul problema col citare le testimonianze di Orazio e di Lucilio.<br />
Quali, però, fossero i rapporti fra i due non è possibile precisare ulteriormente,<br />
non essendosi giunta in proposito la voce di Lucilio.<br />
Questione, questa, estremamente interessante, ma da lasciare qui im-<br />
39 Orazio, Arte Poetica, introd. e comm. di A. Rostagni, Torino, 1969, p. 79.<br />
40 Arist. Poet. IV, 1449, 19-23.<br />
41 Cfr. I. Mariotti, op. cit. p. 35.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 55<br />
pregiudicata, in quanto ci porterebbe troppo lontano dal nostro assunto, al<br />
quale ritorniamo, accennando ai vv. 338 sgg. M., che, assieme ad altri più<br />
propriamente letterari, potrebbero fornirci ulteriori elementi atti ad evidenziare<br />
meglio gli orientamenti di Lucilio in materia di retorica e di<br />
poesia, sì da essere informati con maggiore precisione sulla sua formazione<br />
culturale.<br />
Cominciamo dal dai vv. 338-40 M.:<br />
“Non haec quid valeat, quidve hoc inter sit et illud,<br />
cognoscis.Primum hoc, quod dicimus esse poema.<br />
Pars est parva poema...”<br />
Noi sappiamo che Accio nei suoi “Didascalica” aveva discusso, esattamente<br />
nel Libro IX, dei vari generi di poesia, rivolgendosi ad un tale<br />
Bebio, a cui, infatti, diceva: “nam quam varia sint genera poematorum...quamque<br />
longe distincta alia ab aliis, nosce” (Fr. 27 Fun.).<br />
Ora Lucilio, proprio nel Libro IX delle sue Satire, quasi con piglio polemico,<br />
riprende la questione e precisa subito in che cosa consista “quod<br />
dicimus poema”. Esso è “pars parva”, una parte non cospicua, un momento<br />
di relativa importanza di una realtà più complessa e più alta nella<br />
sua significatività, che è la “poiesis”, come specificato nei vv: 341 sgg.<br />
M., in cui si afferma che la poiesis è “opus totum”, per cui “tota Ilias una<br />
est / una jeésiv”, così come “Annales Enni atque e"pov unum”, di molto<br />
maggiore rilevanza del “poema”.<br />
Da ciò deriva che “qui culpat Homerum” in realtà non biasima la poesia,<br />
ma caso mai una parola, un verso dell'aedo di Chio, un “enthymema”.<br />
Lucilio ha qui seguito - come già sosteneva il Marx 42 - la dottrina dei<br />
grammatici greci e, in particolare, di quelli ellenistici, che fecero uso di<br />
42 F. Marx, C. Lucili Carminum Reliquiae, Lipsia, 1904-5, II, p. 129.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
56 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
una terminologia parecchio vicina a quella luciliana, come agevolmente<br />
si può evincere dalla comparazione di un passo di Aftonio e uno di Ermogene,<br />
che chiariscono bene il discrimine fra “poiesis” e “poiema”.<br />
Dice, infatti, il primo che “poÍhsiv meèn gaèr pa%sa h| \Iliaév, poÍhma<br />
deè h| tw%n \Acilleéwv o$plwn kataè skeuhé”, mentre l'altro precisa che<br />
“poÍhsiv h| \Iliaév, kaÌ poÍhsiv h| \OdusseÍa, poihémata deè<br />
a\spidopiÍa, nekuomanteÍa, mnesthrofonÍa”<br />
Ancora più chiare le puntualizzazioni di Varrone 43 , per il quale “Poema<br />
est lexis eurythmos, id est verba plura modice in quandam coniecta formam.<br />
Itaque etiam distichon epigrammation vocant poema. Poiesis est<br />
perpetuum argumentum ex rhytmis, ut Ilias Homeri et annales Enni....”.<br />
Si noti che Varrone utilizza gli stessi esempi di Lucilio (Iliade di Omero e<br />
Annali di Ennio), verosimilmente per il fatto che sia il Reatino che il poeta<br />
di Sessa derivano da un'unica fonte, forse Panezio, mediato da Posidonio<br />
che - diceva il Marx 44 “Illam quam Lucilius et Varro secuti sunt definitionem<br />
immutavit nonnihil e\n th% perÌ leéxewv ei\sagwg°%, auctore<br />
Diog. Laert, VII, 60....”.<br />
Solo che in Posidonio ci sono in più affermazioni riconducibili alla teoria<br />
peripatetica, ma comunque non tali da non poter essere spiegati (dovuti<br />
ad “adattamenti pratici” pensava il Terzaghi) e da inficiare la derivazione<br />
in ultima analisi stoica delle affermazioni luciliane.<br />
È, quindi, probabile che la sottesa e decisa risposta ad Accio (così intende<br />
il frammento la maggior parte degli studiosi) fosse motivata dal<br />
fatto che quest'ultimo avesse opinioni letterarie non propriamente paneziane<br />
e tali da determinare la voglia di una ennesima puntualizzazione da<br />
parte di Lucilio, con quanta giustificazione non sappiamo.<br />
Ad ogni modo, in sede di valutazione estetica, vale la pena di sottolineare<br />
come Lucilio fosse ancora vicino agli Stoici, che distinguevano fra<br />
afflato lirico e traduzione dello stesso in opera poetica. Per Lucilio - dice<br />
43 Anche Neottolemo distingueva nettamente i due termini e porta ad esempio l'Iliade.<br />
Cfr I. Mariotti, op. cit. p.18.<br />
44 F. Marx, op. cit. II, p. 129.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 57<br />
efficacemente il Marastoni – “l'afflato poetico (poiesis) è un fatto che investe<br />
tutto il componimento, mentre il discorso sulle singole parti della<br />
composizione (poiema) è più specificatamente tecnico che non poetico”<br />
45 . Tutto il contrario di quello che, poi, penserà Stazio.<br />
Ma prendiamo in esame qualche altro frammento.<br />
Nel v. 1013 M. (riferibile al Libro XXX delle Satire) ricorre il termine<br />
“poema” (“et sola ex multis nunc nostra poemata ferri”), che, però, è qui<br />
usato nell'accezione di “poesia breve”, anche di forma epistolare e perciò<br />
di stile tenue, come precisa il Mariotti 46 .<br />
Si conosce da alcuni frammenti 47 l'opposizione di Lucilio alle figure retoriche,<br />
soprattutto nello stile epistolare, che rientrava nel geénov i\scnoén<br />
e non ammetteva l'abuso di schémata retorici, che per altro riportavano<br />
alla dottrina stoica.<br />
Qui possiamo solo osservare che anche la lettura di questi frammenti<br />
luciliani ci riporta alla poetica ellenistica, callimachea, aristotelica, cioè a<br />
quel nuovo orientamento del gusto che portò ad una letteratura più aderente<br />
alla cultura del tempo, meno saggetta ai vincoli della tradizione e<br />
tesa a soddisfare quelle esigenze che l'epica e la tragedia non erano più in<br />
grado di interpretare e che, sul versante filosofico, diedero vita allo Stoicismo<br />
e all'Epicureismo.<br />
Quanto, poi, a Roma il Circolo degli Scipioni di tali nuove esigenze si<br />
fece mediatore e propugnatore è cosa assai nota, come è da tempo assodato<br />
che la modernità di Lucilio va soprattutto vista nella sua capacità di<br />
adeguarsi alle mutate condizioni della poesia latina, che si andava evolvendo<br />
“nel senso di un sempre più compiuto alessandrinismo” (Mariotti),<br />
interpretando con intelligenza i nuovi fermenti ed esplicitando con chiarezza<br />
le contraddizioni, ma anche le potenzialità dei tempi nuovi.<br />
Non è senza importanza il fatto che Lucilio abbia manifestamente preso<br />
le distanze dalla poesia epica, della quale avvertiva i limiti e che sentiva<br />
45<br />
A. Marastoni, Introd. a Stazio (Appunti dalle lezioni), Milano, 1975.<br />
46<br />
I. Mariotti, op. cit. p. 18.<br />
47<br />
Cfr. v. 184 M. sgg. ; v. 181 M. sgg.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
58 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
in distonia con le esigenze spirituali dei suo tempo, nonché con le sue<br />
personali inclinazioni. Egli voleva “ex praecordiis ecferre versum” (v.<br />
590 M.), esternare quel che l'animo gli dettava e, in questo sforzo di sincerità,<br />
non poteva soccorrerlo un genere letterario ormai disancorato dalla<br />
realtà quotidiana e che la sua inadeguatezza mascherava con paludamenti<br />
e lenocinii, forse ancora fascinosi, ma freddi e insinceri.<br />
Da qui le note bordate contro la falsa semnoéthv tragica, la mancanza<br />
di senso di misura e le risibili esasperazioni di cui il genere tragico abbondava.<br />
A questo proposito, particolare importanza assume la satira programmatica<br />
posta all'inizio del Libro XXVI, poiché in questi versi, oltre ad<br />
una giustificazione delle proprie scelte, Lucilio esplicita le più le più determinate<br />
e radicali scelte antitragiche 48 .<br />
Non si possono non citare a tal proposito il v. 587 M., il più chiaro fra<br />
quanti alludono alle esagerazioni consuete dell'epico armamentario usato<br />
dai poeti tragici; il v. 597 M., che sembra irridere il turgore di tante<br />
espressioni tragiche pacuviane, e il v. 599 sg. M., in cui il senso caricaturale<br />
è manifesto nell'espressivo accostamento di ben quattro parole, tutte<br />
inizianti per “in-”, che con martellante insistenza perfezionano un unico<br />
concetto.<br />
Non vanno sottaciuti neppure il v. 588 sg. M. (riferibile, pur con qualche<br />
riserva, alla polemica antitragica), il v. 601 M.(ove un personaggio<br />
tragico sul punto di uccidersi si perde in una “deliberatio”, per deciderere<br />
“suspendatne se an in gladium incumbat...”), il v. 602 M., il v. 603 M.<br />
(spiegato, però, anche in altri modi), il v. 605 M. (che conterrebbe - secondo<br />
Marx - un riferimento all'Armorum iudicium di Pacuvio), il v. 606<br />
M. (in cui si dice di Aiace, che da solo riuscì a salvare la flotta minacciata<br />
48 Per la struttura e il contenuto del L. XXVI delle Satire, oltre alle osservazioni del Cichorius,<br />
del Marx e dello Knoche, si veda N. Terzaghi, op. cit. p. 102, ove si dice che in<br />
questo libro erano presenti tre satire. Notevoli le opinioni contrarie di altri studiosi<br />
(Krenkel, Khristes ...).<br />
CHRONOS<br />
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LUCILIO E LO STOICISMO 59<br />
dal fuoco nemico, come è narrato in Omero), il v. 607 M. (notevole per<br />
la presenza del termine “domuitionis”, che trova riscontro in frammenti<br />
di Pacuvio ed Accio), il v. 608 M. (in cui è attestato il lungo composto<br />
“monstrificabile”, raffrontabile con analoghi e artificiosi composti usati<br />
da Pacuvio ed Accio, dei quali si sottolinea l'enfasi e la vacuità) e il v.<br />
650 M. (nel quale si fa riferimento a quei “verba inusitata aut zetematia”<br />
della cui ampollosità si nutriva un genere letterario, quello tragico, ormai<br />
disancorato dalla realtà).<br />
Altri frammenti ancora sembrano pertinenti a questa polemica antitragica<br />
(1169 M.; 653 M.; 656 M.; 658 M.; 663 M.; 677 M.; 212 M.; 388<br />
M.; 389 M.; 163 M.;), ma è preferibile accennare ad un gruppo di altri<br />
frammenti in cui più esplicita è la presa di posizione di Lucilio nei confronti<br />
dell'epica, accomunata alla tragedia in una categorica condanna,<br />
che colpiva soprattutto le più vistose eccentricità formali, ma che chiaramente<br />
mirava a sottolineare l'inattualità e la discrepanza col generale modo<br />
di sentire e con quella concezione, che potremmo dire pre-neoterica,<br />
della poesia di cui il poeta di Sessa si fa banditore convinto e sincero.<br />
È ovvio che non pochi dei versi già esaminati a proposito della tragedia<br />
valgono anche a definire la polemica antiepica di Lucilio sia perché i due<br />
aspetti della questione sono manifestamente complementari e sia perché<br />
si tratta di frammenti presenti in un unico contesto, e cioè la nota Satira<br />
programmatica del Libro XXVI, nella quale è probabile vi fosse la giustificazione<br />
della poesia satirica e la recusatio di occuparsi di epica o, comunque,<br />
di argomenti al poeta non congeniali.<br />
Ad un amico che gli consigliava di non impegolarsi in un genere “difficile”<br />
e presumibilmente poco gratificante come quello satirico per dedicarsi<br />
invece alla poesia epica, Lucilio risponde in modo netto, fornendoci<br />
la più chiara testimonianza dei suoi gusti e della sua concezione poetica.<br />
Dice l'amico: “Hunc laborem sumas, laudem / qui tibi ac fructum ferat”<br />
(v. 620 M.) e, subito dopo, più esplicitamente: “Percrepa pugnam Popili,<br />
facta Corneli cane” (v. 621 M.), invitando Lucilio ad un'opera di grosso<br />
impegno, che celebrasse i fatti di Spagna di cui Scipione era stato prota-<br />
CHRONOS<br />
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60 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
gonista e che certo avrebbe procurato all'autore concreti vantaggi.<br />
Ma Lucilio non era fatto per queste cose, era, anzi, molto geloso della<br />
sua indipendenza di giudizio 49 e, poi, soprattutto, non si sentiva portato<br />
per quel genere di opere, per cui rifiuta il consiglio (v. 622 M. “Ego si qui<br />
sum et quo folliculo nunc sum indutus non queo”), dicendo anche che<br />
ciascuno deve misurare le proprie forze, non fare il passo più lungo della<br />
gamba e mantenersi sempre “ita uti quisque nostrum / e bulga est mostris<br />
in lucem editus” (v. 623 M.).<br />
A lui non interessava affatto darsi da fare per conseguire più prestigiosi<br />
e lucrosi incarichi (cfr. v. 671 M.) e poi non aveva il temperamento adatto<br />
per comporre un'opera quale quella consigliatagli (cfr. v. 629 M. “Et<br />
quod tibi magnopere cordi est, mi vehementer dispicet”), ragion per cui<br />
“farei di tutto” - dice Lucilio - “ut ego effugiam, quod te in primis cupere<br />
apisci intellego” (v. 628 M.).<br />
D'altra parte Lucilio non ambiva ad un grosso successo di pubblico, gli<br />
bastavano pochi ma intelligenti lettori, gente di buon senso e con gli occhi<br />
ben aperti sulla realtà, non dei sapienti, ma neppure degli ignoranti.<br />
(v. 592 M.; 595 M.), coerentemente col suo ideale di misura linguistica e<br />
stilistica (si ricordino le sue riserve sull'esagerato uso delle figure retoriche),<br />
che lo induceva, ad es., a stigmatizzare la pronuncia troppo affettata<br />
di Scipione, che diceva (vv. 963-4 M. inc. sed.) “pertisum” invece di<br />
“pertaesum”, consacrato dall'uso, per sembrare “facetior”, cioè più fine,<br />
per uno “snobismo stracittadino” - come dice il Ronconi 50 - e “per avere<br />
l'aria di saperne più degli altri” (scire plus quam ceteri).<br />
Forse anche il v. 627 M. rientrava nella satira programmatica, ma non<br />
c'è unanimità in proposito fra gli studiosi. Vi si parla di qualcosa che è di<br />
gran lunga preferibile ad altra (“quare hac colere est satius quam illa”),<br />
che vale la pena di coltivare con determinazione (“studium omne hic consumere”).<br />
49 Cfr. B. Zucchelli, op. cit., in cui si discute in modo esauriente e convincente della<br />
personalità di Lucilio, con una efficace disamina della bibliografia sull'argomento.<br />
50 A. Ronconi, Interpretazioni letterarie nei classici, Firenze, 1972, p. 1.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 61<br />
Nulla di strano che all'epica in qualche modo si facesse riferimento, ovviamente<br />
in senso polemico.<br />
Difficilmente, invece, in questo contesto potremmo far rientrare il v.<br />
676 M. e i vv. 613-4 e 615-6 M., che richiamano troppo da vicino temi<br />
specificamente storici, così come il v. 626 M. e i vv. 633.4 M.<br />
Da questo certamente incompleto excursus appare già chiaro che nella<br />
satira programmatica la tragedia e l'epos erano trattati insieme, in quanto<br />
costituivano uno “specimen” della poesia di tono elevato, tanto lontana<br />
dal comune sentire da risultare solo oggetto di curiosità, se non proprio<br />
motivo di fastidio. Questo medesimo effetto dovevano per Lucilio sortire<br />
i tanti composti tragici ed epici, quei roboanti epiteti, che già Callimaco<br />
aveva deriso, quando aveva detto che non spetta al poeta, ma a Zeus<br />
“tuonare”.<br />
Per Callimaco meéga biblÍon, meéga kakoén, e ne è convinto anche Lucilio,<br />
per il quale, inoltre, era da evitare come una autentica iattura tutto<br />
ciò che in poesia potesse costiuire solo un vuoto esercizio formale, un<br />
artificio freddo e insincero.<br />
Solo dal proprio cuore (ex praecordiis), dalle profonde scaturigini della<br />
sua interiorità il vero poeta poteva tentare di ricavare (ecferre) versi, che<br />
sapessero parlare alla gente e dire cose che la gente potesse comprendere<br />
e incamerare.<br />
Come si vede, la poetica callimachea del secondo Prologo degli Aitia<br />
aveva per Lucilio un indiscutibile fascino, perché in fondo richiamava il<br />
poeta a quella autenticità senza la quale non era neppure pensabile che<br />
potesse esserci vera poesia.<br />
Non volle, dunque, Lucilio esprimere il suo mondo poetico in lunghe e<br />
ponderose composizioni, ma in più brevi carmi di tono colloquiale e di<br />
argomento spesso personale, i soli che presumibilmente gli avrebbero<br />
potuto consentire una comunicazione diretta ed efficace con i suoi lettori,<br />
lungi dalla sciatteria e dalla insincerità, e quindi dalla improduttività, di<br />
tanta poesia contemporanea.<br />
L'ideale della o\ligosticÍa si fondeva con quello della leptoéthv in<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
62 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
una poesia che, accanto alla tendenza al reale e all'imperativo della immediatezza,<br />
evidenziava anche lo scrupolo dell'erudito e l'aristocratico<br />
senso della propria privilegiata identità.<br />
La sua Musa era sì la “Musa pedestris” di Orazio (Sat. II, 6, 17), e cioè<br />
la Mou%sa pezhé di Callimaco (Ait. 9, 84), ma era pur sempre una Musa<br />
che non a tutti i poeti porgeva ascolto e che solo a chi mostrava un alto e<br />
profondo sentire dispensava la sua “sottile” ispirazione. È questa sostanzialmente<br />
la ragione per cui gli ideali di Lucilio sono stati detti preneoterici,<br />
volendo con questo termine semplicemente denotare quanto essi risentano<br />
di una accentuata sensibilità e di una prorompente soggettività,<br />
che di certo connotano la poesia luciliana più di quanto talora non si sia<br />
pensato.<br />
Quando Orazio (Sat. II, 1, <strong>30</strong> sgg.) diceva che Lucilio “velut fidis arcana<br />
sodalibus olim credebat libris...” in fondo mostrava di aver capito il<br />
suo predecessore più di quanto non ammettano tanti studiosi, e quando<br />
Plinio (Nat. Hist. praef. 7) dice che “Lucilius... primus condidit stili nasum”<br />
dimostra che le polemiche letterarie del Nostro non furono solo il<br />
frutto del suo non facile carattere, ma anche la logica conseguenza di precise<br />
scelte culturali.<br />
Il suo - si è detto - era un ideale di misura linguistica e stilistica, quello<br />
stesso ideale coltivato nel Circolo scipionico, ma che egli applica con<br />
buon senso, con quella moderazione che lo portava da un lato a scherzare<br />
sullo snobismo di Scipione, ma dall'altro a farsi beffe del provincialismo<br />
di Vettio e della scarsa raffinatezza del pretore Cecilio (v. 11<strong>30</strong> M.), il<br />
“pretor rusticus”.<br />
Almeno in teoria, Lucilio aderiva all'ideale della pura Latinitas, che -<br />
dice il Ronconi - “era la traduzione romana dell'ideale dell'e\llhnismoév<br />
di Diogene stoico, il maestro di Panezio, venuto a Roma nel 156 a. C.”.<br />
A Lucilio non piacevano gli eccessi, non gli garbava tutto ciò che poteva<br />
essere sconveniente (a\prepeév) e per questo anche nei riguardi dei<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 63<br />
grecismi 51 tenne un atteggiamento diremmo di cauta diffidenza, criticando<br />
non il grecismo in sé, ma il suo abuso, cioè il suo impiego in una situazione<br />
o in una consuetudine che non lo richiedevano, come autorevolmente<br />
è stato fatto notare 52 . Il v. 88 sg. M. e il v. 15 sg. M. sono in tal<br />
senso molto chiari.<br />
Anche Lucilio fece uso nelle sue Satire di parecchi grecismi, come aveva<br />
già notato Orazio (Sat. I, 10. 20 sgg.), ma si era ben guardato dall'inserirli<br />
in contesti in cui sarebbero apparsi forzati, sconvenienti o inutili, volendo<br />
riprodurre nei suoi versi quella lingua della conversazione colta che<br />
Cicerone definirà “sermo lenis minimeque pertinax”, qualcosa di mezzo<br />
fra lo stile alto e lo stile tenue, un modo di esprimersi tipico di gente di<br />
alto livello, e non solo sociale, che rifuggiva dalle sciatteria e dalla falsa<br />
semnoéthv.<br />
Anche Lucilio era da annoverare fra questa gente e lo sapeva Cicerone<br />
che lo definì “homo doctus et perurbanus” (Brut. 143), come lo sapeva<br />
Orazio, che lo definiva “comis et urbanus” (Sat. I, 10, 65).<br />
Ecco perché Lucilio non nasconde le sue perplessità sull'efficacia dello<br />
stile turgido e ampolloso di quegli autori asianeggianti, la cui oratoria<br />
“raglierà e mugolerà dai rostri” (v. 261 M.).<br />
Era ancora Callimaco il suo punto di riferimento, ma era soprattutto la<br />
sua assennata coscienza di stoico, per cui la parola deve sempre aderire al<br />
pensiero, ad indurlo a sottolineare la sconvenienza delle figure retoriche<br />
non opportunamente usate, dalle quali potrebbe derivare una patente disarticolazione<br />
fra forma e contenuto, nonché una cattiva letteratura, quella<br />
cioè per cui non può dirsi che “vera manet sententia cordi” (v. 189<br />
M.).<br />
51 Sui grecismi luciliani si veda soprattutto il più volte citato I. Mariotti, p. 50 sgg., ma<br />
utili anche A. Ronconi, op. cit. p.2 sgg; Id: Studi catulliani, Bari, 1953, p. 151 sgg.; E.<br />
Bignone, Storia della Lett. Lat., II, Firenze, 1945, p. 109 sg.; E. Argenio, I grecismi di<br />
Lucilio, in " Riv. St. Class. ", 1963, p. 5 sgg. ; I. Marouzeau, Quelques aspects de la<br />
formation du latin litteraire, Paris, 1949, p. 125 sgg. F. Marx, op. cit. II, p. 10, 79 etc.<br />
52 M. Puelma Piwonka, Lucilius und Kallimachos, Frankfurt, 1949, p. 53 sgg.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
64 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
Anche gli stoici avevano detto che dietro l'artificio si cela la insincerità,<br />
ma in Lucilio parla anche il poeta, oltre che il dotto, il sapiente, il philosophus,<br />
e le sue parole sono più amare, perché le cose che dice lo toccano<br />
nel profondo, anche quando non sembra.<br />
La vera poesia per lui poteva esserci solo a condizione che il poeta fosse<br />
disposto (avendone la capacità) a correre il rischio di essere sincero,<br />
vero, autentico. Solo dopo si poneva il problema di come fare bella la<br />
poesia.<br />
Da stoico convinto, Lucilio pensava che eu& leégein fosse lo stesso che<br />
a\lhjh% leégein.<br />
C'era, quindi, in lui una non congenialità (per usare una efficace espressione<br />
del Ronconi) con la poesia epica e tragica, se essa significava poesia<br />
strana, fatta di “verba inusitata”, di astruserie, mostri alati, di personaggi<br />
complicati, di altisonanti epiteti e formule che piacevano solo per il<br />
loro suono. Queste “ampullae”, come dirà poi Orazio (Ep. I, 3, 14; Ars.<br />
97), potevano piacere solo a gente che molto somigliava a quel presuntuoso<br />
arrivista della oraziana nona satira del primo Libro, che si crede un<br />
gran poeta (docti sumus) solo perché sa mettere in fila un gran numero di<br />
versi.<br />
Il “pondus verborum” da solo non ha mai prodotto poesia, e men che<br />
meno vera e grande poesia. Anche Orazio lamentava di Ennio certi versi<br />
“in scenam missos cum magno pondere”, e Lucilio precede Orazio in<br />
questa critica, sottolineando, pur col dovuto rispetto, taluni difetti di Ennio.<br />
In definitiva la “recusatio” della poesia epica e tragica nasceva dalla<br />
volontà di trovare forme idonee di comunicazione con il pubblico o, meglio,<br />
dalla necessità di stabilire validi e chiari punti di riferimento per la<br />
sempre nuova identità del poeta e di comportarsi di conseguenza.<br />
Da quanto detto dovrebbe risultare sufficientemente ancorata a dati di<br />
fatto la persuasione in Lucilio che la filologia e la filosofia fossero, per<br />
così dire, interdipendenti, complementari, traendo esse la loro vera e profonda<br />
ragion d'essere dalla insopprimibile esigenza di investigazione del-<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 65<br />
la umana natura nelle sue più profonde dimensioni. Certo lo spettro di<br />
interessi della filosofia è alquanto più vasto e, in qualche modo, comprensivo<br />
rispetto a quello più selettivo della filologia, ma il fine è identico<br />
e identiche sono le motivazioni profonde.<br />
Si è parecchio insistito prima sul grande interesse degli Stoici per l'etimologia,<br />
ma va anche detto che essi non furono i soli ad indirizzare in<br />
questa direzione la loro investigazione, anche nel periodo storico pertinente<br />
alla attività e alla formazione culturale di Lucilio.<br />
Ad es., anche i grammatici alessandrini (Zenodoto, Aristofane di Bisanzio,<br />
Aristarco) si distinsero in questo tipo di analisi e, poi, molto si<br />
parlò di etimologia a Roma, dove si affermò la tendenza a trarre profitto<br />
da entrambi gli orientamenti più accreditati (stoico e alessandrino), come<br />
già risulta dalla teécnh grammatikhé di Dionisio Trace (II-I sec. a. C.),<br />
discepolo di Aristarco, e, in seguito, dalla attività di Elio Stilone, che conobbe<br />
da Cratete di Mallo la dottrina pergamena (e cioè stoica) sul linguaggio,<br />
ma che non ignorò il metodo filologico degli alessndrini.<br />
Ma di Stilone si è già detto, come pure si è accennato alla posizione di<br />
Varrone, discepolo di Stilone, che come fu un conciliatore fra le due opposte<br />
tendenze dei Pergameni, stoicizzanti, e degli Alessandrini sul problerma<br />
della etimologia, così tenne anche una posizione conciliativa fra i<br />
fautori della “anomalia” (Pergameni) e della “analogia” (Alessandrini).<br />
Lunga e difficile polemica, questa fra analogisti e anomalisti, che a lungo<br />
durò nella storia degli studi linguistici, ma che comunque ci dice<br />
quanto fu lo sforzo profuso dagli Stoici in questa loro analisi del fatto<br />
linguistico, con risultati non disprezzabili, se è vero che essi fondarono<br />
la grammatica su basi sistematiche, studiando la lingua nella sua complessità,<br />
in tutti i suoi elementi costitutivi, a partire dai più semplici.<br />
Furono studiate le vocali (Zenone) e analizzati i suoni consonantici, ci<br />
si soffermò sulle sillabe, sulle parti del discorso (loégou meérh) - quattro<br />
per Zenone e cinque per Crisippo - e si discusse della declinazione dei<br />
nomi e della flessione verbale, con distinzione della “diatesi” attiva e<br />
passiva, nonché dei tempi “determinati” e “indeterminati” (futuro e aori-<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
66 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
sto), e fra i primi chiamarono “durativi” il presente e l'imperfetto, mentre<br />
il perfetto e il piuccheperfetto furono chiamati “compiuti” (suntelikoÍ).<br />
Come si vede, non era tanto il momento in cui avviene un'azione, ma<br />
l'“aspetto” della stessa ad essere assunto come principio di classificazione.<br />
Tutte queste opinioni degli Stoici intorno alla lingua influenzarono<br />
moltissimo i contemporanei, Alessandrini compresi, e segnarono una<br />
tappa fondamentale negli studi grammaticali, tanto che - come afferma il<br />
Pohlenz 53 - “attraverso la mediazione romana la scienza della grammatica<br />
giunse all'età moderna ed ebbe un valore normativo in tutta la civiltà<br />
occidentale”.<br />
Ovviamente non solo alla indagine grammaticale si limitarono gli Stoici,<br />
ché da essa, anzi, presero le mosse per una efficace incursione nel<br />
mondo dei “semainomena”, ovvero di ciò che dalle varie forme linguistiche<br />
era significato e quindi dei legami che fra di essi venivano ad instaurarsi.<br />
Era il pensiero che veniva esaminato nelle sue varie manifestazioni,<br />
delle quali l'espressione linguistica doveva riprodurre la ricchezza e la<br />
complessità.<br />
Fu così che gli Stoici pervennero “alla teoria del giudizio, del sillogismo<br />
e della dimostrazione, e cioè alla logica in senso moderno” - per usare<br />
le parole del Pohlenz -, alla “logica degli enunciati”, di cui parlava Crisippo,<br />
lo stoico che più ha approfondito il problema della dialettica, tanto<br />
che le sue opinioni erano paragonate ad un responso di oracolo.<br />
Un cenno soltanto, infine, alla retorica stoica, di cui scrissero Cleante,<br />
Crisippo e, soprattutto, Diogene di Babilonia, che rinnegarono la posizione<br />
di Aristotele, che assegnava alla retorica il compito non di ammaestrare,<br />
ma di persuadere e non mediante dimostrazioni scientificamente condotte,<br />
ma puntando sull'emotività, il coinvolgimento. Tale concezione<br />
“psicagogica” della retorica non poteva essere accettata dagli Stoici per i<br />
quali la retorica mirava ad insegnare a “parlare bene”, ma essa non era<br />
53 M. Pohlenz, op. cit., p. 81<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LUCILIO E LO STOICISMO 67<br />
solo una “tekne”, in quanto “parlare bene” significava per loro “dire il<br />
vero”, di modo che solamente chi è veramente sapiente potrà fare un<br />
buon uso dei mezzi di cui la retorica assicura il possesso.<br />
Si è già visto come di una simile concezione sia in qualche modo cosciente<br />
il nostro Lucilio quando esprime il suo disgusto per tutto ciò che<br />
c'è di artificioso e di tronfio in tanta poesia epica e tragica. In fin dei conti,<br />
i frammenti luciliani in cui si insisteva sul bisogno di un'arte semplice,<br />
sincera, che rispondesse adeguatamente alle vere esigenze di un pubblico<br />
stanco di inutili virtuosismi e di stantie elucubrazioni poetiche non sono<br />
poi così lontani dalle parole di Crisippo che escludeva la mozione degli<br />
affetti e dava alla retorica come unica norma direttrice la verità.<br />
Anche Callimaco diceva di cantare cose “vere” (Fr. 612 Pf.) e l'esigenza<br />
di verità fu senza alcun dubbio un fattore determinante della cultura<br />
ellenistica, dalla quale si sa quante suggestioni vennero alla poesia romana<br />
del II se. a. C.<br />
Ma Lucilio sapeva anche che, nell'ambito della retorica, gli Stoici dedicarono<br />
particolare attenzione all'efficacia e alla proprietà dell'espressione,<br />
che doveva rendere in modo tangibile quelle esigenze di compostezza, di<br />
rigore e di chiarezza che della dottrina stoica sono i segni distintivi. Corretta<br />
sempre doveva essere l'espressione, in una lingua molto vicina a<br />
quella in uso presso le persone colte, che anche nel lessico e nella sintassi<br />
rifuggono da intemperanze e da grossolanità. Alla mancanza di volgarità<br />
doveva affiancarsi la chiarezza (safhéneia) e la convenienza (preépon),<br />
nonché la brevità (suntonÍa), cioè il rifiuto del superfluo, dei lustrini di<br />
cui si compiacciono solo i poeti mediocri, cioè inutili.<br />
Una retorica, quindi, che offriva pochi allettamenti a chi era sensibile<br />
soprattutto alla “bella forma”, ma che molto aveva da suggerire a chi era<br />
più attento a quello che c'era da dire, a coloro insomma che del problema<br />
della forma si occuparono in quanto erano preoccupati del contenuto.<br />
Fra costoro va annoverato anche Lucilio, che dal ricco e stimolante dibattito<br />
sui fenomeni linguistici promosso dallo Stoicismo non poche suggestioni<br />
ha derivato, come induce a pensare il buon numero di frammenti<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
68 LUCILIO E LO STOICISMO<br />
delle Satire che abbiamo visto che insistono su fenomeni grammaticali,<br />
linguistici e letterari, con una significativa ripresa di argomenti e di problemi<br />
di sicura o molto probabile ascendenza stoica.<br />
Come già detto, non in tutti i casi è possibile e lecito un confronto diretto<br />
fra il pensiero stoico e le parole del poeta di Sessa, ma rimane in ogni<br />
caso salda la persuasione che nel complesso della sua formazione culturale<br />
gli insegnamenti di Zenone e dei suoi successori non restarono senza<br />
eco.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE 69<br />
Giuseppe Tumino<br />
MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE *<br />
…(fr.114)<br />
Quando ancora non c’erano gli “amanti della sapienza”, ma i sapienti<br />
veri e “tutto era pieno di dei” 1 perché gli dei non avevano abbandonato<br />
gli uomini a cui erano legati da vera re-ligio, uomini e dei<br />
s’incontravano, come fecero l’ultima volta per le nozze di Cadmo e Armonia<br />
2 .<br />
Allora Empedocle di Agrigento, un uomo fatto dio, “che era stato fanciullo<br />
e fanciulla, arbusto, uccello e muto pesce del mare” 3 cercò di insegnare<br />
ai mortali, effimeri per definizione perché dalla vita di un giorno,<br />
che non bisogna temere la morte perché nascita e morte non esistono.<br />
Empedocle era capace di carcerare i venti, di deviare il corso dei fiumi,<br />
di dominare pioggia e siccità, ma offriva anche la parola che guarisce,<br />
placava l’ira con la musica, prevedeva il futuro e sapeva persino far ritornare<br />
i morti dall’Ade.<br />
Per occhi disincantati, in fondo non c’è nulla di prodigioso nel deviare i<br />
fiumi, costruire pompe idrauliche o ripari per il vento perché si tratta di<br />
1 * Relazione tenuta al Convegno «La forza del passato. Mito e realtà della cultura classica»<br />
(Berlino, 29-<strong>30</strong> novembre 2003), organizzato dal Centrum Latinitatis Europae,<br />
che ha curato la pubblicazione degli Atti.<br />
1 Quest’espressione è stata attribuita da Aristotele a Talete (DK11A22).<br />
2 Se il mito non si lascia spiegare, ma solo raccontare, lo ha fatto magistralmente R. Calasso<br />
ne Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, Milano 1988.<br />
3 DK31B117.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
70 MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE<br />
interventi tecnici e non magici, e lo stesso risveglio di una donna morta<br />
da trenta giorni si può spiegare come un caso di catalessi. Ciò non toglie<br />
che gli antichi temessero ogni intervento dell’uomo sulla natura, perché<br />
lo consideravano una profanazione che si poteva ritorcere sull’uomo stesso.<br />
Il fatto è che le stesse cose possono essere viste da prospettive diverse,<br />
in una duplicità di visione che si può ricondurre, in ultima analisi,<br />
all’alternativa tra mito e scienza, che in Empedocle è rimasta irrisolta.<br />
Egli si muove su questo binario e la sua “doppiezza”, più volte da lui<br />
stesso proclamata – , ripete - è forse il motivo principale<br />
del fascino che promana dalla sua figura. Empedocle è insieme sacerdote,<br />
mago, scienziato e politico; non c’è nel suo pensiero un confine tra<br />
gli ambiti che saranno poi definiti come “fisica” e “metafisica” e non si<br />
trova neppure una demarcazione che indichi dove finisce la visione magica<br />
e dove inizia l’osservazione scientifica.<br />
Se questa ambiguità viene vista non come un limite, ma come una forza<br />
dell’autore, può rivelarsi una chiave di lettura, capace di mostrare come<br />
gli aspetti mitici siano conciliabili con quelli scientifici e viceversa.<br />
La doppia attività di Empedocle si riflette pure nella sua produzione letteraria:<br />
è infatti autore di due poemi, il e ,<br />
che trattavano di e , come sembra alludere Aristotele<br />
in un passo della Poetica 4 .<br />
Questa duplicità è affascinante ma, per certi aspetti è anche imbarazzante:<br />
non vuole essere forzata e, per coglierne la ricchezza, bisogna accoglierla<br />
e lasciarsi irrigare da essa come da , limpida sorgente<br />
5 . Accade come per l’ambiguità di Eraclito che né dice, né nasconde:<br />
sciolta, s’impoverisce e si banalizza, colta intuitivamente così com’è,<br />
rivela una ricchezza inesauribile.<br />
4 Aristotele, Poetica, 1447 b.<br />
5 DK31B3.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE 71<br />
Lo stesso stile espositivo di Empedocle è canto ed è pensiero, è una filosofia<br />
poetica in versi esametri, non apprezzata però da Aristotele a causa<br />
dell’uso frequente di ripetizioni (ma,<br />
) 6 e di , espedienti di chi, per mancanza di argomenti,<br />
cerca di ingannare con giri di parole. Aristotele, del resto, non lo considera<br />
neppure un vero poeta 7 , ma bisogna precisare che il suo disprezzo per<br />
l’ambito stilistico è compensato dall’apprezzamento per l’ambito concettuale,<br />
anche se lo Stagirita si riferisce solo alla produzione naturalistica e<br />
sembra ignorare del tutto quella magico-religiosa. In genere Aristotele si<br />
occupa di Empedocle con molta attenzione, lo analizza criticamente più<br />
di qualsiasi altro presocratico e lo ritiene molto coerente 8 . Non sembra<br />
pertanto condivisibile l’atteggiamento di diffidenza nei confronti della<br />
testimonianza aristotelica, che risale alla valutazione negativa del Cherniss<br />
9 , perché anzi, come dice giustamente il Bollack 10 , senza la mediazione<br />
di Aristotele, Empedocle per noi sarebbe muto.<br />
Nel probabile proemio del poema fisico, tra l’altro, Empedocle aveva<br />
promesso un , certo non ingannevole,<br />
e aveva raccomandato al destinatario Pausania, e quindi al lettore, di non<br />
opporre resistenza al discorso , ma di accoglierlo con buona disposizione<br />
d’animo, con fiducia, perché è da malvagi non prestar fede<br />
( ). Questo non voleva dire, però, passivamente e<br />
senza sforzo di comprensione, ma attraverso l’attenzione dei sensi ed il<br />
consapevole esercizio della ragione. Egli dice: “[…] rimira con ogni appiglio<br />
dei sensi […] afferra col pensiero […] conosci, dopo aver passato<br />
il ragionamento al vaglio dei tuoi visceri” 12 . La via della conoscenza,<br />
6 DK31B24.<br />
7 Aristotele, Rhetorica, 1407 a.<br />
8 Aristotele, Metaphysica, B4, 1000 b 18.<br />
9 H. Cherniss, Aristotle’s Criticism of Presocratic Philosophy, Baltimore 1935.<br />
10 J. Bollack, Empedocle o la fisica antica, in W. Leszl, I presocratici, Il Mulino, Bolo-<br />
gna 1982, pp. 353-362.<br />
11 DK31B131, v.4.<br />
12 DK31B4, (trad. A. Lami).<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
72 MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE<br />
infatti, è faticosa e complicata dal fatto che i sensi sono limitati<br />
( ) e la vita umana è breve e investita da molte miserie 13 .<br />
C’è ancora un altro motivo per non opporre resistenza a quel “buon logos”:<br />
la parola, e in particolare la metafora, (come sa bene Empedocle<br />
che è stato l’inventore della retorica) ha una funzione gnoseologica ed<br />
euristica, crea connessioni altrimenti non visibili, dis-vela ed incide sulla<br />
realtà esercitando un’azione, per esempio, di guarigione o di vaticinio 14 ,<br />
senza per questo dar molto credito agli incantamenti praticati da Empedocle<br />
a cui, secondo Diogene Laerzio, Gorgia avrebbe assistito.<br />
Si riscontra nell’Agrigentino un intreccio tra un procedimento sintetico,<br />
che aspira a comprendere l’unità del tutto e una conoscenza analitica che<br />
spiega i fenomeni e dà potere sulla natura. Da un lato la consapevolezza<br />
dei limiti della conoscenza umana lo porta a rivalutare l’esperienza sensibile,<br />
il concreto; dall’altro è pure affermata l’esigenza di andare oltre col<br />
pensiero per attingere, in astratto, ciò che non cade sotto i sensi . Ma fra<br />
idee astratte ed immagini concrete c’è un rapporto circolare: le immagini<br />
si traducono in idee, le idee s’incarnano nelle immagini.<br />
Non è difficile, poi, rintracciare un’affinità con Parmenide e con Eraclito<br />
nel distacco dagli uomini comuni: per Eraclito,<br />
per Parmenide, e per Empedocle, in<br />
un atteggiamento aristocratico della conoscenza che mal si accorda con i<br />
suoi sentimenti democratici, avendo egli contribuito al crollo<br />
dell’oligarchia agrigentina. Ma, come afferma lo storico Timeo, Empedocle<br />
ha dimostrato “di aver nutrito nella politica una concezione diversa da<br />
come appare nella poesia” 16 .<br />
A partire dall’interpretazione, ormai classica, dello Zeller, la fisica di<br />
Empedocle è stata presentata come una soluzione dell’aporia in cui si era<br />
bloccata la filosofia eleatica, e cioè la frattura fra essere e divenire, fra ciò<br />
13 DK31B2.<br />
14 DK31B112.<br />
15 DK31B3.<br />
16 Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VIII, 2, cap. 66, (trad. C. Gallavotti)<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE 73<br />
che dicono i sensi e quello che dice la ragione. Bisognava<br />
, salvare i fenomeni, per dare un senso<br />
all’esperienza sensibile e alle scienze che dipendono da essa. Per queste<br />
ragioni s’imponeva il passaggio dal monismo al pluralismo di cui Empedocle<br />
è stato il primo rappresentante.<br />
Dalla molteplicità dei principi, infatti, si genera un composto che diviene<br />
- la nascita è solo la morte è - ma gli elementi<br />
del composto restano immutabili come l’essere di Parmenide: non si accrescono,<br />
non diminuiscono e non cambiano funzione.<br />
Questi elementi, (terra, acqua, aria, fuoco) sono chiamati , le<br />
quattro radici del tutto e vengono presentati secondo le modalità del pensiero<br />
mitico e secondo la testimonianza offerta dai sensi. Sono divisi in<br />
due coppie: una celeste (Zeus e Hera), l’altra terrestre (Aidoneo e Nestide).<br />
Questi ultimi nomi risultano oscuri e sono ricollegabili, secondo Gallavotti<br />
17 , al culto di Persefone, molto diffuso ad Agrigento. Il pianto di<br />
Nestide che inonda la “vasca dei mortali” allude alla pioggia che bagna la<br />
terra, ma può riferirsi al pianto di Persefone per essere stata rapita da Plutone,<br />
dio dell’Ade, chiamato per questo Aidoneo, e quindi la “vasca” sarebbe<br />
la riva del fiume Acheronte, dove si raccolgono le anime.<br />
Se questi nomi mitologici connotano il carattere sacro degli elementi, il<br />
linguaggio del mito s’intreccia con l’osservazione dei fenomeni naturali;<br />
infatti Empedocle chiama a testimonianza ( del mito il sole,<br />
il cielo, la terra e il mare 18 , cioè quei contrasti paesaggistici che possono<br />
essere osservati da tutti nella Sicilia di allora e di oggi.<br />
E quando Lucrezio, un altro poeta-filosofo di cui Empedocle si può<br />
considerare l’antesignano, tesserà l’elogio dell’Acragantinus, pur non<br />
condividendone la dottrina, mitizzerà il paesaggio siciliano, ma senza<br />
fare riferimento agli uomini di Sicilia; Empedocle è presentato come<br />
l’unica eccezione e si staglia solitario sullo sfondo del rapidum mare, del<br />
17 C. Gallavotti, Empedocle. Poema fisico e lustrale, A. Mondadori, Milano 1993, pag.<br />
173.<br />
18 DK31B21.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
74 MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE<br />
cielo e delle Aetnaea murmura flammarum, tanto che a malapena egli<br />
sembra nato dalla stirpe umana (ut vix humana videatur stirpe creatus) 19 .<br />
La prima molla che ha fatto scattare la riflessione di Empedocle è verosimilmente<br />
proprio l’entusiasmo per la natura siciliana, assieme però<br />
all’amore per gli uomini della sua terra. La preoccupazione per la conoscenza<br />
non è fine a se stessa, ma è congiunta all’aspirazione alla salvezza,<br />
in un atteggiamento oscillante tra scienza e religione. L’osservazione<br />
della natura, quindi, converge con la tradizione mitica ed entrambe<br />
s’incrociano col naturalismo del V sec. a. C. di cui Empedocle costituisce<br />
il punto di approdo e di confluenza fra la tradizione ionica e quella italica,<br />
tanto pitagorica, quanto eleatica. Questo, però, non autorizza a considerarlo<br />
un eclettico superficiale, appiattendone l’originalità.<br />
Le radici rappresentano gli stadi della materia inerte, che però ha bisogno<br />
per muoversi dell’energia, e l’originalità dell’Agrigentino, come dice<br />
Sambursky 20 , sta nell’essere stato il primo a distinguere la materia dalla<br />
forza. Le forze cosmiche che agiscono sugli elementi sono due: Philia e<br />
Neikos, Amicizia e Contesa, o Venere e Marte, se si preferisce. L’una è<br />
attrazione, forza centripeta, l’altra è repulsione, forza centrifuga; il poeta<br />
Hölderlin le ha ripresentate come contrapposizione tra l’aorgico e<br />
l’organico e Freud vi ha invece intravisto Eros e Thanatos 21 .<br />
È stato osservato come Philia e Neikos siano “trascendenti, in quanto<br />
non risolti nel sostrato a cui ineriscono; immanenti, perché né spazialmente<br />
separati da questo sostrato, né aventi possibilità di agire fuori di<br />
esso” 22 .<br />
19 Lucrezio, De rerum natura, I, vv. 714 e segg.<br />
20 S. Sambursky, Il mondo fisico dei greci, Feltrinelli, Milano 1973.<br />
21 L’organico è il principio dell’ordine, l’aorgico è l’informe. Anticipano il dionisiaco e<br />
l’apollineo di Nietzsche; cfr. F. Hölderlin, Il fondamento dell’Empedocle, in Hölderlin,<br />
Sul tragico, Feltrinelli, Milano 1994, pp. 76-88. Freud riconosce la medesima funzione<br />
delle due pulsioni, non in senso cosmico, ma solo biologico. Cfr. S. Freud, Analisi terminabile<br />
e interminabile. Costruzione dell’analisi, Torino 1977, pp. 59-61.<br />
22 M. Carbonara Naddei, Scienza e metafisica nei primi filosofi greci, Il Tripode, Napoli<br />
1974, pag. 128.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
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MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE 75<br />
Quando predomina l’Amicizia si ha lo Sfero, quando predomina la<br />
Contesa si ha il Chaos; il Kosmos si genera invece nelle fasi di passaggio,<br />
col concorso di entrambe le forze. Lo Sfero empedocleo richiama chiaramente<br />
lo Sfero parmenideo, ed è definito<br />
in quanto pienezza d’essere, perfezione, non però statica, come in Parmenide,<br />
ma dinamica. Il Chaos è l’opposto dello Sfero, ma non è vuota<br />
voragine, come in Esiodo, è invece pure pienezza, ancorché disordinata.<br />
Il Kosmos è l’ordine intermedio tra la perfezione e il disordine, in entrambe<br />
le direzioni.<br />
Questa ciclicità è stata negata da chi ritiene unidirezionale il processo<br />
descritto da Empedocle, essendo estranea al pensiero del V sec. a. C. ogni<br />
concezione apocalittica, e soprattutto perché sarebbe insensato ammettere<br />
una proliferazione sotto l’Odio e una crescita con la morte 23 .<br />
Intanto, senza forzare i testi, in Empedocle possiamo leggere che “duplice<br />
è la nascita e duplice la morte”,<br />
24<br />
Della duplicità del processo si può avere ulteriore conferma<br />
da altri frammenti, ad esempio il fr. <strong>30</strong>, dove si dice chiaramente:<br />
“finito il tempo del dominio dell’Amore, è l’Odio a prevalere per un<br />
tempo uguale”. Aristotele, inoltre, allude più volte a questa ciclicità e in<br />
un passo esplicitamente riferisce: “Empedocle afferma che nella nostra<br />
epoca il mondo, sotto il dominio della Contesa, si trova nelle medesime<br />
condizioni in cui si trovava prima sotto il dominio dell’Amicizia.” 25<br />
Philia e Neikos del resto non sarebbero due principi separati perché non<br />
esiste l’uno senza l’altro e tutt’al più, quando l’uno è al centro, l’altro è in<br />
periferia, e viceversa. Essi sono piuttosto due aspetti della stessa tensione<br />
26<br />
che Empedocle chiama Tale sarebbe un impulso vitale che<br />
agisce nell’universo dall’interno degli elementi materiali, pur rimanendone<br />
distinto; può assumere una direzione aggregante o disgregante, ma,<br />
23 Bollack, cit., pag. 358.<br />
24 DK31B17, v.3.<br />
25 Aristotele, De generatione et corruptione, II, 6, 334 a 5-7, (trad. A. Russo)<br />
26 DK31B35.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
76 MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE<br />
sinergicamente, quando si disgrega un composto contemporaneamente se<br />
ne produce un altro. Questa concezione sarà ripresa in chiave antiaristotelica<br />
da G. Bruno 27 perché in essa le forme non sono apportate<br />
dall’esterno, ma si generano dall’interno della materia stessa. Dall’azione<br />
di Amore e Odio si produce, comunque, lo spettacolo dell’universo 28 ,<br />
ricco delle forme più varie, di infinite stirpi di mortali, che suscitano meraviglia<br />
a vedersi; e lo stupore, si sa, è la molla della ricerca.<br />
L’armoniosa mescolanza degli elementi produce strutture ben proporzionate<br />
ed una bellezza esterna che si manifesta in tutte le cose, ma in<br />
particolare nel corpo della donna. Come ha fatto notare il Laurenti 29 , Empedocle<br />
è il primo a riflettere sulla bellezza femminile nobilitando la<br />
donna dalla generale misoginia greca. Il fr.72 parla di come la bellezza<br />
della donna, suscitando il , il desiderio d’amore, consente di trasmettere<br />
la vita, potere che inizialmente apparteneva solo a Philia e Neikos<br />
e, contro coloro che ritenevano che i figli nascessero solo dal seme<br />
paterno, si riconosce (nel fr.63) l’uguale contributo della donna nella generazione.<br />
A questo ciclo sono sottoposti sia i singoli enti, sia il cosmo intero, ed<br />
essendo le due forze sempre presenti, il predominio dell’una non implica<br />
la scomparsa totale dell’altra: c’è quindi disgregazione nel ciclo aggregante<br />
e c’è aggregazione nel ciclo dissolvente.<br />
È stato detto a chiarimento di ciò <strong>30</strong> , che Amicizia è la forza attrattiva<br />
del dissimile perché spinge le diverse radici a fondersi, mentre Contesa è<br />
l’attrazione del simile perché spinge ogni radice a restare coesa, sciogliendosi<br />
dal suo opposto. Così Amore può distruggere e Odio può creare<br />
27<br />
Per il rapporto fra Bruno ed Empedocle, cfr. A. Montano, Empedocle, in «,<br />
Rivista-Annuario dell’IISS “F. De Sanctis” di Sant’Angelo dei Lombardi», 2000, n.2,<br />
pp. 49-65.<br />
28<br />
DK31B35<br />
29<br />
R. Laurenti, Epos, lirica, filosofia di fronte al piacere, in L. Montoneri, I filosofi greci<br />
e il piacere, Laterza, Bari 1994, pp. 3-32.<br />
<strong>30</strong><br />
Cfr. L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, I, Garzanti, Milano<br />
1979, pp. 65-73.<br />
CHRONOS<br />
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MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE 77<br />
perché separando genera, e Vernant 31 ci ricorda che Eris, discordia di ciò<br />
che è unito, ed Eros, unione di ciò che è dissimile, sono entrambi figli di<br />
Crono, nati dallo stesso atto fondatore e sono due potenze complementari.<br />
Per i Greci, dice sempre Vernant, “l’amore insomma era un’entità ambigua,<br />
perché, proprio come la guerra, poteva agire tanto da forza costruttiva<br />
quanto da forza distruttiva” 32 .<br />
Se non ci fosse la Contesa, le cose rimarrebbero Uno, quindi la Contesa<br />
genera; allo stesso modo l’Amicizia distrugge le cose perché le raccoglie<br />
nell’Uno. Questa apparente contraddizione (perché Amicizia e Contesa in<br />
questo caso agirebbero in modo contrario alla loro natura) viene usata da<br />
Aristotele per criticare Empedocle a proposito del quale parla di paradosso<br />
e di errore; eppure subito dopo, nello stesso brano, lo Stagirita afferma<br />
che Empedocle, tra coloro che per primi filosofarono, è l’unico che parli<br />
33<br />
con coerenza,<br />
La difficoltà si scioglie se diamo alle parole di Aristotele un valore<br />
esplicativo (suo malgrado), di conferma della ciclicità dell’universo e<br />
della sinergia tra Odio e Amore, perché se venisse a mancare una delle<br />
due forze, il ciclo del divenire si arresterebbe o allo Sfero o al Chaos e il<br />
nostro mondo, che non è né perfetto, né caotico, scomparirebbe. Le due<br />
forze insieme, invece, consentono all’“Uovo cosmogonico” di schiudersi<br />
e di prodursi, determinando un respiro dell’universo, una sistole e diastole<br />
cosmiche che sono la vita stessa del tutto.<br />
L’opposizione eleatica uno-molti viene quindi da Empedocle spostata<br />
dal piano logico a quello della , come avrebbe detto<br />
Anassimandro di cui fu emulo (e non solo nell’abbigliamento) 34 , cioè di<br />
una successione di andata e ritorno, che è anche caduta e riscatto.<br />
31<br />
J. P. Vernant, L’universo, gli dei, gli uomini. Il racconto del mito, Einaudi, Torino<br />
2003.<br />
32<br />
Ib., pag. 21.<br />
33<br />
Aristotele, Metaphysica, B4 1000 a25-b13.<br />
34<br />
Diogene Laerzio, cit., VIII, 70.<br />
CHRONOS<br />
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78 MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE<br />
In questo duplice passaggio si ha un’evoluzione delle forme viventi in<br />
adattamento alle condizioni ambientali, descritta come una doppia zoogonia.<br />
Nel predominio di Philia, all’inizio, ci sono membra isolate, occhi,<br />
teste, braccia che si cercano in modo sconnesso; successivamente, queste<br />
membra si congiungono in modo casuale generando mostri incapaci di<br />
sopravvivere, ma anche organismi armonici capaci di vita; nel predominio<br />
di Neikos da sottoterra emergono, per opera del fuoco, esseri viventi<br />
non articolati, senza voce, né genitali 35 , che, in un secondo momento, si<br />
dotano di membra e capacità riproduttiva. Si tratta, in entrambi i casi, di<br />
una teoria “evoluzionistica”, citata anche da Darwin, dove le combinazioni<br />
avvengono a caso, ma in un processo necessario.<br />
Coloro che negano la ciclicità dell’universo non ammettono nemmeno<br />
una zoogonia sotto il dominio di Neikos; la doppia zoogonia risulta invece<br />
confermata anche dalla scoperta del papiro empedocleo della biblioteca<br />
di Strasburgo, come ha riferito Oliver Primavesi in un convegno ad<br />
Agrigento su Empedocle 36 .<br />
E dato che in Empedocle la preoccupazione per la conoscenza è contemporaneamente<br />
preoccupazione per la salvezza, la caduta dall’Uno e il<br />
ritorno all’Uno possono essere considerati anche sotto l’aspetto religioso.<br />
È quanto egli fa nel secondo poema, , che non risulta inconciliabile<br />
col primo in quanto l’esercizio fondamentale di purificazione,<br />
come sapevano i pitagorici, è proprio l’attività intellettuale. In ogni<br />
caso, la legge che governa l’universo governa anche l’uomo; quindi i<br />
problemi fisici e quelli etici sono connessi, anche se per l’uomo permane<br />
35 DK31B126.<br />
36 O. Primavesi e A. Martin sono i due studiosi che si sono occupati del papiro di Strasburgo.<br />
Per quanto riguarda il citato convegno del 1996, gli atti sono stati pubblicati in<br />
«Elenchos. Rivista di studi sul pensiero antico», 1998, fasc.2. In particolare, cfr. O. Primavesi,<br />
Empedocle: il problema del ciclo cosmico e il papiro di Strasburgo, ivi, pp.<br />
241-288.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
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MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE 79<br />
la difficoltà di essere contemporaneamente parte della natura e soggetto<br />
separato da essa nel distacco indispensabile per comprenderla 37 .<br />
È stato messo in discussione che i poemi empedoclei fossero due perché<br />
potrebbero essere due parti di un unico poema. Anche se fosse così,<br />
non sarebbe modificata la sostanziale duplicità dei contenuti, ma non si<br />
spiegherebbe perché il poema fisico è dedicato a Pausania, mentre il<br />
poema lustrale, che è piuttosto un’epistola dottrinaria, è indirizzato agli<br />
amici agrigentini, probabilmente governanti della città, fermo restando<br />
che i poemi presentano pure due differenti stili espositivi. Empedocle,<br />
che, a quanto sembra, è stato pure scrittore di tragedie, aveva, nel primo<br />
poema, trasferito a livello cosmico la condizione non eliminabile della<br />
vita umana: l’intreccio di bene e male; nel secondo poema, invece, il conflitto<br />
tra le forze cosmiche viene riflesso sulla stirpe degli uomini che,<br />
come dice il fr. 124, “sventurata, è nata da contese e gemiti”.<br />
Il rapporto tra i due poemi è una questione aperta all’interno del dibattito<br />
sul pensiero e sulla produzione del Nostro. Essi rispecchiano due diversi<br />
approcci alla realtà: fisico, di stampo milesio, l’uno e religioso, di<br />
stampo pitagorico, l’altro. Sarebbe però riduttiva una loro netta contrapposizione<br />
perché il poema lustrale presuppone il sistema fisico e il poema<br />
fisico presenta pure preoccupazioni di ordine religioso.<br />
Il Dodds ritiene che i due poemi non possono essere spiegati con ragioni<br />
evolutive, come, ad esempio, una conversione dalla scienza alla religione<br />
o viceversa, e nemmeno con una volontà di sintetizzare questi ambiti<br />
perché Empedocle non esprimerebbe questa esigenza nuova, essendo<br />
egli un uomo antico per la sua stessa epoca, un “anacronismo”, quello<br />
dello sciamano che riuniva in sé, in una sintesi personale e non logica, le<br />
funzioni ancora indistinte di mago e scienziato 38 .<br />
37 In questa difficoltà consiste il dramma che Empedocle sconta con la morte, “ ricongiungendosi<br />
alla natura da cui egli ha cercato invano di separarsi col pensiero e col canto”.<br />
Cfr. E. Paci, Storia del pensiero presocratico, ed. ERI, Torino 1957, pag. 97.<br />
38 E. Dodds, I Greci e l’irrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1969, pp. 182-186.<br />
CHRONOS<br />
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80 MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE<br />
Un ulteriore aggancio tra i due poemi si potrebbe trovare nella concezione<br />
dell’anima, il daimon, non la psyché di cui Empedocle non parla<br />
neppure. Già nel fr. 15 del poema sulla natura, Empedocle aveva detto<br />
che non è da uomo assennato identificare la vita con questa esistenza piena<br />
di affanni e negarla prima della nascita e dopo la morte; nel secondo<br />
poema viene chiarito che proprio perché il daimon ha ceduto alla Discordia,<br />
è stato condannato a rivestirsi di carne e a vagare per trentamila<br />
anni 39 , individuando nello spergiuro e nell’assassinio le colpe che hanno<br />
dato origine al processo di metempsicosi o metensomatosi, come forse è<br />
più corretto dire.<br />
Empedocle, quindi, inserisce la visione pessimistica della presenza ineliminabile<br />
del male nella spiritualità delle dottrine orfiche, tentando di<br />
porre fine al ciclo delle reincarnazioni attraverso i riti lustrali.<br />
Certo, la natura dell’anima non risulta affatto chiara perché, se tutto deriva<br />
dalle quattro radici, resta incomprensibile la sua immaterialità, se la<br />
si considera un composto materiale, non può essere né incorruttibile, né<br />
immortale (e forse non lo è, perché per gli dei e le anime si parla di longevità,<br />
non di eternità, come ancora obietterà Cebete a Socrate nel Fedone)<br />
40 .<br />
Come ipotesi risolutiva si potrebbe ammettere in Empedocle una doppia<br />
concezione dell’anima: l’una legata alle sensazioni e al pensiero, che<br />
altro non è che sangue, ( ) e l’altra di origine divina,<br />
caduta in questo mondo per lei infernale e odiata e respinta da tutti gli<br />
elementi perché non è simile a nessuno di loro 41 .<br />
Quest’ipotesi, che si ritroverà pure in Erwin Rohde 42 , è stata proposta<br />
da Domenico Scinà 43 , un pensatore siciliano di primo Ottocento, ormai<br />
39 DK31B126.<br />
40 Platone, Fedone, 95 c-d.<br />
41 DK31B115.<br />
42 E. Rohde, Psiche, Laterza, Bari 1970, pp. 502-518.<br />
43 D. Scinà, Memorie sulla vita e filosofia di Empedocle, Palermo 1813, (riedito dalla<br />
Regione Sicilia nel 1987).<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE 81<br />
quasi del tutto dimenticato, a cui va riconosciuto, se non altro, il merito<br />
di aver compiuto la prima traduzione italiana delle parole di Empedocle,<br />
in endecasillabi molto fedeli al testo originale.<br />
Che Empedocle, poi, ammettesse una doppia anima nell’uomo, era stato<br />
riferito anche da Sesto Empirico 44 e questa dottrina forse non è una<br />
semplice curiosità, se la ritroviamo duemila anni dopo nel naturalismo<br />
rinascimentale di Bernardino Telesio 45 , calabrese e autore anch’egli di un<br />
De rerum natura. In effetti, essendo l’anima-demone un’entità metaindividuale,<br />
le sue vicende non coincidono direttamente con quelle individuali<br />
del soggetto psico-somatico 46 .<br />
Così quando Empedocle si presenta come un dio 47 , anziché pensare ad<br />
un atteggiamento scherzoso che mal si addice alla severità del personaggio,<br />
potrebbe essere, come ancora ci suggerisce Sesto Empirico, che abbia<br />
dato a se stesso l’appellativo di dio “perché unico seppe rendere la<br />
sua mente libera e pura dal male e poté carpire col dio che era dentro di<br />
lui il dio che era al di fuori” 48 .<br />
Il farsi dio è possibile, per chiunque si purifichi, come premio alla virtù.<br />
Empedocle cioè si era purificato ed insegnava agli altri come seguirlo su<br />
questa via, attraverso precetti e rituali che escludevano sacrifici cruenti 49 ,<br />
ma anche attraverso tecniche di meditazione e di respiro.<br />
44<br />
Sesto Empirico, Contro i logici, I, 122, 27-32: “Ci sono stati altri i quali hanno asserito<br />
che, secondo Empedocle, il criterio della verità s’identifica non con la sensazione, ma<br />
con la retta ragione e che di questa retta ragione un lato risulta divino, un altro invece<br />
umano; e che quello divino è inesprimibile, mentre quello umano può essere espresso.”<br />
(trad. A. Russo).<br />
45<br />
B. Telesio ammette un’anima materiale, lo spiritus e semine eductus, e una spirituale,<br />
la mens superaddita. Questa straordinaria corrispondenza induce a supporre che ci sia<br />
una stessa linea di pensiero, afferente al naturalismo, che unisce i filosofi dell’Italia meridionale.<br />
46<br />
Cfr. M. Vegetti, L’io, l’anima, il soggetto, in AA. VV., I Greci, vol. I, Einaudi, Torino<br />
1996, pp. 431-462.<br />
47<br />
DK31B112.<br />
48<br />
Sesto Empirico, Contro i grammatici, 670, 12-15, (trad. A. Russo).<br />
49 DK31B137.<br />
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82 MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE<br />
A queste tecniche erano abbinati pure esercizi di memoria mediante cui,<br />
per purificarsi, ci si sforzava di conoscere il daimon che si è incarnato.<br />
Empedocle, infatti, ricordava le vite passate che gli altri dimenticano ad<br />
ogni rinascita perché, attraverso il diaframma, riusciva a collegare<br />
l’anima e il respiro 50 . La memoria, però, non serviva tanto a ricostruire il<br />
passato, quanto a trascendere la situazione presente in cui l’anima si trovava<br />
per raccordarla con le condizioni precedenti 51 . E come gli elementi<br />
che compongono il kosmos ritornano alla loro origine, parallelamente il<br />
daimon lascia l’organismo che ha animato, ma senza il kosmos sarebbero<br />
inconcepibili incarnazioni e purificazioni, a riprova del nesso tra il ciclo<br />
cosmico e le sorti dell’anima.<br />
La divinizzazone di Empedocle, infine, può essere vista come legata alla<br />
causa del suo suicidio. Secondo Hölderlin, Empedocle è un democratico<br />
che ha predicato l’uguaglianza, ma i suoi amici lo hanno divinizzato<br />
preferendo la comodità dell’obbedire al rischio della libertà. Per questo<br />
fallimento egli si è tolto la vita, ma la sua è una morte sacrificale, come<br />
quella di Cristo, per la salvezza degli uomini. Le versioni sulla modalità<br />
di questa morte sono discordi, ma comune è l’esigenza di mostrare la volontà<br />
di fusione tra spirito e materia, la conciliazione degli opposti che,<br />
forse proprio perché impossibile, genera un “corto circuito”, richiedendo<br />
un prezzo così alto.<br />
La storiografia contemporanea sui cosiddetti presocratici 52 presenta due<br />
principali filoni interpretativi: l’interpretazione fisicistica, che risale ad<br />
Hegel, vede nel pensiero presocratico una investigazione della natura,<br />
50<br />
Cfr, J. P. Vernant, Aspetti mitici della memoria, in Id., Mito e pensiero presso i Greci,<br />
Einaudi, Torino 1978, pp. 93-124.<br />
51<br />
U. Galimberti chiarisce che “l’oltrepassamento del corpo ha lo stesso senso<br />
dell’oltrepassamento del dato di coscienza che oggi la pratica analitica esige per la ricognizione<br />
dell’inconscio, dove vivono quelle figure dell’anima che l’Io, per costruire se<br />
stesso, ha dovuto rimuovere”, in Id., Gli equivoci dell’anima, Feltrinelli, Milano 2001,<br />
pp. 34-37.<br />
52<br />
Cfr. F. Romano, La storiografia contemporanea sui presocratici. Bilancio critico, in<br />
Siculorum Gymnasium, 1977, n.2, pp. 333-400.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE 83<br />
una vera e propria fisica esordiente che cerca di staccarsi dalle interferenze<br />
del mito; l’interpretazione mistico-religiosa, che parte da Nietzsche,<br />
ritiene le spiegazioni scientifiche dei primi filosofi una rielaborazione dei<br />
miti tradizionali. In entrambi i casi si ammette un rapporto tra mito e<br />
scienza in quel pensiero, sia nella continuità, sia nella rottura; del resto<br />
Aristotele sapeva che il mito è già filosofia e il “filomito” è, in certa misura,<br />
filosofo 53 .<br />
In Empedocle scienza e mito sono tutt’uno. Da un lato troviamo un<br />
grande sforzo di razionalizzazione della natura, che viene inquadrata in<br />
leggi universali, un uso della comparazione che, se non è già esperimento,<br />
prelude ad esso 54 , la precisione scientifica nella distinzione di concetti<br />
fisici, come materia e forza, o di concetti chimici, come e ,<br />
fusione e mescolanza, ed anche vere e proprie scoperte: che l’aria è un<br />
corpo, che la luce si propaga nello spazio, che i pori emettono emanazioni.<br />
Dall’altro lato c’è un’indistinzione tra il naturale e il soprannaturale,<br />
una personificazione delle forze della natura e una confusione tra ciò che<br />
è oggettivo e ciò che è soggettivo. L’uso del linguaggio poetico, poi, tipico<br />
della cultura mitica orale, certo non agevola la separazione fra i due<br />
ambiti che la nostra cultura avverte come alternativi e inconciliabili.<br />
Si potrebbe provare, però, a ripensare questa presunta inconciliabilità<br />
come complementarità. Così, schematizzando, si potrebbe dire che la<br />
scienza spiega, il mito comprende, la scienza è ricerca, il mito è rivelazione;<br />
la scienza è padre, il mito è madre 55 . Chi pensa miticamente, tutta-<br />
53 Aristotele, Metaphysica, A 982 b 18.<br />
54 W. Kranz, Comparazione e similitudine nella filosofia greca arcaica, in A. Lami, I<br />
presocratici. Testimonianze e frammenti da Talete ad Empedocle, Rizzoli, Milano 1991,<br />
pp. 7-45. Qui si legge che Empedocle, riportando comparazioni tratte dal mondo artigianale<br />
e dalla vita animale…“non vuole solo spiegare, vuole parlare in modo così concreto<br />
che la comparazione acquisisce quasi una forza probativa: abbiamo qui appunto i<br />
rudimenti dell’esperimento” (pag. 23), e ancora: “ Quasi fino ad offrire una conclusione<br />
dimostrativa analogica fu la comparazione elaborata dallo scienziato della natura e medico<br />
Empedocle” (pag. 45).<br />
55 L. Lotito, Il mito e la filosofia, B. Mondadori, Milano 2003, nella traduzione di un<br />
brano di A. Baeumler, a pag. 44: “Materno è il passato, sul cui grembo riposa tutto ciò<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
84 MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE<br />
via, non è cosciente di essere nel mito, non può parlare del mito; dovrebbe<br />
essere la scienza, quindi, a rendere conto della validità del pensiero<br />
mitico, ma la scienza non può entrare nel sacro recinto del mito senza<br />
devastarlo.<br />
Nel prologo dell’Edipo a Colono, richiamato da Furio Jesi in un suo lavoro<br />
sul mito 56 , si ha una situazione che si può adottare come paradigma<br />
del rapporto mito-scienza. Quando il Coro dei vecchi di Colono scorge la<br />
presenza di Edipo, cieco e mendicante, nel boschetto sacro delle Erinni,<br />
prima di chiedergli chi sia, lo esortano ad uscire da quel luogo inviolabile.<br />
La scienza è come questo Coro: se entra nel recinto commette violazione,<br />
se chiede al mito chi sia dopo averlo fatto uscire, lo trasferisce in<br />
un’altra dimensione, senza coglierlo per quello che è. Questo significa<br />
che la pretesa di spiegare scientificamente il mito o lo annulla o lo trasfigura.<br />
Il mito non può essere del tutto acciuffato, sfugge alla piena conoscenza<br />
perché rinvia a qualcosa di sconosciuto e d’inaccessibile, sembra non dire<br />
tutto, ma racchiudere dell’altro che può essere raccontato, non spiegato.<br />
In alternativa all’approccio scientifico al mito, si pone l’interpretazione<br />
filosofica che legge il mito come tautegoria, non allegoria, come verità,<br />
anche se metaforica e simbolica. Verità che dà da pensare perché possiede<br />
una sua razionalità, come è stato mostrato proprio dalla tradizione filosofica<br />
tedesca e in particolare da Kurt Hübner nel suo Wahrheit des<br />
Mythos 57 .<br />
Il mito non può essere neppure ridotto alla preistoria della ragione: se il<br />
passaggio dal mythos al logos, che ha dato origine alla filosofia e alla<br />
scienza, si fosse compiuto veramente, il mito non sarebbe sopravvissuto.<br />
che è stato, in opposizione al futuro, pieno di pretese, paternamente inquieto; materno è<br />
il mito in opposizione al logos paterno, e materna soprattutto è la natura che abbraccia<br />
l’uomo…poiché essa tutti seppellisce allo stesso modo. La madre dona la vita, la madre<br />
reca la morte…il mito è materno perché dà l’intero in una volta”.<br />
56 F. Jesi, Mito, Isedi, Milano 1973.<br />
57 K. Hübner, trad. it., La verità del mito, Feltrinelli, Milano 1990.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE 85<br />
La sua sopravvivenza mostra invece la sua non estraneità rispetto al logos.<br />
E se questo rapporto si è del tutto smarrito con la scienza moderna,<br />
quantitativa, che storicamente si è affermata rompendo il legame col mito,<br />
qualitativo, Empedocle ci riporta al di qua della contrapposizione tra<br />
mythos e logos, che anzi diventano due forme della stessa conoscenza,<br />
due modalità del pensiero non in antitesi, ma in collaborazione.<br />
Saremmo pertanto se continuassimo a considerare<br />
Empedocle solo un ibrido, una sorta di centauro filosofico, come diceva<br />
Jaeger 58 , senza cogliere la forza e l’attualità di un messaggio che arriva<br />
da un passato lontano, quando mito e scienza erano tutt’uno e il cuore e<br />
la mente dell’uomo non erano ancora separati.<br />
Il modello empedocleo non è certo applicabile concretamente e direttamente,<br />
ma esprime un bisogno attuale, una sfida che bisogna raccogliere,<br />
uno stimolo al pensiero perché la ragione è più forte se è consapevole<br />
dei propri limiti ed è disponibile all’ascolto.<br />
Oggi la tecnologia si sta sostituendo alla natura e le nascite e le mescolanze<br />
avvengono in laboratorio, ma quasi sempre per cavare l’oro dal<br />
sangue 59 , e quella empedoclea che aveva in sé la sua misura, oggi<br />
è soggetta alle decisioni della politica, alla ricerca di una giustizia e di<br />
una misura che non sembrano facili da realizzare 60 .<br />
Se la filosofia è nata e cresciuta andando dal mito verso il logos, si avverte<br />
adesso il bisogno di andare dal logos verso il mito, non per accoglierlo<br />
passivamente e in modo sprovveduto, ma per prendersene cura.<br />
Nell’alimentare questa sorta di idea regolativa, la filosofia deve farsi carico<br />
di un nuovo compito: mantenere il difficile equilibrio in una navigazione<br />
che, come quella di Ulisse, deve evitare Scilla, cioè le insidie di un<br />
58<br />
W. Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, I, La Nuova Italia, Firenze 1967,<br />
pag. 508.<br />
59<br />
L’immagine è di G. Casertano, Una volta fui arbusto e muto pesce del mare, in Comunicazione<br />
filosofica, Rivista telematica della Società Filosofica Italiana, n.7, 2000.<br />
60<br />
Su questo tema, P. Loraux, L’invenzione della natura, in AA.VV., I Greci, cit., pp.<br />
319-342.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
86 MITO E SCIENZA NEI POEMI DI EMPEDOCLE<br />
irrazionalismo pericoloso, che rifiuta la scienza, e Cariddi, cioè le tentazioni<br />
di uno scientismo arrogante che rifiuta il mito. In questo modo le<br />
due culture rivali, umanistica e scientifica, potranno ritrovarsi e dialogare.<br />
Parafrasando Kant, potremmo dire che siamo cittadini di due mondi,<br />
vivere in uno solo di essi c’impoverisce irrimediabilmente.<br />
Forse gli dei non ci hanno abbandonato del tutto: essi hanno sempre<br />
abitato con noi, dobbiamo solo riascoltarli.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE 87<br />
Salvatore Cascone<br />
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE<br />
UN EPISODIO DELLA STORIA ROMANA RIVISITATO ALLA<br />
LUCE DELLA TESTIMONIANZA DI APPIANO*<br />
A settembre 2007 la Yale University Press ha pubblicato Blood and Soil:<br />
A World History of Genocide and Extermination from Sparta to Darfur,<br />
un libro di Ben Kiernan (direttore del Programma di studi sul genocidio<br />
presso la Yale University), già autore di numerose pubblicazioni<br />
sull’argomento, in cui viene ripercorsa la storia terribile di stermini di<br />
massa avvenuti in varie epoche e a varie latitudini dall’antichità ai nostri<br />
giorni. Non è questa la sede per approfondire la discussione su un argo-<br />
mento che ha, per esempio, portato alle proteste ufficiali del governo tur-<br />
co davanti alla intenzione, lo scorso ottobre 2007, della U.S. House<br />
Committee on Foreign Affairs di votare una risoluzione che riconosce<br />
come genocidio la persecuzione della popolazione armena nell’impero<br />
ottomano tra il 1915 e il 1917. 1<br />
Però ho voluto riprendere un articolo che lo stesso Kiernan pubblicò nel<br />
2004 su Diogenes (rivista pubblicata sotto gli auspici del Consiglio Inter-<br />
nazionale di Filosofia e Scienze Sociali, con il patrocinio dell’UNESCO):<br />
1 * Relazione tenuta al Convegno «Le pietre che parlano» (Tunisi, 14-21 febbraio 2008),<br />
organizzato dal Centro Studi Sallustiani, che ha curato la pubblicazione degli Atti.<br />
Qui aggiungo il testo di Appiano con una mia traduzione.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
88 LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE<br />
il titolo era The First Genocide: Carthage, 146 B.C. (Il primo genocidio:<br />
Cartagine, 146 a.C.)<br />
In queste pagine Kiernan afferma che Delenda est Carthago potrebbe es-<br />
sere il primo incitamento al genocidio registrato nella storia. Queste era-<br />
no le parole con cui Marco Porcio Catone, il Censore, concludeva ogni<br />
suo discorso nel senato romano, su qualunque materia, dal 153 a.C. fino<br />
alla sua morte nel 149.<br />
Kiernan sembra distinguere tra lo sterminio praticato come forma di cri-<br />
mine di guerra (e a questo si può ascrivere, per esempio, l’eccidio dei<br />
Melii durante la guerra del Peloponneso, di cui parla Tucidide, Hist. V,<br />
116) e l’istigazione al genocidio contenuto nella frase di Catone. Per<br />
Kiernan la politica romana ‘della violenza estrema’, ‘l’annientamento di<br />
Cartagine e della maggior parte dei suoi abitanti, la distruzione di<br />
un’intera cultura’, coincide con la definizione legale moderna contenuta<br />
nella convenzione delle Nazioni Unite sul Genocidio del 1948: la distru-<br />
zione intenzionale, in tutto o in parte, di un gruppo nazionale, etnico,<br />
razziale o religioso, come tale.<br />
In verità le fonti antiche (Plutarco, Appiano) concordano nel riferire che<br />
Roma aveva deciso di fare guerra a Cartagine molto prima che la dichia-<br />
rasse: aspettava solo un pretesto (qualche storico moderno più malizioso<br />
ha notato che Roma ha aspettato comunque che Cartagine terminasse di<br />
pagare l’ultima rata dell’indennità di guerra: Roma non sgozzava le sue<br />
vittime se non dopo averle ben tosate). Le stesse fonti fanno però notare<br />
che tra i senatori c’era Scipione Nasica (il genero dell’Africano), il quale<br />
si opponeva alla distruzione di Cartagine: i motivi vengono individuati<br />
dagli storici antichi (che comunque sono tutti di età ben più tarda) nel<br />
desiderio di lasciare un motivo di timore per tenere a freno il popolo di<br />
Roma (quello che Sallustio, Bell. Iug, 41, chiamò metus hostilis).<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE 89<br />
Non è mia intenzione oggi trattare della controversia tra Catone e Scipio-<br />
ne Nasica e dei motivi che sottostavano alle loro prese di posizione.<br />
Lo scopo del mio intervento è quello di ripercorrere il periodo che prece-<br />
dette lo scoppio della terza guerra punica e soprattutto l’evento che diede<br />
al Senato Romano la πρόφασις per un bellum iustum davanti agli dèi e<br />
agli uomini: la guerra che Cartagine fece con Massinissa in violazione del<br />
trattato stipulato con Scipione l’Africano nel 202/201.<br />
Semplici menzioni di questa guerra si trovano in Polibio (XXXVI,<br />
16,12), in Diodoro Siculo (XXXII, 1), in Tito Livio ( Epit. XLVIII), in<br />
Valerio Massimo (II, 10, 4), in Zonara (IX, 26): per lo più si riferiscono<br />
alla straordinaria vigoria e alla frugalità di Massinissa, il quale a 88 anni<br />
montava a cavallo alla testa del suo esercito e dopo la vittoria fu visto da<br />
Scipione mentre davanti alla sua tenda mangiava un semplice pezzo di<br />
pane secco.<br />
L’unico autore che di questa guerra ci dia maggiori informazioni è Ap-<br />
piano (Libyca, 67-73). Per questi avvenimenti sembra che Appiano si sia<br />
servito (ma non è sicuro se per lettura diretta) delle Storie di Polibio, co-<br />
me del resto ha fatto per la narrazione della terza guerra punica. Polibio (i<br />
libri che coprivano questo periodo non ci sono pervenuti direttamente)<br />
venne probabilmente in Africa con Scipione nel 150: avrebbe dunque as-<br />
sistito alla grande battaglia tra Massinissa ed Asdrubale.<br />
Ma veniamo ad Appiano.<br />
Egli dice che dopo la guerra annibalica, Massinissa, che contava<br />
sull’appoggio dei Romani, occupò un vasto territorio che apparteneva a<br />
Cartagine, col pretesto che ne era stato precedentemente padrone. Il go-<br />
verno punico si rivolse al Senato di Roma, che inviò commissari, dando<br />
però loro mandato di favorire il re più che potevano. Massinissa conservò<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
90 LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE<br />
dunque quello che aveva preso; tra lui ed i Cartaginesi fu concluso un<br />
trattato, che durò circa cinquanta anni. Appiano sembra credere che, per<br />
un periodo di mezzo secolo, non ci sia stato nessun conflitto tra i due stati<br />
africani. Effettivamente, Cartagine non si decise a una lotta aperta che<br />
cinquantuno anni dopo la guerra annibalica, ma, prima, il suo vicino<br />
l’aveva più d’una volta provocata e spogliata.<br />
Tito Livio (XXX, 37, 4) cita una presunta clausola del trattato imposto<br />
da Scipione ai Cartaginesi: dovevano fare alleanza con Massinissa (ma<br />
Polibio, che lo storico latino copia in questo passaggio, non dice nulla in<br />
proposito). Nonostante le asserzioni d’Appiano e di Tito Livio, si può<br />
dubitare che un accordo particolare sia stato concluso tra il re e Cartagine<br />
dopo la pace del 201. Le loro relazioni erano regolate, in linea generale,<br />
dal trattato punico-romano, e Massinissa non aveva nessuno interesse ad<br />
evitare le contestazioni che questo trattato rendeva possibili.<br />
Appiano dice in seguito che, dietro pressione della fazione democratica<br />
(sarebbe meglio definirla nazionalista), Cartalone, che ricopriva la carica<br />
militare di boetarco, invase il territorio usurpato dal re, fece bottino a<br />
danno dei sudditi di Massinissa che vi abitavano in accampamenti milita-<br />
ri, uccidendone alcuni, e aizzò gli agricoltori libici contro i Numidi. Ciò<br />
sarebbe avvenuto in un’epoca in cui i Romani erano in guerra con Celti-<br />
beri ed anche con altri ispanici che Massinissa sarebbe andato a combat-<br />
tere: probabilmente nel 153; ma è difficile restringere in uno spazio di tre<br />
anni appena (153 - primavera di 150) tutti gli eventi che seguirono fino<br />
all’inizio delle ostilità tra Massinissa e Cartagine.<br />
L’incursione di Cartalone ebbe luogo certamente alcuni anni prima;<br />
Appiano l’avrebbe assegnata a una data inesatta, con un errore la cui cau-<br />
sa ci sfugge. Dopo questa razzia, ce ne furono molte altre, commesse sia<br />
dai Numidi, sia dai Cartaginesi. Quindi vennero dei deputati romani, che,<br />
come i precedenti, avevano ricevuto istruzioni di favorire Massinissa.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE 91<br />
Non decisero nulla ed il re restò in possesso del paese contestato. Poco<br />
tempo dopo, egli rivendicò la regione detta Campi Magni ed il territorio,<br />
che comprende cinquanta città, che si chiama Tysca. 12 Ancora una volta, i<br />
Cartaginesi si rivolsero al senato romano, che però non si affrettò a ri-<br />
spondere. Alla fine inviò alcuni deputati, e fra questi c’era il vecchio Ca-<br />
tone. Arrivati nel paese oggetto della controversia, questi arbitri chiesero<br />
alle due parti di accettare in anticipo la loro decisione. Massinissa accon-<br />
sentì subito, poiché aveva fiducia nei suoi alleati; ma i Cartaginesi si ri-<br />
cordavano della condotta degli altri commissari. Fecero osservare che<br />
inchieste e sentenze nuove erano inutili, che bastava semplicemente con-<br />
statare la violazione del trattato di Scipione. Davanti a questa presa di<br />
posizione i Romani si ritirarono. Questa delegazione sembra abbia prece-<br />
duto di poco la guerra che, nel 150, scoppiò tra Cartagine e Massinissa.<br />
Non deve tuttavia essere confusa con quella che, secondo Tito Livio, fu<br />
inviata nel 152, su proposta dell’avversario politico di Catone, Scipione<br />
Nasica, e che ebbe proprio Nasica per capo. Prima della missione di Na-<br />
sica, Catone chiese, se crediamo a Tito Livio, che si dichiarasse la guerra<br />
a Cartagine: ma sicuramente ora, nel corso del suo viaggio in Africa, Ca-<br />
tone si convinse della necessità di annientare la vecchia rivale di Roma.<br />
Appiano non fornisce dettagli precisi sulle conquiste del sovrano numi-<br />
da nella regione delle Sirti. Tuttavia fa dire ad un cartaginese, nel 149:<br />
«Massinissa ci ha strappato la regione che circonda l’Emporion, quindi<br />
ne ha invaso un’altra» (Lyb. §79). Indica, cioè, che nel 150 Cartagine ac-<br />
consentì ad abbandonare al re “la regione che circonda l’Emporion”. Se<br />
ciò è esatto, occorre concludere che, fino ad allora, non l’aveva conside-<br />
rata come definitivamente persa, nonostante la sentenza del Senato roma-<br />
21 I Campi Magni sono le pianure di Souk el Arba e di Souk el Khemis, attraversate<br />
dalla Medjerda. Quanto al territorio chiamato Tysca, molti lo identificano con la regione<br />
di Thugga, oggi Dougga.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
92 LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE<br />
no che, secondo Polibio, aveva attribuito questa regione, con le città e le<br />
campagne, a Massinissa.<br />
I testi che abbiamo a disposizione non permettono comunque di rico-<br />
struire perfettamente la storia delle relazioni tra Massinissa e i Cartagine-<br />
si nella prima metà del secondo secolo. Ci danno la notizia soltanto che<br />
in molte riprese, per questo lungo periodo, il re fece rivendicazioni molto<br />
discutibili, o completamente ingiustificate, e tolse ai suoi vicini regioni<br />
estendentesi sul litorale delle Sirti, nell’Ovest e nel centro dell’attuale<br />
Tunisia; che Cartagine, non potendo respingere le sue invasioni con la<br />
forza, invocò spesso l’arbitrato di Roma; che questa le diede torto, o,<br />
quantomeno, evitò di darle ragione.<br />
I Cartaginesi, che non si rassegnavano a tutto subire dalla sfida di Mas-<br />
sinissa, erano però a corto di pazienza. Nell’inverno del 151-150, i demo-<br />
cratici (nazionalisti), che detenevano il potere, fecero condannare<br />
all’esilio i capi della fazione che consigliava un’intesa con il re. Gli<br />
espulsi si recarono presso Massinissa. Egli inviò a Cartagine i suoi figli<br />
Micipsa e Gulussa per chiedere il rientro dei suoi partigiani. Ma Cartalo-<br />
ne, il boetarco, impedì ai capi d’entrare nella città; anzi Amilcare il San-<br />
nita, un altro capo della fazione nazionalista, piombò coi suoi soldati su<br />
Gulussa, che ritornava da suo padre, ed uccise alcuni uomini della sua<br />
scorta.<br />
Dopo questi eventi, Massinissa andò ad assediare Oroscopa, cui ambiva<br />
da tempo, pur senza averne diritto. Coloro che governavano Cartagine si<br />
decisero alla guerra: un esercito, che contava 25000 fanti, fu affidato a un<br />
boetarco recentemente eletto, Asdrubale. Nonostante il ritratto poco lu-<br />
singhiero che Polibio ha fatto di lui (κενόδοξος ἦν ἀλαζὼν καὶ πολὺ<br />
κεχωρισμένος τῆς πραγματικῆς καὶ στρατηγικῆς δυνάμεως, Hist. 38, 7),<br />
questi non era un uomo privo di capacità militari: lo provò più tardi, in<br />
occasione della terza guerra punica. Egli avanzò contro Massinissa. Al<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE 93<br />
suo avvicinarsi, due capi numidi, Agasi e Suba, insoddisfatti degli atteg-<br />
giamenti dispotici dei figli del re, defezionarono con 6.000 cavalieri: fu<br />
un rinforzo molto opportuno per Asdrubale, poiché finora disponeva di-<br />
soli 400 cavalieri, reclutati fra i cittadini. Alcuni successi in piccole sca-<br />
ramucce lo incoraggiarono.<br />
Asdrubale si mise ad inseguire il nemico che, ritirandosi lentamente di-<br />
nanzi a lui, lo portò in una grande pianura deserta, circondata ovunque di<br />
alture ripide. Là Massinissa ed i suoi si accamparono su un terreno pia-<br />
neggiante. Asdrubale si stabilì su una collina, in una posizione che giudi-<br />
cò più forte. Il suo esercito s’accrebbe ancora d’una folla di gente venuta<br />
dal territorio di Cartagine; finì per avere 58.000 uomini. Massinissa ne<br />
comandava quasi altrettanto. Una mattina, il re schierò le sue truppe per<br />
invitare il nemico al combattimento ed Asdrubale fece altrettanto: si ac-<br />
cese una furiosa battaglia. La lotta durò fino alla notte: da ambo le parti le<br />
perdite furono molto pesanti, ma alla fine della giornata sembravano pre-<br />
valere i Numidi.<br />
Intanto, la vigilia della battaglia, era arrivato Scipione Emiliano, che<br />
militava sotto il comando di Lucullo nella guerra contro i Celtiberi: era<br />
stato inviato dalla Spagna per richiedere elefanti a Massinissa.<br />
Quest’ultimo, tutto intento ai preparativi della battaglia, ordinò ad alcuni<br />
dei suoi figli di riceverlo con gli onori dovuti all’antica amicizia con<br />
l’Africano Maggiore. Postosi su un’altura, il Romano assisté alla batta-<br />
glia; più tardi, ricordando questo spettacolo, si compiaceva di paragonar-<br />
lo a quelli che avevano avuto Zeus, dal monte Ida, e Poseidone, dalla<br />
sommità di Samotracia, al tempo della guerra di Troia. Ritornando dalla<br />
battaglia, il vecchio sovrano si incontrò con il suo ospite, che accolse nel<br />
modo più affettuoso.<br />
I Cartaginesi, informati della presenza di Scipione, lo mandarono a pre-<br />
gare di riconciliarli con Massinissa. Nei negoziati che si intavolarono, si<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
94 LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE<br />
dichiararono pronti a rinunciare per sempre al paese degli Emporia ed a<br />
pagare 1000 talenti d’argento, di cui ne avrebbero versati 200 immedia-<br />
tamente. Ma rifiutarono di consegnare i disertori e non si poté arrivare ad<br />
un’intesa. Scipione,dopo aver ricevuto gli elefanti, tornò in Spagna.<br />
I due eserciti rimasero l’uno di fronte all’altro, in una regione senza ri-<br />
sorse. Rinunciando a una battaglia in campo aperto, il re circondò d’un<br />
fossato la collina dov’era il campo dei Cartaginesi e così impedì loro di<br />
ricevere rifornimenti. Ma neanche lui era rifornito agevolmente.<br />
Asdrubale che aveva più riserve, sperava che il suo avversario, costretto<br />
dalla fame, si decidesse ad attaccare; pensava di superarlo e di rompere il<br />
blocco. Aspettò. Sapeva d’altronde che deputati romani stavano arrivan-<br />
do: per concludere un accordo, si diceva. I deputati vennero, infatti. Se-<br />
condo Appiano, avevano ricevuto l’ordine di mettere termine alla guerra,<br />
se Massinissa avesse la peggio, al contrario di stimolarlo, se fosse vitto-<br />
rioso.<br />
Nel frattempo i Cartaginesi avevano esaurito le loro provviste. Furono<br />
costretti a mangiare in successione le bestie da somma, i cavalli, quindi le<br />
pelli, che facevano bollire dopo averle tagliate a strisce e accendendo il<br />
fuoco con le parti in legno delle loro armi. Epidemie devastarono questa<br />
folla indebolita dalla fame, tormentata dal calore dell’estate africana,<br />
ammassata in uno spazio ristretto, in mezzo ad una grande quantità di<br />
corpi in putrefazione. Non era possibile né sgombrare i morti, poiché i<br />
nemici non lasciavano passare nessuno, né bruciarli, poiché il legno man-<br />
cava; e nemmeno interrarli, data la natura rocciosa della collina. La mag-<br />
gior parte dell’esercito era già perita e non restava più ai superstiti nessu-<br />
na speranza di salvezza. Si rassegnarono a trattare con Massinissa: il re<br />
pretese che Cartagine gli consegnasse i disertori, facesse rientrare gli esi-<br />
liati e pagasse una indennità di 5000 talenti entro cinquanta anni.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE 95<br />
I soldati d’Asdrubale dovettero uscire dal loro campo attraverso una so-<br />
la porta, non avendo altro che una tunica. Sfilarono così in mezzo<br />
all’esercito numida. Ma Gulussa non aveva dimenticato l’aggressione di<br />
cui stava per essere vittima. Su quest’infelici, disarmati e troppo esausti<br />
per fuggire, lanciò i suoi cavalieri, che li massacrarono. Pochissimi uo-<br />
mini, a detta di Appiano, sfuggirono alla morte e rientrarono a Cartagine<br />
con Asdrubale ed alcuni altri nobili.<br />
Massinissa pretese certamente la città d’Oroscopa, che aveva assediato<br />
all’inizio della campagna, e forse anche la cessione di altri territori.<br />
Ma la beffa più tragica per Cartagine doveva ancora arrivare.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
96 LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE<br />
Ἀππιανοῦ Λιβυκά § 67-73<br />
(Testo: P. Viereck-A.G. Roos, Appiani Historia Romana, Leipzig, Teubner, 1939)<br />
§67 καὶ τέλος εἶχε Ῥωμαίοις ὁ δεύτερος πρὸς Καρχηδονίους πόλεμος,<br />
ἀρξάμενος ἀπὸ Ἰβηρίας, λήξας δ’ ἐν Λιβύῃ ἐς τάσδε τὰς περὶ αὐτῆς<br />
Καρχηδόνος σπονδάς. καὶ ὀλυμπιάδες ἐν τοῖς Ἕλλησιν ἦσαν ἀμφὶ τὰς<br />
ἑκατὸν καὶ τεσσαράκοντα καὶ τέσσαρας. Μασσανάσσης δὲ Καρχηδονίοις<br />
τε μηνίων καὶ Ῥωμαίοις θαρρῶν ἐπέβαινε γῇ πολλῇ τῶν Καρχηδονίων<br />
ὡς γενομένῃ ποτὲ ἑαυτοῦ, καὶ οἱ Καρχηδόνιοι Ῥωμαίους παρεκάλουν<br />
σφίσι Μασσανάσσην συναλλάξαι. οἳ δ’ ἔπεμπον διαλλακτάς, οἷς εἴρητο<br />
συμπράσσειν, ὅσα δύναιντο, Μασσανάσσῃ. οὕτω μὲν τὴν γῆν<br />
ἀπετέμετο Καρχηδονίων ὁ Μασσανάσσης, καὶ συνθῆκαι Καρχηδονίοις<br />
καὶ πρὸς τόνδε ἐγένοντο, αἳ διέμειναν ἐς ἔτη πεντήκοντα, ἐν οἷς μάλιστα<br />
ἡ Καρχηδὼν εἰρηνεύουσα ὁμαλῶς ἐς μέγα δυνάμεως καὶ εὐανδρίας<br />
ἦλθεν ἔκ τε πεδίων εὐκαρπίας καὶ θαλάσσης εὐκαιρίας.<br />
§68 καὶ εὐθύς, οἷον ἐν ταῖς εὐτυχίαις γίγνεται, οἳ μὲν ἐρρωμάιζον, οἳ δὲ<br />
ἐδημοκράτιζον, οἷς δ’ ἤρεσκε Μασσανάσσης. ἡγοῦντο δὲ ἑκάστων οἱ<br />
καὶ δόξῃ καὶ ἀρετῇ προύχοντες, τῶν μὲν ῥωμαϊζόντων ὁ Μέγας Ἄννων,<br />
τῶν δ’ αἱρουμένων τὰ Μασσανάσσου Ἀννίβας, ὁ Ψὰρ ἐπικαλούμενος,<br />
τῶν δὲ δημοκρατιζόντων Ἀμίλχαρ, ᾧ Σαυνίτης ἐπώνυμον ἦν, καὶ<br />
Καρθάλων· οἳ φυλάξαντες Ῥωμαίους τε Κελτίβηρσι πολεμοῦντας καὶ<br />
Μασσανάσσην ἐπικουροῦντα υἱῷ πρὸς ἑτέρων Ἰβήρων συγκεκλεισμένῳ<br />
πείθουσι τὸν Καρθάλωνα, βοήθαρχον ὄντα καὶ ἐπὶ τῇδε τῇ ἀρχῇ τὴν<br />
χώραν περιιόντα, ἐπιθέσθαι τοῖς Μασσανάσσου σκηνουμένοις ἐν<br />
ἀμφιλόγῳ γῇ. ὃ δὲ καὶ ἔκτεινέν τινας αὐτῶν καὶ λείαν περιήλασε καὶ τοὺς<br />
ἐν τοῖς ἀγροῖς Λίβυας ἐπὶ τοὺς Νομάδας ἤγειρεν. ἄλλα τε πολλὰ αὐτοῖς<br />
ἔργα πολέμων ἐς ἀλλήλους γίγνεται, μέχρι Ῥωμαίων ἕτεροι πρέσβεις<br />
ἐπῆλθον ἐς διαλύσεις, οἷς ὁμοίως εἴρητο Μασσανάσσῃ βοηθεῖν ἀδήλως.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE 97<br />
APPIANO - LIBYCA § 67-73<br />
Traduzione di S. Cascone<br />
[§67] Così finì la seconda guerra tra Roma e Cartagine, cominciata in<br />
Spagna e terminata in Africa col trattato suddetto. Erano gli anni della<br />
144 a Olimpiade, secondo il calcolo greco. Massinissa, in rotta con Cartagine<br />
e contando sull’appoggio romano, cercava di occupare parti considerevoli<br />
del territorio cartaginese, sostenendo che una volta appartenevano<br />
a lui. I Cartaginesi chiesero ai Romani di dirimere le questioni con Massinissa:<br />
e i Romani inviarono commissioni arbitrali, ma con l’ordine di<br />
favorire Massinissa quanto più possibile. Così Massinissa si appropriò di<br />
una parte del territorio cartaginese e venne stipulato un trattato che durò<br />
circa cinquanta anni: durante questo periodo di pace Cartagine conobbe<br />
un grande progresso economico e demografico, grazie alla fertilità delle<br />
campagne e ai traffici marittimi.<br />
[§68] Ben presto (come frequentemente accade in periodi di prosperità) a<br />
Cartagine sorsero delle fazioni: un partito filo-romano, un partito democratico<br />
ed un partito favorevole a Massinissa. Ogni partito aveva capi<br />
prestigiosi: Annone il Grande era il leader della fazione filo-romana; Annibale,<br />
soprannominato lo Storno, era il capo di quelli che favorivano<br />
Massinissa; Amilcare, detto il Sannita, e Cartalone erano i capi dei democratici.<br />
Questi ultimi, approfittando del fatto che i Romani erano in<br />
lotta coi Celtiberi e che Massinissa stava marciando in aiuto di suo figlio<br />
circondato da altre forze iberiche, convinsero Cartalone (che in qualità di<br />
boetarco perlustrava il territorio) ad attaccare i sudditi di Massinissa che<br />
vivevano in tende sul territorio conteso. Cartalone uccise alcuni di loro,<br />
fece un ingente bottino ed aizzò contro i Numidi i contadini africani.<br />
Molti altri atti ostili ebbero luogo da ambo le parti, fino a che giunsero da<br />
Roma arbitri inviati per ripristinare la pace. Avevano però ricevuto<br />
l’ordine di aiutare segretamente Massinissa: ed essi con il seguente stratagemma<br />
confermarono Massinissa nel possesso del territorio che aveva<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
98 LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE<br />
καὶ ἐβεβαίωσαν οἵδε τῷ Μασσανάσσῃ, ὅσα προειλήφει, μετὰ τέχνης ὧδε.<br />
εἶπον μὲν οὐδὲν οὐδὲ ἤκουσαν, ἵνα μή τι ὡς ἐν δίκῃ Μασσανάσσης<br />
ἐλαττοῖτο, ἐν μέσῳ δ’ ἀμφοῖν γενόμενοι τὰς χεῖρας διέστησαν· καὶ τοῦτο<br />
ἦν αὐτοῖς κέλευσμα πρὸς ἀμφοτέρους ἐς διαλύσεις. οὐ πολὺ δὲ ὕστερον<br />
ὁ Μασσανάσσης ἠμφισβήτει καὶ τῶν λεγομένων μεγάλων πεδίων καὶ<br />
χώρας πεντήκοντα πόλεων, ἣν Τύσκαν προσαγορεύουσιν. ἐφ’ οἷς πάλιν<br />
οἱ Καρχηδόνιοι κατέφυγον ἐπὶ Ῥωμαίους. οἳ δ’ ὑπέσχοντο μὲν αὐτοῖς καὶ<br />
τότε πρέσβεις πέμψειν ἐς δίαιταν, διέτριψαν δέ, ἕως εἴκασαν πολλὰ τῶν<br />
Καρχηδονίων διεφθάρθαι.<br />
§69 καὶ τότε πρέσβεις ἔπεμπον ἑτέρους καὶ Κάτωνα, οἳ εἰς τὴν<br />
ἀμφίλογον γῆν ἀφικόμενοι ἠξίουν σφίσιν ἀμφοτέρους περὶ ἁπάντων<br />
ἐπιτρέπειν. Μασσανάσσης μὲν οὖν, οἷα πλεονεκτῶν καὶ Ῥωμαίοις αἰεὶ<br />
θαρρῶν, ἐπέτρεπεν, οἱ Καρχηδόνιοι δ’ ὑπώπτευον, ἐπεὶ καὶ τοὺς<br />
πρότερον ᾔδεσαν οὐκ εὖ δικάσαντας. ἔφασαν οὖν τὰς συνθήκας τὰς ἐπὶ<br />
Σκιπίωνος οὐδὲν χρῄζειν δικῶν οὐδὲ διορθώσεως, ὅσα μὴ ἐξ αὐτῶν<br />
παραβαίνεται μόνα. οἳ δ’ οὐκ ἀνασχόμενοι περὶ μέρους δικάζειν<br />
ἐπανῄεσαν καὶ τὴν χώραν περιεσκόπουν, ἀκριβῶς τε εἰργασμένην καὶ<br />
κατασκευὰς μεγάλας ἔχουσαν. εἶδον δὲ καὶ τὴν πόλιν εἰσελθόντες, ὅση<br />
τε τὴν δύναμιν ἦν, καὶ πλῆθος, ὅσον ηὔξητο ἐκ τῆς οὐ πρὸ πολλοῦ κατὰ<br />
Σκιπίωνα διαφθορᾶς. ἐπανελθόντες τε ἐς Ῥώμην ἔφραζον οὐ ζήλου<br />
μᾶλλον ἢ φόβου γέμειν αὐτοῖς τὰ Καρχηδονίων, πόλεως δυςμενοῦς<br />
τοσῆσδε καὶ γείτονος εὐχερῶς οὕτως αὐξανομένης. καὶ ὁ Κάτων μάλιστα<br />
ἔλεγεν οὔ ποτε Ῥωμαίοις βέβαιον οὐδὲ τὴν ἐλευθερίαν ἔσεσθαι, πρὶν<br />
ἐξελεῖν Καρχηδόνα. ὧν ἡ βουλὴ πυνθανομένη ἔκρινε μὲν πολεμεῖν, ἔτι δ’<br />
ἔχρῃζε προφάσεων, καὶ τὴν κρίσιν ἀπόρρητον εἶχον. Κάτωνα δ’ ἐξ<br />
ἐκείνου φασὶν ἐν τῇ βουλῇ συνεχεῖ γνώμῃ λέγειν, Καρχηδόνα μὴ εἶναι,<br />
Σκιπίωνα δὲ τὸν Νασικᾶν τὰ ἐναντία ἀξιοῦν, Καρχηδόνα ἐᾶν, ἐς φόβον<br />
ἄρα καὶ τόνδε Ῥωμαίων ἐκδιαιτωμένων ἤδη.<br />
§70 Καρχηδονίων δ’ οἱ δημοκρατίζοντες τοὺς τὰ Μασσανάσσου<br />
φρονοῦντας ἐξέβαλον, ἐς τεσσαράκοντα μάλιστα ὄντας, καὶ ψῆφον<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE 99<br />
già occupato. Non vollero né pronunciarsi né ascoltare ragioni, in modo<br />
che Massinissa non soccombesse in un giudizio, ma passarono tra i due<br />
contendenti con le mani distese: era questo il loro modo di comandare ai<br />
contendenti di cessare le ostilità. Non molto tempo dopo, Massinissa diede<br />
origine ad una disputa sulla terra conosciuta come “Campi Magni” e la<br />
regione che comprende cinquanta città, chiamata Tysca. Di nuovo i Cartaginesi<br />
fecero ricorso ai Romani; di nuovo questi promisero di inviare<br />
ambasciatori per arbitrare la questione, ma indugiarono fino a quando<br />
ritennero gli interessi cartaginesi irrimediabilmente compromessi.<br />
[§69] Alla fine inviarono gli ambasciatori, e fra questi c’era Catone.<br />
Giunti nel territorio conteso, chiesero che le due parti esponessero tutte le<br />
loro controversie. Massinissa, che nutriva ancora più ambizioni e contava<br />
sull’appoggio dei Romani, acconsentì. I Cartaginesi invece esitavano perché,<br />
sulla base delle precedenti esperienze, sapevano che non avrebbero<br />
ricevuto giustizia. Dissero perciò che non volevano aprire una nuova contesa<br />
per la revisione del trattato sottoscritto con Scipione, si lagnavano<br />
solamente delle trasgressioni del trattato. Poiché gli inviati non acconsentirono<br />
ad arbitrare su una controversia parziale, ritornarono in patria. Però<br />
osservarono attentamente il paese; videro le campagne diligentemente<br />
coltivate e ricche di grandi risorse. Entrati nella città, constatarono<br />
com’era grandemente cresciuta in ricchezza e popolazione a non grande<br />
distanza di tempo dalla vittoria di Scipione. Quando ritornarono a Roma<br />
dichiararono che Cartagine era per loro un oggetto di apprensione piuttosto<br />
che di invidia, dato che una città ostile e vicina stava crescendo così<br />
rapidamente. Catone specialmente disse che la libertà di Roma non sarebbe<br />
mai stata sicura finché Cartagine non fosse stata distrutta. Quando<br />
il Senato apprese queste cose votò per la guerra: ma la decisione fu tenuta<br />
segreta in attesa di un valido pretesto. Si dice che Catone da allora continuamente<br />
esprimesse nel Senato l’opinione che Cartagine dovesse essere<br />
distrutta. Scipione Nasica sosteneva, al contrario, che Cartagine dovesse<br />
essere risparmiata, per tenere viva con questa paura l’antica disciplina<br />
romana.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
100 LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE<br />
ἐπήνεγκαν φυγῆς καὶ τὸν δῆμον ὥρκωσαν μήτε καταδέξεσθαί ποτε μήτε<br />
ἀνέξεσθαι τῶν λεγόντων καταδέχεσθαι. οἱ δ’ ἐξελαθέντες ἐπὶ τὸν<br />
Μασσανάσσην κατέφυγον καὶ ἐξώτρυνον ἐς πόλεμον. ὃ δὲ καὶ αὐτὸς<br />
οὕτως ἔχων ἔπεμπε τῶν παίδων ἐς Καρχηδόνα Γολόσσην τε καὶ<br />
Μικίψαν, ἀξιῶν καταδέχεσθαι τοὺς δι’ αὑτὸν ἐξεληλαμένους. τούτοις<br />
προςιοῦσι τὰς πύλας ὁ βοήθαρχος ἀπέκλεισε, δείσας, μὴ τὸν δῆμον οἱ<br />
συγγενεῖς τῶν φευγόντων καταδακρύσειαν. Γολόσσῃ δὲ καὶ ἐπανιόντι<br />
Ἀμίλχαρ ὁ Σαυνίτης ἐπέθετο καί τινας μὲν ἔκτεινεν, αὐτὸν δὲ<br />
ἐθορύβησεν. ἐφ’ οἷς ὁ Μασσανάσσης προφάσεις τάσδε ποιούμενος<br />
ἐπολιόρκει πόλιν Ὁρόσκοπα, καὶ τῆσδε παρὰ τὰς συνθήκας ἐφιέμενος. οἱ<br />
δὲ Καρχηδόνιοι πεζοῖς μὲν διςμυρίοις καὶ πεντακισχιλίοις, ἱππεῦσι δὲ<br />
πολιτικοῖς τετρακοσίοις Ἀσρούβα τοῦ τότε σφῶν βοηθάρχου<br />
στρατηγοῦντος ἐπὶ τὸν Μασσανάσσην ἐστράτευον. καὶ πλησιάσασιν<br />
αὐτοῖς Ἅγασίς τε καὶ Σούβας, ταξίαρχοι τοῦ Μασσανάσσου,<br />
διενεχθέντες τι τοῖς παισὶ Μασσανάσσου, προσέδραμον ἐς αὐτομολίαν<br />
ἱππέας ἄγοντες ἑξακισχιλίους, οἷς ἐπαρθεὶς ὁ Ἀσρούβας<br />
μετεστρατοπέδευεν ἐγγυτέρω τοῦ βασιλέως, καὶ ἐν ταῖς ἀκροβολίαις ἐπὶ<br />
κρεισσόνων ἦν. ὁ δὲ Μασσανάσσης ἐνεδρεύων αὐτὸν ὑπεχώρει κατ’<br />
ὀλίγον οἷα φεύγων, ἕως προςήγαγεν ἐς πεδίον μέγα καὶ ἔρημον, οὗ<br />
πανταχόθεν ἦσαν λόφοι καὶ ἀπόκρημνα καὶ ἀγορᾶς ἀπορία. τότε δ’<br />
ἐπιστρέψας ἐστρατοπέδευεν ἐν τοῖς πεδινοῖς· ὁ δὲ Ἀσρούβας ἐς τοὺς<br />
λόφους ὡς ὀχυρωτέρους ἀνέδραμεν.<br />
§71 καὶ οἳ μὲν τῆς ἐπιούσης ἔμελλον ἐς χεῖρας ἥξειν, Σκιπίων δ’ ὁ<br />
νεώτερος, ὁ τὴν Καρχηδόνα ὕστερον ἑλών, ὑποστρατευόμενος τότε<br />
Λευκόλλῳ Κελτίβηρσι πολεμοῦντι, ἐς τὸν Μασσανάσσην ἀφικνεῖτο,<br />
πεμφθεὶς ἐλέφαντας αἰτῆσαι, καὶ αὐτῷ Μασσανάσσης, τοῦ σώματος ὡς<br />
ἐς μάχην ἐπιμελούμενος, ἱππέας ἀπαντᾶν ἔπεμψε καὶ τῶν παίδων τισὶν<br />
ἐκέλευεν ἐλθόντα ὑποδέξασθαι. αὐτὸς δ’ ἅμ’ ἕῳ τὸν στρατὸν ἐξέτασσεν,<br />
ὀγδοήκοντα μὲν καὶ ὀκτὼ γεγονὼς ἔτη, ἱππεύων δ’ ἔτι καρτερῶς καὶ<br />
γυμνὸν τὸν ἵππον ἀναβαίνων, ὡς ἔθος ἐστὶ Νομάσι, καὶ στρατηγῶν καὶ<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE 101<br />
[§70] A Cartagine la fazione democratica mandò in esilio i simpatizzanti<br />
di Massinissa, una quarantina di persone, e con un voto impegnò solennemente<br />
il popolo a non farli più rientrare e a non rimettere in discussione<br />
per il futuro la faccenda. Gli esuli andarono a rifugiarsi presso Massinissa<br />
e lo incitavano a dichiarare la guerra. Il re, che non aspettava altro,<br />
spedì i suoi due figli Gulussa e Micipsa a Cartagine per chiedere il rientro<br />
di coloro che erano stati espulsi a causa sua. Quand’essi furono alle porte<br />
della città, il boetarco li bloccò temendo che i parenti degli esuli potessere<br />
convincere il popolo con le loro accorate preghiere. Mentre Gulussa<br />
stava ritornando indietro, Amilcare il Sannita lo attaccò, uccise alcuni dei<br />
suoi compagni e lo fece scappare terrorizzato. Forte di questo pretesto,<br />
Massinissa pose l’assedio alla città di Oroscopa, a cui mirava nonostante<br />
i patti. I Cartaginesi, con 25.000 fanti e 400 cavalieri reclutati tra i cittadini,<br />
sotto il comando del boetarco Asdrubale marciarono contro Massinissa.<br />
Al loro avvicinarsi, Agasi e Suba, ufficiali di Massinissa, in dissidio<br />
coi suoi figli, disertarono con 6.000 cavalieri: incoraggiato da questo<br />
fatto, Asdrubale spostò le sue forze più vicino al re ed in alcune scaramucce<br />
ebbe la meglio. Ma Massinissa strategicamente indietreggiava a<br />
poco a poco, fingendo di ritirarsi, finché lo portò in una vasta pianura deserta,<br />
circondata da colline e dirupi, lontana da ogni fonte di rifornimento.<br />
Allora, fatto dietrofront, si accampò nella pianura: Asdrubale occupò<br />
le colline convinto di avere una posizione più forte.<br />
[§71] Così essi si accingevano a combattere il giorno seguente. Nel frattempo<br />
Scipione il Giovane, quello che in seguito conquistò Cartagine, il<br />
quale allora militava sotto Lucullo nella guerra contro i Celtiberi, era in<br />
viaggio per raggiungere il campo di Massinissa, inviato a procurare elefanti.<br />
Massinissa, dato che stava preparandosi per la battaglia, gli mandò<br />
incontro un corpo di cavalieri ed incaricò alcuni dei suoi figli di accoglierlo<br />
all’arrivo. Sul far del giorno schierò di persona il suo esercito in<br />
ordine di battaglia: pur avendo ottantotto anni era ancora un valido cavallerizzo<br />
e montava a cavallo senza sella, com’è costume dei Numidi, ed<br />
era in grado di combattere e di assolvere i compiti di un generale.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
102 LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE<br />
μαχόμενος. εἰσὶ γὰρ Λιβύων οἱ Νομάδες εὐρωστότατοι καὶ μακροβίων<br />
ὄντων μακροβιώτατοι. αἴτιον δ’ ἴσως ὅ τε χειμὼν οὐ πολὺ κρύος ἔχων,<br />
ὑφ’ οὗ φθείρεται πάντα, καὶ τὸ θέρος οὐ κατακαῖον ὥσπερ Αἰθίοπάς τε<br />
καὶ Ἰνδούς. διὸ καὶ τῶν θηρίων τὰ δυνατώτατα ἥδε ἡ γῆ φέρει, καὶ οἱ<br />
ἄνδρες ἐν ὑπαίθρῳ καὶ πόνοις εἰσὶν αἰεί. ὀλίγος τε ὁ οἶνος αὐτοῖς καὶ ἡ<br />
τροφὴ πᾶσιν ἁπλῆ τε καὶ εὐτελής. ὁ μὲν δὴ Μασσανάσσης ἐπιβὰς ἵππου<br />
διεκόσμει τὸν στρατόν, καὶ Ἀσρούβας ἀντεξῆγε τὸν ἴδιον αὐτῷ, πολὺ<br />
πλῆθος· ἤδη γὰρ καὶ τῷδε πολλοὶ προσεληλύθεισαν ἐκ τῆς χώρας. ὁ δὲ<br />
Σκιπίων ἐθεᾶτο τὴν μάχην ἀφ’ ὑψηλοῦ καθάπερ ἐκ θεάτρου. ἔλεγέν τε<br />
πολλάκις ὕστερον, ἀγῶσι συνενεχθεὶς ποικίλοις, οὔποτε ὧδε ἡσθῆναι·<br />
μόνον γὰρ ἔφη τόνδε τὸν πόνον ἄφροντις ἰδεῖν, μυριάδας ἀνδρῶν<br />
συνιούσας ἐς μάχην ἕνδεκα. ἔλεγέν τε σεμνύνων δύο πρὸ αὑτοῦ τὴν<br />
τοιάνδε θέαν ἰδεῖν ἐν τῷ Τρωϊκῷ, τὸν Δία ἀπὸ τῆς Ἴδης καὶ τὸν<br />
Ποσειδῶνα ἐκ Σαμοθρᾴκης.<br />
§72 γενομένης δὲ τῆς μάχης ἐς νύκτα ἀπ’ ἠοῦς καὶ πολλῶν πεσόντων<br />
ἑκατέρωθεν ἔδοξεν ἐπὶ κρεισσόνων ὁ Μασσανάσσης γενέσθαι. καὶ αὐτῷ<br />
ὑποστρέφοντι ἀπὸ τοῦ ἔργου ὁ Σκιπίων ὤφθη. ὃ δὲ αὐτὸν οἷα φίλον ἐκ<br />
πάππου περιεῖπε θεραπεύων. ὅπερ οἱ Καρχηδόνιοι μαθόντες ἐδέοντο τοῦ<br />
Σκιπίωνος πρὸς Μασσανάσσην σφᾶς συναλλάξαι. ὃ δὲ συνήγαγε μὲν<br />
αὐτούς, γιγνομένων δὲ προκλήσεων οἱ Καρχηδόνιοι τῷ Μασσανάσσῃ<br />
τὴν μὲν περὶ τὸ Ἐμπόριον γῆν ἔλεγον μεθήσειν καὶ ἀργυρίου τάλαντα<br />
δώσειν διακόσια αὐτίκα καὶ ὀκτακόσια σὺν χρόνῳ, τοὺς δ’ αὐτομόλους<br />
αἰτοῦντος οὐχ ὑπέστησαν οὐδ’ ἀκοῦσαι, ἀλλ’ ἄπρακτοι διεκρίθησαν. καὶ<br />
Σκιπίων μὲν ἐς Ἰβηρίαν ἔχων τοὺς ἐλέφαντας ἐπανῄει, Μασσανάσσης δέ,<br />
τὸν λόφον τῶν πολεμίων περιταφρεύσας, ἐφύλασσε μηδεμίαν αὐτοῖς<br />
ἀγορὰν ἐσφέρεσθαι. οὐδ’ ἄλλως ἐγγὺς ἦν οὐδέν, ἐπεὶ καὶ αὐτῷ μόλις ἐκ<br />
μακροῦ σφόδρα ἐπιμόχθως ἐφέρετο ὀλίγη. Ἀσρούβας δ’ εὐθὺς μὲν<br />
ἐδόκει δύνασθαι διεκπαῖσαι τοὺς πολεμίους ἐρρωμένῳ ἔτι καὶ ἀπαθεῖ τῷ<br />
στρατῷ, ἀγορὰν δ’ ἔχων Μασσανάσσου πλείονα προκαλεῖσθαι τὸν<br />
Μασσανάσσην ἐνόμιζε καὶ παρέμενε, πυνθανόμενος ἅμα καὶ Ῥωμαίων<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE 103<br />
Difatti i Numidi sono i più robusti di tutti gli africani, e anche i più longevi.<br />
La ragione probabilmente è che il loro inverno non è tanto freddo da<br />
arrecare danni e la loro estate non è così torrida come in Etiopia e in India;<br />
per questo motivo il paese possiede anche le bestie selvatiche più<br />
grandi e gli uomini lavorano sempre all’aria aperta. Inoltre fanno un uso<br />
molto limitato di vino ed il loro cibo è semplice e frugale.<br />
Quando Massinissa sul suo cavallo ebbe schierato l’esercito, anche<br />
Asdrubale dispose il suo: era molto grande, dato che vi s’erano aggiunti<br />
molti abitanti della zona. Scipione assistette a questa battaglia da<br />
un’altura, come ad uno spettacolo in teatro. In seguito diceva spesso che<br />
aveva assistito a molti scontri, però non aveva mai provato un simile godimento:<br />
assistere senza patemi ad una battaglia di 110.000 uomini. Aggiungeva<br />
con un’aria di solennità che, prima di lui, solamente due avevano<br />
goduto di un simile spettacolo: Giove dal monte Ida e Nettuno da Samotracia,<br />
durante la guerra di Troia.<br />
[§72] La battaglia continuò da mattina fino a notte, con ingenti perdite da<br />
ambo le parti: sembrò però prevalere Massinissa. Mentre il re stava ritornando<br />
dal campo, Scipione si presentò e Massinissa lo salutò col più<br />
grande riguardo, dato che era stato amico di suo nonno. Quando i Cartaginesi<br />
seppero dell’arrivo di Scipione, gli chiesero di fare da paciere tra<br />
loro e Massinissa. Egli li invitò ad una trattativa, in cui i Cartaginesi proposero<br />
di cedere a Massinissa il territorio attorno ad Emporion e di versargli<br />
200 talenti d’argento subito ed 800 in seguito. Ma quando il re pretese<br />
la consegna dei disertori, essi si rifiutarono: pertanto si separarono<br />
senza venire ad un accordo. Allora Scipione ritornò in Spagna coi suoi<br />
elefanti; e Massinissa si accinse a scavare un fossato attorno alla collina<br />
dove il nemico era accampato ed bloccò loro qualsiasi mezzo di rifornimento.<br />
Né era possibile trovarne nella zona, dato che anche lui con grande<br />
difficoltà riusciva a farsi giungere limitati approvvigionamenti da zone<br />
molto distanti. In un primo momento Asdrubale pensò di potere sfondare<br />
le linee nemiche col suo esercito che ancora era forte e quasi integro.<br />
Avendo più provviste di Massinissa, credeva che sarebbe stato un buon<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
104 LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE<br />
ἐπιέναι πρέσβεις ἐς διαλύσεις. οἳ δ’ ἦλθον μέν, εἴρητο δ’ αὐτοῖς, εἰ<br />
Μασσανάσσης ἐλασσοῖτο, λῦσαι τὴν διαφοράν, εἰ δ’ ἐπὶ κρεισσόνων εἴη,<br />
καὶ παροξῦναι.<br />
§73 οἳ μὲν δὴ τὸ ἑαυτῶν ἔπραξαν, ὁ δὲ λιμὸς τὸν Ἀσρούβαν καὶ τοὺς<br />
Καρχηδονίους ἐξέτριβε· καὶ τοῖς σώμασι πάντα ἔχοντες ἀσθενῶς<br />
βιάσασθαι μὲν οὐκέτι τοὺς πολεμίους ἐδύναντο, τὰ δ’ ὑποζύγια πρῶτον,<br />
εἶτα τοὺς ἵππους ἐπὶ τοῖς ὑποζυγίοις ἔθυον καὶ ἱμάντας ἑψοῦντες ἤσθιον.<br />
καὶ νόσων αὐτοὺς ἰδέαι πᾶσαι κατελάμβανον ἔκ τε πονηρίας τροφῶν καὶ<br />
ἀκινησίας ἔργων καὶ ὥρας ἔτους· συνεκέκλειστο γὰρ ἐς ἓν χωρίον, καὶ<br />
τόδε ὂν στρατόπεδον, ὄχλος ἀνθρώπων Λιβύῃ θέρους. τῶν τε<br />
ξύλων αὐτοῖς ἐς τὴν ἕψησιν ἐπιλειπόντων τὰ ὅπλα κατέκαιον. καὶ τῶν<br />
ἀποθνησκόντων οὐδεὶς οὔτ’ ἐξεφέρετο, Μασσανάσσου τὴν φυλακὴν οὐκ<br />
ἀνιέντος, οὔτ’ ἐξεκαίετο ξύλων ἀπορίᾳ. ὁ οὖν φθόρος αὐτοῖς ἦν πολύς τε<br />
καὶ περιώδυνος, συνοῦσιν ὀδωδόσι καὶ σηπομένοις σώμασι.<br />
τό τε πλεῖστον ἤδη τοῦ στρατοῦ διέφθαρτο· καὶ τὸ ὑπόλοιπον οὐδεμίαν<br />
σφίσιν ἐλπίδα σωτηρίας ὁρῶντες τοὺς αὐτομόλους ὑπέστησαν ἐκδοῦναι<br />
τῷ Μασσανάσσῃ καὶ πεντακισχίλια ἀργυρίου τάλαντα πεντήκοντα ἔτεσιν<br />
ἐσενεγκεῖν τούς τε φυγάδας σφῶν καταδέξασθαι παρὰ τὸ ὅρκιον καὶ<br />
αὐτοὶ διὰ μιᾶς πύλης τοὺς ἐχθροὺς καθ’ ἕνα διεξελθεῖν σὺν χιτωνίσκῳ<br />
μόνῳ. Γολόσσης δ’ αὐτοῖς ἀπιοῦσι, χαλεπαίνων τῆς οὐ πρὸ πολλοῦ<br />
διώξεως, εἴτε συνειδότος τοῦ πατρός, εἴτε δι’ ἑαυτοῦ, Νομάδας ἱππέας<br />
ἐπέπεμψεν, οἳ οὐκ ἀμυνομένους, οὔτε ὅπλον ἔχοντας ἐς ἄμυναν οὔτε<br />
φυγεῖν ὑπ’ ἀσθενείας δυναμένους, . ἔκ τε μυριάδων πέντε<br />
στρατοῦ καὶ ὀκτακισχιλίων ἀνδρῶν ὀλίγοι πάμπαν ἐς Καρχηδόνα<br />
περιεσώθησαν καὶ σὺν αὐτοῖς Ἀσρούβας τε ὁ στρατηγὸς καὶ ἕτεροι τῶν<br />
ἐπιφανῶν.<br />
§ 74 τοιόσδε μὲν ὁ Μασσανάσσου καὶ Καρχηδονίων πόλεμος ἦν.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA GUERRA TRA MASSINISSA E CARTAGINE 105<br />
piano quello di provocarlo a combattere e aspettava, anche perché aveva<br />
saputo che stavano per giungere ambasciatori di Roma inviati per appianare<br />
i contrasti. Ed essi giunsero, ma era stato loro ordinato di porre fine<br />
al conflitto solo se Massinissa era soccombente, altrimenti no.<br />
[§73] E gli inviati eseguirono gli ordini. Nel frattempo la fame tormentava<br />
Asdrubale ed i Cartaginesi: essendo molto debilitati, non erano più in<br />
condizione di assaltare il nemico. Prima mangiarono gli animali da soma,<br />
dopo mangiarono i cavalli: infine si ridussero a mangiare strisce di cuoio<br />
bollite. Diventarono preda di varie malattie a causa della mancanza di<br />
cibo, oltre che per l’assenza di esercizio fisico e la stagione calda: una<br />
grande moltitudine di uomini si trovava bloccata in un spazio ristretto ed<br />
in un accampamento affollato sotto la calura dell’estate africana. Quando<br />
le scorte di legname per cucinare si esaurirono, cominciarono a bruciare<br />
scudi ed armi. Non era possibile sgombrare i cadaveri dei morti perché<br />
Massinissa non allentava l’assedio; né potevano bruciarli per mancanza<br />
di legna. Costretti a vivere in mezzo al fetore dei cadaveri in putrefazione<br />
sorse quindi in mezzo a loro una terribile pestilenza.<br />
La maggior parte dell’esercito era ormai perita: i supestiti, non vedendo<br />
nessuna speranza di salvezza, acconsentirono a consegnare i disertori a<br />
Massinissa, a pagare 5.000 talenti d’argento in cinquanta anni e a far rientrare<br />
quelli che erano stati esiliati, anche se questo era contrario al giuramento<br />
fatto. Furono costretti a sfilare sotto il giogo tra due ali di nemici,<br />
uno dietro l’altro, con una sola tunica corta per ognuno. Ma Gulussa, pieno<br />
di rancore per l’agguato subito in precedenza, non si sa se con la connivenza<br />
di suo padre o di propria iniziativa, lanciò una carica della cavalleria<br />
numida contro i nemici in ritirata: e molti, non avendo né armi per<br />
difendersi né la forza di fuggire, furono uccisi. Così, di 58.000 uomini<br />
che componevano l’esercito, solamente pochissimi ritornarono a Cartagine<br />
e fra questi il loro comandante Asdrubale ed altri esponenti di primo<br />
piano.<br />
[§74] Questa fu la conclusione della guerra tra Massinissa ed i Cartaginesi.<br />
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106 LA VILLA DEL TELLARO<br />
(Masseria della Villa del Tellaro - Noto)<br />
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DI RAGUSA
LA VILLA DEL TELLARO 107<br />
Andrea Guastella<br />
MOSAICI IN SICILIA: LA VILLA DEL TELLARO*<br />
1<br />
Venire qui a parlare di mosaici è come vendere focacce al panettiere, e<br />
non solo a motivo del pubblico dotto e competente più che mai. Il fatto è<br />
che l’Africa, la Tunisia in particolare, è la patria del mosaico, e molte<br />
delle opere di stanza in Sicilia sono debitrici dell’inventiva e del lavoro<br />
manuale delle maestranze africane che le hanno realizzate. Sì, perché, per<br />
svariate ragioni, nel tardo impero il braccio di mare che separa la Sicilia<br />
dall’Africa era molto più corto di adesso e la nostra isola costituiva una<br />
cerniera, un ponte di passaggio ideale tra l’Oriente e l’Occidente. Lo testimonierebbe<br />
– se ve ne fosse bisogno – il probabile omaggio che un<br />
maestro mosaicista ha voluto tributare alla “sua” Africa immortalandone<br />
l’effigie nella villa del Tellaro:<br />
(Africa)<br />
1 * Relazione tenuta al Convegno «Le pietre che parlano» (Tunisi, 14-21 febbraio 2008),<br />
organizzato dal Centro Studi Sallustiani, che ha curato la pubblicazione degli Atti.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
108 LA VILLA DEL TELLARO<br />
Ed è proprio a questo edificio, recentemente scoperto nei pressi di Noto,<br />
che intendo principalmente dedicare il presente itinerario, partecipandovi<br />
un’esperienza di utilizzo del patrimonio musivo degli Iblei nella didattica<br />
dell’arte. Facciamo un po’ di storia. Tutto iniziò nell’estate del<br />
1971, quando Giuseppe Voza, della sovrintendenza ai beni culturali di<br />
Siracusa, ricevette la chiamata di un capitano della Guardia di finanza.<br />
Qualcuno aveva avvertito le forze dell’ordine che in una masseria abbandonata,<br />
non lontano da Noto, e dall’antica città di Eloro, si aggiravano<br />
scavatori di frodo.<br />
Che cosa li aveva attratti in quel casale? In un angolo della stalla si intravedeva<br />
un frammento di mosaico a colori, volti di personaggi intenti a<br />
banchettare. I cacciatori di reperti l’avevano già pulito con l’intenzione di<br />
strapparlo, certo senza capire quale tesoro avessero casualmente rinvenuto.<br />
Si trattava, infatti, del primo ritrovamento in Sicilia – dopo la scoperta<br />
che fece epoca negli anni ‘50 della villa di Piazza Armerina, apparsa per<br />
tanto tempo come un sito eccezionale e di difficile interpretazione – che<br />
ha aperto nuove e stimolanti prospettive di studio.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
LA VILLA DEL TELLARO 109<br />
(Villa del Casale)<br />
«Gli scavi, cominciati tra mille difficoltà burocratiche a metà degli anni<br />
‘70, hanno portato alla luce i resti di una villa di 6 mila metri quadrati»<br />
racconta Voza, che da sovrintendente ha poi seguito passo dopo passo i<br />
lavori. Di tale edificio sono poco conservate le strutture murarie; è stato<br />
tuttavia possibile identificare uno dei corpi centrali e rappresentativi della<br />
villa, vale a dire un ampio peristilio di circa 20 metri di lato, dotato di<br />
portico, con gli ambienti che vi gravitano precisati dallo scavo sui lati<br />
nord e sud. Nell’immagine planimetrica che segue, la linea tratteggiata<br />
identifica il perimetro della fattoria sette-ottocentesca, mentre il peristilio<br />
è la corte di forma quadrata:<br />
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110 LA VILLA DEL TELLARO<br />
(Planimetria)<br />
Il camminamento era ricoperto da un mosaico con festoni e motivi<br />
geometrici, ben conservato in situ per 15 metri:<br />
(Camminamento)<br />
Si tratta di un mosaico “a tappeto”, e a giudicare da un semplice confronto,<br />
è difficile dire se sia nato prima il tappeto di stoffa o quello di pietra:<br />
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LA VILLA DEL TELLARO 111<br />
(Mosaico)<br />
(Motivo geometrico tappeto)<br />
Ma il ritrovamento eccezionale riguarda i pavimenti di tre stanze con<br />
scene mitologiche, di caccia e danza che descriveremo nel dettaglio. Prima,<br />
però, è necessario introdurre alcune notizie sul mosaico romano e<br />
sulle relative modalità di produzione.<br />
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112 LA VILLA DEL TELLARO<br />
La messa in atto di una composizione pittorica mediante l’uso di frammenti<br />
di materiale (tessere) di diversa natura e colore non è affatto impresa<br />
facile, al punto da richiedere, come definito dall’Edictum de Pretiis<br />
Rerum Venalium (Editto sui prezzi massimi) di Diocleziano e dal Codice<br />
di Teodosio, una suddivisione del lavoro secondo le specialità:<br />
• pictor imaginarius: il maestro cartonista, che stabiliva il disegno e<br />
la struttura della composizione.<br />
• pictor parietarius: riportava il disegno nella sede di realizzazione,<br />
spesso ingrandendo le figure in proporzione alla superficie da coprire.<br />
Egli curava anche le distanze fra le figure ed adattava il disegno all’area<br />
pavimentale o alla parete.<br />
• musivarius: realizzava il mosaico vero e proprio, di solito su muro.<br />
A questi si aggiungevano i seguenti operatori:<br />
• tessellarius: l’artigiano che inseriva le tessere sul pavimento.<br />
• marmoraro: colui che sezionava in lastre i marmi e li levigava.<br />
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DI RAGUSA
LA VILLA DEL TELLARO 113<br />
• quadrettaro: artigiano che disponeva artisticamente le diverse lastre<br />
nelle pareti o sui pavimenti.<br />
• pavimentaro: costruiva gli strati di impasto o malta per predisporre<br />
il piano a ricevere le composizioni.<br />
La tecnica della composizione musiva si sviluppa così: prima si disegna<br />
la scena su un cartone, secondo le indicazioni del committente e, avutane<br />
l’approvazione, si copia la composizione sostituendo linee e colori con<br />
pezzettini di vetro colorato, marmo o calcare. Plinio il Vecchio e Vitruvio<br />
chiariscono che per la preparazione del piano di posa si stendevano tre<br />
strati diversi: lo statumen (conglomerato di ciottoli di grosse dimensioni),<br />
il rudus (strato alto 25 cm, composto di tre parti di schegge di pietra e<br />
uno di calce), poi il nucleus (strato di cemento di circa 12 cm, composto<br />
di tre parti di cocciopesto e una di calce. Le tessere, infine, levigate, si<br />
inserivano sui bordi del disegno in un sottile strato di intonaco.<br />
1) suolo; 2) statumen; 3) rudus; 4) nucleus; 5) incasso; 6) emblema; 7)<br />
mosaico<br />
È un lavoro lungo, di estrema precisione; si pensi che oggi un operaio<br />
impiega 6 giorni per comporre un metro quadrato di mosaico…<br />
Quanto ai mosaici del Tellaro, questi si trovavano in condizioni particolarmente<br />
difficili di conservazione. La residenza romana che li ospitava<br />
bruciò infatti in un incendio, probabilmente alla fine del IV secolo. Fu<br />
forse una conseguenza della calata dei barbari, come ipotizza il sovrintendente:<br />
«Il racconto sulla vita di santa Melania dice che in quel periodo<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
114 LA VILLA DEL TELLARO<br />
la nobile romana si rifugiò in Sicilia dove la sua ricca famiglia possedeva<br />
60 ville e da una di queste assistette al rogo di altre dimore, appiccato<br />
dagli invasori. La stessa sorte potrebbe essere toccata a quella sul fiume<br />
Tellaro».<br />
Sullo strato di macerie e cenere abbandonato per secoli nel 1700 venne<br />
costruita la fattoria di cui si è detto, tranciando i mosaici scampati alla<br />
distruzione e seppellendoli sotto 50 centimetri di terra e pietre.<br />
«Per recuperarne alcune porzioni abbiamo tolto con un lavoro chirurgico<br />
parte delle fondazioni evitando di far crollare quel che resta della masseria»<br />
aggiunge Voza. «E viste le condizioni in cui si trovavano abbiamo<br />
dovuto tirare via i mosaici e portarli al laboratorio per il restauro».<br />
Un’operazione delicatissima e rischiosa perché, se eseguita malamente,<br />
rischia di scompaginare le tessere, distruggendo per sempre le immagini.<br />
Un telo impregnato di un collante speciale viene posato sulla superficie<br />
del mosaico, poi si stacca dal terreno il fondo su cui sono posate le pietruzze<br />
ottenendo una sorta di tappeto che viene arrotolato intorno a un<br />
cilindro di legno per il trasporto.<br />
(Fase di velatura della superficie musiva prima dello strappo)<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
LA VILLA DEL TELLARO 115<br />
«Avevo una tal paura di danneggiare le opere che feci montare una tenda<br />
nel cortile della fattoria dove far immediatamente fissare i mosaici sulle<br />
resine», confessa Voza.<br />
Dopo il restauro, i mosaici sono stati esposti in una chiesa di Noto, e<br />
verranno ricollocati presso la loro sede originaria entro l’anno in corso.<br />
Questo, almeno, assicurano i politici locali e gli uomini della Sovrintendenza,<br />
che tanto si sono prodigati per restituire queste opere all’antico<br />
splendore. Purtroppo le fondazioni della masseria avevano rovinato la<br />
parte principale di una delle scene più importanti: un unicum nelle rappresentazioni<br />
a mosaico sinora note, il riscatto del cadavere di Ettore,<br />
ampiamente discusso da Eva Cantarella.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
116 LA VILLA DEL TELLARO<br />
Ulisse, il primo a sinistra guardando la scena, ha l’aria che ci si aspetta<br />
da lui, attento, guardingo. Ben diverso Achille, che gli sta a fianco indossando<br />
un elmo con alto cimiero, adorno di piume di pavone nitidamente<br />
tratteggiate. Quasi inevitabile pensare al cimiero indossato da Ettore, nella<br />
scena dell’addio ad Andromaca, sulle mura di Troia, e alla reazione del<br />
piccolo Astianatte, “atterrito all’aspetto del padre / spaventato dal bronzo<br />
e dal cimiero chiomato / che vedeva ondeggiare terribile, in cima<br />
all’elmo”. Interessante, questa caratterizzazione dei personaggi attraverso<br />
il copricapo: Achille, il più bellicoso degli eroi, pronto per la guerra anche<br />
in un momento nel quale, sia pur controvoglia, accetta di compiere<br />
un gesto di pietà, restituendo il cadavere di Ettore. Ulisse invece, l’astuto<br />
per eccellenza, indossa un copricapo che (nonostante la forma stranamente<br />
arrotondata) sembrerebbe un pileo, il berretto dei navigatori e dei<br />
commercianti. Ma continuiamo a scorrere le immagini, da sinistra a de-<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA VILLA DEL TELLARO 117<br />
stra: Accanto ad Achille sta un altro eroe greco, Diomede. Dall’altro lato<br />
della scena, sulla destra di chi guarda, stanno i troiani. Solo una figura è<br />
visibile, o meglio, la parte alta di una figura: ma i troiani presenti erano<br />
molti, come dimostra la scritta “Troes”. Purtroppo, è andata perduta la<br />
figura di Priamo, il vecchio re umiliato dall’arroganza del Pelide. Nel<br />
mezzo, una bilancia: su un piatto gli ori del riscatto offerti da Priamo,<br />
sull’altro il corpo di Ettore, di cui possiamo vedere solo i piedi, lunghi,<br />
lividi, stretti l’uno all’altro in un impressionante rigore di morte. Impossibile,<br />
di fronte a queste immagini, non tornare con la mente al racconto<br />
omerico. La morte di Ettore non aveva placato la furia e il dolore di<br />
Achille per l’uccisione di Patroclo. Ogni notte, il Pelide piangeva l’amico<br />
perduto, e ogni mattina, al sorgere del sole, legava il cadavere di Ettore al<br />
suo carro e “intorno alla tomba del morto Patroclo lo trascinava tre volte /<br />
poi riposava di nuovo nella sua tenda, e lasciava / Ettore a faccia in giù<br />
nella polvere” (Il., 24, 16-17). Un comportamento inaccettabile, che impediva<br />
ai familiari di Ettore di rendergli gli onori funebri, senza i quali<br />
l’anima dei defunti non poteva trovar riposo nell’Ade, e che diminuiva<br />
l’onore che Ettore aveva conquistato, morendo eroicamente in battaglia.<br />
Implacabile, Achille, per ben dodici giorni, aveva continuato a oltraggiare<br />
il cadavere, sino al momento in cui era stato costretto ad arrendersi alle<br />
richieste della madre Teti: “Sia dunque così: Chi porta il riscatto, si riporti<br />
il cadavere” (Il., 24, 139). Questo l’antefatto: ma chi guarda il mosaico<br />
avendo in mente il seguito del racconto omerico è colpito da una serie<br />
non trascurabile di varianti: nel mosaico, in primo luogo, il corpo di Ettore<br />
è adagiato su un piatto della bilancia, come se i beni del riscatto dovessero<br />
essere di uguale peso, per essere ritenuti idonei. Cosa, questa, che<br />
non solo non risulta dall’Iliade, ma non risponde alla pratica eroica, dove<br />
i beni del riscatto venivano valutati con riferimento all’“onore”, e dunque<br />
al valore sociale del morto, non certo con riferimento al suo peso corporeo.<br />
Nel mosaico, inoltre, sono presenti i troiani, mentre nell’Iliade Priamo<br />
si reca da Achille accompagnato solo da un araldo: la consegna dei<br />
beni avviene nella tenda dove “sedeva Achille caro a Zeus”, e ove Priamo<br />
“lo trovò solo” (Il., 23, 472-474). Nessuna riferimento, in Omero, a Ulisse,<br />
Achille e Diomede. Forse, suggerisce Giuseppe Voza, il mosaico si<br />
ispira al racconto dell’evento in una tragedia perduta di Eschilo, “I Frigi”.<br />
O forse il racconto è contaminato, attraverso chissà quale rito misterico,<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
118 LA VILLA DEL TELLARO<br />
dal ricordo del giudizio del defunto nell’aldilà presso gli Egizi. Quel che<br />
è più importante, a prescindere dalle varianti, è comunque la testimonianza<br />
della presenza del racconto mitico nella cultura di un territorio come<br />
quello siciliano, a distanza di almeno due millenni dal momento in cui gli<br />
aedi avevano cominciato a raccontarlo per le strade di Grecia, e di quindici<br />
secoli dal momento in cui il testo era stato messo per iscritto. La<br />
drammatica rappresentazione era incorniciata da una fascia decorativa<br />
ricca di piante e animali: tra essi una splendida tigre intenta a spiccare un<br />
balzo.<br />
I particolari del felino sono resi con un dosaggio sapiente dei colori paragonabile<br />
a un affresco più che a un mosaico. Lo studio cromatico nella<br />
posa delle pietre, le dimensioni delle tessere, che si riducono sensibilmente<br />
nelle sfumature dei volti e dei musi, per rendere ancora più precisi<br />
i dettagli, fa pensare ad artisti molto raffinati.<br />
Lo stile è riconducibile a quello dei mosaici della villa romana di Piazza<br />
Armerina e a quelli africani di Sabratha.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
LA VILLA DEL TELLARO 119<br />
(Sabratha)<br />
Tuttavia, le rappresentazioni della villa del Tellaro sono forse più armoniose<br />
e vivaci, le figure sembrano muoversi, la profondità delle immagini<br />
è maggiore. Elementi che si ritrovano nel mosaico della scena di<br />
caccia che ricopriva la più ampia delle stanze ritrovate di 6 metri e 40 per<br />
6 e 20.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
120 LA VILLA DEL TELLARO<br />
È la storia di una battuta che si svolge in vari capitoli. In alto si scorgono<br />
i cacciatori che assistono all’ingresso nelle gabbie delle fiere catturate,<br />
al centro un cavaliere sferra un colpo di lancia a un leone che ha appena<br />
ucciso una gazzella. La scena è intensissima: il felino si erge imponente<br />
con la sua folta criniera sul corpo straziato dell’antilope che sanguina.<br />
Poco più in basso si riconosce una figura femminile con lo sguardo rivolto<br />
alla tigre che assalta un altro dei cacciatori. È, si è già visto, la personificazione<br />
dell’Africa.<br />
La terza stanza aveva un mosaico figurativo più complesso: ai quattro<br />
angoli, altrettanti vasi rivolti al centro, da cui traboccano fiori e frutta e<br />
da cui partono festoni di alloro che si incontrano in centro in una formella<br />
completamente perduta, delimitando quattro zone semicircolari contenenti<br />
altre scene come la danza erotica di un satiro e una menade.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
LA VILLA DEL TELLARO 121<br />
Inattuabile risalire alla destinazione delle camere. Non c’è nulla che<br />
aiuti a capire se vi fosse un legame tra la scelta dei soggetti e l’uso delle<br />
stanze. E il fuoco ha cancellato quasi tutte le tracce della vita quotidiana.<br />
Certo è che, prescindendo da questioni specialistiche estranee alla mia<br />
comunicazione, questa nuova testimonianza in Sicilia di una dimora rurale<br />
elegante ci invita ad inserire il dato puramente archeologico in quel<br />
fenomeno socioeconomico già magistralmente studiato dal Weber sul<br />
finire del secolo scorso, del crearsi cioè della “signoria” fondiaria nel<br />
mondo tardo-romano. Come osserva il De Vita, la villa del Tellaro, come<br />
la villa del Casale, entrambe al centro di un dominio privato, sembrano<br />
indicare in effetti una tendenza dei proprietari terrieri a stabilirsi in maniera<br />
continua nei propri latifondi, quasi che il capitale, deluso dal reddito<br />
delle libere attività commerciali, trovasse il suo impiego più solido in<br />
campagna. È un fenomeno che investe tutta la compagine dell’impero<br />
romano, ben noto anche nell’Africa del IV secolo, ed i mosaici del Dominus<br />
Julius di Sabratha fanno testo al riguardo.<br />
Non v’è dubbio che questo fenomeno abbia interessato, nello stesso<br />
torno di tempo, la Sicilia portando ad un moltiplicarsi di ville residenziali<br />
nel latifondo. Questo diviene ora sede di attività artigianali, ed in qualche<br />
caso forse anche semi industriali, le quali trovano posto nei fabbricati rustici<br />
attorno alla villa del dominus.<br />
Dimora di campagna, questa del Tellaro, dal cui lusso può dedursi<br />
ch’essa fu concepita come sede più o meno permanente e nucleo principale<br />
degli interessi di una famiglia abbiente.<br />
Siamo praticamente a quella economia di oikos che è alla base<br />
dell’economia curtense del Medioevo e che in alcune aree della nostra<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
122 LA VILLA DEL TELLARO<br />
Sicilia è sopravvissuta perfino all’avvento della prima e della seconda<br />
rivoluzione industriale, fino quasi ai nostri giorni.<br />
Considerazione un po’ triste, ma confortata dallo splendore di un’arte<br />
che anche in secoli meno remoti (si pensi ai mosaici medioevali di Palazzo<br />
dei Normanni a Palermo) ha reso la vita di alcuni un poco più felice.<br />
(Mosaici Palazzo dei Normanni)<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
IL MOSAICO DEL RISCATTO DI ETTORE 123<br />
Maria Lenzo<br />
IL MOSAICO DEL RISCATTO DI ETTORE: UNA<br />
PROPOSTA DIDATTICA PLURIDISCIPLINARE* 1<br />
2 Il pannello musivo qui riportato si presta a diventare un’opportunità per<br />
approfondimenti che coinvolgono a vario titolo una serie di discipline<br />
oggetto di studio nella scuola secondaria di secondo grado, nonché occasione<br />
per consentire un approccio critico, da parte degli studenti, rispetto<br />
ai resti letterari e materiali che l’antichità ci consegna.<br />
L’approfondimento è adeguato a studenti del biennio del <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong>,<br />
il cui percorso di studi prevede, tra l’altro, la lettura di passi significativi<br />
dei poemi omerici; tale conoscenza rappresenta il prerequisito per<br />
un’esperienza didattica sul campo, della quale gli studenti possono essere<br />
protagonisti. In modo particolare, è opportuno che essi giungano<br />
all’analisi della scena rappresentata nel mosaico dopo aver completato lo<br />
studio di passi significativi dell’Iliade, tratti dai libri X, XXII e XXIV.<br />
1 * Relazione tenuta al Convegno «Le pietre che parlano» (Tunisi, 14-21 febbraio 2008),<br />
organizzato dal Centro Studi Sallustiani, che ha curato la pubblicazione degli Atti.<br />
CHRONOS<br />
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DI RAGUSA
124 IL MOSAICO DEL RISCATTO DI ETTORE<br />
Il riscatto del cadavere di Ettore - mosaico - Villa del Tellaro - Noto<br />
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DI RAGUSA
IL MOSAICO DEL RISCATTO DI ETTORE 125<br />
La parte leggibile del mosaico consente di identificare in modo immediato<br />
alcuni personaggi: da sinistra a destra Odisseo ed Achille, di cui<br />
sono visibili solo la parte superiore del volto ed il cimiero ornato di piume<br />
di pavone. Alla destra di Achille è chiaramente visibile un altro per-<br />
sonaggio, del cui nome si legge solo la lettera : facendo riferimento ai<br />
contenuti del X libro dell’Iliade, dovrebbe essere agevole per gli studenti<br />
identificare Diomede nel personaggio il cui nome inizia per .<br />
Le ragioni di tale identificazione dovrebbero scaturire dalla lettura di<br />
passi del X libro dell’Iliade, in cui la coppia Odisseo/Diomede appare<br />
protagonista di un’azione vincente a danno dei Troiani: i due eroi si offrono<br />
volontari per andare ad esplorare il campo nemico, in modo da prevenire<br />
le strategie di Ettore. Lungo il loro percorso incontrano un troiano,<br />
Dolone, e lo costringono a dare loro informazioni sulla situazione nel<br />
campo troiano: una volta ottenutele, lo uccidono. Penetrano dunque nelle<br />
linee avversarie e tagliano la gola a parecchi troiani addormentati: Diomede<br />
ne uccide dodici. Dopo avere rubato i due cavalli di Reso, sovrano<br />
tracio appena giunto a Troia, fanno ritorno all’accampamento dove, trionfanti,<br />
dopo un bagno per togliersi di dosso sangue e sudore, si fanno ungere<br />
di olio e infine si mettono a tavola. I due eroi incarnano in modo<br />
complementare una serie di valori, che nell’episodio della Dolonia appaiono<br />
convergere per la buona riuscita dell’impresa: Odisseo incarna la<br />
prudenza, l’accortezza e la razionalità messe a servizio di imprese ardue;<br />
Diomede l’energia, la bellicosità, la prontezza nell’azione. I due eroi sono<br />
amici, complici in numerose imprese ardite, e tale complicità resta tanto<br />
radicata che in altra epoca ed in altro contesto Dante li condannerà nella<br />
stessa fiamma.<br />
Chiaramente leggibile è il termine TRWES, che doveva far riferimento<br />
alla presenza nella scena rappresentata di un numero imprecisato di<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
126 IL MOSAICO DEL RISCATTO DI ETTORE<br />
Troiani, mentre si legge appena la lettera iniziale del termine successivo<br />
( ), affiancata da una lettera non interamente leggibile, ma identificabile<br />
con buona approssimazione con la : il riferimento sarebbe dunque a<br />
Priamo. Il centro della scena è occupato da una bilancia, sul cui piatto<br />
sinistro sono posti oggetti preziosi; il piatto destro della bilancia è andato<br />
perduto, ma restano chiaramente visibili gli arti inferiori di un corpo che<br />
è verosimilmente adagiato su di esso.<br />
Dall’analisi complessiva della rappresentazione gli studenti potranno<br />
cogliere il richiamo alle vicende narrate nell’Iliade. In particolar modo, la<br />
presenza di Achille e Priamo in un medesimo contesto richiamerà i contenuti<br />
del libro XXIV, in particolare la supplica di Priamo per la restituzione<br />
del cadavere di Ettore. Se ne dedurrà che il corpo adagiato può essere<br />
identificato con il cadavere di Ettore e che dunque il mosaico rappresenta<br />
il momento della pesatura del cadavere, finalizzata a determinare il<br />
prezzo del riscatto.<br />
Se da un punto di vista generale il mosaico richiama indubbiamente i<br />
temi trattati nell’Iliade, alcuni particolari sono incongruenti rispetto al<br />
racconto omerico del libro XXIV: l’incontro fra Achille e Priamo non è<br />
pubblico, ma avviene all’interno della tenda dell’eroe greco, lontano dagli<br />
occhi di altri eroi, alla presenza di due scudieri. Inoltre il cadavere è<br />
adagiato su un piatto della bilancia, come se i beni del riscatto dovessero<br />
essere di uguale peso. Cosa, questa, che non solo non risulta dall’Iliade,<br />
ma non risponde neppure alla consueta pratica eroica, secondo la quale i<br />
beni del riscatto venivano valutati con riferimento all’onore, al valore<br />
sociale del defunto, non certo con riferimento al suo peso corporeo. Ad<br />
un’osservazione più attenta, poi, sarà possibile notare come le proporzioni<br />
delle gambe del cadavere siano in realtà incompatibili con quelle di un<br />
adulto dal corpo possente: sembrano piuttosto le gambe di un bambino.<br />
Non c’è la possibilità di andare oltre queste valutazioni per la mancanza<br />
di riscontri ulteriori, ma in sede didattica non è importante arrivare a tutti<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
IL MOSAICO DEL RISCATTO DI ETTORE 127<br />
i costi ad una soluzione: è invece fondamentale che gli studenti esercitino<br />
fino in fondo le loro capacità di osservazione, di analisi e di confronto fra<br />
i dati, scontrandosi con gli ostacoli che presenta un autentico percorso di<br />
conoscenza. Sotto la guida del docente, gli allievi stessi arriveranno alla<br />
conclusione in base alla quale, se la tematica di riferimento è certamente<br />
omerica, omerico non è l’episodio rappresentato. In particolare, la presenza<br />
di TRWES può far pensare ad un Coro composto dai vinti che assistono<br />
alla drammatica vicenda del re Priamo e la commentano. Ad essere<br />
rappresentata in questo mosaico sarebbe allora non una scena omerica,<br />
ma una scena tragica ispirata alla materia omerica. Tale considerazione<br />
apre interessanti prospettive di indagine che possono confluire in un percorso<br />
di approfondimento delle tematiche tradizionalmente oggetto di<br />
studio da parte degli studenti del triennio del <strong>Liceo</strong> <strong>Classico</strong>. La scena<br />
rappresentata rimanderebbe ad una tragedia perduta, consentendo quindi<br />
al docente di approfondire i problemi legati alla tradizione dell’antico,<br />
che spesso non trovano spazio nei percorsi didattici consueti.<br />
Secondo Giuseppe Voza, il pannello potrebbe rappresentare una scena<br />
dei Frigi di Eschilo, tragedia che la tradizione antica ci consegna col<br />
doppio titolo Frigi o II riscatto di Ettore. La tragedia avrebbe fatto parte<br />
di una trilogia che comprendeva i due drammi intitolati Mirmidoni e Nereidi<br />
e che fu denominata tragica Ilias poiché consisteva nella riscrittura<br />
in chiave drammatica degli eventi raccontati da Omero. Scarsi sono i<br />
frammenti eschilei ascrivibili a questa trilogia; peraltro, in nessuno di<br />
quelli pervenutici si fa menzione di Odisseo o di Diomede. In una prospettiva<br />
di approccio al problema della ricostruzione del contenuto di<br />
opere andate perdute o di cui sono disponibili solo sparuti frammenti,<br />
può essere utile la lettura guidata di testi specialistici che ricostruiscono il<br />
contenuto della trilogia a partire dai frammenti superstiti e con ampi riferimenti<br />
alla tradizione indiretta. Ciò concorrerebbe a far accostare gli studenti<br />
alla dimensione autentica della conoscenza intesa come ricerca.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
128 IL MOSAICO DEL RISCATTO DI ETTORE<br />
Bibliografia<br />
G. Voza, Le ville romane del Tellaro e di Patti in Sicilia e il problema<br />
dei rapporti con l’Africa, in «150-Jahr-Feier Deutsches Archaelogisches<br />
Instituts», Rom (4-7 Dezember 1979), Manz 1982, pp. 202-209.<br />
G. Voza, I mosaici del Tellaro, lusso e cultura nel sud est Sicilia, Erre<br />
Produzioni.<br />
Aeschyli et Sophoclis tragoediae et fragmenta: graece et latine cum indicibus,<br />
Parisiis, Didot, 1864, pp. 181-187.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
CHI TOCCA IL MARE MUORE 129<br />
Andrea Guastella<br />
CHI TOCCA IL MARE MUORE<br />
STORIA DI UN DIPINTO DI PIERO GUCCIONE<br />
«Chi tocca il mare muore». Così mi diceva un amico pittore, uno dei<br />
membri del Gruppo di Scicli. Si riferiva alla straordinaria, totalizzante<br />
interpretazione del mare donata da Piero Guccione, e alla conseguente<br />
difficoltà a misurarsi con questa materia alla luce di tanto precedente. Un<br />
timore, il suo, giustificato a pieno dalla pletora di imitatori che, ben oltre<br />
le nostre latitudini, sono partiti dalla lezione di Piero amplificandone i<br />
tratti secondari: l’orizzonte basso, la calma, la piattezza. C’è, alla base di<br />
questi tentativi, una grande ignoranza delle correnti vorticose che, nei<br />
mari dell’artista, corrono in profondità. Soprattutto si riduce al mero dato<br />
naturalistico e sentimentale un concentrato di significati altrimenti comprensibile<br />
in un’ottica storica.<br />
«L’ossessione per il soggetto», ha confessato Lucien Freud, «è l’unico<br />
impulso necessario al pittore per mettersi al lavoro». E se c’è un’artista<br />
che ha seguito alla lettera questo imperativo, recandosi giorno per giorno<br />
a contemplare il mare sulla spiaggia di Sampieri, a meditarlo, e poi, pazientemente,<br />
nel suo studio, a ricostruirlo con gli strumenti del mestiere,<br />
è stato lui. Se nella pittura di Piero il mare è, parafrasando Flavio Caroli<br />
che parla di Tiziano, «la pelle seconda e delegata della realtà; ne è<br />
l’epidermide trasposta sulla tavola o sulla tela; è un epitelio sottratto al<br />
tempo, infinitamente più vero di ciò che è affidato alla consunzione delle<br />
cellule; un distillato di bellezza che raccoglie i miracoli del visibile […];<br />
è un effluvio […] di forme, di tinte, di luci, di tutto ciò che il mondo miracolosamente<br />
offre a noi che lo accarezziamo con lo sguardo», tutto que-<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
1<strong>30</strong> CHI TOCCA IL MARE MUORE<br />
sto accade in ragione di una lunga fedeltà, di una consuetudine mai abbandonata<br />
che inizia con un dipinto del 1967, Sulla spiaggia di Sampieri,<br />
in cui l’intera superficie è colma d’azzurro: l’azzurro dominante delle<br />
onde, accavallate l’una all’altra secondo un moto espansivo che dal fondo,<br />
dove l’agitazione del mare sembra placarsi per la pressione del cielo,<br />
le sospinge sulla riva, anch’essa azzurra.<br />
In alto, una luna opalina impone una variazione tonale che, se possibile,<br />
mette ancora più in risalto il rollio di una sagoma simile a una barca, dello<br />
stesso colore del mare ma realizzata con pennellate più incisive, collocata<br />
lungo la verticale della luna.<br />
Al lato opposto, una singolare creatura, forse un cane, si aggira sulla<br />
spiaggia, muto testimone del rimescolarsi del mare. Un mare espressionistico,<br />
più sognato che visto, sulle cui linee sinusoidali aleggia il fantasma<br />
dell’Urlo di Munch.<br />
Quanto diverse, queste linee, la cui associazione con la perpendicolare<br />
della luna crea un senso di dinamicità, suscitando una tensione appena<br />
placata dall’uniformità delle tinte, rispetto alla geometria pura, metafisica<br />
delle marine degli anni Settanta e Ottanta, con cui forse la pittura di Piero<br />
raggiunge il picco di massima astrazione.<br />
Ma si tratta di una differenza tutto sommato di facciata: anche quando<br />
l’artista prova a mantenersi oggettivo e distaccato, le inquadrature tradiscono<br />
«un’attenzione poetica per i fatti della luce che indica non la toponomastica<br />
dei luoghi, ma quella del tempo, la sua dimensione di continuità,<br />
il suo posarsi sull’azzurro dell’acqua e del cielo, lasciandolo tutto invaso<br />
e nutrito» (Goldin).<br />
Una poesia della natura paragonabile all’incanto dei luoghi scoperto dai<br />
romantici tedeschi, in particolare da quel Friedrich reinterpretato, non a<br />
caso, da Guccione in uno splendido ciclo di pastelli a metà degli anni Ottanta.<br />
Ha dichiarato l’artista: «Ebbi un colpo di fulmine per Friedrich, non so<br />
perché. Poi ho scoperto quanto Munch venisse da Friedrich. Erano per<br />
me quadri di natura che avevano tutta la fragranza e la verità che in essi<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
CHI TOCCA IL MARE MUORE 131<br />
determinava il senso dell’ora e del tempo, ma erano anche quadri profondamente<br />
soggettivati. E tuttavia senza l’intenzione di fare il bel quadro.<br />
Quello di Friedrich era un occhio freddo e incandescente insieme».<br />
Ecco, in estrema sintesi, il senso di una pittura della realtà, ma intesa –<br />
lo attesterà lo stesso Piero in uno dei suoi Fogli sparsi – «come territorio<br />
sconosciuto (certamente il più misterioso) che crediamo di frequentare<br />
ogni giorno con disinvolta leggerezza»; una pittura, al tempo stesso, ardente<br />
e gelida, di mente e di cuore, dove gli opposti si fondono come il<br />
mare e il cielo lungo la linea fumosa del tramonto.<br />
Rimane, di questo ciclo, un d’après del Viandante sul mare di nebbia,<br />
il Viandante che guarda il mare, del 1983, la cui matrice autobiografica è<br />
patente: il mare su cui il viandante fissa lo sguardo dopo aver scalato la<br />
vetta di un monte non è per nulla metaforico; è sì un mare, ma non di<br />
nebbia, una liquida distesa quale può scorgersi affacciandosi da una terrazza<br />
qualsiasi della casa di Piero a Quartarella. Un luogo cui occorre avvicinarsi<br />
da lontano, mantenendo la distanza necessaria a garantire<br />
l’universalità della visione, e a cui è bene accostarsi in solitaria, lasciando<br />
che nell’azzurro del mare si manifestino alla coscienza individuale, come<br />
ebbe a scrivere Jünger, «le due ali con cui vola lo spirito: il meraviglioso<br />
e il nulla».<br />
Dagli anni Ottanta ad oggi, la percezione del paesaggio si è evoluta: al<br />
cospetto di montagne di rifiuti in città, in campagna, persino in riva al<br />
mare, lo spazio di Fine dell’estate, esposto alla Biennale di Venezia del<br />
1998, si è colmato di plastica nera, lasciando intravedere appena un lembo<br />
di mare incorrotto oltre le dune verdeggianti di una spiaggia.<br />
Il brutto, o meglio ciò che siamo soliti considerare tale, ha logorato come<br />
un cancro la natura. Eppure, proprio come un cancro, esso stesso è<br />
natura. Intendo dire che l’ostentazione di materiali poveri non costituisce<br />
solo un pugno nello stomaco, ma principalmente il segno di una riflessione<br />
cosmica che arriva a riconoscere nelle pieghe – affatto spontanee o<br />
casuali – della plastica la stessa mano che ha scavato il letto dei fiumi,<br />
eretto i monti, riempito le pianure. Nulla di consolatorio o estetizzante: la<br />
semplice evidenza visiva dello scempio e la premonizione che, con la<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
132 CHI TOCCA IL MARE MUORE<br />
scomparsa dell’uomo, la natura, o Dio, finiranno per riprendersi la loro<br />
creazione.<br />
Altri orizzonti, altri mari seguiranno queste prove. «Potrei dipingere il<br />
mare per altri cent’anni», ha detto Piero, che non ha certo abbandonato<br />
per le discariche la contemplazione dei flutti. Anzi, negli immediati dintorni,<br />
l’azzurro è diventato lo specchio di un io sempre più lirico. Quale,<br />
perciò, la mia sorpresa quando, in una mostra tenutasi l’estate scorsa a<br />
Modica, mi sono imbattuto nello studio preparatorio di un grande dipinto<br />
intitolato L’altra faccia del Mediterraneo, dove – a riprova<br />
dell’opportunità di leggere storicamente la pittura di Guccione – torna<br />
uno schema già sperimentato in ciascuna delle tre opere su cui ci siamo<br />
soffermati: il mare mosso di Sulla spiaggia di Sampieri, la figura che lo<br />
scruta del Viandante che guarda il mare e la coltre di plastica aggrinzita<br />
che lo occlude di Fine dell’estate.<br />
Un dipinto, insomma, interno all’ispirazione dell’artista, ma che prende<br />
le mosse, nella sua migliore tradizione, dal lavoro di un altro pittore, metabolizzato<br />
e tradotto in chiave personale.<br />
Il “la”, stavolta, è dato da una marina di Gustave Courbet, Les bords de<br />
la mer à Palavas, ammirato da Guccione in una recente rassegna genovese<br />
sul Mediterraneo. Il quadro – un piccolo dipinto, tra i più intimi e sereni<br />
del maestro francese – risale alla metà dell’Ottocento, precisamente<br />
al 1854, lo stesso anno di una tela assai più famosa come Le Rencontre,<br />
meglio nota col titolo di Bonjour Monsieur Courbet, in cui l’artista, di<br />
ritorno da un’escursione con lo zaino a spalla su cui spicca una tela, usata<br />
forse per dipingere il mare en plein air, riceve, e ricambia, il saluto del<br />
suo amico e mecenate Alfred Brujas, cui Les bords de la mer à Palavas<br />
apparteneva.<br />
Pure in quest’ultimo dipinto c’è un saluto, solo che a rivolgerlo non è<br />
tanto, contraddicendo le convenzioni sociali, il mecenate al pittore, quanto<br />
un uomo al mare. Alcuni hanno supposto che quest’uomo sia lo stesso<br />
Courbet, il quale – a quanto pare – sino ad allora il mare non l’aveva mai<br />
incrociato. Altri, invece, propendono per identificare l’uomo con Brujas,<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
CHI TOCCA IL MARE MUORE 133<br />
vanitoso al punto da commissionare a pittori contemporanei oltre trenta<br />
suoi ritratti.<br />
Nel caso di Guccione, la domanda si ripete: l’uomo che saluta il mare è<br />
una personificazione dell’artista, come nel Viandante che guarda il mare,<br />
o è piuttosto l’ombra di noi che lo osserviamo? Probabilmente l’una e<br />
l’altra cosa insieme.<br />
Di sicuro, più che di un saluto si tratta di un addio: la spiaggia è, infatti,<br />
invasa da lingue di colore concentriche prossime a quelle che attraversano<br />
il cielo dell’Urlo di Munch e il mare, fatto grumoso, sembra colare<br />
come cera fusa sull’uomo che lo saluta dalla riva, soverchiandolo.<br />
All’orizzonte, una linea rosso sangue separa il mare dal cielo, mentre<br />
dell’uomo sulla spiaggia è visibile il teschio e lungo il suo torace si scorge<br />
il biancore della colonna vertebrale.<br />
Qualcosa di terribile come l’esplosione nella centrale nucleare di Fukushima<br />
o il disastro nella piattaforma petrolifera del Golfo del Messico<br />
deve essere accaduto. Ma anche in questo caso, non si chiede a chi osserva<br />
di individuare riferimenti precisi: chi tocca il mare muore, non importa<br />
se a farlo sia un inquinatore come tanti o un uomo eccezionale come<br />
l’artista che, dietro le orme di Narciso, insegue sulle acque la sua immagine<br />
riflessa e, per l’eccesso del suo amore, dall’abbraccio delle acque<br />
finisce divorato.<br />
E tuttavia, da un margine slabbrato del sudario di catrame, si affaccia<br />
un barlume purissimo di mare o di cielo.<br />
La speranza, come l’Eco del mito, si diffonde in questa macchia di colore.<br />
E dal corpo di Narciso, dal suo costato trafitto dal vento, domani,<br />
forse, nasce un fiore.<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
134 CHI TOCCA IL MARE MUORE<br />
Piero Guccione, Altra faccia del Mediterraneo - 2011- tecnica mista - cm 90,5x84,5<br />
Piero Guccione, Viandante che guarda il Piero Guccione, Fine dell’estate – 1998 -<br />
mare (da Friedrich) - 1983 - pastello 65x50 tecnica mista - 105x91.5<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO “UMBERTO I” RAGUSA<br />
SOMMARI DEI NUMERI PRECEDENTI<br />
Numero 1 - Febbraio 1993<br />
ANDREA BORRUSO: Cultura araba in Sicilia<br />
nel XII secolo<br />
MARGHERITA BERETTA SPAMPINATO: La<br />
lingua in Sicilia nel XII secolo<br />
MATTEO IANNIZZOTTO: L’immigrazione dei<br />
Lombardi nella Sicilia Normanna<br />
GIUSEPPE BELLAFIORE: L’arte in Sicilia fra il<br />
XII e il XIII secolo<br />
VINCENZO LICITRA: Urbano II e Giovanni di<br />
Gaeta<br />
Numero 2 - Dicembre 1993<br />
MARCO ROSARIO NOBILE: Cinquecento Ibleo<br />
PASQUALE TUSCANO: Motivi e forme della<br />
poesia quasimodiana<br />
Numero 3 - Maggio 1994<br />
Sofocle FILOTTETE<br />
Testo e traduzione di Vincenzo Giannone<br />
Numero 4 - Febbraio 1995<br />
Carmelo Minardi<br />
FEDRA – LUCREZIO - LA SICILIA<br />
Numero 5 Novembre 1995<br />
LUCIA GUASTELLA: Un romanzo greco dell’età<br />
dei Paleologi: Imberio e Margarona<br />
GIUSEPPE TUMINO: Aristotele e la metafora<br />
FRANCESCO EREDDIA: La didattica<br />
dell’antico: miti, figure e voci del passato<br />
GAETANO IACHELLI: Medicina dello sport e<br />
scuola<br />
G.G. Cosentini: La sopravvivenza dei “Giardini<br />
d’Adone”<br />
G.G. Cosentini: Memorie e suggestioni di un<br />
toponimo rurale<br />
Numero 6 Maggio 1996<br />
Omero ILIADE - LIBRO I<br />
Testo e traduzione di Vincenzo Giannone<br />
Numero 7 - Novembre 1996<br />
PINDARO E CAMARINA: Le Olimpiche IV e V<br />
nella traduzione di Vincenzo Giannone<br />
GIUSEPPINA BASTA DONZELLI: Ellenismo<br />
SALVATORE GERMANA’: Asianesimo e<br />
Atticismo<br />
GIUSEPPE TUMINO: Verità e persuasione tra<br />
retorica e filosofia<br />
ROBERTO OSCULATI: Pazzia e ragione nel<br />
Don Chisciotte<br />
G.G. Cosentini: La vicenda di Filemone e Bauci<br />
Numero 8 - Aprile 1997<br />
CHRISTOPHER LOWE: Le Bacchides di Plauto<br />
e il modello greco<br />
MARCO ROSARIO NOBILE: La torre Cabrera a<br />
Pozzallo<br />
MARIA MADDALENA MELFI: Contributo allo<br />
studio dell’abitato arcaico di Monte Casale-<br />
Kasmenai: il tempio ed il materiale della stipe<br />
votiva<br />
DINO BARONE: Lo scioglimento della vicenda<br />
ne “I Malavoglia” e nel “Mastro-Don Gesualdo”<br />
Numero 9 - Dicembre 1997<br />
Euripide MEDEA<br />
Testo e traduzione di Vincenzo Giannone<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
Numero 10 - Maggio 1998<br />
ARMANDO BRISSONI: L’estetica come teoria<br />
dell’arte<br />
MARIA DI PASQUALE BARBANTI: Note sulle<br />
trasformazioni filosofiche e religiose della tarda<br />
antichità<br />
MARIA TERRANOVA: Notizie inedite sulla<br />
costruzione del convento dei Padri Mercedari a<br />
Modica<br />
LARA NICOLINI: Puella captiva: la fanciulla<br />
senza nome in Apuleio, Metam., IV,23 - VII, 12<br />
GIUSEPPE ANTOCI. La fabbrica del palazzo<br />
Battaglia a <strong>Ragusa</strong> e l’intervento di Rosario<br />
Gagliardi<br />
GAETANO G. COSENTINI: Ricordo di Fritz<br />
Bornmann<br />
Salvatore Germanà: Un esempio di arte allusiva<br />
Gaetano G. Cosentini: Sulle origini del toponimo<br />
“Giarratana”<br />
Numero 11 - Dicembre 1998<br />
VINCENZO GIANNONE: M. Anneo Lucano e la<br />
congiura antineroniana del 65 d. c.<br />
ANTONIO BRANCAFORTE: Il federalismo<br />
italiano tra filosofia e politica oggi<br />
MARIO PAVONE: La Contea di Modica nella<br />
storiografia erudita del secolo XVII<br />
Numero 12 – Maggio 1999<br />
SAVERIO SCERRA: Il megaron di Athena a<br />
Camarina: contributo ad una storia degli studi<br />
MONICA CANZONIERI: Insediamenti rurali<br />
negli Iblei occidentali in età romana<br />
Numero 13 – Novembre 1999<br />
VINCENZO GIANNONE: Lucilio, Accio e il<br />
problema della «geminatio vocalium»<br />
SIRA SERENELLA MACCHIETTI: Etica, cultura<br />
e scuola oggi. Prospettive pedagogiche<br />
MARCELLO SAIJA: Biagio Pace (1889-1955)<br />
Numero 14 – Giugno 2000<br />
Contre la mort programmée des études<br />
classiques<br />
ROCCO AGNONE: La scuola che cambia: le<br />
ragioni del cambiamento<br />
BENEDETTO CLAUSI: L’identità sofferta. La<br />
letteratura cristiana antica dalla ricerca alla<br />
scuola<br />
SALVATORE BATTAGLIA: B. Spinoza tra<br />
cristianesimo ed ateismo<br />
CONCETTO GIANINO: Determinazione del<br />
quanto elementare di carica con il dispositivo di<br />
Millikan senza l’utilizzo dei raggi X.<br />
Numero 15 – Novembre 2000<br />
PAOLA BARBERA: La piazza Impero e la Casa<br />
del Fascio a <strong>Ragusa</strong><br />
Numero 16 – Ottobre 2001<br />
ANTONIO DI GRADO: “Pieni gli occhi, e vuote<br />
le mani, del ricordo di lei”: le scritture (e l’utopia)<br />
dei Siciliani<br />
GLI INTELLETTUALI SICILIANI E LA<br />
CULTURA FRANCESE: la testimonianza di<br />
Sciascia e Bufalino<br />
FRANCESCO EREDDIA: Quel “Gattopardo”<br />
che c’è in noi<br />
PAOLO MILITELLO - GUGLIELMO<br />
MARINO: Il castello di Giarratana<br />
(XIII-XVII secolo)<br />
Numero 17 – Settembre 2002<br />
Omero ODISSEA - LIBRO IX<br />
Testo e traduzione di Vincenzo Giannone<br />
Numero 18-19 – Marzo 2003<br />
RAINER WEISSENGRUBER - Una storia<br />
chiamata CLE: un sogno e una realtà<br />
VINCENZO GIANNONE - Il processo degli<br />
ermocopidi: una emblematica vicenda politica<br />
nell’Atene del sec. V a. C.<br />
GIOVANNI DISTEFANO - Tiranni e archeologia:<br />
il caso di Ippocrate a Camarina<br />
GIUSEPPE TUMINO - Platone a Siracusa. I<br />
tiranni e la filosofia<br />
LORENZO GUZZARDI - Siracusa tra VI e V sec.<br />
a. C.: la necropoli di viale Santa Panagia<br />
GAETANO G. COSENTINI - Cultura e dynamis<br />
nel tempo di Ierone tiranno di Siracusa<br />
SAVERIO SCERRA - Osservazioni preliminari<br />
per uno studio della distribuzione dei vasi<br />
protosicelioti e sicelioti.<br />
RAINER WEISSENGRUBER - Riflessioni<br />
sull’insegnamento piacevole del latino e del<br />
greco<br />
Numero 20 – Aprile 2004<br />
RAINER WEISSENGRUBER - La latinità<br />
europea e la globalizzazione: qualche<br />
riflessione appassionata<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
VINCENZO GIANNONE - L’epitaffio di Irene:<br />
una inedita iscrizione funeraria cristiana da<br />
Chiaramonte<br />
M. GRAZIA IODICE - La didattica del latino:<br />
riflessioni e proposte<br />
GIUSEPPE TUMINO - Il frammento di<br />
Anassimandro: problemi di didattica della<br />
filosofia antica<br />
GAETANO G. COSENTINI - Siculi loci<br />
nell’opera di Ovidio<br />
SALVATORE CASCONE - Esperienze di<br />
didattica delle lingue classiche con l’apporto<br />
delle tecnologie informatiche<br />
JOANNA MIRZEJEWSKA - L’insegnamento del<br />
latino in Polonia tra passato e presente<br />
Numero 21 – Dicembre 2004<br />
G. BASTA DONZELLI - Civiltà greca tra filologia<br />
e antropologia<br />
MICHAEL VON ALBRECHT - Alla soglia del<br />
Paradiso: Dante ed Ovidio<br />
VINCENZO GIANNONE - “Tu se’... il mio<br />
autore” (Inf., I, 85). Dante e Virgilio: note a<br />
margine di una esemplare consonanza<br />
FRANCESCO SPAMPINATO - La descrizione<br />
verbale della musica: fra linguaggio tecnico e<br />
linguaggio metaforico<br />
GIUSEPPE TUMINO - Eschilo: responsabilità e<br />
destino<br />
FILIPPONERI CASCONE - Orazio e Pessoa:<br />
dal Classicismo al Modernismo<br />
Numero 22 – Gennaio 2005<br />
OMAGGIO A QUINTINO CATAUDELLA<br />
Numero 23 – Settembre 2006<br />
Aristofane GLI UCCELLI<br />
Testo e traduzione di Vincenzo Giannone<br />
Numero 24 – Dicembre 2006<br />
GIANNI GUASTELLA - Seneca e la rinascita<br />
della tragedia<br />
GAETANO G. COSENTINI - Seneca e la Sicilia<br />
GIOVANNI GHISELLI - Alcuni temi della Medea<br />
e dell’Oedipus di Seneca. La navigazione<br />
esecrata - la condanna di ogni eccesso<br />
CHIARA OMBRETTA TOMMASI - Seneca sulla<br />
scena: l’incoronazione di Poppea di C.<br />
Monteverdi<br />
CLAUDIO MORESCHINI - Seneca saepe<br />
noster: verità o equivoco?<br />
STEFANIA ARCARA - Violenza e vendetta nel<br />
teatro shakespeariano di ispirazione<br />
senechiana: Tito Andronico<br />
ANITA FABIANI - L’altra Fedra: Unamuno tra<br />
Euripide, Seneca e Racine<br />
CARMINELLA SIPALA - Rappresentare Fedra<br />
in Francia<br />
LUCA CAPPONCELLI - Le maschere nel teatro<br />
giapponese<br />
NUNZIO ZAGO - Sulla Iudit di Federico Della<br />
Valle<br />
CINZIA EMMI - Il mito di Spartaco nel teatro<br />
italiano del primo ottocento<br />
ALESSANDRA SCHININÀ - Saffo, Medea, Ero.<br />
Tre rroine classiche nel teatro austriaco<br />
dell’ottocento<br />
LOREDANA PAVONE - Echi senecani nel<br />
teatro della crudeltà di Antonin Artaud<br />
VINCENZA MILAZZO - …corrumpunt corpora<br />
nostra. I balnea e la cura del corpo in Seneca e<br />
nei Padri<br />
Numero 25 – Ottobre 2007<br />
VINCENZO GIANNONE - Il fr. 58 di Saffo e il<br />
papiro di Colonia<br />
FILIPPONERI CASCONE - Tre bagnanti in<br />
convento<br />
MAURO AGOSTO - Melania Seniore e Melania<br />
Iuniore nella Historia Lausiaca di Palladio<br />
MARCO SOLINAS - La sublimazione dell’eros.<br />
La Repubblica e Freud<br />
Numero 26 – Maggio 2008<br />
SABINA MONTANA - Maschere di pietra e di<br />
teatro nel tardobarocco degli iblei<br />
MAURO AGOSTO - Felicitas epicurea a<br />
Sorrento<br />
ERMANNO MALASPINA - La clementia di<br />
Seneca tra sapientia, aequitas e humanitas:<br />
una proposta didattica<br />
FILIPPONERI CASCONE - La poesia civile tra<br />
Dante e Quasimodo: in ricordo del prof.<br />
Giacomo Oreglia<br />
GIUSEPPE TUMINO - Note a margine del<br />
convegno ragusano su Emmanuel Mounier<br />
Numero 27 – Dicembre 2008<br />
Euripide MEDEA<br />
Testo e traduzione di Vincenzo Giannone<br />
(seconda edizione)<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA
Numero 28 – Dicembre 2009<br />
VINCENZO GIANNONE - Una nuova<br />
traduzione della Medea di Euripide: una intensa<br />
esperienza ai confini della filologia<br />
ANNAPAOLA GIANNELLI - Medea tra mito e<br />
realtà<br />
NINO PORTOGHESE - Influssi della sofistica<br />
nell’opera di Euripide<br />
DARIO TOMASELLO - La lunga notte e il<br />
focolare: la Medea di Corrado Alvaro<br />
PAOLA DI MAURO - Le sei voci dell’altra<br />
Medea di Christa Wolf<br />
ALDO GERBINO - Echi dalla Colchide<br />
SAVERIO SCERRA - Dall’iconografia del mito<br />
all’iconografia del pathos. Medea e il suo<br />
“viaggio per immagini” dalla Grecia a Roma<br />
ANDREA GUASTELLA - “Ognuno uccide<br />
l’oggetto del suo amore”. Divino e umano nella<br />
Medea di Salvo Barone<br />
GAETANO ACCARDI - Lo spazio della<br />
rappresentazione nella Medea di Pasolini<br />
STEFANIA RIMINI - Tragedia di una «femme<br />
revoltée». La Medea cinematografica di Lars<br />
Von Trier (e Carl Theodor Dreyer)<br />
GIANNI BATTAGLIA - Fondamenti di regia.<br />
Medea in scena<br />
Numero 29 – Settembre 2010<br />
MARCO SOLINAS - La svista di Darwin. Sulla<br />
rivoluzione della tradizione aristotelica<br />
TANIA BELLUARDO - Miti teriomorfici e<br />
tradizione narrativa: la vicenda di Asteria tra<br />
mito e storia<br />
DARIO PEPE - Plinio il Vecchio e l’opera d’arte:<br />
riflessioni sul metodo ecfrastico nella Naturalis<br />
Historia<br />
BIAGIO INTERI - Democrazia: istruzioni per<br />
l'uso. Riflessioni sul sistema democratico e<br />
sulla qualità della democrazia<br />
GIUSEPPE TUMINO - Carmelo Ottaviano nella<br />
filosofia del Novecento<br />
ANDREA GUASTELLA - Per Giuseppe<br />
Malandrino<br />
CHRONOS<br />
QUADERNI DEL LICEO CLASSICO "UMBERTO I"<br />
DI RAGUSA