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Il laboratorio matematico-scientifico: suggerimenti ed esperienze

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<strong>Il</strong> <strong>laboratorio</strong> in ambito <strong>matematico</strong>-<strong>scientifico</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>laboratorio</strong> di matematica: storia e osservazioni<br />

Mariolina Bartolini Bussi, Scienze della Formazione, Università di Modena-Reggio Emilia<br />

L’idea di <strong>laboratorio</strong> in matematica si associa, di solito, all’idea di <strong>laboratorio</strong> di informatica.<br />

L’ingresso delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) nella scuola ha introdotto<br />

particolari artefatti (i computer) creando attese, illusioni, delusioni, discussioni. Si va dal rifiuto ideologico<br />

all’adesione acritica. Ogni volta che in un congresso di insegnanti si propone un <strong>laboratorio</strong> su<br />

qualche (famoso) software didattico, si è certi di riempire l’aula, a scapito di sessioni parallele in cui<br />

sono in discussione argomenti più “tradizionali”. Naturalmente, la storia insegna che non ci sono<br />

artefatti decisivi, in grado di cambiare il modo, i processi e gli effetti del fare scuola.<br />

Un sicuro vantaggio del <strong>laboratorio</strong> di informatica è quello di favorire la modifica degli schemi di<br />

interazione. Spesso gli allievi sono disposti a lavorare a coppie; l’insegnante passeggia tra i banchi e<br />

deve tenere conto dei tempi individuali; è anche messo in crisi il tradizionale rapporto asimmetrico tra<br />

l’insegnante che conosce tutte le risposte e gli allievi che ne conoscono poche o nessuna.<br />

Tuttavia, questi cambiamenti non sono, da soli, sufficienti a creare occasioni di apprendimento.<br />

<strong>Il</strong> <strong>laboratorio</strong> di matematica è stato oggetto di una approfondita riflessione da parte della commissione<br />

dell’Unione Matematica Italiana che ha preparato i nuovi curricoli di matematica (noti come la<br />

Matematica per il Cittadino <strong>ed</strong> articolati nei volumi Matematica2001, Matematica2003 e Matematica2004,<br />

scaricabili gratuitamente dal sito http://umi.dm.unibo.it/). In questa riflessione sono stati valorizzati<br />

i molti contributi prodotti dai Nuclei Ricerca Didattica riguardanti tutte quelle situazioni in<br />

cui la tradizionale lezione di matematica è modificata dall’introduzione di particolari artefatti o di<br />

particolari attività di modellizzazione. Le ricerche sull’innovazione in didattica della matematica, sviluppate<br />

a partire dall’inizio degli anni ’70, si collegavano, infatti<br />

– alla tradizione, di origine p<strong>ed</strong>agogica e didattica, dei metodi attivi, in cui l’uso di una manipolazione<br />

intelligente si accompagnava alla costruzione di significati anche molto astratti;<br />

– alla tradizione, interna alla matematica, dell’uso di artefatti come strumenti teorici collegati alla<br />

possibilità di risolvere, in modo rigoroso, problemi classici.<br />

I metodi attivi hanno una lunga tradizione nella p<strong>ed</strong>agogia. Per citare solo alcuni nomi, ricordiamo:<br />

– Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), che, influenzato dall’Émile di J.J. Rousseau e con un<br />

atteggiamento decisamente innovativo per l’epoca, sottolineò l’importanza delle attività di gruppo<br />

(contrapposte alla memorizzazione individuale) e delle attività come il disegno, la scrittura, il canto, le<br />

costruzioni, le rapprsentazioni in pianta, ecc.,<br />

– John Dewey (1859-1952), che sottolineò gli aspetti sociali dell’<strong>ed</strong>ucazione; partendo dalla classe<br />

tradizionale “con le sue brutte file di banchi posti in ordine geometrico, ammassati in modo da<br />

lasciare meno spazio possibile per muoversi, banchi tutti della stessa misura, con solo lo spazio per<br />

mettere i libri, le matite e la carta; un tavolo, alcune s<strong>ed</strong>ie, le pareti nude e forse solo qualche immagine”<br />

prese le distanze dalla “unica attività <strong>ed</strong>ucativa che può avvenire in tale spazio”, osservando che è<br />

“uno spazio fatto per ascoltare – dato che semplicemente studiare da un libro è un altro modo di<br />

ascoltare; segna la dipendenza di una mente dall’altra … significa passività”.<br />

– Maria Montessori (1870-1952), che sviluppò il metodo che porta il suo nome, nel quale i bambini<br />

imparando in modo indipendente, dal loro ambiente e da ciò che manipolano direttamente.<br />

Gli strumenti hanno avuto spazio all’interno della matematica fino dall’antichità: la geometria di<br />

Euclide è la geometria della riga e del compasso; altri tracciatori di curve sono studiati fino dall’antichità<br />

come strumenti di soluzione di problemi e sono ripresi nel ‘600 come elementi essenziali dei nuovi<br />

metodi (si pensi all’appendice sulla Geometria del Discorso sul Metodo di Descartes). Modelli statici e<br />

dinamici riempiono le vetrine degli Istituti di Matematica, fino a che il programma Bourbakista sposta<br />

l’attenzione dei matematici sulle strutture fondamentali della matematica. Una testimonianza interessante<br />

del ruolo che questi modelli hanno avuto nello sviluppo delle ricerche è citata da Camp<strong>ed</strong>elli 1 ,<br />

——————<br />

1 Camp<strong>ed</strong>elli L. (1958), I modelli geometrici, in AAVV. <strong>Il</strong> materiale per l’insegnamento della matematica, Firenze,<br />

La Nuova italia, p. 168 (prima <strong>ed</strong>iz. italiana 1965).<br />

Numero 8, ottobre 2007 7

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