DH 31 PRATICA 1-51.qxp - Fondazione Maitreya
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<strong>DH</strong> <strong>31</strong> <strong>PRATICA</strong> 1-<strong>51.qxp</strong> 29/04/2009 10.19 Pagina 40<br />
40<br />
IL CACCIAVITE GIUSTO:<br />
strumenti per<br />
smontare la sofferenza<br />
Quando siamo giù di energia<br />
qualunque cosa ci<br />
destabilizza: la tendenza<br />
latente a perdere equilibrio<br />
c’è, va riconosciuta, fa<br />
parte della struttura<br />
mentale umana. Quello che<br />
sta a noi fare o non fare è<br />
alimentarla con l’avversione<br />
[No, questo no! Ma perché<br />
proprio a me?] o con<br />
l’attaccamento [Sto bene!<br />
Vorrei che non finisse mai ].<br />
che, cioè di dolore fisico, però «la seconda freccia» è applicabile anche a<br />
un dolore mentale.<br />
Ecco che subito ci si presenta una cosa importantissima: il nostro<br />
modo di percepire e vivere un avvenimento può essere una fonte di<br />
sofferenza, anche molto grave. A parità di avvenimento, più persone<br />
possono viverlo in modo diverso.<br />
Ricordo un episodio, di qualche anno fa che lo esemplifica bene: in<br />
un cerchio di condivisione, durante un ritiro, c’erano più sedie di quanti<br />
non fossero i partecipanti (forse mancava una persona); quindi fra chi<br />
facilitava e la prima persona alla sua destra c’era uno spazio vuoto.<br />
Dopo la campana, passato qualche minuto, uno di noi ha detto, indicando<br />
la sedia vuota: «Bene, abbiamo anche la sedia per Thây. Thây è<br />
presente nel cerchio di condivisione.». La persona che sedeva a fianco<br />
della sedia vuota, in seguito ha condiviso una cosa preziosissima:<br />
«Questa sedia vuota mi aveva fatto provare<br />
un senso di isolamento, di separazione, di lontananza<br />
come se ci fosse sempre un ostacolo fra me e gli altri.»<br />
(Di fatto lei aveva comunque un’altra persona a fianco,<br />
dall’altro lato, però il suo sguardo «ferito» era rivolto al<br />
lato della sedia vuota...). «Poi nel momento in cui qualcuno<br />
ha detto «Questa è la sedia per Thây» all’improvviso<br />
mi sono sentita seduta a fianco del Maestro: confortata,<br />
rassicurata, resa più degna.» E la sedia era sempre<br />
vuota!<br />
È stato veramente un insegnamento. A parità di esperienza,<br />
dunque, diversa reazione genera un diverso<br />
vissuto.<br />
Generare la doppia freccia: l’avversione<br />
La cosa interessante è come si genera questa seconda freccia. Posto<br />
che si provi una sensazione spiacevole – un dolore fisico; un lutto, qualcosa<br />
di importante –, la prima cosa che sviluppiamo per cultura indotta,<br />
per struttura mentale o per tantissime altre cause, è l’avversione alla<br />
sofferenza, l’avversione al dolore: «non lo voglio!». Qui entro in un campo<br />
estremamente personale: la maggior parte di voi sa che ho una malattia<br />
cronica dolorosa (questo è il motivo per cui a volte mi vedete seduta,<br />
mentre altri stanno in piedi). Dieci anni fa mi sono trovata a fare «amicizia»<br />
con il dolore fisico che è abbastanza costante, a volte raggiunge dei