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l'intervista - Ristorazione e Catering

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focus<br />

Chi decide cosa mangiare in mensa<br />

Ridefinire le regole per la ristorazione collettiva<br />

di Valentino Serra<br />

20 _ cateringnews.it • novembre/dicembre 2011<br />

In Italia, secondo i dati di Gira Foodservice, società indipendente francese<br />

che analizza il settore, vengono erogati dalla ristorazione collettiva (che in<br />

inglese chiamano catering) 1.650 milioni di pasti, per un volume d’affari di<br />

circa 6,56 miliardi di euro. Nel comparto operano circa 1.200 operatori con<br />

70mila lavoratori impiegati. Secondo una ricerca del Centro Studi FIPe nel<br />

2010 la tendenza, arrivata a coprire il 70% del mercato totale con una punta<br />

del 93,3% nella ristorazione scolastica, è stata quella di gare aggiudicate<br />

con il principio del ribasso d’asta. ogni giorno in Italia ci sono 2,4 milioni<br />

di ragazzi che mangiamo alla mensa scolastica. Il biologico nelle mense<br />

scolastiche copre più di un milione di pasti al giorno.<br />

Questo è, in estrema sintesi, il quadro in cui si dovrebbero garantire cibi di<br />

qualità per un settore che vede coinvolti, in massima parte, scuola e sanità.<br />

Ma cosa si intende per qualità è il primo dei concetti su cui invece si infrange<br />

il settore, dove nei capitolati spesso vince chi offre cibi ricercati a minor<br />

prezzo; un aspetto che fa emergere una grande contraddizione. Infatti, non<br />

è un caso che in Italia ci sia questa estrema parcellizzazione del settore<br />

dove le piccole aziende spesso, detto con estrema franchezza, non riescono<br />

a garantire a lungo gli standard richiesti, con conseguenze nefaste per tutto<br />

il sistema. Dall’altro ci sta una diffusa superficialità, che a volte sconfina<br />

nella comicità, nella definizione dei capitolati delle gare dove i fornitori si<br />

trovano a dover fronteggiare richieste impraticabili o che generano costi<br />

insostenibili.<br />

“Sarebbe necessario tornare al buon senso di un tempo, quando tra i diversi<br />

soggetti esisteva un confronto, prima di costruire le gare ci si incontrava<br />

e si metteva al centro i bisogni dell’individuo e le disponibilità dell’ente,<br />

cercando la soluzione ottimale. – ricorda da Romano d’Ezzelino (VI) Franco<br />

Marchi, dell’omonima azienda di distribuzione specializzata in servizi<br />

per la ristorazione collettiva – Adesso tutto è affidato alla burocrazia che<br />

aumenta le distanze all’interno della filiera.”<br />

Come si fanno gli appalti<br />

Su quali criteri di semplice buon senso dovrebbero essere costruiti gli appalti<br />

per la ristorazione collettiva? A questa domanda risponde Ilario Perotto,<br />

presidente di Angem, l’Associazione Nazionale delle Aziende di<br />

<strong>Ristorazione</strong> Collettiva aderente a Fipe-ConfCommercio: “Sono quattro<br />

le regole che si dovrebbero applicare: il valore e l’importanza dell’alimentazione,<br />

la valorizzazione delle competenze delle aziende, un prezzo<br />

che deve essere congruo e la messa al bando del ribasso d’asta. Il primo<br />

punto è la base partenza di ogni gara. Se perdiamo di vista la circostanza<br />

che il cibo è un insieme di tante cose (salute, gusto, conoscenza, cultura,<br />

educazione) è difficile scegliere bene. Se ci fosse questa consapevolezza<br />

del valore del cibo verrebbero destinate maggiori risorse alla ristorazione,<br />

permettendo un giusto prezzo ed evitando fenomeni diffusi dove la gara<br />

al ribasso avvantaggia le imprese più spregiudicate, quelle che non hanno<br />

remore a disapplicare il contratto di lavoro o ad approvvigionarsi di materie<br />

prime scadenti. Oggi assistiamo a gare aggiudicate al massimo ribasso che<br />

arrivano a prezzi da sottocosto.”<br />

Nuovi scenari, dalla filiera corta al biologico<br />

Come va interpretato dunque il concetto di qualità all’interno di questo<br />

schema? Lo si può riscontrare nelle richieste che, sempre più spesso, si affacciano<br />

nei capitolati che a volte non tengono conto di oggettivi problemi<br />

di reperimento dei prodotti (soprattutto quando si parla di filiera corta, km<br />

zero o bio)? Da parte dell’industria di trasformazione si guarda a queste<br />

nuove tendenze, come il km zero, con attenzione all’innovazione di prodotto,<br />

come testimonia Daniele Lambertini, direttore vendite<br />

di Orogel:<br />

“Mi piace ribadire quanto il prodotto vegetale surgelato rappresenti una<br />

sorta di kilometro zero in quanto le verdure surgelate non solo vengono<br />

coltivate nelle aree più vocate d’Italia, rispettando la tipicità locale, ma<br />

vengono da Orogel raccolte nei terreni situati in prossimità dello stabilimento<br />

di trasformazione. In tal modo gli alimenti surgelati mantengono caratteristiche<br />

organolettiche e nutrizionali quasi sempre superiori al prodotto<br />

fresco perché la surgelazione immediata blocca il prodotto sino all’utilizzazione<br />

in cucina mentre il prodotto fresco continua a decadere dal momento<br />

della raccolta. Ma, in generale, è importante che attorno alla formazione<br />

del piatto si confrontino tutti i soggetti della filiera, dal produttore al distri-<br />

Giuliano Gallini<br />

direttore commerciale e marketing<br />

Cir food<br />

cateringnews.it • novembre/dicembre 2011 _ 21

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