vero, falso, doc (Grazia Paganelli). C’è già da parte di Kraulitis, e più tardi in Freimanis (Kuldiga’s Frescos, 1966 e The Catch, 1969), Braun (235.000.000, 1967) e Verba (Thoughts of One-hundred Years Old, 1969), la coscienza delle potenzialità del mezzo, la fiducia che lavorando sulla forma la realtà “si apra” consegnandosi all’immagine. Nei suoi momenti più alti la scuola poetica di Riga ha realizzato la perfetta convergenza di teoria e prassi. Cinema concreto, preciso nel racconto e ricco di annotazioni dettagliate. E forma allusiva, capace di cogliere dentro e Uno degli anziani di Sasha del lituano Roman Lileikis rivista del cinematografo 50 fondazione ente dello spettacolo novembre 2008 oltre il quadro barlumi di verità. Una tradizione che arriva fino agli ultimi epigoni di questa stagione, Diana e Kornelijus Matuzevicius, dove ancora una volta il presente è la chiave di volta per la memoria. Illusion (1993) e Behind the Threshole (1995) portano allo scoperto quel che era implicito nei documentari dei predecessori, la centralità della Storia, la ferita di un popolo che ha subito l’occupazione, la violenza e la deportazione. E il tema dell’eterno ritorno si riaffaccia come un fantasma nella produzione della vicina Lituania, nella “trilogia delle stagioni” di Valdas Navasaitis e in quel capolavoro di osservazione che è In Memory of a Day Gone Bay di Sarunas Bartas, cronaca di una giornata che sembra non finire mai, colta attraverso gesti e volti di un tempo dimenticato, reiterato, sospeso. Quello stesso che ritorna ossessivo nel documentario estone di Herz Frank e Artunas Matelis, di Soot e Soosaar, cantori del quotidiano e dell’insolito, autori ancora una volta a cavallo tra passato e futuro, realismo e finzione. GIANLUCA ARNONE DUE DOMANDE A: Jaak Kilmi e Andres Maimik: DOC a passo doppio Come spiegate l’attuale successo dei documentari? Jaak Kilmi - Il numero dei documentari prodotti è notevolmente aumentato rispetto al passato. Per i canali televisivi il documentario è diventato una vera e propria miniera d’oro. D’altronde stiamo assistendo ad una democratizzazione del cinema - le videocamere non sono più oggetto di critica e i festival non interessano piú soltanto le copie 35mm. Forse sono questi motivi che sommati creano l’illusione della popolarità… Andres Maimik - Penso che la vita possa essere più entusiasmante di qualsiasi finzione. La maggior parte delle storie sono già state raccontate, ne vediamo solo la copia carbone e le copie delle copie. La cultura di massa ha sicuramente contribuito alla situazione - la marcia vittoriosa del reality, il bisogno di curiosare nella vita privata delle altre persone, la convinzione che tutto ciò che è “documentario” sia anche “reale”. TRISTAN PRIIMÄGI Herz Frank: al documentario come alla vita Che cosa definisce il cinema documentario? Per la letteratura, per il teatro, ma anche per il cinema di finzione sono sempre importanti gli intrecci narrativi che mostrano una relazione fra gli uomini: perché sono invidiosi l’uno dell’altro, perché si amano a vicenda. Il cinema documentario in genere non si occupa affatto di questo, è fatto di film informativi: questa è la guerra, questa la rivoluzione, qui hanno costruito questo, ecc... Il cinema documentario a cui ho sempre pensato si avvicina alla letteratura, si occupa delle relazioni fra gli uomini. Questo è il soggetto più importante di tutti i miei film: la vita interiore dell’uomo, le ragioni del suo comportamento. Perché una persona ama, perché uccide. Tutto questo non deve essere prerogativa solo del cinema di finzione. CARLOS MUGUIRO
POWERED BY