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capitale in smoking<br />
E’ l’ora di Assayas<br />
“Vado alla ricerca della verginità perduta delle immagini”: Olivier poetico<br />
“OGGI VIVIAMO IN UN MONDO SEPPELLITO DALLE IMMAGINI,<br />
che ormai ne raccontano solo delle altre. Viceversa, io vado alla<br />
ricerca della verginità perduta della settima arte, quando non<br />
c’erano modelli cinematografici a cui rifarsi, e la potenza di ogni<br />
immagine era davvero reale”. Poetica dichiarazione del registaculto<br />
francese Olivier Assayas, numi tutelari Bresson e<br />
Bergman e una fiction sul terrorista Carlos in cantiere, che ha<br />
ripercorso a Roma la sua carriera, tra L’eau froide e Irma Vep,<br />
fino all’ultimo capitolo: L’heure d’eté. Dopo il trittico<br />
“globalizzato” di Demonlover, Clean e Boarding Gate, Assayas<br />
torna francese per regalarci uno dei suoi film migliori, nutrito<br />
della lezione bergmaniana, e di una freschezza formale - non<br />
per lui - sorprendente. L’heure d’eté è quella di Adrienne<br />
(Juliette Binoche), designer di successo a New York, Frédéric<br />
(Charles Berling), economista e professore a Parigi, e Jérémie<br />
(Jérémie Renier), uomo d’affari in Cina, riuniti dalla morte della<br />
madre: dovranno decidere che fare della casa di famiglia, e<br />
rivista del cinematografo<br />
38 fondazione ente dello spettacolo novembre 2008<br />
della collezione d’arte dello zio... Ben interpretato, sorretto da<br />
una sceneggiatura impeccabile, che non concede nulla al<br />
pathos e molto all’emozione secca, L’heure d’eté si fa dramma<br />
da camera, anzi da casa, per ricreare, tra le quattro mura<br />
domestiche, le tensioni e contraddizioni della società francese<br />
ed europea contemporanea: peso della tradizione, rischio della<br />
museificazione, senso della memoria, vecchie e nuove<br />
generazioni, tutto viene accostato e indagato in potente<br />
equilibrio tra volontà di realismo e tensione stilistica, mai<br />
calligrafica. Se per la poetica il riferimento è franco-scandinavo,<br />
la forma visiva odora di Wong e Tsai, con esiti felicissimi: i tanti<br />
registi italiani formato famiglia (ci) farebbero bene a vederselo...<br />
PS: Non credete Assayas, ex critico dei Cahiers, cinefilo con i<br />
paraocchi: “Per molti è serie B, ma io non sono d’accordo:<br />
l’horror ha una fisicità fortissima ed emozioni molto corporee,<br />
che appartengono al cinema fin dagli esordi”.<br />
FEDERICO PONTIGGIA