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GLI ULTIMI<br />
SARANNO I PRIMI<br />
L’EDEN RITROVATO DEGLI ALPINI<br />
L’Italia che vide mio padre<br />
66 | 8 agosto 2012 | |<br />
di Marina Corradi<br />
Ogni volta che per l’autostrada del Brennero risalgo verso Bolzano, mi viene in<br />
mente. Prima, a Verona, c’è la grande pianura. Poi la valle si stringe, e a un certo<br />
punto l’orizzonte a destra e a sinistra è circoscritto da dei massicci di roccia,<br />
che si aprono in mezzo come a lasciare un gigantesco alveo. Di qui è passata un tempo<br />
la lingua di un ghiacciaio, lenta, pachidermica, candida? In mezzo scorre l’Adige;<br />
di un colore verde intenso che non finisce, ogni volta, di meravigliarmi. Ma verdissimi<br />
sono anche i campi e i meli in schiere ordinate, e le vigne, in rigorosi f<strong>il</strong>ari. I binari<br />
della ferrovia corrono paralleli all’autostrada. Spesso vedo passare alla mia destra<br />
un treno merci, carico di container, che scende verso la pianura, adagio.<br />
Ecco, mi piacerebbe questa strada farla in senso contrario, e varcare <strong>il</strong> Brennero<br />
con un treno così, vecchio, cigolante su mozzi rugginosi. Su un treno come questo<br />
tornava dal Don mio padre, alpino, sopravvissuto alla Ritirata, <strong>il</strong> 19 marzo 1943. Dopo<br />
<strong>il</strong> gelo, e <strong>il</strong> fuoco dei russi, e i compagni che si lasciavano andare a dormire per<br />
sempre nella pianura bianca, mio padre scrisse<br />
come ultima parola del suo diario di quei giorni,<br />
passando su una tradotta m<strong>il</strong>itare <strong>il</strong> Brennero:<br />
«L’Italia ci apparve come uno straordinario<br />
meraviglioso giardino».<br />
E così ogni estate verso Rovereto io comincio<br />
a guardarmi attorno; a immaginarmi come<br />
siano i campi qui, a marzo, gli alberi già<br />
coperti di un velo di verde molto chiaro. E allora capisco, confrontando tra me le<br />
immagini delle colonne di alpini nella steppa con questa terra dolce: l’Italia a chi<br />
tornava, incredulo d’esser vivo, davvero si mostrava a quel varcare <strong>il</strong> Brennero come<br />
un Eden, un grembo materno e misericordioso.<br />
Cosa deve essere stato quel viaggio. C’era <strong>il</strong> sole, mi immagino, quel mattino, e<br />
<strong>il</strong> cielo chiaro di marzo, azzurro come <strong>il</strong> pastello nel disegno di un bambino. E tutto,<br />
dopo <strong>il</strong> grande inverno e <strong>il</strong> trionfo della morte, doveva sembrare ai reduci promessa:<br />
l’arcobaleno dopo <strong>il</strong> d<strong>il</strong>uvio, come lo videro gli uomini dall’Arca.<br />
Sotto a quel cielo si faceva concreta la speranza di riabbracciare la madre; frusciava<br />
in una tasca, forse, l’ultima lettera della fidanzata («Quando tornerai ci sposeremo<br />
e avremo una casa, piccola, ma con un balcone e i gerani, e dei bambini, e<br />
un gatto»). Parole assurde, nel candore della steppa che assopiva per sempre, come<br />
un incantesimo cattivo. Ma qui, sull’Adige, sui campi disseminati di campan<strong>il</strong>i, la<br />
vita rinasceva; limpida come è l’aria soltanto dopo un gran temporale.<br />
Dieci anni di vita darei, per fare quel viaggio del giorno di<br />
san Giuseppe con te. Me ne starei invisib<strong>il</strong>e in mezzo ai tuoi<br />
compagni. Me ne starei zitta, ombra di creatura non ancora nata.<br />
Vedere nei vostri occhi l’accendersi meravigliato, incredulo<br />
di una speranza. Possib<strong>il</strong>e? La tempesta, forse, passata.<br />
Vorrei vedere la speranza allo stato nascente, come l’acqua<br />
che scaturisce dalla roccia, vergine, cristallina. E in quel getto<br />
la valle, i meli, le vigne, dolci e feconde, Eden ritrovato. Come<br />
vorrei vedere da quel treno l’Italia che tu hai visto. Quello straordinario,<br />
meraviglioso giardino.<br />
Cosa deve essere stato quel viaggio.<br />
C’era <strong>il</strong> sole, immagino, quel mattino di<br />
marzo. E tutto, dopo <strong>il</strong> grande inverno<br />
e <strong>il</strong> trionfo della morte, sembrava<br />
ai reduci della Russia una promessa<br />
DIARIO