l'intervista - Ristorazione e Catering
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perbacco!<br />
di Giuseppe Vaccarini<br />
presidente<br />
dell’Associazione<br />
della Sommellerie<br />
Professionale Italiana<br />
Vini di “garage”<br />
era l’inizio degli anni ’90 quando in Francia nacque un movimento di vignaioli<br />
illuminati (anzi a volte si trattava di persone che neppure non provenivano<br />
dal mondo del vino) che cominciarono a produrre vini seguendo un stile tutto<br />
loro e non quello che il mercato pretendeva dai vini rossi del Bordeaux.<br />
Nacquero vini in piccole quantità, produzioni anche di 1500 bottiglie, tanto<br />
piccole da potere essere conservate in un garage. Per ciò questi micro produttori<br />
vennero chiamati “garagiste”.<br />
I vini nascevano corposi, da uve vendemmiate a maturità perfetta, molto spesso<br />
lasciate fermentare non in vasche di acciaio, ma in barrique nuove, vini<br />
quindi scuri con un forte sentore di legno tostato e aromi complessi.<br />
I prezzi dal niente schizzarono alle stelle, spiazzando le quotazioni da capogiro<br />
di più nobili e antichi Château; per dire, nel ’96 ad un’asta di Sotheby’s un<br />
lotto di sei bottiglie del ‘92, ‘93 and ‘94 di un vin de garage come il Chateau<br />
Valandraud vennero vendute rispettivamente per $5,285, $6,138 e $6,138, più<br />
che le casse da 12 di Latour ‘82, Lafite-rothschild ‘86 e Mouton ‘89.<br />
Complice, certamente, la critica smaccatamente favorevole che questi vini ottenevano<br />
sulla più autorevole stampa americana, tanto che sebbene fossero<br />
usciti da una “rivoluzione enologica”, lentamente vennero accusati di essere<br />
creati proprio per piacere al mercato americano, anzi ad uno dei suoi più autorevoli<br />
critici. In ogni modo si trattava di produttori che compivano una piccola<br />
rivoluzione, che producevano vini senza considerazione delle caratteristiche<br />
tipiche delle produzioni di un certo terroir, produttori che anzi avevano voluto<br />
sfidare il terroir, un Bordeaux dove si facevano vini caratteristici per il basso<br />
contenuto di alcol, l’elevata acidità e un considerevole contenuto di tannini,<br />
predittori di un lungo periodo di maturazione e quindi di una maturità tardiva.<br />
Attualmente il mercato per i vin de garage ha perso lo smalto e l’entusiasmo<br />
dei primi tempi, sebbene in generale ci si aggiri attorno a una media di prezzo<br />
a bottiglia di circa 250 euro e diversi produttori si stiano orientando verso vini<br />
meno addolciti dal legno.<br />
eppure un’esperienza di questo tipo è e rimane pionieristica per la sua capacità<br />
di proporre una diversa concezione del vino, più vicina al mercato e ai<br />
consumatori e meno ai diktat del territorio e delle denominazioni; per dire<br />
uno di questi produttori garagiste, il già citato Château Valandraud, ha visto<br />
declassificare i suoi vini come vini da tavola per avere utilizzato delle coperture<br />
in plastica tra i filari di vite a protezione delle piogge di fine agosto inizio<br />
settembre.<br />
Ma non da meno, anzi, è stata l’esperienza del nostro italiano Sassicaia, rimasto<br />
per un ventennio al di fuori di qualsiasi denominazione (oggi DoC<br />
Bolgheri Sassicaia), sebbene fosse schizzato quasi subito alla ribalta delle critica<br />
e del gusto nazionale e internazionale. e il Sassicaia si può considerare<br />
un precursore, senza se e senza ma, consideratane la nascita alla fine degli<br />
anni ’60. Però una differenza: i garagiste francesi hanno fatto movimento e<br />
contagiato un mercato internazionale, che al di là dell’oceano dà vita oggi a<br />
manifestazioni dedicate come il festival dei garagiste in California e inaugurato<br />
un nuovo modo di proporre il vino che parla con i consumatori e non ai<br />
consumatori, in Italia al contrario l’esperienza rivoluzionaria dei Supertuscan<br />
sembra avere subito uno stop, forse per colpa anche di chi pensa che ci sia un<br />
solo modo di produrre il vino insieme ad un’infinità di regole.<br />
cateringnews.it • novembre/dicembre 2011 _ 67