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CAVIE E CHIMERE<br />
Arca<strong>di</strong>o Filimenghi era un povero,vecchio pensionato <strong>di</strong> Costa Martinello, frazione <strong>di</strong> Lido<br />
Libero, nella grigia e silenziosa <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> campi coltivati che era la pianura padana.<br />
Era nato nel 1929 e,come <strong>di</strong>ceva la sua nipotina più piccola, Anna, “La Borsa <strong>di</strong> Wall<br />
Street è crollata quando sei venuto al mondo”. Un parto epocale.<br />
E, figlio del suo tempo, il buon Arca<strong>di</strong>o amava più Caruso che quel giovinastro tinto <strong>di</strong><br />
capelli che era Big Luciano, aveva militato allʼArmaguerra ed aveva fatto i chilometri con le<br />
sue scarpette <strong>di</strong> cuoio prima e,quando aveva fatto un poʼ <strong>di</strong> sol<strong>di</strong>, persino con una<br />
sgangherata bicicletta poi, ancora in vita nel terzo millennio. Altro che la Poderosa <strong>di</strong> quel<br />
barbone... Castro? No,lʼaltro... quello col sigaro e il basco... “Nonno, il Che!” strillava<br />
Amelia, <strong>di</strong> simpatie progressiste. La vecchiaia cominciava a dare i suoi problemi e lui non<br />
negava <strong>di</strong> star perdendo colpi; o meglio, ne era perfettamente consapevole, ma mai e poi<br />
mai si sarebbe sognato <strong>di</strong> farne mostra ai suoi figli. Era questione <strong>di</strong> orgoglio patriarcale.<br />
Però aveva una <strong>di</strong>screta memoria, si ricordava quel poco <strong>di</strong> guerra che aveva visto con gli<br />
occhi <strong>di</strong> ragazzino e si rallegrava <strong>di</strong> essere ancora una risorsa utile per le nipoti. Persino<br />
con i nomi stranieri se la cavava meglio dei coetanei: Uistòn Ciorcill, Brè Pitt, Clin Istfood,<br />
Miao Zedong... beh, ne sapeva!<br />
Era un anziano che si <strong>di</strong>vertiva a tentare <strong>di</strong> capire quel mondo che andava in crisi e poi<br />
fingeva <strong>di</strong> tornarne il giorno dopo, viveva <strong>di</strong> debiti e falsità, alimentava idoli blasfemi, si<br />
professava così volgare ed inquietante; sʼimpegnava a seguire la politica e la cultura, ma<br />
da ogni tentativo ne usciva più stor<strong>di</strong>to che mai. Un sorriso ed una barretta <strong>di</strong> cioccolato<br />
col pane secco erano la risposta a tutto per evitare la depressione. Ad una certa età tanto<br />
valeva accontentarsi <strong>di</strong> essere un pezzo da rottamare. Ma la rottamazione era comunque<br />
la sua paura più grande e, per evitarla, grazie al cielo le nipotine lo tenevano sempre attivo<br />
in un modo o nellʼaltro.<br />
Costa Martinello era un minuscolo universo che <strong>di</strong>stava da Lido Libero proprio quel<br />
chilometro fattibile in bicicletta. Ma per trovare qualcosa <strong>di</strong> più simile alla civiltà citta<strong>di</strong>na<br />
bisognava andare fino a Cremona e già la strada si faceva troppo lunga per farla tutti i<br />
giorni con le due ruote, soprattutto dʼinverno. Solo Alessia, la più grande, aveva la<br />
macchina, ma lavorava e non poteva portare in giro le sorelle; la madre non aveva la<br />
patente e il padre, suo figlio Attilio,viveva altrove. Pertanto, Anna e Amelia, rispettivamente<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>ciassette e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ciannove anni, poiché stare con gli amici risultava comunque <strong>di</strong>fficile<br />
da farsi tutti i giorni dato che il paese era sostanzialmente <strong>di</strong>sabitato, si erano abituate a<br />
trovare nel nonno una spalla su cui appoggiarsi ed un pilastro <strong>di</strong> saggezza pre-Alzheimer<br />
almeno tre volte alla settimana.<br />
Nonno Arca<strong>di</strong>o sapeva aggiustare le biciclette con lʼistallazione <strong>di</strong> pezzi <strong>di</strong> metallo<br />
accumulati nel tempo, copiare gli esercizi <strong>di</strong> matematica senza pretendere <strong>di</strong> capirne il<br />
senso, preparare grosse merende per sollevare il morale e dare illuminanti consigli sulla<br />
base delle proprie esperienza <strong>di</strong> vita. Gli piaceva passare i pomeriggi con le nipoti, lo<br />
faceva sentire meno inutile e allʼantica.<br />
Ma lʼetà, esattamente come la forfora, aumenta quando si sta con chi ne ha molta; con il<br />
Corso e il Magro, infatti, si trasformava in un vecchio scorbutico che parlava solo in<br />
<strong>di</strong>aletto stretto e si lamentava <strong>di</strong> qualsiasi cosa gli passasse per la testa.<br />
“Ieri è passato un crucco” <strong>di</strong>sse un giorno il Magro, allʼincrocio <strong>di</strong> due argini.<br />
“Vaʼ che è dalla guerra che non li si chiama più così...-<br />
“... sono gerrmanici...”<br />
“Ma io sono partigiano e li chiamo come voglio,neh?-<br />
“Seʼ rrazzista,mica parrtigiano”<br />
“E si <strong>di</strong>ce tedeschi,mica germanici”<br />
“È uguale”<br />
Ovviamente,si tratta <strong>di</strong> una fedelissima traduzione dal <strong>di</strong>aletto.<br />
Silenzio. Poi il Magro sferrò lʼultimo attacco al Corso.
“E tu sei Napoleone”<br />
Il Corso e Arca<strong>di</strong>o si guardarono. Beh, mica tutti gli abitanti della Corsica, dal ʻ700 in poi,<br />
sono Napoleone! Ma il Magro era un tipo un poʼ speciale, che se gli veniva il pirlo si<br />
metteva a urlare a squarciagola per gli argini del Po. Quin<strong>di</strong>, per non smentirsi, il vecchio<br />
partigiano tornò a cavalcare la bicicletta con lʼantico vigore, lasciando la scena sotto le<br />
note <strong>di</strong> Bella ciao.<br />
I due compari non commentarono; tanto, il loro parere era lo stesso. Quello era pazzo e<br />
lʼavrebbero trovato morto <strong>di</strong> infarto in casa; in un ospedale avrebbe perso lʼidea <strong>di</strong> se<br />
stesso che aveva, ossia <strong>di</strong> eroe nazionale. Loro, invece,avevano passato una vita a<br />
cercare <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare cosa si prova a vivere durante una guerra, senza riuscirci del tutto;<br />
e come i vecchi pensionati che erano, passarono ad un <strong>di</strong>scorso più conveniente. Ad<br />
esempio, il Po.<br />
Il colonnello che conduceva il meteo aveva detto che sulla penisola sarebbe arrivata<br />
presto una pretur... pertertu... “Nonno, perturbazione!” lo aiutava Anna. Ecco, quella roba lì<br />
stava arrivando in Italia, portando con sé cattivo tempo. Infatti, il clima sembrava<br />
impazzito, furioso. Non faceva freddo, per essere novembre, ed ogni tanto tirava unʼaria<br />
forte e tiepida. E nel giro <strong>di</strong> una settimana, la Liguria era stata completamente allagata ed<br />
ora si temeva per il Piemonte e per tutte le regioni attraversate dal Grande Fiume. Se le<br />
città non si erano ancora allagate, i torrenti si erano gonfiati ed alcuni si erano ad<strong>di</strong>rittura<br />
spinti oltre i propri letti. Il Po minacciava, tutto nero e violento, sotto il ponte grigio e solido;<br />
il cielo sembrava annunciare lʼApocalisse. E Lido Libero stava proprio sul ciglio della sua<br />
riva lombarda.<br />
“Eh, lo so...morrirremo tutti...” commentò il Corso, con quella erre che non si capiva una<br />
mazza quando parlava veloce.<br />
Arca<strong>di</strong>o si fece un segno apotropaico “Oh,Corso, semmai muori te. Io voglio vivere ancora<br />
un poʼ, almeno per sapere se il Governo cade. Ho fatto voto <strong>di</strong> morire soltanto dopo<br />
Andreotti”<br />
Il Corso rise “Ah, allorra ti tocca aspettarre che vengano gli alieni!”<br />
“Ah, io non ci credo... mica sono scemi e vengono qui a conquistarci tutti... hanno <strong>di</strong><br />
meglio da fare. Le mie nipoti mi hanno fatto guardare un programma che ne parlava e<br />
<strong>di</strong>ceva che loro sono già qui.”<br />
“Non è verro. Hai visto in girro degli omini verr<strong>di</strong> con gli occhi grran<strong>di</strong> e la testa grrossa? Io<br />
non li ho mai visti e quelli che li hanno visti sono tutti pazzi o ubrriachi.”<br />
Arca<strong>di</strong>o non rispose. Guardò il cielo e notò che, sotto le nubi che sʼaddensavano sul Po,<br />
stava salutando il sole; inoltre, avevano già oltrepassato il cartello col nome del paese e il<br />
fiume non era basso.<br />
“Oh, Corso, è meglio tornare. Ci sono <strong>di</strong> quei matti in giro...”<br />
“... e fanno del male alla poverra gente...”<br />
Aggrappandosi lʼuno allʼaltro, fecero <strong>di</strong>etrofront. Non bisognava fidarsi <strong>di</strong> nessuno,<br />
soprattutto su degli argini non illuminati. Lʼavrebbero detto alla prossima riunione<br />
citta<strong>di</strong>na: vogliamo i lampioni.<br />
Dʼun tratto, videro una luce alle loro spalle e poi un verso fasti<strong>di</strong>oso. Unʼauto suonava<br />
ripetutamente il clacson e faceva lampeggiare i fanali, dopo aver rallentato un poco.<br />
Arca<strong>di</strong>o e il Corso zoppicarono sul ciglio della strada, scancherando il <strong>di</strong>aletto contro quel<br />
giovane delinquente con la macchina nuova e la ra<strong>di</strong>o al massimo che era stato così<br />
maleducato. Gioventù bruciata.<br />
I due si chinarono per guardare in faccia quel teppistello e insegnargli le buone maniere<br />
con le persone anziane. Lʼauto si fermò ed abbassò il finestrino. Un uomo con i capelli<br />
rasati e la giacca a vento verde militare li guardò alzando un sopracciglio.<br />
“Paʼ, ti sembra normale? Ciao, Corso”<br />
Arca<strong>di</strong>o si appoggiò al fianco della macchina, mentre il Corso salutava lʼuomo con un<br />
sorriso molto dolce.
“Cosa ci fai in giro te a questʼora?”<br />
“Sono andato a lavorare e torno a casa. Piuttosto, cazzo ci fate in giro voi due?”<br />
“Eh, facevamo una passeggiata e poi tuo padrre si è accorrto che era serra...”<br />
Lʼaltro sospirò.<br />
“Oh,Angelo,sono nato prima <strong>di</strong> te...”<br />
“Va bene, okay, dʼaccordo... ma il Po sta salendo ed è pericoloso avvicinarsi al fiume...<br />
scusa, state a casa a giocare a carte come tutti gli uomini della vostra età...e il dottore ti ha<br />
detto <strong>di</strong> non stancarti troppo. Ti lamenti <strong>di</strong> tutto e poi non ascolti nessuno.”<br />
Colpito nel vivo e umiliato dal figlio davanti al suo migliore amico nella sua debolezza,<br />
ovvero una certa ipocondria, Arca<strong>di</strong>o sʼimmusonì e guardò trucemente Angelo.<br />
Il Corso sorrise tranquillamente, forse senza rendersi conto dello scontro generazionale <strong>di</strong><br />
cui era partecipe, e si rivolse ad Angelo.<br />
“Mi potrresti porrtarre a casa,perr favorre?”<br />
Angelo sorrise. Aveva sempre adorato il Corso; da bambino, andava sempre a casa sua<br />
per mangiare i pasticci <strong>di</strong> carne <strong>di</strong> sua moglie e guardare tutti i modellini <strong>di</strong> navi nello<br />
stu<strong>di</strong>olo.<br />
“Certo”<br />
Poi aspettò che suo padre, ferito, <strong>di</strong>cesse qualcosa. Infatti brontolò<br />
“E pianti tuo padre a pie<strong>di</strong>?”<br />
“Se vuoi, tu cammini e io ti sto <strong>di</strong>etro. Vado piano...”<br />
Il vecchio sbuffò e si mise al se<strong>di</strong>le posteriore, perché il Corso, come un bambino, si era<br />
preso il posto davanti per giocare con la ra<strong>di</strong>o.<br />
La strada battuta, ma la fanghiglia rendeva abbastanza <strong>di</strong>fficile lo spostamento in auto; e<br />
quasi per Provvidenza, quando partirono cominciò a scendere una pioggia fine e<br />
leggerissima, <strong>di</strong> quelle che pizzicano il volto. Stettero zitti per tutto il viaggio, fingendo <strong>di</strong><br />
ascoltare la ra<strong>di</strong>o che trasmetteva chissà quale robaccia moderna.<br />
La prima tappa fu la casa del Corso, nella strada principale <strong>di</strong> Costa Martinello; piccola,<br />
intonacata <strong>di</strong> un rosa sbia<strong>di</strong>to, circondata da cesti <strong>di</strong> fiori e piante, <strong>di</strong> due piani ed un tetto<br />
storto. Una vecchietta rattrappita in un abitino azzurro a fiori gialli si stringeva in un golfino<br />
quasi più lungo <strong>di</strong> lei e guardava la macchina con la gioia nel volto. Era la Marie, la moglie<br />
del Corso, nata a Parigi e quin<strong>di</strong> dotata <strong>di</strong> quellʼinnata classe tipica dei francesi; a <strong>di</strong>r la<br />
verità, lei era la seconda moglie, perché il Corso si era sposato a <strong>di</strong>ciotto anni con una<br />
ragazza del suo paese, poi lei si era trovata un tedesco che la trattava da vera donna e se<br />
nʼera andata, quin<strong>di</strong> il poveretto era venuto in Italia e, fra le mille avventure che aveva<br />
vissuto, aveva trovato la Marie, una ragazzina dolcissima e fantasiosa che i genitori<br />
avevano spe<strong>di</strong>to da dei conoscenti <strong>di</strong> Lido Libero per evitarle la guerra, una famiglia <strong>di</strong><br />
sarti onesti e ben piazzati sul mercato.<br />
Quando Angelo accostò lʼauto davanti alla porta <strong>di</strong> casa, la donna avanzò elegantemente<br />
ed aprì la portiera al marito, che se ne uscì con qualche impaccio.<br />
“Volevi prrenderre del frreddo,stupido?”<br />
Lʼonore del Corso veniva messo alla prova, e da gentiluomo ben educato egli si dovette<br />
trasformare in uomo <strong>di</strong> casa.<br />
“Ho ancorra del tempo perr morrire,Marrie”<br />
“Cerrto,lo sanno i tuoi amici che sei artritico,<strong>di</strong>abetico e asmatico?”<br />
Angelo non riuscì a soffocare un riso e si sporse per salutare la buona donna<br />
“Come va, Marie?”<br />
“Va come deve andarre ad una vecchia <strong>di</strong> paese, rragazzo mio. Allorra,al tuo papà non gli<br />
fai dei nipotini?”<br />
Quella domanda, anno dopo anno, si presentava sempre più frequentemente.<br />
“Ne ha già tre, credo che bastino”<br />
La Marie si sporse a sua volta per guardare in faccia Arca<strong>di</strong>o.<br />
“Eh, come an<strong>di</strong>amo, nonno Arrca<strong>di</strong>o? Le nipotine, tutto bene?”
“Stanno meglio <strong>di</strong> me. Belle, sane e intelligenti. Ecco, meglio <strong>di</strong> me”<br />
Il Corso sʼintrodusse nella conversazione<br />
“Falle venirre qui,qualche volta! È molto tempo che non vengono! E Attilio? Come sta?”<br />
“Ma sì, come al solito... il lavoro, le figlie... è così che va”<br />
La Marie sorrise e prese sotto braccio il marito. La pioggia aveva cominciato a farsi più<br />
forte.<br />
“Dài, an<strong>di</strong>amo a casa, che comincia a farre frreddo. Buona serrata a tutti e due,<br />
arrivederrci!”<br />
Quando la coppia si voltò e si chiuse la porta <strong>di</strong> casa alle spalle, Angelo chiuse la portiera<br />
dellʼauto e fece retromarcia per portare il padre al proprio tetto.<br />
Non parlarono. Arca<strong>di</strong>o era ancora troppo offeso che il figlio lo avesse messo in ri<strong>di</strong>colo<br />
davanti agli amici, colpendolo proprio in quello che era il suo tallone... <strong>di</strong> Guglielmo Tell...<br />
no, non suonava bene... <strong>di</strong> Kennedy nemmeno... <strong>di</strong> Ulisse, cʼera vicino, cʼentrava con la<br />
mitologia greca... “Di Achille, nonno, il tallone dʼAchille!” gli riferiva esasperata Anna. Ecco,<br />
lui. Arca<strong>di</strong>o Filimenghi era ipocondriaco, qualsiasi minuscolo <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> funzionamento del<br />
suo corpo poteva essere il sintomo primo <strong>di</strong> una malattia mortale. Una volta si era<br />
svegliato con la gola secca, lʼaveva menata per tre giorni ai figli e poi li aveva costretti a<br />
portarlo al Pronto Soccorso; gli avevano prescritto degli antidepressivi e delle bustine<br />
arancio che Attilio sosteneva fossero vitamine. Unʼaltra volta, si era convinto <strong>di</strong> essere alla<br />
fine dei suoi giorni ed aveva aspettato la morte seduto sul <strong>di</strong>vano con la televisione<br />
sintonizzata su un quiz show imbarazzante; era solo un dolore intercostale per il<br />
cambiamento del tempo. Aveva sempre il raffreddore, anche dʼestate. Il solo sentire<br />
lʼodore dellʼaceto lo faceva star male. Lʼacqua in bottiglia non gli piaceva, beveva solo<br />
quella del rubinetto, calcarea e tiepida. Era sempre affamato. E i me<strong>di</strong>cinali che doveva<br />
prendere non gli facevano niente; dopo due giorni che li assumeva, li piantava nella<br />
credenza a superare la data <strong>di</strong> scadenza. Quella da vecchio era una vita <strong>di</strong> stenti.<br />
Finalmente, la macchina si fermò davanti a casa sua, piccola e nascosta tra il meccanico<br />
ed un locale in affittasi da una vita.<br />
“Oh,hai bisogno <strong>di</strong> qualcosa? Da mangiare...”<br />
“Tranquillo, ho tutto, ho tutto... adesso mi preparo la minestra e poi vado a letto...”<br />
Angelo lo fece scendere.<br />
“Se hai bisogno, chiama, va bene?”<br />
“Sì, dʼaccordo”<br />
“E staʼ in casa, per favore”<br />
“Sì. Sembri mia madre”<br />
“Ciao”<br />
“Ciao”<br />
Chissà perché, i vecchi <strong>di</strong>ventavano dei bambini per i propri figli, man mano che<br />
crescevano; a ottantʼanni uno <strong>di</strong>ventava figlio del proprio figlio <strong>di</strong> quaranta. Uno dei misteri<br />
<strong>di</strong> Fatima.<br />
Arca<strong>di</strong>o, dopo una dura lotta con i pantaloni che gli rubavano sempre le chiavi e il<br />
portafoglio, entrò nella sua umile casetta buia e fredda. Accese le luci del corridoio,<br />
appoggiò tutto il contenuto delle tasche sul tavolo della cucina ed iniziò a prepararsi la<br />
minestra della sera. Il silenzio inondava il suo mondo e il buio, se non sconfitto dalle<br />
lampade a basso consumo energetico che Amelia gli aveva fatto comprare per salvare<br />
lʼambiente, <strong>di</strong>vorava i mobili, le pareti, i quadri impolverati. Non accese la tivù, non<br />
sarebbe servito a nulla. Fuori, udì lo scroscio della pioggia.<br />
Il giorno seguente piovve dalla mattina fino alla sera, con qualche momento <strong>di</strong> sosta verso<br />
lʼora <strong>di</strong> pranzo, quasi anche Dio dovesse recuperare le forze perdute con un lauto<br />
banchetto. Chissà cosa mangiava il Signore... sicuramente non la minestra col dado<br />
pronto e nemmeno i fagiolini in scatola, quelli piccoli e cru<strong>di</strong>. Arca<strong>di</strong>o sʼimmaginò una
immensa tavolata <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> commensali, seduti su scranni dorati, le mani appoggiate ad<br />
una tovaglia can<strong>di</strong>da ed un grande vassoio dʼargento con al centro un gigantesco maiale<br />
arrostito con la mela in bocca e tuttʼintorno delle patatine lesse col rosmarino.<br />
Sospirò. Queste fughe dalla realtà cominciavano a farsi molto frequenti, innaturali in un<br />
uomo materialista e semplice quanto lui. Il fatto è che iniziava a stufarsi <strong>di</strong> stare da solo in<br />
quella casa, senza niente <strong>di</strong> meglio da fare che visitare dottori per farsi <strong>di</strong>re che era sano e<br />
trascorrere qualche ora con le nipoti e i figli. Non aveva neanche particolari bisogni fisici:<br />
per mangiare mangiava tanto e in bagno ci andava tre volte al giorno; camminava a passi<br />
lenti, come normale in un uomo <strong>di</strong> ottantʼanni, ma non aveva nessun problema a fare<br />
passeggiate allʼaperto; ecco, era semplicemente vecchio, il che non poteva essere affatto<br />
curato.<br />
Guardò fuori, spostando la leggera tenda bianca dalla finestra fredda. Fuori aveva smesso<br />
<strong>di</strong> piovere, ma tirava un gran vento e il cielo era nero, sia per il temporale sia per la tarda<br />
ora. Il Po aveva quasi superato lʼargine principale e alla televisione <strong>di</strong>cevano che quella<br />
sarebbe stata la volta buona per evacuare. Costa Martinello sarebbe morta annegata<br />
definitivamente. Per ora, tuttavia, non era stato dato alcun allarme ai paesani;<br />
continuavano a girare le jeep dei soldati e uomini in <strong>di</strong>vise varie e <strong>di</strong> molti colori che<br />
Arca<strong>di</strong>o non seppe identificare, i quali fermavano la gente per strada, invitandola a<br />
rientrare a casa. Un tuono. La luce tremò con un ronzio e la finestra della camera da letto<br />
sbatté, portando uno stralcio <strong>di</strong> corrente gelida. Arca<strong>di</strong>o si strinse nel gilet blu ed aprì il<br />
frigorifero per controllare che ci fosse <strong>di</strong> che vivere, nel caso in cui fosse veramente la<br />
volta buona.<br />
Dʼun tratto, qualcuno suonò il citofono e lʼarnese emise quella sottospecie <strong>di</strong> belato<br />
elettronico che irritava e spaventava tutti, lo stesso Arca<strong>di</strong>o per primo.<br />
“Chi è?”<br />
Perché rispondeva? Il citofono non funzionava da anni.<br />
Si presentarono sulla soglia tre misteriosi figuri avvolti in giacche scure, tenendo in mano<br />
degli ombrelli.<br />
“Ma porca miseria...”<br />
Tutto a posto. Quella era la voce <strong>di</strong> Amelia.<br />
Arca<strong>di</strong>o sorrise, un poʼ stupito dellʼimprovviso arrivo delle nipoti e <strong>di</strong> Attilio. Abbracciò<br />
entrambe e salutò il figlio con un mezzo grugnito. Gli uomini, soprattutto padri e figli, non<br />
<strong>di</strong>mostrano affetto lʼuno per lʼaltro in modo comune; non si sa bene perché, si tratta <strong>di</strong> un<br />
dato <strong>di</strong> fatto e basta.<br />
“Oh, allora?”<br />
“Cosa vuoi che ti <strong>di</strong>ca? Tutto a posto. Te?”<br />
“Ma sì...”<br />
Attilio era sempre stato il più pessimista dei Filimenghi,forse perché primogenito. Si tolse<br />
la giacca <strong>di</strong> pelle e il cappello fra<strong>di</strong>ci e li attaccò allʼappen<strong>di</strong>abiti in corridoio, sopra quelle<br />
delle figlie, le quali si erano già <strong>di</strong>leguate nella sala da pranzo,che fungeva anche da<br />
salotto.<br />
“Non andate a scuola,domani?”<br />
Anna scosse la testa ricciuta, identica a quella <strong>di</strong> Attilio qualche anno prima che la mezza<br />
età colpisse anche lui, e rispose con un sorriso<br />
“No, hanno chiuso le scuole per la pioggia”.<br />
“Ah, non ci sono più i Presi<strong>di</strong> <strong>di</strong> una volta, quelli che insegnavano sul serio ai ragazzi.<br />
Quelli <strong>di</strong> ora sono tutti dei pagliacci con giacca e cravatta: guarda un poʼ se bisogna<br />
chiudere per un poʼ dʼacqua! Mica sono dei principini gli studenti! Siete tutti viziati, ragazzi<br />
miei, tutti viziati...”<br />
“Beh, nonno, non siamo tutti così. Io non mi sento una principessina viziata!”<br />
“Te no, ma la maggior parte dei tuoi amici sì!”
Escluso il modo, il ragionamento <strong>di</strong> Arca<strong>di</strong>o non era proprio scorretto. Era folle avere dei<br />
problemi per la pioggia nel terzo millennio. Si costruivano robot e computer e non si<br />
riusciva ad arginare lʼacqua, uno dei gran<strong>di</strong> elementi della natura che lʼessere umano<br />
aveva imparato a contrastare sin dallʼinizio dei tempi.<br />
Intanto, anche Attilio si sedette in sala da pranzo; aveva dei fogli con sé.<br />
“Da domani ci sarà lʼallerta ufficiale. Il Po è <strong>di</strong>ventato davvero un pericolo per tutti noi e<br />
specialmente per le classi in <strong>di</strong>fficoltà, quin<strong>di</strong> anziani, <strong>di</strong>sabili ed emarginati in generale.”<br />
Arca<strong>di</strong>o gli prese un foglio a caso e, inforcatosi gli occhiali, si concentrò per leggere quella<br />
minuscola grafia in stampatello. Per prima cosa, notò una fotografia a colori: un bel<br />
giar<strong>di</strong>no ed un palazzo bianco, or<strong>di</strong>nato, circondato da alberi ver<strong>di</strong>ssimi; due uomini ed<br />
una donna, in camice, sorridevano cor<strong>di</strong>ali. Sembrava un hotel a cinque stelle; ma<br />
evidentemente non lo era.<br />
“Si chiama S. Pancrazio ed è una casa <strong>di</strong> accoglienza per pensionati. Hanno uno spazio<br />
enorme, <strong>di</strong>viso in reparti; hanno anche un reparto per orfani ed uno che tiene cani e gatti<br />
che vengono dai canili e sono stati abbandonati.”<br />
Arca<strong>di</strong>o taceva. Non capiva perché tutte quelle informazioni dovessero riguardarlo: non<br />
era un piccolo orfano e non voleva un animale. E o<strong>di</strong>ava gli ospizi, meglio noti come<br />
parcheggi umani dove le nuove generazioni abbandonavano vecchi rincoglioniti. Ma<br />
lʼunico commento che fu capace <strong>di</strong> esplicitare fu<br />
“Sembra il nome <strong>di</strong> una malattia. Ho il S. Pancrazio, la sindrome <strong>di</strong> S. Pancrazio... mi fa<br />
male il Pancrazio...”<br />
Anna e Amelia scoppiarono a ridere e il secondo dopo si guardarono; Arca<strong>di</strong>o intercettò<br />
lʼocchiata che le due si erano scambiate e non gli piacque affatto.<br />
“Non voglio andare in un ospizio, piuttosto mi ammazzo da solo con la candeggina o mi<br />
sparo un colpo in testa, ma non voglio finire in un ospizio. Non sono ancora rincoglionito,<br />
penso e me la cavo benissimo da solo...”<br />
“É verissimo,” rispose Attilio “ma infatti non è un ospizio. É una struttura che hanno fatto<br />
da poco e vuole dare una mano a tutte le persone che fanno fatica, soprattutto gli anziani.<br />
Non ti trattano come un deficiente, papà; sanno cosa fare.”<br />
“E perché mi volete mandare lì?”<br />
“Perché siamo in pericolo. La piena del Po <strong>di</strong>struggerà tutto e se rimaniamo qui, moriamo<br />
tutti insieme appassionatamente. Le ragazze hanno trovato dei posti dove stare, io pure e<br />
anche Angelo; ma tu,dove andrai?”<br />
Arca<strong>di</strong>o guardò altrove. Effettivamente, non aveva riflettuto particolarmente sul rischio che<br />
la popolazione dovesse evacuare. E dato che avrebbe dovuto andare via, dove avrebbe<br />
potuto farsi ospitare?<br />
“Posso andare dal Corso...”<br />
“Dobbiamo andare via da Lido Libero e <strong>di</strong>ntorni” fece Amelia “Non ci deve essere nessuno<br />
in tutta la zona. Non conosci qualcuno sul milanese,ad esempio?”<br />
Pensò per qualche secondo. Tutte le sue conoscenze erano relegate alla minuscola realtà<br />
<strong>di</strong> Costa Martinello e Lido Libero, tranne i me<strong>di</strong>ci, che erano <strong>di</strong> Cremona. Ma al <strong>di</strong> là della<br />
citta<strong>di</strong>na, non conosceva più nessuno; erano trentʼanni che non si muoveva da Lido.<br />
Attilio sospirò ed agitò i fogli che aveva in mano. Aveva sempre avuto la roba <strong>di</strong><br />
gesticolare come un mimo, non riusciva a stare fermo nemmeno un secondo, il che<br />
innervosiva moltissimo il padre.<br />
“Ecco,<strong>di</strong>cevo questo. Non cʼè nessuno <strong>di</strong>sposto ad ospitarti, non per cattiveria,<br />
ovviamente, è questione <strong>di</strong> posti... il S. Pancrazio è lʼunica soluzione, è perfetta. Ha<br />
duecento posti nel reparto anziani e costa € 300 allʼanno. É una miseria per quello che<br />
fanno”<br />
Subito Arca<strong>di</strong>o si allarmò<br />
“Cosa vuol <strong>di</strong>re, che mi volete tener dentro finché non crepo?”
Spiegarglielo senza incappare nella sua ira non era facile. Per questo, Anna, dotata <strong>di</strong> una<br />
calma e <strong>di</strong> una gentilezza <strong>di</strong>sarmanti, era la più adatta a tale compito.<br />
“Il fiume uscirà dal suo bacino in questi giorni e la piena sarà un vero <strong>di</strong>sastro. Tutta la<br />
zona <strong>di</strong> Cremona e provincia deve essere evacuata entro la settimana perché, quando il<br />
Po supererà lʼargine, allagherà tutto ed arriverà ovunque, mettendo sotto la città e i<br />
paesini, compreso Lido Libero: dopo, non resteranno che delle macerie. Se una persona<br />
rimane, morirà sicuramente annegato”.<br />
Questo era un altro <strong>di</strong>scorso. Arca<strong>di</strong>o cominciava a capire le ragioni del figlio.<br />
“E perché devo rimanerci anche dopo che la piena è finita?”<br />
“Perché dopo la piena non ci sarà più niente. Lido Libero non esisterà più”<br />
Fu allora che Arca<strong>di</strong>o comprese cosa i familiari gli stavano <strong>di</strong>cendo: salva te stesso, lascia<br />
che il Po infuriato si porti via il tuo passato. Ma ogni anziano <strong>di</strong> questo mondo isterico vive<br />
nel proprio passato, vive sulla base dei propri ricor<strong>di</strong> e solo grazie ad essi riesce a tirare<br />
avanti; il futuro non ha il minimo pensiero per chi si approssima a morire, ha mille altre<br />
cose a cui de<strong>di</strong>carsi. I vecchi sono lasciati da una parte, esclusi dal resto del mondo<br />
perché per essi non ci sarà futuro, o almeno questa parola fantascientifica è il sinonimo <strong>di</strong><br />
ad<strong>di</strong>o. Al S. Pancrazio avrebbe salvato il suo corpo dai turbamenti fisici assieme ad altri<br />
cento e novantanove pezzi dʼantiquariato ed insieme avrebbero guardato dalla finestra il<br />
mondo dei giovani spazzare via il loro, <strong>di</strong> mondo, magari bestemmiando in <strong>di</strong>aletto e<br />
facendo inutili riferimenti ad acca<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> un secolo prima. Al S. Pancrazio non<br />
avrebbero dato fasti<strong>di</strong>o a nessuno, sarebbero stati reclusi in quellʼalbergo bianco per<br />
tenersi compagnia e lasciare che i giovani ricostruissero tutto dalle basi che loro avevano<br />
dato. Non era un ospizio? Ma dove avrebbe potuto andare, in alternativa? Senza la sua<br />
casa, cosa sarebbe stato? Un uomo fatto <strong>di</strong> nebbia temporale, come tutti. Dʼaltronde,<br />
doveva lasciarglielo fare, doveva darla vinta ai figli. Il mondo nuovo avrebbe dovuto<br />
appartenere ai giovani come le sue nipoti, a loro il compito <strong>di</strong> creare un pianeta nuovo e<br />
possibilmente migliore <strong>di</strong> quello dei loro predecessori; che si ritirasse chiunque avesse già<br />
dato se stesso alla società per un tempo più che sufficiente. Doveva ascoltare i figli per gli<br />
altri.<br />
“Ma almeno è bello?”<br />
Attilio lasciò cadere i fogli sul tavolo, appiattendoli con una grossa mano piena <strong>di</strong> calli.<br />
“Lo andremo a vedere, prima. Con Angelo”<br />
Amelia si alzò per andare a bere un goccio dʼacqua; nel farlo, mise una mano sulla spalla<br />
del nonno.<br />
“Verremo a trovarti, però”<br />
Arca<strong>di</strong>o sorrise, non per gioia però.<br />
“Ci mancherebbe altro! Mi faccio trasferire in un ospedale, pretendo almeno che veniate a<br />
parlarmi”<br />
“Nonno, non è un ospedale...”<br />
“Quello che è. Un obitorio, un museo, un parco giochi... qualunque cosa sia quel S.<br />
Pancrazio...”<br />
Il resto della serata lo passarono come mille altre: guardarono la televisione,<br />
commentandola nel frattempo e traendone spunto per <strong>di</strong>scussioni strane e insensate, che<br />
poi finivano in bronci offesi. Una tazza <strong>di</strong> cioccolata, gelato e dolci vari e poi tutti per conto<br />
proprio. Quando chiuse la porta, Arca<strong>di</strong>o si grattò il mento. La sorpresa era stato tanto<br />
traumatica che ora non riusciva neanche a pensarci. Si tolse gli occhiali e rise appena<br />
“Madonna,che brutto nome S. Pancrazio...”<br />
Visitarono il S. Pancrazio il giovedì, Arca<strong>di</strong>o, Attilio e Angelo. Non faceva freddo e si stava<br />
tranquillamente solo con una giacca pesante, ma Arca<strong>di</strong>o vi aveva aggiunto il fedele<br />
cappello grigio, quello che usava per andare a sbrigare la burocrazia. Il cielo era bigio, ma<br />
per quella mattina non era previsto che piovesse; forse,nel tardo pomeriggio.
Era tutto come nella fotografia, soltanto meno rarefatto. E ad aspettarli non cʼerano né i<br />
due uomini né la signorina col sorriso a trentadue denti. Lʼerba era stata appena tagliata e<br />
splendeva nel suo verde fin innaturale, un verde smeraldo accentuato dalle gocce <strong>di</strong><br />
nebbia e dallʼimpianto <strong>di</strong> irrigazione. Lʼe<strong>di</strong>ficio era enorme,bianco smagliante,rettangolare,<br />
proprio come un ospedale; a qualche metro dal corpo centrale, due costruzioni più piccole,<br />
come dei bunker antiatomici, anche loro can<strong>di</strong><strong>di</strong>, ma senza finestre, bensì una minuscola<br />
porta <strong>di</strong> acciaio, con <strong>di</strong>verse serrature. Saranno stati dei ripostigli o i magazzini, chissà.<br />
Attraversarono lʼimmenso giar<strong>di</strong>no seguendo un sentiero stretto ed or<strong>di</strong>nato,<strong>di</strong> ghiaia<br />
bianchissima. Tutto quel candore cominciava ad inquietare il buon Arca<strong>di</strong>o.<br />
Le porte si aprirono automaticamente con un leggero ronzio e si chiusero <strong>di</strong> scatto alle loro<br />
spalle. Lʼingresso era vuoto e silenzioso; non vi erano in<strong>di</strong>cazioni né decorazioni alle pareti<br />
o almeno avvisi, locan<strong>di</strong>ne, qualsiasi cosa potesse essere letto. I muri erano, ovviamente,<br />
lin<strong>di</strong> e nemmeno macchiati da qualcuno che, senza accorgersene, si era appoggiato,<br />
sporcando; solo un grande crocifisso, con il Cristo in porcellana e la croce in legno <strong>di</strong><br />
betulla, scelta davvero curiosa. Almeno, sette se<strong>di</strong>e occupavano lo spazio e davano<br />
<strong>di</strong>rettamente allʼAccettazione. Non cʼera nessuno.<br />
“Ma è giorno <strong>di</strong> festa?” domandò Arca<strong>di</strong>o, preoccupato <strong>di</strong> tale silenzio,ma anche<br />
speranzoso che fosse un buon motivo per cui andarsene.<br />
Angelo si sporse al banco, facendo stridere gli scarponi sul pavimento <strong>di</strong> marmo rosa;<br />
Attilio gli fece segno <strong>di</strong> fare meno chiasso. Il fratello non se ne curò minimamente.<br />
“Non cʼè nessuno?”<br />
No. Lì dentro faceva freddo, come se girasse la Morte da sola, a passeggio. Finalmente, ci<br />
fu un segno <strong>di</strong> vita. Una giovane donna in camice, ma probabilmente non un me<strong>di</strong>co, si<br />
sedette al banco e guardò Angelo attraverso il vetro.<br />
“Buongiorno” <strong>di</strong>sse, a bassa voce, con un sorriso del tutto preparato, esattamente come<br />
nella fotografia.<br />
“Salve “ rispose Angelo,con i suoi soliti mo<strong>di</strong> sbrigativi, a volte anche scontrosi, che lo<br />
rendevano in apparenza inadatto al mondo degli affari; ma era precisamente il suo<br />
atteggiamento schiettamente paesano a farlo valere nella burocrazia.<br />
“Abbiamo letto <strong>di</strong> voi sul sito, ma siamo venuti per assicurarci della serietà <strong>di</strong> questo posto.<br />
Vorremmo che nostro padre soggiornasse qui...”<br />
La donna subito si alzò e snocciolò informazioni, aggiungendo documenti, moduli e<br />
pubblicità per dare atten<strong>di</strong>bilità al <strong>di</strong>scorso. Disse quel che già Attilio aveva riferito al<br />
padre, ovvero che la tassa consisteva in soli trecento euro e che allʼe<strong>di</strong>ficio erano connessi<br />
un reparto per orfani ed uno per animali domestici abbandonati, ma <strong>di</strong>sse anche che vi<br />
erano me<strong>di</strong>ci che si occupavano dei pensionanti ogni giorno e che essi potevano<br />
trascorrere il tempo come più gli fosse congeniale: il S. Pancrazio <strong>di</strong>sponeva <strong>di</strong> un giar<strong>di</strong>no<br />
esterno, come i signori avevano potuto vedere, ma anche <strong>di</strong> uno interno, provvisto<br />
ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> un laghetto e <strong>di</strong> panchine dove sedersi nelle belle giornate, <strong>di</strong> unʼarea<br />
sabbiosa ed una a erba sintetica dove praticare sport vari, per i quali erano attrezzati al<br />
meglio. I pensionanti non erano costretti a seguire nessun programma né attività<br />
particolari, ognuno era libero <strong>di</strong> gestirsi come volesse; nel caso fortuito in cui uno fosse<br />
gravemente malato o avesse problemi <strong>di</strong> qualsivoglia genere, imme<strong>di</strong>atamente gli<br />
venivano accollati unʼinfermiera esperta e dei me<strong>di</strong>ci che si prendessero cura <strong>di</strong> lui.<br />
Altrimenti, si poteva vivere in pace e serenità, quasi meglio che a casa.<br />
Ad Arca<strong>di</strong>o non <strong>di</strong>spiacquero le parole della donna, dato che tremava al solo pensiero <strong>di</strong><br />
attività organizzate e festicciole cretine, e fu stupito positivamente dalla libertà che<br />
comunque gli veniva concessa. Certo, il posto, per come era arredato, gli metteva un poʼ<br />
<strong>di</strong> ansia; ma tutte le istituzioni ospedaliere e para-tali non erano proprio il tripu<strong>di</strong>o della<br />
gioia <strong>di</strong> vivere.<br />
“E per quanto riguarda gli spazi personali? La camera, il bagno...” domandò Attilio,<br />
leggendo nel pensiero del padre.
La donna non ebbe un secondo <strong>di</strong> esitazione.<br />
“Ogni pensionante ha una personale camera da letto con bagno e mobili, ma, se lo<br />
desidera, può stare in una camera doppia e <strong>di</strong>viderla con un amico o chi ne ha voglia.<br />
Lʼunico momento in cui, per forza <strong>di</strong> cose, i pensionanti stanno tutti insieme sono i pasti.<br />
Abbiamo una mensa grande e la cucina è semplice e salutare, per non creare<br />
frainten<strong>di</strong>menti con coloro che sono, <strong>di</strong>ciamo, un poʼ schizzinosi.”<br />
“E il personale me<strong>di</strong>co?” fece Angelo.<br />
Lei non demorse.<br />
“ Nei reparti circolano sempre, notte e giorno, infermieri ben selezionati, quin<strong>di</strong> non si può<br />
nascondere nessun malore che qualcuno lo sta già curando. Più specificatamente, il S.<br />
Pancrazio è amministrato da un gruppo <strong>di</strong> dottori che sono sempre presenti, in un reparto<br />
o nellʼaltro, e sono sempre <strong>di</strong>sponibili a dare pareri o prescrivere me<strong>di</strong>cine o ad<strong>di</strong>rittura<br />
operare, se cʼ é <strong>di</strong>sgraziatamente bisogno. Il Dr. Ravèn è il principale, nonché il fondatore<br />
del S. Pancrazio; insieme a lui, ci sono il Dr. Mosca,la Dr. sa Marchigiani, il Dr. Celeste,<br />
che esercitano tutti da tempo e sono considerati dei veri luminari nel loro campo”<br />
“Non si può incontrarli ora?”<br />
“In questo esatto momento no, a meno che non <strong>di</strong>ate una sicurezza maggiore <strong>di</strong> voler<br />
affidarci il signore qui presente... si chiama?”<br />
“Arca<strong>di</strong>o Filimenghi” borbottò il vecchio.<br />
Attilio prese la parola, dopo aver lanciato al fratello unʼocchiata complice.<br />
“Ci sembrate delle persone competenti ed oneste ed avremmo la necessità <strong>di</strong> affidare alle<br />
vostre cure nostro padre. Quando possiamo incontrare almeno uno dei me<strong>di</strong>ci?”<br />
La donna trafficò con documenti, buste e fogli, mordendosi le labbra appena truccate per<br />
la concentrazione. Poi, il verdetto.<br />
“É <strong>di</strong>sponibile il Dr. Celeste questa mattina alle un<strong>di</strong>ci, nel suo stu<strong>di</strong>o.”<br />
“Beh, fra poco. Possiamo aspettare qui seduti?”<br />
“Certamente. Desiderate un caffè, nel frattempo? É della macchina, ma non è gramo<br />
come si pensa...”<br />
Arca<strong>di</strong>o,Attilio e Angelo si misero seduti, in silenzio ma con i volti tranquilli.<br />
“Ti piace?” chiese Angelo al padre.<br />
“Sì, mi sembra a posto. É un poʼ spoglio...”<br />
“Beh, non è un grosso problema. Adesso ve<strong>di</strong>amo il dottore e sentiamo bene, okay?”<br />
Non dovettero aspettare più <strong>di</strong> tanto. Verso le un<strong>di</strong>ci, la signorina dellʼaccettazione prese il<br />
telefono e parlò piano, con un sorriso educato; quin<strong>di</strong> lasciò la sua se<strong>di</strong>a e si avvicinò ai<br />
tre visitatori. Non si erano accorti <strong>di</strong> come fosse, tutto sommato, una bella donna, molto<br />
acqua e sapone, anche se un poʼ bassa.<br />
“Il Dr. Celeste vi attende nel suo stu<strong>di</strong>o. Volete che vi accompagni?”<br />
I tre declinarono lʼofferta. Lo stu<strong>di</strong>o si trovava in fondo al corridoio, superate le tre porte.<br />
Non fu <strong>di</strong>fficile arrivarvi. E Arca<strong>di</strong>o era un poʼ agitato.<br />
Attilio bussò, ma non fece in tempo a dare due colpi che già la porta gli venne aperta da<br />
un uomo <strong>di</strong> circa trentʼanni, alto e ben impostato, con un viso molto dolce e mo<strong>di</strong> cor<strong>di</strong>ali.<br />
Sorridendo e salutando, strinse le mani a tutti e tre e li fece accomodare su tre belle<br />
poltrone color panna e imbottite. Lo stu<strong>di</strong>o era ampio, ma ben arredato: una porta-finestra<br />
dava sul giar<strong>di</strong>no interno ed era circondata da piccoli vasi <strong>di</strong> terracotta che contenevano<br />
piantine ver<strong>di</strong> e sane; accanto, una grossa libreria con i soliti libri da me<strong>di</strong>co, ma anche<br />
dvd <strong>di</strong> documentari, statuine <strong>di</strong> stampo orientale o greco e album <strong>di</strong> fotografie; poi la<br />
scrivania in noce, or<strong>di</strong>natissima con un computer recente ed elegante, un porta-matite,una<br />
pila <strong>di</strong> fogli bianchi ed un bonsai nellʼangolo; quin<strong>di</strong>, dallʼaltra parte, una stampante, il<br />
termosifone ed un appen<strong>di</strong>abiti. Si trattava evidentemente del primo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un giovane<br />
me<strong>di</strong>co; il che portò imme<strong>di</strong>atamente Attilio a chiedere da quanti anni egli esercitasse.
“Appena due anni,” rispose quello, incrociando le mani sulla scrivania “ ma ho fatto<br />
numerosi stage e sono stato il primo nella selezione, peraltro <strong>di</strong>fficilissima, per ottenere<br />
questo posto. E senza raccomandazione: i miei fanno la bidella e lo scultore”<br />
Che simpatico ragazzo.<br />
“Ma dunque, spiegatemi un poʼ: il signore vorrebbe soggiornare qui? Come si chiama?”<br />
I due figli tacevano. Ora toccava a lui.<br />
“Arca<strong>di</strong>o Filimenghi, <strong>di</strong> Costa Martinello, frazione <strong>di</strong> Lido Libero. Questi sono i miei figli,<br />
Attilio e Angelo, e mi hanno consigliato <strong>di</strong> affidarmi a voi perché, non so se lo sapete, ma<br />
entro questa settimana il Po andrà in piena...”<br />
“Certo, certo,” lo interruppe il dottore “ noi siamo fuori pericolo, ma anche abbastanza<br />
vicini alle vostre zone”<br />
“Eh sì, e quin<strong>di</strong> tutto verrà inondato, anche le case. Per evitare qualche trage<strong>di</strong>a, hanno<br />
pensato a questo posto: è al sicuro e ho tutto le cure che servono ad un vecchio <strong>di</strong><br />
ottantʼanni...”<br />
“Ottantʼanni? Caspita, pensavo ne avesse settanta! Si tiene splen<strong>di</strong>damente!”<br />
Arca<strong>di</strong>o sorrise, orgogliosissimo. Ma Attilio mise freno ai convenevoli.<br />
“La signorina allʼingresso ci ha dato praticamente tutte le informazioni necessarie. Lei può<br />
<strong>di</strong>rci <strong>di</strong> più? Non so, sui trattamenti che fate, le me<strong>di</strong>cine che prescrivete... e soprattutto se<br />
questa perfezione non è tutto un inganno...”<br />
Il Dr. Celeste si fece più serio. Si sporse leggermente e si schiarì la voce.<br />
“Immagino che Assunta vi abbia detto quel che solitamente si <strong>di</strong>ce per primo, cioè gli spazi<br />
a <strong>di</strong>sposizione, il costo e le cose essenziali che fanno star bene un nostro pensionante. Io<br />
posso aggiungere solo poche cose, perché la politica del S. Pancrazio è molto semplice,<br />
volutamente facile per non <strong>di</strong>sorientare nessuno, cosa che capita spessissimo e ritengo<br />
sia un errore madornale in unʼistituzione importante come quella ospedaliera.”<br />
Già questo gli fece guadagnare molti punti.<br />
“Il costo, vi è stato detto, è complessivamente <strong>di</strong> € 300 e comprende la camera da letto, il<br />
bagno, i pasti e gli eventuali farmaci che un pensionato avesse la necessità <strong>di</strong> prendere,<br />
nel caso un me<strong>di</strong>co, nel corso della sua permanenza qui, gli riscontrasse un problema<br />
fisico. Noi siamo pagati a parte, quin<strong>di</strong> da voi non pren<strong>di</strong>amo e non preten<strong>di</strong>amo niente,<br />
come è giusto che sia.”<br />
“Come mai così pochi?” domandò Angelo.<br />
“Beh, faccia trecento per duecento e ha già la risposta! Sono a sufficienza per avere un<br />
posto pulito e da mangiare, ovvio non pane e acqua; siamo del parere che far pagare<br />
tanto per prodotti scadenti o non adatti alla sod<strong>di</strong>sfazione dei pensionanti è una follia. Noi<br />
cerchiamo <strong>di</strong> avere lʼessenziale <strong>di</strong> ottima qualità, non spen<strong>di</strong>amo per cose inutili come<br />
attività o giochi per anziani, che pure li o<strong>di</strong>ano, no?”<br />
Arca<strong>di</strong>o annuì, sempre più speranzoso <strong>di</strong> fare una più approfon<strong>di</strong>ta conoscenza con<br />
questʼuomo illuminato. Il quale continuò, con quel modo deciso ma sereno e semplicissimo<br />
da comprendere.<br />
“I pensionanti vengono visitati ogni giorno dai me<strong>di</strong>ci, quin<strong>di</strong> o da me o dai miei colleghi, e<br />
una volta alla settimana anche da psicologi, onde evitare che un pensionante, pur non<br />
manifestando alcun malessere fisico, impazzisca o viva una sgradevole situazione<br />
interiore senza che nessuno lo sappia. Questo non vuol <strong>di</strong>re che a lei, signor Filimenghi, le<br />
toccherà prendere farmaci ogni ora, a caso; se una persona non ha bisogno del lassativo<br />
o del sonnifero o <strong>di</strong> che altro, perché dovremmo darglielo? Sarebbe uno spreco <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> e<br />
danneggerebbe il corpo del poveretto. Prescriveremo un farmaco solo se lo riterremo<br />
opportuno. E non obblighiamo un pensionante ad un trattamento <strong>di</strong> cui non necessita.<br />
Voglio <strong>di</strong>re, uno a settanta, ottantʼanni è vecchio, ma ragiona ancora nella maggior parte<br />
dei casi, non è stupido ed è dotato <strong>di</strong> auto-consapevolezza, capisce cosa è giusto e cosa<br />
sbagliato, non si tratta <strong>di</strong> neonati o <strong>di</strong> animali...”<br />
“A proposito,” lo interruppe Attilio “ il S. Pancrazio ospita anche bambini e animali...”
“Sì, ma fa parte <strong>di</strong> unʼorganizzazione <strong>di</strong>versa. Questo in cui siamo ora è il corpo centrale,<br />
de<strong>di</strong>cato agli anziani,dato che la fondazione è nata in primis per questo.<br />
Successivamente, si è deciso <strong>di</strong> dare spazio anche ad altre classi in <strong>di</strong>fficoltà, così<br />
abbiamo creato altri due reparti, uno per gli orfani fino ai <strong>di</strong>ciassette anni ed uno per gli<br />
animali abbandonati o comunque ritenuti inutili da qualche parte dove li volevano morti.<br />
I tre reparti non hanno relazioni tra loro, è specificatamente richiesto che anziani, bambini<br />
e animali non vengano a contatto per evitare drammatiche situazioni, come un uomo che<br />
si affeziona ad un bambino e viceversa, un bambino che si affeziona ad un cane, un cane<br />
che si affeziona ad una signora... è abbastanza chiaro. Sembra crudele, ma lo facciamo<br />
per salvaguardare la salute psichica ed emotiva <strong>di</strong> tutti i nostri ospiti, siano essi umani o<br />
animali. Certo, può capitare una scappatella, soprattutto da parte dei piccoli, ma si cerca <strong>di</strong><br />
impe<strong>di</strong>re simili <strong>di</strong>sattenzioni.”<br />
Arca<strong>di</strong>o,Attilio e Angelo si guardarono reciprocamente. Era tutto perfetto, ragionevole e<br />
semplice. E al signor Arca<strong>di</strong>o non <strong>di</strong>spiaceva: era lontano dalla sua amata Costa<br />
Martinello, ma meglio questo posto che morire annegato.<br />
“Beh,” fece “io mi sento sod<strong>di</strong>sfatto”<br />
Attilio e Angelo tirarono un sospiro <strong>di</strong> sollievo. Anche il Dr. Celeste fu contento <strong>di</strong> sapere<br />
che sarebbe arrivato un nuovo ospite.<br />
“Allora, le facciamo un assegno adesso?”<br />
Il dottore parve stupito.<br />
“Guardate, se volete, potete pagare adesso, altrimenti quando volete. Il signor Arca<strong>di</strong>o può<br />
benissimo entrare domani mattina, quin<strong>di</strong> riterrei conveniente che voi pagaste... facciamo<br />
entro domenica, lunedì al massimo...”<br />
I tre esultarono, strinsero la mano al fantastico Dr. Celeste; quasi corsero per il corridoio,<br />
salutarono la signorina Assunta e tornarono allʼauto leggeri come nuvole.<br />
Arca<strong>di</strong>o sarebbe entrato definitivamente al S. Pancrazio il pomeriggio seguente, dato che<br />
solo allora i suoi non avrebbero avuto altri impegni. Nel frattempo, trascorse le ore che lo<br />
<strong>di</strong>stanziavano dal trasferimento come un bambino che aspetta Babbo Natale: tolse la<br />
polvere ovunque, lavò il pavimento e sgrassò delle padelle con cui combatteva da anni;<br />
aprì la vetrina delle porcellane che la sua vecchia aveva conservato gelosamente e le<br />
lustrò per bene, assieme ai santini e alle madonnine che ella aveva lasciato un poʼ<br />
dappertutto. Beata donna, aveva dovuto essere una buona cristiana per due.<br />
Quin<strong>di</strong> ripose le lenzuola pulite sul piano più alto dellʼarma<strong>di</strong>o, piegò camice e cravatte,<br />
impilò fogli e giornali. Si rese conto soltanto dopo aver finito che tutto quello sarebbe stato<br />
inghiottito dal fango; avrebbe salvato ciò che gli era più caro e utile. Nei ricor<strong>di</strong> tutto rimane<br />
più giovane e più bello; la vecchia lo avrebbe ringraziato.<br />
Allʼora <strong>di</strong> cena, quasi si <strong>di</strong>menticò <strong>di</strong> farsi da mangiare. A <strong>di</strong>r il vero, non aveva neanche<br />
fame, era troppo agitato. Si scaldò una bistecca ed un poʼ <strong>di</strong> patate, spezzettò il pane<br />
raffermo e ci mangiò insieme qualche dattero confezionato ed una fetta <strong>di</strong> torta che<br />
Alessia aveva comprato recentemente per il compleanno <strong>di</strong>... mah, chi aveva compiuto gli<br />
anni negli ultimi tempi? Novembre, novembre... no, niente da fare. Al S. Pancrazio non<br />
avrebbe dovuto ricordare molto, il che era un bene per il suo Alzheimer galoppante.<br />
E finita la cena davanti alla televisione, non riuscì a capacitarsi <strong>di</strong> aver già mangiato e <strong>di</strong><br />
essere rimasto imbambolato con quel quiz <strong>di</strong>fficilissimo, dal meccanismo strano e<br />
complicato: uno doveva <strong>di</strong>re la risposta sbagliata per fare giusto, in pochi secon<strong>di</strong>, e se<br />
dava la risposta sbagliata,cioè quella giusta, doveva tornare a capo... bah, che roba. La<br />
Ruota era sempre stato il miglior quiz show della storia e nessuno lo avrebbe mai battuto.<br />
Poco male, girò sul TG. Ancora con la piena dei fiumi e le <strong>di</strong>sgrazie varie. Sorrise. La cosa<br />
non lo riguardava più. Non sarebbe morto, sarebbe stato ospitato in quel bellissimo istituto<br />
dove gli anziani non venivano trattati da deficienti, ma da persone, da esseri umani. Lo
schermo ronzò e le immagini si accavallarono le une sulle altre; al S. Pancrazio avrebbe<br />
avuto una televisione seria, mica quellʼastronave che gli avevano comprato Angelo per un<br />
Natale <strong>di</strong> quattro anni prima.<br />
Sciacquò i piatti per lʼultima volta il più velocemente possibile, li asciugò e li rimise al loro<br />
posto, <strong>di</strong> fianco ai piattini da dolce e alle scodelle <strong>di</strong> vetro. Non li avrebbe più usati e<br />
soprattutto lavati. La televisione intanto andava senza che lui ne capisse una sola parola.<br />
Si sentiva in purgatorio. Quellʼattesa lo logorava, non ne poteva più <strong>di</strong> stare in quella casa<br />
piccola e impregnata <strong>di</strong> memorie, che presto sarebbero state cancellate dallʼacqua<br />
inquinata del Po. La storia sarebbe rimasta nella sua mente e lʼavrebbero continuata i suoi<br />
figli e poi le nipoti, comʼera giusto che fosse.<br />
La casa era in or<strong>di</strong>ne, come se non lʼavesse mai toccata nessuno, e la televisione<br />
continuava ad andare. Lʼorologio segnava le nove <strong>di</strong> sera e fuori era buio; una leggera<br />
pioggerella aveva iniziato a bussare ai vetri delle finestre,quasi a rammentargli che il<br />
giorno dopo tutto sarebbe cambiato. Sospirò. Sapeva che se avesse fatto le valigie subito,<br />
certamente si sarebbe <strong>di</strong>menticato qualcosa; le avrebbe fatte la mattina, da fresco e<br />
riposato.<br />
Allora si abbandonò sul <strong>di</strong>vano come era solito fare la sera dopo mangiato, ma quella sera<br />
con uno spirito nuovo. Il giornalista parlava sorridendo con i fogli in mano e sorrideva alla<br />
telecamera, tutto convinto e sicuro. Parlava <strong>di</strong> un omici<strong>di</strong>o, come al solito. Arca<strong>di</strong>o lo<br />
guardava, ma nella sua testa era da tuttʼaltra parte. O<strong>di</strong>ava la televisione, la guardava solo<br />
per <strong>di</strong>strarsi, piuttosto <strong>di</strong> annegare i pensieri nellʼalcol o nel fumo, come tanti <strong>di</strong> tutte le età<br />
facevano. Ed ora pensava a cosa, in effetti, stava andando incontro. Ad un mondo nuovo,<br />
ad un nuovo tempo della sua vita. Era vecchio, ma la vita cambia ogni giorno, ogni ora; in<br />
un secondo lʼuomo può morire, in un secondo possono nascerne cento in ogni parte del<br />
globo. E il giorno dopo, lui sarebbe fuggito dal passato che era destinato alla morte ed<br />
avrebbe trovato riparo in un posto sconosciuto,moderno. Non doveva far altro che<br />
prendere su quattro stracci e se stesso, poi tutto sarebbe cambiato.<br />
Si alzò dal <strong>di</strong>vano. Il nervosismo lo stava rendendo troppo filosofo, il che gli dava fasti<strong>di</strong>o:<br />
pensare aveva fatto bene allʼuomo, ma lo aveva rovinato rispetto agli animali. Ecco, un<br />
altro pensiero da filosofo. Basta, doveva smettere <strong>di</strong> pensare. Su, silenzio! Ecco, così.<br />
Quelle buste non dovevano stare lì, sul mobile. Bisognava metterle in qualche cassetto o<br />
poteva anche buttarle via, non gli sarebbero servite più a nulla. O sì? Al S. Pancrazio<br />
avrebbe potuto spe<strong>di</strong>re lettere? Ma a chi? In fondo, i suoi familiari sarebbero venuti a<br />
trovarlo ogni tanto e allʼinfuori <strong>di</strong> loro non aveva molti a cui riferire della propria salute;<br />
anche perché se tutti gli abitanti <strong>di</strong> Lido Libero se ne sarebbero andati, mica poteva<br />
impazzire per scoprire dove sarebbero stati ospitati per salvare la pelle!<br />
Ecco, <strong>di</strong> nuovo. Dannato cervello. Zitto, per la miseria! Doveva conservare tutto per il<br />
giorno dopo, non poteva sprecarlo in quelle poche ore che avrebbe passato nella sua<br />
casetta <strong>di</strong> Costa Martinello. Era troppo emozionato, e non era un bene per il suo vecchio<br />
cuore <strong>di</strong> paesano. Doveva calmarsi. Una doppia camomilla lo avrebbe abbattuto a dovere.<br />
Quando la bevve, subito si sentì più tranquillo. Doveva solo andare a letto e costringersi a<br />
dormire. La casa era perfetta, tutto era al proprio posto come non lo era da anni; anche<br />
inutilmente, perché alla melma del Po non importava granché dei vasi o dei tesori umani,<br />
anzi, neanche dellʼessere umano. E a lui non doveva importare più della melma del Po,<br />
perché il giorno dopo sarebbe stato altrove.<br />
Lʼattesa lo stava facendo scoppiare. Non ricordava <strong>di</strong> essere mai stato tanto su <strong>di</strong> giri;<br />
forse, ma non era certo, alla nascita dei suoi figli. Oppure quando quel tizio era andato<br />
sulla Luna, nel luglio del 1969... come si chiamava? Astrol... no, ma cominciava con la A...<br />
Am... “Armstrong, Neil!” gli <strong>di</strong>ceva Alessia, ridendo del fatto che il nonno non ricordasse un<br />
nome tanto famoso. Certo che non li ricordava, erano tutti stranieri i nomi importanti! In<br />
Italia, gli unici nomi che valesse la pena <strong>di</strong> ricordare erano Giacomo Puccini, Leonardo Da<br />
Vinci, Andrea Camilleri e Mina. Per il resto, amen.
Con un amen poteva anche finire la sua giornata, a questo punto. Era stufo <strong>di</strong><br />
quellʼagitazione. Per protesta contro se stesso, si mise in pigiama, si lavò i denti e si ficcò<br />
a letto, appallottolandosi il cuscino sotto la testa. Dormi,Arca<strong>di</strong>o; male<strong>di</strong>zione,<br />
addormentati!<br />
Dʼinverno il sole si sveglia tar<strong>di</strong>, forse perché sente lʼetà pure lui e se ne sta a letto qualche<br />
ora in più per scaldarsi le vecchie ossa; ma il buon Arca<strong>di</strong>o, ancor più raggiante del sole, si<br />
svegliò da un sonno agitatissimo verso le cinque e mezza. Fuori, la pianura era immersa<br />
nella nebbia e nel buio, nuvole pesanti oscuravano le stelle. Con un grugnito, andò in<br />
cucina a prepararsi la colazione, un cappuccio con dei biscotti alla panna, rito che durava<br />
da quando aveva a gran<strong>di</strong> linee quattor<strong>di</strong>ci anni, un ragazzino. Il grosso orologio bianco<br />
batteva i secon<strong>di</strong> rumorosamente e i biscotti, frantumati dalla dentiera, producevano quel<br />
fasti<strong>di</strong>oso rimestare nella bocca che gli impe<strong>di</strong>va <strong>di</strong> sentire qualsiasi altro suono esterno.<br />
Bevve lentamente il cappuccio tiepido -mai caldo, che gli scottava la lingua, si irritavano i<br />
pori e non riusciva più a mangiare per due giorni, senza contare che gli si bruciava la gola<br />
ed era costretto a ingurgitare chissà quanti bicchieri <strong>di</strong> acqua fredda-, e decise <strong>di</strong> cedere<br />
alla golosità e dar fondo alla confezione dei biscotti. Sarebbero stati portati via dalla<br />
corrente, uno spreco terribile per i novantanove centesimi che costavano al supermercato.<br />
Così facendo, arrivarono le sei, un orario accettabile in cui molti si alzavano dal letto per<br />
andare a lavoro o, nel caso degli anziani come lui, per abitu<strong>di</strong>ne o per insonnia. Era<br />
venuto il momento <strong>di</strong> compiere il primo passo verso il futuro. Prima <strong>di</strong> farlo, però, lavò la<br />
tazza e la rimise al suo posto assieme alle compagne; i passi importanti si iniziano col<br />
piede giusto, no?<br />
Innanzitutto, si lavò e si vestì con dei capi che decise <strong>di</strong> portare con sé: canottiera della<br />
salute e mutande bianche, calzini neri senza elastico (ferma la circolazione), mocassini<br />
appena lucidati per bene, brache beige con cintura <strong>di</strong> cuoio bella alta e stretta al massimo<br />
possibile, camicia azzurra a maniche corte, golf dal colore indefinito ma quasi nero. Alla<br />
giacca e al cappello ci avrebbe pensato alla fine.<br />
Quin<strong>di</strong> le valigie, queste sconosciute. Doveva prendere il minimo in<strong>di</strong>spensabile, certo, ma<br />
non voleva abbandonare alla piena alcuni beni preziosi. Aprì la borsa che avrebbe tenuto i<br />
vestiti e le piantò addosso gli occhi chiari e miopi.<br />
“Adesso ve<strong>di</strong>amo quanta roba tieni...”<br />
Quanto sarebbe rimasto al S. Pancrazio? Fino alla fine dei suoi giorni (e qui si fece la<br />
toccata apotropaica) o per qualche mese, per qualche anno? Chissà, nessuno poteva<br />
prevederlo. Meglio attrezzarsi prima, dunque, tanto per non arrivare lì e soffrire freddo o<br />
caldo. Brache pesanti e leggere, anche corte; pigiami invernali, anche se preferiva dormire<br />
in mutande e maglietta; polo e camicie con maniche corte e lunghe, ne aveva a iosa; golf,<br />
maglioni e gilet, anche se usava sempre gli stessi e li continuava a lavare fino allʼusura;<br />
intimo, fondamentale. E la borsa dei vestiti era pronta; la chiuse con qualche sforzo, poi la<br />
lasciò allʼingresso. Nel bauletto, invece, andavano gli oggetti che avrebbe portato alla<br />
salvezza. Bella scelta, davvero. Come ogni uomo uscito dalla Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale,<br />
aveva la fissa <strong>di</strong> conservare le cose, i giovani non potevano capire e si a<strong>di</strong>ravano con loro<br />
anziani che faticavano a buttare via nel cestino una scatola, un giornale, un sacchetto <strong>di</strong><br />
plastica. Solo chi ha vissuto quel tempo può capire quanto sia importante, <strong>di</strong>rei sacro,<br />
tenere anche una sciocchezza come una scatoletta <strong>di</strong> latta; si tratta <strong>di</strong> poter trovare un<br />
posto alle monete che sono ovunque, agli avanzi <strong>di</strong> cibo, alle graffette, alle puntine, ai<br />
bottoni, ai chio<strong>di</strong>... tutto può tornare utile; ci sarà un poʼ <strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, va bene, gli oggetti<br />
apparentemente inutili, classificati come spazzatura dalla gioventù, saranno dappertutto,<br />
ma è un sacrificio che si può fare tranquillamente.<br />
Che portare? Tutta la roba accumulata negli anni capì <strong>di</strong> doverla lasciare lì, <strong>di</strong> non poterla<br />
salvare a <strong>di</strong>scapito <strong>di</strong> un ricordo dʼaffetto come le porcellane della sua vecchia. Forse ora<br />
capiva perché i suoi figli si arrabbiavano con lui per quel suo vizio. Sospirò, sentendosi
che ci avrebbe messo più tempo del previsto. Erano già le otto e doveva sbrigare ancora<br />
mille altre faccende prima <strong>di</strong> lasciare Costa Martinello.<br />
Aprì il bauletto e si concentrò sul da farsi. Prese del polistirolo conservato sotto il<br />
lavan<strong>di</strong>no (e Angelo che glielo spaccava <strong>di</strong> nascosto perché <strong>di</strong>ceva che non serviva a<br />
niente) e vi avvolse dentro le più belle delle porcellane della sua vecchia, assieme a Padre<br />
Pio, Giovanni Paolo II, la Madonna <strong>di</strong> Lourdes ed un piccolo rosario dʼargento. La vecchia<br />
Ella sarebbe stata salva.<br />
Di per sé, avrebbe preso anche tutto, ma nel bauletto non cʼera abbastanza spazio. In una<br />
scatola nera, il cui scopo non ricordava, ripose le fotografie più care, scatti dove<br />
apparivano: lui e la Ella da poco sposati; Angelo e Attilio da ragazzini,tali e quali a<br />
comʼerano adesso; foto <strong>di</strong> gruppo nelle varie gite della domenica, con amici e parenti<br />
meno stretti, come suo cugino Gigio e il Pesada, un prozio celeberrimo a Lido Libero, la<br />
cui memoria ancora si mantiene presso coloro che hanno avuto la fortuna <strong>di</strong> incontrarlo;<br />
poi Alessia alle prese con Tobia, un cane da pastore che delle pecore non gli interessava<br />
assolutamente nulla, ma aveva una pre<strong>di</strong>lezione particolare per la bambina; Attilio e le<br />
figliole; lui e il Corso a pesca sul Po; il Magro e la Amelia che <strong>di</strong>scutevano animatamente a<br />
Natale, certamente <strong>di</strong> politica; infine, la famiglia Filimenghi al completo, davanti al<br />
ristorante <strong>di</strong> Filippo, “Il Canovaccio ubriaco”, il migliore dei tre ristoranti a Lido Libero.<br />
Quando richiuse la scatola, non poté nascondere <strong>di</strong> avere gli occhi umi<strong>di</strong>. Quei tempi<br />
erano finiti, non avrebbe più avuto il piacere <strong>di</strong> tenere fra le mani fotografie così belle e<br />
significative. Forse, quando il pericolo sarebbe passato, ne avrebbero scattate delle altre,<br />
<strong>di</strong> valore altrettanto forte. Per ora, il cuore <strong>di</strong> ogni membro della famiglia sarebbe stato un<br />
album perfetto.<br />
Che altro portare? Beh, il coltellino svizzero poteva tornare utile... meglio prenderlo per<br />
sicurezza. E per passare il tempo? Bella domanda. Solitamente, la sua giornata era<br />
scan<strong>di</strong>ta dalle faccende domestiche, dal vero e proprio restauro <strong>di</strong> oggetti, dai programmi<br />
televisivi, dalle passeggiate, dalle chiacchierate con i compagni, dai pomeriggi con le<br />
nipoti. E là che cosa avrebbe fatto? Di spazio ne avrebbe avuto per passeggiare,ma non<br />
avrebbe potuto farlo tutti i giorni, col freddo e la pioggia che cʼerano; sicuramente avrebbe<br />
conosciuto qualcuno, ma avrebbe avuto dei momenti <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne, e la televisione forse<br />
non ce lʼaveva in camera. Non gli piaceva leggere, non gli era mai piaciuto e non sarebbe<br />
mai e poi mai <strong>di</strong>ventato un assiduo lettore, ma si vide costretto a dover salvare qualche<br />
libro. Gli era sempre sembrata una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tempo, una cosa troppo astratta per uno che<br />
aveva visto i suoi tempi; ed o<strong>di</strong>ava gli intellettualoi<strong>di</strong> con gli occhiali che parlavano senza<br />
accento <strong>di</strong> nomi stranieri con parole strane che finivano in -ismo e -logia. Quale libro aveva<br />
un minimo valore <strong>di</strong>etro quella vetrina? In alto, separata da tutti gli altri tomi, una<br />
monumentale Divina Comme<strong>di</strong>a illustrata da un tizio famoso, francese... Gustavo Chissàche...<br />
E Anna “Cazzo, nonno: Gustave Dorè!”. Sì, lui. Ecco, quello era un gran bel libro,<br />
unʼopera dʼarte fra miniatura e letteratura, avrebbe osato <strong>di</strong>re. Ma mica aveva voglia <strong>di</strong><br />
leggersi Dante! Non ci capiva niente <strong>di</strong> quella sua lingua raffinata e toscana, con qualche<br />
parolona arcaica tanto per alzare il tono del <strong>di</strong>scorso; e poi cʼerano troppi nomi, troppe<br />
storie... non succedeva altro che Dante parlava con unʼanima e poi sveniva, sempre. E<br />
Virgilio prima a guidarlo, poi la sua ragazza morta... lo avrebbe lasciato alle nipoti, proprio<br />
per non darlo al Po, ma non si sarebbe mai sognato <strong>di</strong> portarselo appresso. Lo tirò fuori<br />
dalla vetrina e lo mise sul tavolo per ricordarsi <strong>di</strong> prenderlo su. Allora, che <strong>di</strong>amine avrebbe<br />
potuto leggere? Passò tutti i titoli con un <strong>di</strong>to, strabuzzando gli occhi. Erano tutti libri<br />
rilegati con copertina blu e filigrana dorata, opere della letteratura italiana e non solo che,<br />
quando erano stati piccini i suoi figli e poi le nipoti, avevano combattuto la noia dei<br />
pomeriggi invernali. Forse, avrebbe potuto <strong>di</strong>re alle ragazze <strong>di</strong> prenderli su e tenerseli a<br />
casa, sarebbe stato un peccato perderli così. Quin<strong>di</strong> li riesumò tutti, togliendo anche un<br />
pesante strato <strong>di</strong> polvere da ciascuno, e li posò sul tavolo accanto a Dante. Ma si arrivava<br />
allo stesso problema: cosa portare al S. Pancrazio? Guardò fra i titoli rimasti, sgualciti dal
tempo, le copertine quasi illeggibili. Lesse Metello <strong>di</strong> Vasco Pratolini, Gli In<strong>di</strong>fferenti <strong>di</strong><br />
Alberto Moravia, Il nome della rosa <strong>di</strong> Umberto Eco, Il vecchio e il mare <strong>di</strong> Ernest... e un<br />
cognome un poʼ <strong>di</strong>fficile, con la h... e La coscienza <strong>di</strong> Zeno <strong>di</strong> Italo Svevo. Di quei cinque<br />
ricordava vagamente Moravia, che non gli era <strong>di</strong>spiaciuto anche se era un tantino<br />
deprimente; e neanche Svevo era gramo, anzi, a rammentare, quel Zeno... Cosini, ecco<br />
come si chiamava, gli era stato davvero simpatico. Ecco gli eletti da portare alla salvezza;<br />
essi, assieme ai classici blu, non avrebbero incontrato la condanna dellʼalluvione. Per gli<br />
altri... beh, ci avrebbe pensato qualcun altro a salvare la cultura, Arca<strong>di</strong>o Filimenghi si<br />
toglieva dallʼincarico.<br />
Il bauletto si chiudeva, ma cʼera ancora un poʼ <strong>di</strong> spazio, proprio per abbondare. Cosa<br />
voleva portare in extremis? Altri libri no, non gliene fregava niente. Fotografie... no, dai, le<br />
più belle erano già nella scatola. Ah, che stupido! Corse in bagno, per quel che significava<br />
per lui correre, ed aprì frettolosamente lʼanta dellʼarma<strong>di</strong>etto: il suo kit per rasarsi in legno<br />
e acciaio inossidabile era sacro; non lo aveva mai usato ed era sempre rimasto <strong>di</strong>etro<br />
quellʼanta cigolante, ma gli era sempre piaciuto. Quello era da tenere assolutamente,<br />
proprio per far scena. Poi una videocassetta dei Tre Tenori alle Terme <strong>di</strong> Caracalla, un<br />
concerto memorabile, e il bauletto era pieno.<br />
Erano le <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> mattina e le valigie erano pronte. La preparazione tuttavia non era ancora<br />
finita. Costa Martinello non poteva essere lasciata così vigliaccamente. Prima <strong>di</strong> uscire per<br />
lʼultimo giro, chiamò Attilio per sapere a che ora sarebbe venuto a prenderlo. Alle tre <strong>di</strong><br />
pomeriggio, circa. Benissimo, allora aveva tempo a sufficienza.<br />
Si imbacuccò contro quel gelo ed uscì, ansioso <strong>di</strong> fare mille cose e <strong>di</strong>re mille parole per<br />
salutare il suo mondo. Primo saluto da fare, obbligatorio, al Corso e alla Marie.<br />
Nellʼandare, avrebbe potuto sfruttare la strada per dare unʼultima occhiata ad alcuni angoli<br />
che non avrebbe più visto. Per primo,incontrò Filippo seduto sui gra<strong>di</strong>ni della chiesa, con<br />
un maglione <strong>di</strong> lana ed una cuffia nera, che fumava placidamente. Questo era il figlio del<br />
Filippo che appariva nella fotografia, anche se erano identici, solo con trentʼanni <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>fferenza; infatti i due si <strong>di</strong>stinguevano come Filippo Padre e Filippo Figlio, un poʼ<br />
<strong>di</strong>sorientante per chi non era abituato alla vita del paese e soprattutto della frazione.<br />
Filippo Figlio lo guardò con un sorriso; era un bellʼuomo <strong>di</strong> quasi quarantʼanni ed era<br />
sposato alla donna più bella <strong>di</strong> Costa Martinello, la Giulia, figlia a sua volta <strong>di</strong> una<br />
leggenda vivente del calibro della Mariella, quella che contendeva alla Teresina la fama<br />
dei pisarei più buoni della zona fino a Cremona.<br />
“Oh, Arca<strong>di</strong>o! Cosa ci fai in giro con questo freddo?”<br />
“E tu cosa ci fai seduto lì? Pren<strong>di</strong> freddo pure tu... e perché ti vedo sempre con una<br />
sigaretta in bocca? Sei ancora giovane, non farti del male...”<br />
“Lo so, Arca<strong>di</strong>o, anche mio padre continua a <strong>di</strong>rmelo. Non ci posso fare niente. La Giulia<br />
<strong>di</strong>ce che non mi vuole più in camera da letto perché mi puzza lʼalito.”<br />
“Brava ragazza, quella”.<br />
Arca<strong>di</strong>o si scaldò le mani nei guanti <strong>di</strong> pelle strofinandoli dentro le tasche, inutilmente.<br />
Filippo figlio, invece, non pareva avere molto freddo.<br />
“Allora, cosa ci fai in giro a questʼora?”<br />
“ Saluto Costa. Oggi pomeriggio me ne vado”<br />
“E dove vai?”<br />
“In un posto che si chiama S. Pancrazio: mi danno da mangiare, cʼè bel caldo, se sto male<br />
mi curano ed è lontano dal Po.”<br />
“Bravo. Dicono che la fine arriverà questa sera. Ma io non ce la faccio a lasciarlo ora.<br />
Guarda quantʼè bello, qui. Cʼè così silenzio...”<br />
La voce <strong>di</strong> Filippo Figlio si incrinò leggermente, e non era né per il fumo né per un attacco<br />
<strong>di</strong> tosse dovuto al freddo.<br />
“E dove andrete?”
“Io e la Giulia an<strong>di</strong>amo a Verona, da sua sorella. Mio papà, la Mariella e suo marito invece<br />
vanno a Mantova, ci hanno un amico che ha una seconda casa e li può ospitare per tanto<br />
tempo. E Angelo e Attilio, con le tre ragazze?”<br />
“Non ho capito, ma sono al sicuro; oggi mi portano al S. Pancrazio, poi loro vanno”<br />
“Beh, allora buona fortuna a tutti i Filimenghi”<br />
Si alzò e gli strinse la mano. Arca<strong>di</strong>o notò che aveva gli occhi leggermente rossi.<br />
“Salutami tutti, soprattutto tuo padre. Ciao”<br />
Questa era la fine de “Il Canovaccio ubriaco”. Arca<strong>di</strong>o sospirò ricordando le cene e i pranzi<br />
<strong>di</strong> quel meraviglioso ristorante e della gente,degli amici che vi erano andati ed avevano<br />
riso, con<strong>di</strong>viso dolori e momenti bellissimi. Forse, dopo la piena, avrebbero potuto<br />
costruirne uno uguale da unʼaltra parte.<br />
La nebbia era sparita, ma una leggera pioggia cominciava a scendere. Il Po gorgogliava e<br />
la corrente trascinava tronchi e ruderi vari; tra breve, si sarebbe insinuato nelle case,<br />
conquistando lʼintera pianura. In fondo, per quanto piatta e spenta fosse, la pianura era<br />
bella, era il suo mondo e <strong>di</strong> molti altri che lʼavevano vista in mano ai soldati, agli immigrati,<br />
al nulla ed ora al fiume che, comunque, ne era sempre stato il legittimo proprietario.<br />
Arrivò a casa del Corso; erano le <strong>di</strong>eci e mezza, forse un poʼ <strong>di</strong> più, lui e la Marie<br />
dovevano essere ancora lì. Bussò forte, perché come lui non ci sentivano proprio<br />
benissimo, ed attese. Gli venne ad aprire la Marie, curiosamente vestita da città, con un<br />
vestito scuro, una fine catenina al collo e i capelli raccolti.<br />
“Arrca<strong>di</strong>o! Che bella sorrprresa! Vieni dentrro,perrfavorre!”<br />
Arca<strong>di</strong>o ubbidì, si tolse la giacca e il cappello e li lasciò sullʼappen<strong>di</strong>abiti.<br />
“Perché sei così elegante, Marie? Dove devi andare?”<br />
“Vieni in cucina e te lo <strong>di</strong>co subito” fece lei, zampettando davanti al visitatore “Ehi tu, cʼè<br />
Arrca<strong>di</strong>o!”<br />
Arca<strong>di</strong>o seguì la donna in cucina. Il Corso sedeva a tavola con una tazza <strong>di</strong> tè e limone e<br />
qualche biscotto <strong>di</strong> contorno. Anche lui era vestito bene, con gli abiti da città; e così messo<br />
sembrava meno malato. Aveva uno sguardo triste, assorto.<br />
“Ohi là, Arrca<strong>di</strong>o! Che bello vederrti... tutto bene?”<br />
Lʼaltro si sedette, mentre la Marie gli serviva lʼultima fetta <strong>di</strong> una torta para<strong>di</strong>so lasciata sul<br />
davanzale della finestra. Ringraziò e si rivolse allʼamico.<br />
“Io bene, grazie... ma voi? Come mai così in ghingheri? E quel muso lungo? Che è<br />
successo?”<br />
Ci arrivò due secon<strong>di</strong> dopo. Il Po.<br />
Il Corso mescolò il tè svogliatamente, senza guardare Arca<strong>di</strong>o. Tirò un lungo e sofferente<br />
sospiro. La Marie, più forte del marito, gli mise una mano sulla spalla e gli tolse il limone<br />
dalla tazza.<br />
“An<strong>di</strong>amo via da qui, come tutti, penso. Il fiume andrrà in piena staserra e il paese è<br />
evacuato; trra poco arriverranno i militarri e ci manderranno via.”<br />
“E voi?”<br />
“Abbiamo lʼaerreo alle cinque <strong>di</strong> questo pomerriggio, da Linate. Torrniamo in Frrancia, a<br />
Parrigi.”<br />
“E non siete contenti? Caspita, è Parigi! Voi comunque siete francesi... beh, tu non<br />
proprio... ma è la Francia!”<br />
La Marie sorrise dolcemente e rispose per il marito.<br />
“Cerrto sono tanti anni che non an<strong>di</strong>amo via da qui, ma orrmai erra questo paese la<br />
nostrra Frrancia. Andando via, an<strong>di</strong>amo in un posto che non conosciamo, via dalla nostrra<br />
casa, dai nostrri amici, dalla nostrra terra.”<br />
Arca<strong>di</strong>o non sʼera mai chiesto prima dʼora come il Corso e la Marie vivessero il fatto <strong>di</strong> non<br />
essere italiani. Evidentemente, lʼItalia era la loro vera casa e della Francia non avevano<br />
ricor<strong>di</strong> né amici o parenti da cui tornare.<br />
“E avete una casa, a Parigi?”
“Sì, “ rispose flebilmente il Corso “la casa dove lei è nata”<br />
La Marie non parve gra<strong>di</strong>re quellʼappunto e passò ad altro<br />
“Invece tu dove andrrai?”<br />
Arca<strong>di</strong>o fu ben felice che glielo avesse chiesto, visto che la sua era una situazione meno<br />
triste.<br />
“Vado al S. Pancrazio, un posto nuovo dove ci sono me<strong>di</strong>ci che ti curano ma non ti<br />
obbligano a prendere me<strong>di</strong>cine se non devi e non vuoi, non è un ospizio, costa poco, ti<br />
danno a mangiare ed è al sicuro.”<br />
La Marie e il Corso si guardarono, ma Arca<strong>di</strong>o non comprese che cosa si fossero detti in<br />
quellʼocchiata.<br />
“Sono contento perr te,Arrca<strong>di</strong>o. Sperro che ti trrovi bene lì.”<br />
“A che ora andate?”<br />
“Crredo trra poco. Sai, con questa pioggia e tutto il rresto, le strrade non sono sicurre e ci<br />
metti una vita ad andarre allʼaerreoporrto...”<br />
“Capisco...”<br />
Arca<strong>di</strong>o si alzò. Era strano dover salutare il suo migliore amico sapendo che forse gli<br />
eventi li avrebbero <strong>di</strong>visi per sempre. Anche il Corso era un poʼ a <strong>di</strong>sagio. La Marie si<br />
soffiava il naso.<br />
“Allora... ci sentiamo...”<br />
“Beh... il telefono costa tantissimo... ci possiamo scambiarre letterre...”<br />
“Ti faccio dare il mio in<strong>di</strong>rizzo da Attilio o da Angelo, prima che pren<strong>di</strong>ate lʼaereo. Col<br />
telefonino...”<br />
La coppia era infatti un pro<strong>di</strong>gio con il cellulare, nonostante lʼetà, i messaggi non li<br />
spaventavano minimamente.<br />
Il Corso prese la mano ad Arca<strong>di</strong>o e gliela strinse con quel poco <strong>di</strong> forza che aveva. E<br />
sorrisero. La vecchiaia e la lontananza non erano degli ostacoli così forti da non poter<br />
essere superati; non lo era neanche la morte.<br />
La Marie, però, da brava donna, era più sentimentale e si commuoveva con più facilità.<br />
“Perr favorre,Arrca<strong>di</strong>o, puoi tenerre questo?”<br />
Arca<strong>di</strong>o si trovò fra le mani una piccola riproduzione de LʼAssenzio <strong>di</strong> Renoir, il quadro<br />
preferito dei due. Si trovò davvero imbarazzato <strong>di</strong> essere custode <strong>di</strong> tale cimelio.<br />
“SantʼId<strong>di</strong>o, sono onorato... grazie...”<br />
Se lo infilò nella giacca per evitare che prendesse freddo e pioggia, poi alla soglia guardò<br />
dentro per lʼultima volta. Il Corso e la Marie stavano in cucina, lʼuno seduto e lʼaltra in<br />
pie<strong>di</strong>, <strong>di</strong> fianco. Lo guardavano, con un sorriso che negava ogni speranza per quanto<br />
fingesse <strong>di</strong> darla. Avevano paura, e Arca<strong>di</strong>o non capiva <strong>di</strong> che cosa.<br />
Il suo momento <strong>di</strong> andarsene si stava avvicinando. Non voleva più salutare nessuno o<br />
niente, voleva tornare a casa, mettere al riparo il quadro e aspettare i suoi figli. Non<br />
voleva più stare in quel paese, gli cominciava a instillare ansia. Al S. Pancrazio tutto<br />
sarebbe stato a posto. Era solo questione <strong>di</strong> attesa e quella sera, mentre il Po conquistava<br />
la pianura, lui avrebbe dormito su un letto pulito e asciutto. Sul <strong>di</strong>vano, in silenzio, con la<br />
televisione a basso volume su un canale insulso, sonnecchiò, ad<strong>di</strong>rittura con il cappello e<br />
la giacca sulle ginocchia,per farsi vedere già pronto e scattante. Il bauletto e la borsa<br />
erano accanto alla porta, i libri sul tavolo. E il Po aspettava che lui se ne andasse.<br />
Quando il citofono suonò, Arca<strong>di</strong>o ebbe un sussulto. Ecco, lʼattimo era giunto e lui stava<br />
dormendo; era un vero campione nel perdere le buone occasioni. Corse a rispondere,<br />
male<strong>di</strong>sse lʼaggeggio che non andava e aprì la porta con un sorrisone fin inquietante.<br />
Angelo, Attilio, Alessia, Anna e Amelia lo salutarono ed entrarono a controllare che il<br />
vecchio non avesse <strong>di</strong>menticato nulla. Infatti, ecco subito Alessia, quella grande,<br />
domandare<br />
“Nonno, ma questi libri?”
Arca<strong>di</strong>o la raggiunse e le <strong>di</strong>ede tutta la pila con un certo sforzo, perché erano anche<br />
pesanti.<br />
“Vorrei che li teneste voi. Io non li voglio e non meritano <strong>di</strong> star qui. A casa vostra staranno<br />
benissimo”<br />
Alessia sorrise e guardò le sorelle, che subito ringraziarono il nonno <strong>di</strong> quel preziosissimo<br />
dono; con quei libri avevano passato lʼinfanzia, quello era un passaggio <strong>di</strong> testimone che<br />
la tra<strong>di</strong>zione andasse avanti e quei libri venissero letti ad altre generazioni.<br />
Angelo e Attilio, nel frattempo, presero le due borse e li caricarono in una macchina. Erano<br />
venuti tutti e cinque con la macchina <strong>di</strong> Attilio e quella <strong>di</strong> Angelo; lʼorganizzazione adesso<br />
prevedeva tre da una parte e tre dallʼaltra. La strada non era lunghissima da fare, ma la<br />
pioggia, i blocchi dei soldati e della polizia e il traffico degli evacuati avrebbero raddoppiato<br />
il tempo <strong>di</strong> andata.<br />
Arca<strong>di</strong>o chiuse le imposte delle finestre, chiuse tutte le porte <strong>di</strong> tutte le stanze ed infine<br />
chiuse la porta dʼingresso. La porta si chiuse con un tonfo. Arca<strong>di</strong>o infilò nella toppa la<br />
chiave, la girò e poi la tirò fuori. Era tutto inutile, ma i suoi lo lasciarono fare non senza un<br />
poʼ <strong>di</strong> commozione, perché quella casa era anche loro. La casa sullʼargine del Po.<br />
Con un sospiro, Arca<strong>di</strong>o soppesò il mazzo, poi lo consegnò ad Angelo.<br />
“Mi raccomando, non perdetelo”<br />
Angelo se lo infilò in una tasca dei pantaloni, mostrandogli che era al sicuro. Senza<br />
parlare salirono nelle macchine: Angelo, Attilio e Arca<strong>di</strong>o su una, sullʼaltra Alessia,Amelia e<br />
Anna.<br />
Gli uomini davanti e le ragazze <strong>di</strong>etro, mentre la pioggia batteva sui finestrini e il Po<br />
gorgogliava affamato, tutti salutarono la vecchia casa. Costa Martinello, frazione<br />
minuscola <strong>di</strong> Lido Libero, che la morte ti sia indolore, perché la nostra più grande<br />
sofferenza sarebbe sapere che tu hai sofferto nellʼandartene via; vecchio Po, fiume<br />
rabbioso, dalle acque dense e nere, abbi pietà <strong>di</strong> questa casa e <strong>di</strong> questo piccolo nucleo <strong>di</strong><br />
povera gente che emigrerà chissà dove; cara pioggia, non confonderti subito nelle lacrime,<br />
lascia loro il tempo <strong>di</strong> scorrere sulle guance <strong>di</strong> questi poveretti che se ne vanno, dà loro il<br />
<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> piangere; ricor<strong>di</strong>amoci tutti <strong>di</strong> questo ad<strong>di</strong>o, lʼad<strong>di</strong>o al nostro passato, alla nostra<br />
terra e alla nostra amata madre, che sia foriero <strong>di</strong> speranza per un futuro migliore, che sia<br />
lʼinizio <strong>di</strong> un mondo nuovo.<br />
Lʼarrivo fu relativamente puntuale e in quella zona si affacciava un sole timido, troppo<br />
vergognoso per scaldare. I Filimenghi scesero dalle auto un poʼ tristi, ma sollevati <strong>di</strong><br />
essere salvi. Arca<strong>di</strong>o guardò il S. Pancrazio con un sorriso, lʼe<strong>di</strong>ficio bianchissimo e lʼerba<br />
innaturalmente verde, proprio come nella fotografia.<br />
“Beh, non è male” commentò Amelia, guardandosi attorno. Alessia e Anna, invece, non<br />
erano tanto convinte. Dicevano che trecento euro erano troppo pochi, che quel posto era<br />
troppo lontano da qualsiasi città nei <strong>di</strong>ntorni, che cʼera unʼaria strana. Gli altri invece erano<br />
pienamente sod<strong>di</strong>sfatti; quando si vive nel male, si tende a vedere il male ovunque.<br />
Angelo e Attilio presero le borse e guidarono il gruppo allʼingresso, sperando <strong>di</strong> ritrovare la<br />
signorina Assunta. Come non detto, eccola sbucare dalla sua postazione con un sorriso<br />
meraviglioso.<br />
“Il signor Filimenghi! Buongiorno a tutti, buongiorno... avete fatto buon viaggio? Quante<br />
cose ha portato, signor Arca<strong>di</strong>o... vuole che la sistemiamo imme<strong>di</strong>atamente? Signori,volete<br />
restare fino a cena? Purtroppo, non possiamo dare da mangiare anche ai visitatori, ma<br />
potete restare...”<br />
I familiari si guardarono.<br />
“Hai piacere che restiamo?” chiese Alessia, a nome <strong>di</strong> tutti.<br />
Arca<strong>di</strong>o si avvicinò le borse ai pie<strong>di</strong>.<br />
“No, tranquilli. Starò benissimo.”
Si abbracciarono e qui scappò la commozione alle nipotine, come normale. Arca<strong>di</strong>o le<br />
sollevò <strong>di</strong>cendo loro che avrebbero potuto venire a trovarlo quando avessero voluto, o<br />
meglio potuto. Avrebbero potuto anche telefonare, non era un problema; o persino<br />
mandare lettere o cartoline da dove erano rifugiati. Arca<strong>di</strong>o si sentiva al settimo cielo <strong>di</strong><br />
stare lì, non vedeva perché la famiglia dovesse essere così triste. Dopo i saluti, se ne<br />
andarono, lentamente, le nipoti ancora piangendo. Ma la cosa che più colpì il buon<br />
Arca<strong>di</strong>o, fu che, appena prima <strong>di</strong> oltrepassare la soglia, Anna si voltò con uno scatto<br />
scosse la testa e con le labbra sussurrò un forte NO.<br />
Arca<strong>di</strong>o, una volta salutati tutti i familiari, prese le borse e guardò la signorina Assunta con<br />
espressione interrogativa. Lei sorrideva, come se le avessero gelato le labbra, mettendo in<br />
mostra i denti perfetti e bianchissimi. Tutto quel candore cominciava a metterlo a <strong>di</strong>sagio.<br />
“Allora, signor Filimenghi, vuole che le faccia vedere la sua camera? Mi <strong>di</strong>a pure quella<br />
borsa pesante, la tengo io... “<br />
Lʼe<strong>di</strong>ficio, comprese il nostro eroe, era così strutturato: al piano terra vi erano gli uffici, la<br />
mensa e gli stu<strong>di</strong> dei vari dottori e psicologi; dal primo piano in su, invece, erano tutti locali<br />
de<strong>di</strong>cati agli ospiti, ovvero le camere da letto con i bagni annessi. Notò inoltre che non vi<br />
erano tante attenzione per i <strong>di</strong>sabili, come le pedane per le se<strong>di</strong>e a rotelle o le aste<br />
attaccate ai muri per gli infermi; come se queste classi non ci fossero nel reparto e non<br />
bisognasse sprecare sol<strong>di</strong> per simili cortesie.<br />
Almeno, cʼerano gli ascensori. Arca<strong>di</strong>o non ne aveva quasi mai preso uno in vita sua e<br />
lʼidea <strong>di</strong> essere portato su dentro quello scatolotto <strong>di</strong> metallo non gli piaceva<br />
particolarmente; ma era spazioso e ben illuminato, e il fiato non gli mancò se non quando<br />
arrivarono al piano, perché il colpo lo fece sussultare.<br />
“Venga,la sua camera è <strong>di</strong> qua”<br />
La signorina Assunta estrasse da una tasca del camice una chiave piccola e misera e<br />
portò Arca<strong>di</strong>o attraverso un corridoio silenzioso e tutto bianco, come del resto il reparto<br />
intero.<br />
“Scusi, ma perché cʼè così silenzio?”<br />
“Perché la maggior parte degli ospiti fa il riposino del pomeriggio, dopo pranzo. Vedrà, la<br />
vita torna verso le quattro e mezzo... lei non riposa mai?”<br />
“Certo, ma non mʼaspettavo mica questo mortorio...”<br />
Si fermarono <strong>di</strong>nanzi ad una porta alta e stretta, la penultima del corridoio. La signorina<br />
girò la chiave nella toppa ed aprì, introducendo Arca<strong>di</strong>o come se fossero in un hotel a<br />
cinque stelle.<br />
“Eccoci qui... non le sembra carino? Di giorno cʼè la luce del sole, se le dà fasti<strong>di</strong>o chiude<br />
le tende e le tapparelle, <strong>di</strong> notte pure e se ha freddo può accendere il riscaldamento qui,<br />
guar<strong>di</strong>...”<br />
Gli fece vedere tremila cose al secondo e Arca<strong>di</strong>o le perse tutte. Pazienza, non avrebbe<br />
usato né il termosifone né lo scaldabagno, non era necessario; quandʼera bambino mica<br />
cʼerano ed era vissuto tranquillamente anche senza. Diavolerie moderne.<br />
Però cʼera una televisione, piccola e nascosta in un angolino sperduto, e non sembrava<br />
così <strong>di</strong>fficile: il tasto grigio per accendere e spegnere, i tasti con i numeri per cambiare<br />
canale. Beh, identica a quella che aveva lasciato a casa. Almeno, non era costretto a<br />
leggere quel che si era portato appresso.<br />
La stanza era molto carina, frugale ma allo stesso tempo piena <strong>di</strong> buon gusto. E non era<br />
tutta bianca, il che gli fece tirare un sospiro <strong>di</strong> sollievo. Occupavano tutto lo spazio,<br />
delimitato da massicce pareti color panna, un letto singolo col la coperta verde, al cui<br />
fianco vi erano due como<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> legno, ed un grosso arma<strong>di</strong>o, anchʼesso <strong>di</strong> legno,<br />
mantenuto nel suo colore naturale. Per quanto riguarda il bagno, a cui si accedeva per<br />
una porta accanto allʼarma<strong>di</strong>o, consisteva in qualche metro quadro azzurro e bianco,<br />
affollato da gabinetto, bidet, lavan<strong>di</strong>no e doccia con tenda <strong>di</strong> plastica. Semplice semplice,<br />
insomma. Ma Arca<strong>di</strong>o non pretendeva molto e tutto ciò gli calzava a pennello, non era una
persona esigente. Quando la signorina se ne fu andata, cominciò lentamente a <strong>di</strong>sfare le<br />
valigie e a dare un tocco suo alla camera che sarebbe stata la sua casa per un tempo<br />
indeterminato. Prima toccò ai vestiti, che piegò ed or<strong>di</strong>nò nellʼarma<strong>di</strong>o allo stesso modo in<br />
cui erano stati nellʼarma<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Costa Martinello, senza riempire nemmeno tutto lo spazio.<br />
Poi passò agli oggetti, cercando <strong>di</strong> avere un poʼ <strong>di</strong> inventiva, o perlomeno più del solito,<br />
ossia ben poca: sistemò i libri su una scrivania che stava sotto la grossa finestra, accanto<br />
la scatola delle fotografie. Le porcellane trovarono posto sui como<strong>di</strong>ni, mentre il kit per<br />
radersi venne esposto sulla prima mensola davanti allo specchio; il quadro del Corso e<br />
della Marie, in mancanza <strong>di</strong> chio<strong>di</strong> e martello, dovette accontentarsi invece <strong>di</strong> essere<br />
appoggiato semplicemente a terra,contro il muro. Infine, il coltellino svizzero poteva servire<br />
in ogni caso, e decise <strong>di</strong> portarlo sempre con sé, nonché <strong>di</strong> dormire con quello sotto il<br />
cuscino.<br />
Non fece in tempo a finire <strong>di</strong> sistemare e fermarsi per riflettere sulla propria situazione,<br />
quando qualcuno bussò alla porta. Arca<strong>di</strong>o <strong>di</strong>ede unʼocchiata allʼorologio appeso al muro.<br />
Erano le quattro, più o meno. La vita stava tornando, al S. Pancrazio.<br />
Quando aprì, si trovò davanti un vecchietto gracile e come rannicchiato, quasi avesse tutte<br />
le ossa curve, con i pie<strong>di</strong> fasciati, un lungo maglione marrone e una testa sproporzionata,<br />
o forse semplicemente rasata a zero. Aveva la barba folta e bianchissima, occhiali da vista<br />
leggeri sul naso adunco e occhi piccoli e cerulei.<br />
“Salve” esordì con voce rauca e affannata, muovendo la testa mentre parlava “tu sei il<br />
nuovo arrivato?” respirò pesantemente ed allungò una mano, dato che lʼaltra lo teneva in<br />
pie<strong>di</strong> grazie ad un bastone “Io mi chiamo Gaspare Freticelli e sto nella camera <strong>di</strong> fianco”<br />
Arca<strong>di</strong>o si irritò per vari motivi: <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>sturbato al suo tanto agognato arrivo; <strong>di</strong> essere<br />
già un tu, quando la buona educazione impone un iniziale <strong>di</strong>stacco; <strong>di</strong> stringere una mano<br />
tanto fragile che parve scricchiolare contro la sua.<br />
“Arca<strong>di</strong>o Filimenghi,<strong>di</strong> Costa Martinello,frazione <strong>di</strong> Lido Libero, piacere”<br />
E quel curioso tizio fece subito una cosa strana. Da una larga tasca del maglione tirò fuori<br />
un quadernino ed una biro e si mise a scrivere. Ecco, appena arrivato e già gli si accollava<br />
un pazzo. Arca<strong>di</strong>o si sporse, ma non aveva più gli occhi <strong>di</strong> lince <strong>di</strong> un tempo, e dovette<br />
domandargli che cosa stesse facendo.<br />
“Sto scrivendo quello che sto facendo.” spiegò quello, calcando con la biro sul foglio “É da<br />
ventʼanni che lo faccio e ormai sono abituato. Me lo chiese il mio dottore, per evitare <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>menticarmi le cose”<br />
Quando ebbe finito, lo consegnò ad Arca<strong>di</strong>o. In una scrittura straor<strong>di</strong>nariamente chiara e<br />
precisa, Gaspare scriveva ogni cosa succedesse, con tanto <strong>di</strong> ora e luogo.<br />
“ORE 6: 45 Mi alzo, mi metto un maglione marrone, pantaloni neri e le ciabatte <strong>di</strong> cuoio<br />
perché ho i pie<strong>di</strong> fasciati e mi fanno male. Mi lavo la faccia.<br />
ORE 8:00 Scendo a fare colazione. Bevo il caffè dʼorzo con una brioche alla marmellata<br />
<strong>di</strong> frutti <strong>di</strong> bosco, tre fette biscottate con il burro e il succo <strong>di</strong> pera. Sono al tavolo con<br />
Luciana. Ha mal <strong>di</strong> gola, così non parliamo.<br />
ORE 9:30 Faccio una passeggiata in giar<strong>di</strong>no, ma torno dentro quasi subito perché fa<br />
troppo freddo e cʼè la nebbia. Gioco a scarabeo con Ivo, Luciana ed Ersilia. Vince Ersilia.<br />
ORE 12:00 Pranzo con Ersilia e Ivo. Mangio gli gnocchi al pomodoro, una bistecca con le<br />
patate e una fetta <strong>di</strong> torta al limone. Ivo parla degli immigrati e <strong>di</strong>ce che vorrebbe bruciare<br />
tutto Montecitorio.<br />
ORE 13:00 Sono in camera.<br />
ORE 16:10 Busso alla porta <strong>di</strong> fianco. Mi apre un uomo alto e grosso che si chiama<br />
Arca<strong>di</strong>o Filimenghi e viene da Costa Martinello, frazione <strong>di</strong> Lido Libero.”<br />
Questa era stata la giornata <strong>di</strong> Gaspare Freticelli, e lui probabilmente non se nʼera reso<br />
conto. Arca<strong>di</strong>o pensò che, se fosse stato nei suoi panni, avrebbe chiesto <strong>di</strong> sparargli un<br />
colpo alla nuca. E parlargli, ora che sapeva del suo problema, era piuttosto imbarazzante.<br />
“Da quanto sei qui?”
Domanda cretina: come faceva a ricordarselo! Non ricordava neanche cosa aveva fatto<br />
due ore prima, figurarsi se gli avrebbe risposto ad una domanda <strong>di</strong> pura memoria! Infatti,<br />
gli sorrise abbattuto.<br />
“Non lo so... devo andare a vedere nel quaderno dove cʼè quel giorno. E tu, quando sei<br />
arrivato?”<br />
“Quasi unʼora fa, a gran<strong>di</strong> linee”<br />
Gaspare annuì, ancora con quel sorriso tenero, ma <strong>di</strong> uno che non capisce molto <strong>di</strong> quel<br />
che gli accade intorno.<br />
Nel frattempo, il S. Pancrazio si era fatto più rumoroso, come aveva detto la signorina<br />
Assunta. Molti ospiti uscirono dalle stanze per vedersi e chiacchierare in quello che era il<br />
centro della vita sociale del reparto, ossia il salotto, nonché sala dʼattesa e stanza della<br />
televisione. Lì vi erano parecchie poltrone e se<strong>di</strong>e <strong>di</strong> metallo, tavoli ed una grossa<br />
televisione per tutti. Una portafinestra illuminava tutto quanto e serviva pure per i fumatori,<br />
che in tal modo non infasti<strong>di</strong>vano i compagni. Arca<strong>di</strong>o seguì lentamente Gaspare,<br />
tenendogli il braccio non occupato per innato timore che gli potesse schiattare da un<br />
momento allʼaltro, ed insieme, dopo un interminabile attraversata dei corridoi, giunsero al<br />
salotto, già gremito <strong>di</strong> vecchietti che ridevano, giocavano a scala,a briscola o a scopa,<br />
guardavano la televisione commentando ad altissima voce, coprendo le parole del<br />
presentatore del programma, o più che altro il giornalista, o fumavano alla finestra in<br />
silenzio.<br />
Arca<strong>di</strong>o non era mai stato abituato a giocare a carte al bar, bevendoci su qualcosa; le<br />
partite, per lui, erano legate esclusivamente alle festività, quando giocare con i familiari era<br />
un obbligo e si puntavano i fagiolini al posto dei sol<strong>di</strong>, perché tanto a girare sarebbero<br />
state le stesse monete e pure nella stessa famiglia. Se ci si arricchisce, bisogna farlo con<br />
degli sconosciuti. Al pari Gaspare, che era troppo fuso per ricordare che carta avesse<br />
giocato nel turno prima o con chi fosse in squadra, se non a che gioco stesse<br />
partecipando; inoltre, non lo voleva mai nessuno come compagno. Quin<strong>di</strong> agiva sempre<br />
da spettatore e <strong>di</strong>sturbatore, perché magari si metteva a parlare da solo e <strong>di</strong>straeva i<br />
giocatori,ma comunque gli volevano tutti bene.<br />
“ Che folla!” commentò Arca<strong>di</strong>o, reggendo il nuovo amico “E ora che facciamo?”<br />
“Ti va <strong>di</strong> fare un giretto?”<br />
“Fuori? Ma si gela! E poi sei troppo fragile,le tue ossa reggono ancora?”<br />
Gaspare scoppiò in una risata gustosa<br />
“Gliela darò in barba a tutti! Io non muoio; morirò solo dopo che sarà morto Andreotti.<br />
Quando morirà lui, potrò andarmene in pace. Veramente... finché non muore lui, io<br />
rimango con in pie<strong>di</strong> sulla terra, mica sotto la terra!”<br />
“Scusa, ma quanti anni hai?”<br />
Gaspare dovette pensarci qualche secondo <strong>di</strong> più del normale<br />
“Ottantasette,credo... tu?”<br />
“Ottantadue”<br />
“Ah,allora sei nel giro da un anno... poi capirai...”<br />
Arca<strong>di</strong>o continuò a sperare <strong>di</strong> morire presto, piuttosto <strong>di</strong> vivere fino ai cento rincoglionito<br />
come un bra<strong>di</strong>po, o come Gaspare Freticelli, che era anche peggio.<br />
La prima sera al S. Pancrazio venne molto presto ed Arca<strong>di</strong>o non vedeva lʼora <strong>di</strong> sapere<br />
dagli altri ospiti quanto fosse meraviglioso quel posto. Per via <strong>di</strong> Gaspare, non aveva<br />
potuto curiosare per i corridoi e per i piani, né aveva potuto fare un giretto nei giar<strong>di</strong>ni a<br />
causa del freddo; durante la cena, magari, avrebbe conosciuto qualcuno che lo avrebbe<br />
assecondato.<br />
Prima <strong>di</strong> scendere, si cambiò golf e si pettinò quei capelli che si stavano <strong>di</strong>radando pian<br />
piano. La prima impressione era sempre la più importante. Quin<strong>di</strong> prelevò dalla sua stanza<br />
Gaspare, che nel frattempo aveva scritto quanto era accaduto nel pomeriggio e si era
cambiato pure lui maglione, oltre ad essersi messo le scarpe che gli facevano male ai<br />
pie<strong>di</strong> ma erano in<strong>di</strong>cate ad unʼoccasione come la cena; in fin dei conti, aveva pur sempre<br />
la sua <strong>di</strong>gnità e <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> essere stato un gran bel ragazzo, anche se un poʼ troppo ossuto.<br />
Arrivarono alla mensa forse per ultimi ed Arca<strong>di</strong>o strabuzzò gli occhi per trovare due posti<br />
liberi; ma Gaspare non sembrava preoccuparsene, perché lo tirò con sé attraverso i tavoli.<br />
Infatti, lui stava con un gruppetto scelto e quello era il loro tavolo; in mensa funzionava<br />
così, tutti i giorni. Infatti, ad un tavolo al centro, una donna corpulenta con i capelli corti,<br />
ricci e tinti <strong>di</strong> rosso scuro agitò le braccia.<br />
“Gaspare, muoviti,che arriva la Terza Guerra Mon<strong>di</strong>ale!”<br />
La coppia affrettò il passo e si sedettero al loro tavolo. Arca<strong>di</strong>o fu accolto con cor<strong>di</strong>alità e<br />
dal gruppo del suo nuovo amico, che contava altre tre persone: un signore ben vestito,<br />
con i capelli alla francescana grigi, piccolo e largo; la donna che li aveva chiamati; una<br />
signora vestita color pastello, tutta acqua <strong>di</strong> rose e viso dolcissimo.<br />
“Gaspare, chi ci hai portato <strong>di</strong> bello, che non lʼho mai visto?” fece il signore grasso.<br />
Gaspare appoggiò il bastone alla gamba del tavolo e rispose lentamente. Il suo quaderno<br />
era ancora nella tasca del maglione.<br />
“Si chiama... Arcanio... Filistrezzi....”<br />
Il suddetto scosse la testa, sorridendo verso gli altri.<br />
“No,Gaspare. Arca<strong>di</strong>o Filimenghi, <strong>di</strong> Costa Martinello, frazione <strong>di</strong> Lido Libero”<br />
La signora dai capelli rossi gli strinse la mano con un bel sorriso.<br />
“Ma dài, come il protagonista <strong>di</strong> Centʼanni <strong>di</strong> Solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Gabriel Garcia Màrquez! Che<br />
onore, ho adorato quel libro. Ma non preoccuparti per il nostro Gaspare, capisci che non<br />
ha la memoria <strong>di</strong> un elefante,ecco. Comunque piacere, Ersilia”<br />
“Molto piacere”<br />
Gli altri due erano rispettivamente Ivo e Luciana, che Gaspare nominava nelle righe <strong>di</strong><br />
quella giornata.<br />
“Allora,come mai qua?” domandò Luciana, premurosa, riponendo la forchetta sul piatto<br />
che, intanto, era stato appena riempito <strong>di</strong> spinaci.<br />
Arca<strong>di</strong>o bevve un sorso <strong>di</strong> acqua fresca e si asciugò la bocca.<br />
“Il Po oggi va in piena e mette sotto il mio paese e anche Cremona. Se stavo lì, morivo <strong>di</strong><br />
sicuro”.<br />
“Fiume canchero, il Po.” commentò Ivo,<strong>di</strong>grignando i denti.<br />
“Sì, è un fiume un poʼ <strong>di</strong>fficile, ma da me gli vogliamo bene” rispose Arca<strong>di</strong>o “E voi perché<br />
siete qui?”<br />
Ovviamente prese parola il membro più loquace, ossia Ersilia, che raccontò pure la storia<br />
degli altri.<br />
“Io sono <strong>di</strong> Milano e non ho più nessuno con cui stare; mia sorella, pace allʼanima sua, se<br />
nʼè andata tre mesi fa e mi ha lasciata completamente sola, allora ho scoperto questo<br />
posto e, dato che ne ho le possibilità economiche, sono venuta a starci. Luciana invece è<br />
<strong>di</strong> un paesino sconosciuto... “<br />
“... Mottabaluffi...”<br />
“... ecco, lì... e glielo ha consigliato il dottore perché ha avuto un infarto non molto tempo fa<br />
e qui si dovrebbe riposare... poi Ivo... che hai tu? Ah sì: ha avuto il trauma da guerra e non<br />
riesce a integrarsi nella società civile... un poʼ Apocalypse Now, non cre<strong>di</strong>?”<br />
“Non è vero che ho il trauma da guerra.” insorse Ivo, piagnucolando col volto <strong>di</strong>venuto<br />
tutto rosso “É che qualsiasi nefandezza faccia lʼuomo, io ne soffro. Sono molto sensibile.”<br />
“Altroché se sei sensibile! Ho paura che ti venga un colpo ogni volta che ve<strong>di</strong>, che ne so,<br />
un gesto meno garbato!”<br />
“Del tipo?” chiese Arca<strong>di</strong>o, che non aveva avuto tale impressione da Ivo.<br />
“Del tipo che se vede due che litigano si <strong>di</strong>spera... come quel personaggio <strong>di</strong> Qualcuno<br />
volò sul nido del cuculo,come si chiamava? Sai che gli somigli in maniera<br />
impressionante?”
“E tu perché devi collegare ogni santa cosa della vita ad un film o ad un libro?” replicò Ivo<br />
alla linguacciuta amica “Non sei venuta qui perché sei sola, ti ci hanno spe<strong>di</strong>to perché sei<br />
pazza!”<br />
Ersilia inarcò un sopracciglio “Questo non è un manicomio: se lo fosse, ti avrebbero già<br />
messo in isolamento”<br />
Ivo sospirò e lasciò perdere. O<strong>di</strong>ava quella donna.<br />
Luciana invece rideva. E Arca<strong>di</strong>o la prese per lʼunica persona veramente normale seduta a<br />
quel tavolo. Uno che non si ricordava cosa faceva lʼora prima, uno ipersensibile, una che<br />
viveva fra le pagine dei libri e la pellicola cinematografica ed una che aveva subito un<br />
infarto ma sembrava a posto: beh, gli sarebbe potuto andare peggio. Ad esempio,<br />
potevano essere tutti e quattro come Gaspare o tutti e quattro incapaci <strong>di</strong> intendere e<br />
volere. In fondo, gli stavano simpatici.<br />
Ed ora che si era anche trovato degli amici, sui generis ma sempre compari <strong>di</strong> avventura,<br />
Arca<strong>di</strong>o era ancor più contento <strong>di</strong> essere al S. Pancrazio. Di certo non staremo qui a<br />
raccontare tutte le benedette giornate che il nostro carissimo paesano trascorse lì dentro,<br />
basterà <strong>di</strong>re che che il S. Pancrazio era esattamente come Arca<strong>di</strong>o si era aspettato, e<br />
proprio come anche i familiari avevano sperato.<br />
Lʼe<strong>di</strong>ficio era pulitissimo e il cibo sano e gustoso. Gli spazi personali tanto idolatrati<br />
venivano rispettati al meglio e mai ad Arca<strong>di</strong>o dovette essere somministrato un farmaco<br />
senza che egli lo sapesse e ne conoscesse il motivo; e tutti i pensionanti vivevano<br />
felicemente. Dei me<strong>di</strong>ci essi non videro che il gentilissimo Dr Celeste e, a volte, anche la<br />
Dr. sa Marchigiani, in arte Ursula, e proprio perché qualche visita si doveva fare. Arca<strong>di</strong>o,<br />
però, era sempre stato visitato dal Dr. Celeste e spesso chiedeva agli altri come fosse la<br />
Dr. sa Marchigiani. Il commento migliore che le fosse rivolto venne da Luciana<br />
“É tenera come lʼemorroide che ho fra le mie natiche sul viale del tramonto”<br />
Anche Luciana cominciava a subire la pessima influenza <strong>di</strong> Ersilia.<br />
Vi erano poi gli infermieri che battevano lʼe<strong>di</strong>ficio notte e giorno, controllando che tutti<br />
mangiassero, <strong>di</strong>gerissero, dormissero e soprattutto respirassero durante il sonno; più <strong>di</strong><br />
una volta un giovane infermiere, Giovanni, si era trovato a rianimare un novantenne che<br />
non tirava le cuoia e continuava a far credere a tutti che stesse per morire, poi tornava in<br />
vita e ci rideva su: “Ah, lʼho fregata <strong>di</strong> nuovo, la Morte! Eh, vecchia baldracca!” <strong>di</strong>ceva<br />
sempre.<br />
Accanto a me<strong>di</strong>ci e infermieri, infine, vi era un piccolo gruppo <strong>di</strong> psicologi che visitavano<br />
ogni pensionante una volta a settimana. La prima seduta per Arca<strong>di</strong>o era stata<br />
imbarazzante: seduto con un bicchiere <strong>di</strong> acqua in mano, doveva raccontare la storia della<br />
sua vita e dare risposte a domande che non sʼera mai posto ad una ragazzina appena<br />
uscita da scuola e che quin<strong>di</strong> non capiva un tubo <strong>di</strong> quel che lui le raccontava. Ma poi era<br />
andata molto meglio: bastava sorridere, <strong>di</strong>re che era stata una settimana tranquilla e che<br />
ci si sentiva del tutto appagati dal S. Pancrazio, e poi si poteva anche uscire nel giro <strong>di</strong><br />
mezzʼora e mandarli a quel paese in tutta serenità. Chi faceva più fatica erano,<br />
chiaramente: Gaspare, che non sapeva neanche perché fosse lì né chi fosse il tizio con<br />
cui parlava ogni settimana; Ivo, che aveva attacchi dʼisteria ad ogni seduta perché la<br />
psicologa gli <strong>di</strong>ceva quali erano i suoi problemi mentali e come sarebbe stato bene<br />
affrontarli; Ersilia, che viveva in una realtà parallela e per questo era quella che stava<br />
meglio, e forse era anche la persona più felice <strong>di</strong> questo mondo.<br />
Qualche volta la famiglia lo chiamava al telefono dellʼistituto e per lui era unʼimmensa<br />
gioia, ma non gli mancava così tanto; si davano le notizie del tempo, del Po, del paese e<br />
<strong>di</strong> come si stava nei rispettivi ripari, e basta.<br />
Arca<strong>di</strong>o Filimenghi, insomma, era un uomo sod<strong>di</strong>sfatto e calmo. Quel luogo lo aveva<br />
perfino ringiovanito. Tuttavia, non erano passati che venti giorni circa e lui rimaneva<br />
ancora lʼultimo arrivato. Ben presto, gli si affollarono nelle orecchie <strong>di</strong>cerie, informazioni
forse false o storpiate da parte <strong>di</strong> chi era lì da più tempo. Ad<strong>di</strong>rittura, il veterano del S.<br />
Pancrazio, Clau<strong>di</strong>o, <strong>di</strong> ben cento e uno anni, lì dalla fondazione dellʼistituto, cioè <strong>di</strong>eci anni<br />
prima, una sera gli aveva detto, con sguardo fisso nel vuoto e quella voce che veniva<br />
dallʼoltretomba: “Questo posto è lʼinferno. Io sono già morto”<br />
Si mormorava che, sotto sotto, ci fossero interessi strani e che loro pensionanti ne erano<br />
vittime inconsapevoli. Dicevano che se si andava a fare un giro intorno agli altri reparti, a<br />
volte si u<strong>di</strong>vano urla agghiaccianti che avrebbero spezzato il cuore anche al peggiore dei<br />
demoni. Dicevano che il Dr. Ravèn non si facesse mai vedere per via <strong>di</strong> certi esperimenti...<br />
e pari pari il Dr. Mosca, suo compare; il Dr. Celeste era forse lʼunico senza scheletri<br />
nellʼarma<strong>di</strong>o, mentre Ursula... pardon, la Dr. Marchigiani era semplicemente cattiva, ma<br />
non aveva altri interessi a trattare male tutti se non per il gusto <strong>di</strong> farlo. Così, una volta<br />
Arca<strong>di</strong>o tentò <strong>di</strong> insistere su Clau<strong>di</strong>o, seduto sulla sua poltrona ben foderata, perché gli<br />
spiegasse più nel dettaglio che cosa volessero <strong>di</strong>re tutte quelle voci <strong>di</strong> corridoio; Clau<strong>di</strong>o lo<br />
afferrò per un polso e con quel timbro cavernoso <strong>di</strong>sse<br />
“Gli organi che prendono non vengono dai morti... quando ancora il sangue circola e puoi<br />
respirare tranquillamente anche se sei in coma, ti bloccano la sensazione del dolore con<br />
degli anestetici o dei farmaci paralizzanti...” fece un bel respiro “ A me hanno tolto un rene,<br />
un polmone e lʼappen<strong>di</strong>ce... io non lo sapevo...”<br />
Arca<strong>di</strong>o non ci credeva. Davvero rubavano gli organi alla gente come i ragazzini rubano le<br />
caramelle? E perché mai al S. Pancrazio avrebbero dovuto usare violenza sui propri<br />
pensionanti?<br />
“E dove ti hanno operato, sentiamo...”<br />
“Ci sono delle stanze, nei sotterranei...” rispose piano Clau<strong>di</strong>o, visibilmente nervoso “ cʼè<br />
una porta bianca, sempre chiusa... dopo <strong>di</strong> quella ci sono delle scale strette e poi un<br />
gran<strong>di</strong>ssimo laboratorio... più vai avanti, più mostruosità ve<strong>di</strong>...”<br />
“ Le hai viste tutte mentre ti operavano?”<br />
“Sì, prima e dopo... lʼuomo è la creatura peggiore <strong>di</strong> questo schifo <strong>di</strong> mondo... anzi, lo<br />
abbiamo ridotto noi così, prima si stava meglio... Dio santo...”<br />
“Clau<strong>di</strong>o!” insistette Arca<strong>di</strong>o, dando una scossa al braccio massiccio dellʼuomo. Quello si<br />
riprese accigliato.<br />
“Là dentro ci sono cavie... umane! Nessuno lo immaginerebbe... ma là dentro ci sono<br />
pensionati come me e te, gente con cui ho parlato e sono stato per <strong>di</strong>verso tempo...<br />
congelati interi o solo in parti, fino al busto o magari soltanto braccia o gambe... poveretti<br />
bruciati pezzo per pezzo, da capo ai pie<strong>di</strong>, anche in faccia o sulla testa, prima rasata... e<br />
malati dal nulla! Gli fanno una puntura <strong>di</strong> un virus, lo fanno ammalare <strong>di</strong> chissà che cosa e<br />
poi lo ve<strong>di</strong> morire davanti a te, sofferente... e nessuno può farci niente perché nessuno sa<br />
guarirlo... siamo tutti esperimenti, burattini,bambole,giocattoli... vedrai, ci uccideranno tutti<br />
con la loro maledetta scienza con le siringhe e la confusione... unire lʼanimale con<br />
lʼumano, credere che lʼumano sia uguale al topo,alla scimmia, al gatto...noi smettiamo <strong>di</strong><br />
credere <strong>di</strong> essere animali solo quando ci fa comodo! Siamo più intelligenti, ma è civile<br />
quello che succede nei sotterranei? Essere umani è una condanna, unʼoffesa, un modo<br />
<strong>di</strong>verso <strong>di</strong> essere bestie? Quei dottori sono delle bestie! “<br />
Il vecchio fu preso da una crisi respiratoria e cominciò a tremare. Arca<strong>di</strong>o cercò <strong>di</strong><br />
calmarlo, gli <strong>di</strong>ede un bicchiere dʼacqua ma non fu abbastanza. Gli altri che erano attorno<br />
a giocare a carte e a farsi i fatti propri se ne accorsero e, dopo aver tentato <strong>di</strong> aiutare<br />
lʼamico, andarono a chiamare un infermiere o chi per lui. Venne subito il buon Giovanni ed<br />
un collega, presero Clau<strong>di</strong>o sotto le braccia e lo portarono via.<br />
Tutti furono scossi da quellʼevento. Clau<strong>di</strong>o era il più vecchio del reparto anziani, quin<strong>di</strong> il<br />
più vecchio <strong>di</strong> tutta la struttura, e col tempo era <strong>di</strong>ventato un idolo, un pilastro. Il fatto che<br />
fosse stato male mise insicurezza negli altri. Che cosa gli era venuto? Dove lʼavevano<br />
portato? Questʼultima era la domanda che faceva fare le giravolte al cervello <strong>di</strong> Arca<strong>di</strong>o. E<br />
lo <strong>di</strong>sse anche ai fi<strong>di</strong> compagni.
“Forse lʼhanno portato in unʼala più protetta che non conosciamo” suggerì la dolce<br />
Luciana, cucendo un paio <strong>di</strong> guanti che le servivano.<br />
Ivo strinse le spalle “Quale ala non conosciamo? È tutto qui, il nostro reparto... giù ci sono<br />
gli uffici e la mensa, qui e agli altri piani sono tutte stanze... dove avrebbero potuto<br />
portarlo?”<br />
Il presunto rapimento <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o,ovviamente, mandò in visibilio Ersilia, che subito si<br />
apprestò a ricorrere alla sua vastissima cultura cinematografica e letteraria<br />
“Caspita, mi sento come... non so,Ragazze Interrotte, o quelle storie <strong>di</strong> avventura, <strong>di</strong><br />
ragazzi che vogliono risolvere un mistero in cui non cʼentrano niente... magari anche i<br />
primi <strong>di</strong> Harry Potter... non è emozionante?”<br />
“Per niente” rispose Arca<strong>di</strong>o “Tu non gli eri davanti quando si è messo a parlare e poi gli è<br />
venuto un colpo...”<br />
Luciana,Ivo, Ersilia e Gaspare, finora in silenzio perché non aveva ancora capito <strong>di</strong> chi si<br />
stesse <strong>di</strong>scutendo, si lanciarono delle occhiate allarmate.<br />
“Che cosa ha detto?” fece Ivo per tutti.<br />
Arca<strong>di</strong>o allora gli raccontò tutto quello che Clau<strong>di</strong>o aveva detto a proposito delle <strong>di</strong>cerie<br />
che circolavano, degli esperimenti e soprattutto del fatto che le vittime sarebbero stati<br />
anche loro. Ma non ottenne lo sperato effetto <strong>di</strong> agitarli e esortarli a reagire. Gaspare ed<br />
Ivo scossero la testa e guardarono a terra, incapaci <strong>di</strong> parlare; Luciana ed Ersilia, invece,<br />
ognuna a suo modo, sembravano più toccate dallʼargomento.<br />
“Ma che possiamo fare noi?” chiese innocentemente Luciana “ Non siamo dei ragazzini,<br />
abbiamo una certa età e lʼavventura non è proprio salutare al mio cuore...”<br />
“Beh, va bene che sono vecchia,” replicò Ersilia “ma i miei ultimi giorni io me li voglio<br />
godere... Filimenghi, lei cosa propone?”<br />
Arca<strong>di</strong>o non si era mai visto bene come capopopolo, ma forse in quel caso era il più adatto<br />
a prendere in mano le re<strong>di</strong>ni della situazione; se non altro, era il meno pazzo. Lʼunica idea<br />
decente che gli venne in mente fu <strong>di</strong> chiedere a Giovanni o alla signorina Assunta, magari<br />
corrompendoli. Dovevano sapere dovʼera finito il vecchio Clau<strong>di</strong>o.<br />
Passarono la sera, la notte e la mattina seguente, ma <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o neanche lʼombra; non era<br />
stato riportato alla sua camera e non era sceso a colazione. Al che Arca<strong>di</strong>o e compagnia<br />
decisero <strong>di</strong> fare pressione sul personale e per prima cosa inseguirono Giovanni, che a<br />
quellʼora si stava vestendo per tornare a casa.<br />
“Oh, tu! Vieni qui!”<br />
Il ragazzo si sistemò il bavero della giacca sotto la sciarpa rossa e sorrise come era solito<br />
fare ai pensionanti.<br />
“Ragazzi, che ci fate qui? Ho finito il turno...”<br />
“Fermati due secon<strong>di</strong>, dobbiamo solo farti una domanda” <strong>di</strong>sse Luciana, prendendolo per<br />
un braccio.<br />
Dietro Gaspare, con il suo inseparabile quaderno, leggeva forsennatamente chi fosse quel<br />
ragazzo e cosa stesse succedendo, nessuno gli prestava attenzione.<br />
Arca<strong>di</strong>o, Ivo ed Ersilia gli giunsero davanti con aria <strong>di</strong> chi si aspetta qualcosa. Ovviamente,<br />
prese parola il nostro eroe.<br />
“Dovʼè Clau<strong>di</strong>o?”<br />
Giovanni sgranò gli occhi e balbettò la domanda a se stesso. Ersilia insistette<br />
“Dove tenete prigioniero questʼuomo? Su...”<br />
“Ti prego, non peggiorare le cose...” le sussurrò Ivo, tirandole la manica del golf verde<br />
pisello.<br />
Ma Giovanni sapeva che lʼunica minaccia fra quei cinque era Arca<strong>di</strong>o. Si guardavano<br />
attentamente, senza abbassare lo sguardo.<br />
“Hai lʼetà della mia nipote più grande, non ti conviene fare il bullo con me. Sappiamo tutti e<br />
due che cʼè qualcosa <strong>di</strong> strano in tutto questo,vero?”<br />
Giovanni continuò a fissarlo, nel panico più totale, senza <strong>di</strong>re una parola.
“Ieri Clau<strong>di</strong>o parlava <strong>di</strong> esperimenti, <strong>di</strong> cavie umane, <strong>di</strong> laboratori... forse si è agitato troppo<br />
per la sua età e tu lʼhai portato via. Dovʼè ora?”<br />
“Nella sua camera...”<br />
“Non è nella sua camera, altrimenti non te lo chiederemmo” replicò Luciana.<br />
“Io non ne so niente... quando è stato male, lo abbiamo portato allʼaccettazione e se ne<br />
sono occupati altri. È tutto quello che so”<br />
Tutti guardarono Arca<strong>di</strong>o, in cerca <strong>di</strong> una risposta. Egli non ne aveva, perché non era mai<br />
stato un capo; la cosa più logica da fare era fidarsi del giovane infermiere ed andare<br />
allʼaccettazione. Quin<strong>di</strong> lo lasciarono libero e si precipitarono, ovviamente con la prestanza<br />
fisica <strong>di</strong> unʼetà avanzata, con tanto <strong>di</strong> bastone, mano sulla schiena e appoggi vari, giù per<br />
le scale.<br />
“Per favore, an<strong>di</strong>amo un poʼ più piano” si lamentò Gaspare. Ivo rimase più in<strong>di</strong>etro, anche<br />
a causa del grosso peso che doveva portare con sé, e gli offrì il proprio braccio. Arca<strong>di</strong>o<br />
ed Ersilia invece furono i più veloci, forse perché i più coinvolti; li seguiva, tenendo lʼamica<br />
per la manica del golf,Luciana.<br />
Allʼaccettazione la signorina Assunta stava scartabellando fra i suoi documenti e con il<br />
computer, con aria annoiata. Il gruppo le animò la giornata: quando se vide arrivare<br />
incontro quella curiosa banda <strong>di</strong> vecchi, si levò gli occhiali e li guardò stupita.<br />
“Cosʼè tutto questo rumore? Perché così in tanti?...”<br />
Arca<strong>di</strong>o si appoggiò al bancone, mentre gli altri gli stavano <strong>di</strong>etro come scagnozzi.<br />
“Ieri è stato male un uomo, Clau<strong>di</strong>o, e lo avete portato via. Ma non è tornato neanche<br />
questa notte e nemmeno questa mattina: dovʼè ora?”<br />
“Clau<strong>di</strong>o chi?”<br />
Il vecchio chiese ai compagni se conoscessero almeno il cognome <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o, ma<br />
nessuno gli seppe rispondere. Gaspare non lo aveva scritto.<br />
“Ha cento e uno anni... è il più vecchio dellʼistituto... su, lei è giovane, non può avere una<br />
memoria come Gaspare...”<br />
“Che cʼè? Cosa cʼentro io?”<br />
Tuttavia la signorina Assunta non sembrava particolarmente collaborativa.<br />
“Signori, non posso dare questo tipo <strong>di</strong> informazioni ad estranei. A meno che non siate<br />
parenti o abbiate la delega del signor Clau<strong>di</strong>o, io non posso <strong>di</strong>rvi niente.”<br />
“Non ci può neanche <strong>di</strong>re perché Clau<strong>di</strong>o parlava <strong>di</strong> esperimenti e laboratori?”<br />
“Evidentemente perché era molto vecchio ed aveva una fervida immaginazione”<br />
Arca<strong>di</strong>o non ne era convinto. Altrimenti, perché nel parlarne si sarebbe agitato in quel<br />
modo? Era pazzo? No, non lo era; un poʼ rincoglionito poteva anche esserlo, data lʼetà,<br />
ma pazzo non era. E se tutti <strong>di</strong>cevano loro che la storia degli esperimenti era pura<br />
fantasia, poteva voler <strong>di</strong>re due cose <strong>di</strong>verse: o la storia era vera e tutto il personale la<br />
negava, ovviamente; oppure, la storia era falsa e Clau<strong>di</strong>o era del tutto rincoglionito.<br />
Ma Arca<strong>di</strong>o sapeva che quel vecchio aveva detto un fondo <strong>di</strong> verità, lo aveva guardato<br />
negli occhi e gli occhi parlano più della bocca. Quegli occhi non erano folli, erano<br />
spaventati. Dʼaltra parte, a questo punto insistere era inutile, bisognava pensare ad un<br />
altro piano. Quin<strong>di</strong> abbandonarono il campo <strong>di</strong> battaglia giurando la rivincita.<br />
“Secondo me, è qualcosa come V per Vendetta” <strong>di</strong>sse Ersilia, sbuffando con il braccio<br />
appoggiato sul <strong>di</strong>vano, a fianco <strong>di</strong> Luciana. Ivo, Gaspare e Arca<strong>di</strong>o erano seduto al tavolo<br />
davanti e tentavano <strong>di</strong> giocare a shangai, un gioco che non necessitasse <strong>di</strong> memoria ma<br />
che non era facilitato dal tremolio della vecchiaia.<br />
“Nessuno ha visto quel film” ribatté Ivo, prendendo un bastoncino e lasciando la mano ad<br />
Arca<strong>di</strong>o.<br />
“Perché siete un branco <strong>di</strong> ignoranti. Almeno sapete cosa facevano i me<strong>di</strong>ci nazisti ai<br />
prigionieri?”
Gaspare guardò la donna con tutta lʼingenuità della sua mente, poi si rivolse ad Arca<strong>di</strong>o<br />
“Chi erano i me<strong>di</strong>ci nazisti?”<br />
Arca<strong>di</strong>o lo lasciò perdere e gli cedette il turno per tenerlo occupato senza che dovesse<br />
parlare o sentire qualcosa, poi rispose ad Ersilia<br />
“Mi ricordo <strong>di</strong> un tedesco... Menkele...”<br />
“Mengele.” sʼintrodusse Luciana “Mengele e Vershener stu<strong>di</strong>arono i gemelli tenuti<br />
prigionieri nei campi <strong>di</strong> concentramento, volevano ottenere gli occhi azzurri ma la maggior<br />
parte li resero ciechi”<br />
Tutti rimasero stupiti che la donna,così silenziosa e dolce, ne sapesse tanto; soprattutto,<br />
nel dettaglio.<br />
“E tu come fai a saperlo?” le chiese Ivo. Lei, come se fosse la cosa più normale del<br />
mondo, rispose can<strong>di</strong>damente.<br />
“Quando ero giovane ero appassionata <strong>di</strong> scienza, anche se non ho potuto stu<strong>di</strong>arla bene”<br />
Questo poteva essere utile per la loro ricerca, nonché alla loro sopravvivenza al S.<br />
Pancrazio, che ormai cominciava a <strong>di</strong>stanziarsi dal para<strong>di</strong>so con cui si era rappresentato.<br />
Arca<strong>di</strong>o ne fu oltremodo contento.<br />
“Che altro sai <strong>di</strong> cosa facevano quei me<strong>di</strong>ci?”<br />
“Paralizzavano i ragazzini a botte o con il cloroformio” <strong>di</strong>sse lei “Poi ne ricordo un altro...<br />
Cloberg, si chiamava. Si presentava come un ginecologo e con una siringa iniettava<br />
sostanze irritanti nelle donne per ostruire le tube <strong>di</strong> Falloppio, rendendole sterili; con lo<br />
stesso scopo, passava i raggi X sulle ragazzine zingare <strong>di</strong> tre<strong>di</strong>ci,quattor<strong>di</strong>ci anni”<br />
“E cre<strong>di</strong> che qui facciano delle cose simili?” domandò il vecchio, sconvolto da tanta<br />
crudeltà.<br />
Luciana strinse le spalle “Magari non ci rendono sterili, siamo vecchie e non ne abbiamo<br />
bisogno... ma non lo escluderei.”<br />
Facevano passare per istituto <strong>di</strong> accoglienza quel che era un enorme laboratorio<br />
scientifico, che sperimentava i farmaci sugli esseri umani; ma i bambini e gli animali degli<br />
altri reparti subivano uguale trattamento? Nel terzo millennio, ancora si torturavano gli<br />
esseri viventi per sfidare la morte? Dʼaltra parte, questo <strong>di</strong> cui parlavano non erano che<br />
congetture, perché nei fatti non avevano prova alcuna se non la sparizione <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o.<br />
Magari,davvero lo avevano portato in unʼala protetta. Magari, erano solo loro dei vecchi<br />
paranoici che pensavano <strong>di</strong> vivere in una violenta avventura, come Ersilia viveva<br />
quoti<strong>di</strong>anamente la realtà. Per rispondere a tali domande e scoprire se erano vecchi<br />
rincoglioniti come Clau<strong>di</strong>o o umani che ancora tenevano alla propria <strong>di</strong>gnità, lʼunico modo<br />
era agire.<br />
“Che facciamo,ora?” chiese retoricamente Ivo, raggruppando i bastoncini dello shangai e<br />
rimettendoli nella confezione. Gaspare stava scrivendo tutto con tanta concentrazione da<br />
avere la lingua a penzoloni dalle labbra.<br />
Bella domanda. Che fare? Agire, ma come? Arca<strong>di</strong>o non aveva <strong>di</strong>menticato nulla delle<br />
parole <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o e ricordava la sua descrizione: una porta bianca, delle scale strette e poi<br />
i laboratori. Ma dove si trovava la porta bianca, sempre chiusa? Se portava ai sotterranei,<br />
poteva essere solamente al piano terra, dove cʼerano tutti gli uffici e anche la mensa. Era<br />
sempre chiusa, però, e i tentativi <strong>di</strong> scassinarla non sarebbero mai passati inosservati. Per<br />
una volta, il punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Ersilia fu utile: Arca<strong>di</strong>o pensò ai film <strong>di</strong> spionaggio o dove dei<br />
ladri dovevano rubare chissà cosa e si organizzavano mesi e mesi prima del colpo. Così<br />
dovevano fare anche loro, nel loro piccolo. Spiegò ai compagni come fosse necessario<br />
aspettare a superare la porta bianca, che cʼera bisogno <strong>di</strong> qualche giorno almeno per<br />
capire in che modo fosse sorvegliata, in quali orari fosse propizio entrare in scena, come<br />
organizzarsi ed eventualmente armarsi, trovare delle giustificazioni che non dessero<br />
sospetti. Doveva essere tutto perfetto.
Così iniziò la settimana ed imme<strong>di</strong>atamente andarono allʼattacco. Scoprire a quale porta<br />
bianca fu il primo passo da compiere, e ci volle una giornata per farlo. A ciascuno i suoi<br />
tempi, insomma. Essa stava in fondo al corridoio, oltre gli stu<strong>di</strong> dei me<strong>di</strong>ci, oltre la mensa e<br />
oltre gli sgabuzzini e porte senza nome o con solo “Accesso riservato agli autorizzati”<br />
inchiodato al legno. La porta <strong>di</strong> cui aveva parlato Clau<strong>di</strong>o era quasi invisibile, su una<br />
parete can<strong>di</strong>da che sembrava inghiottirla, e nessuno avrebbe potuto capire che vi era una<br />
porta se non dalla maniglia <strong>di</strong>sincrostata e dalla linea che contornava il muro.<br />
“Beh, una porta del genere deve nascondere qualcosa, per forza...” commentò Ersilia,<br />
sbirciando dalla serratura.<br />
Gaspare, sfruttato ovunque come palo perché altrove sarebbe stato solo un impiccio, batté<br />
il bastone sul pavimento e sussurrò<br />
“Ragazzi, arriva qualcuno!”<br />
Che <strong>di</strong>re? Si erano inoltrati troppo per rispondere che stavano facendo un giretto, se<br />
avessero chiesto che cosa facesse lì quello strano gruppo.<br />
“Cosa facciamo? Arca<strong>di</strong>o, cosa facciamo?” piagnucolò Ivo, aggrappandosi allʼamico. E<br />
Arca<strong>di</strong>o, dʼistinto, ribatté<br />
“Nascon<strong>di</strong>amoci!”<br />
Zoppicando e borbottando come i vecchi che erano, si infilarono tutti in uno stanzino buio<br />
e polveroso, uno sgabuzzino. Quasi tutti. Gaspare restò impalato dovʼera. E quel qualcuno<br />
che aveva visto arrivare era la Dr. sa Marchigiani, alta e mora, con unʼespressione da<br />
<strong>di</strong>avolo che consolava.<br />
“Signor Freticelli, che cosa sta combinando qui?”<br />
Gaspare guardò <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé, nella speranza che uno del gruppo lo aiutasse. Da solo, andò<br />
in panico tanto da non riuscire a prendere il quaderno dalla tasca.<br />
“E lei chi è,come fa a conoscermi?...”<br />
La dottoressa sospirò e lo prese per un braccio.<br />
“Immagino che volesse fare una passeggiata e si è trovato qui... per favore, considerato il<br />
suo problema, cerchi <strong>di</strong> rimanere nelle zone che conosce meglio... non possiamo<br />
continuare a recuperarla... capisce quel che <strong>di</strong>co?”<br />
E il povero Gaspare capiva, ma si chiedeva chi fosse quella donna, cosa volesse da lui e<br />
perché lo conoscesse; lo prese un attacco <strong>di</strong> isteria che lo fece andare su <strong>di</strong> giri come un<br />
matto.<br />
“Signorina, la prego <strong>di</strong> lasciarmi stare e <strong>di</strong> <strong>di</strong>rmi chi è lei, dove sono e cosa ci faccio qui! E<br />
mi faccia il santo piacere <strong>di</strong> mollarmi, che mi sta facendo anche male...”<br />
Fu così che Gaspare si sacrificò involontariamente per i propri amici, i quali spiarono dalla<br />
porta socchiusa cosʼera avvenuto al compagno.<br />
“Meglio lui che tutti, siamo sinceri” commentò Ersilia, grattandosi la nuca.<br />
“Tu sei cattiva nellʼanimo, allora.” rispose Ivo, incredulo “Dove lʼavranno portato?”<br />
Luciana cercò <strong>di</strong> tranquillizzare tutti con mitezza “Lʼavranno riportato al piano <strong>di</strong> sopra”<br />
“E se non fosse così?”<br />
Tutti si rivolsero verso Arca<strong>di</strong>o, che fissava il punto in cui Gaspare era stato portato via con<br />
preoccupazione.<br />
“Sappiamo benissimo che è molto malato, non ricorda niente ed è abbastanza innocuo.<br />
Se qui fanno degli esperimenti sugli uomini, lui non sarebbe perfetto?”<br />
Ivo si coprì il volto, palli<strong>di</strong>ssimo “Oh, poverino...”<br />
Ora erano due gli scomparsi da ritrovare. Ivo, Ersilia,Luciana ed Arca<strong>di</strong>o si precipitarono,<br />
ovviamente con la loro misurata velocità, al piano superiore. Dopo una faticosa<br />
arrampicata ed una corsa per i corridoi, trovarono il loro caro Gaspare serenamente<br />
seduto su una poltrona davanti alla portafinestra, intento a giocare con una bottiglietta <strong>di</strong><br />
plastica.
“Dio sia lodato” fece Luciana,mettendosi una mano al cuore. Gli altri si avvicinarono<br />
cautamente allʼamico, scusandosi del proprio vile comportamento e domandandogli che<br />
cosa gli avesse detto Ursula. Ma lui giocava con la benedetta bottiglietta. Ersilia però fu la<br />
prima a capire.<br />
“Che cosʼhai lì...”<br />
Gaspare lʼaveva aperta ed aveva fatto gesto per berne il liquido rosa che vi era dentro. Ma<br />
lʼodore era chiaro.<br />
“SantʼId<strong>di</strong>o, è alcol!” strillò la donna, tirando un forte schiaffo alle mani dellʼamico e<br />
facendo cadere a terra la bottiglietta.<br />
“Cosa cʼè?” chiese lui, poveretto.<br />
Si guardarono tutti, sbalor<strong>di</strong>ti e sconcertati.<br />
“É alcol, Gaspare” rispose Arca<strong>di</strong>o, fissandolo negli occhi azzurri, tranquilli “É veleno per<br />
lʼuomo... e tu stavi per berlo”<br />
“Allora sono proprio rimbambito...” <strong>di</strong>sse lui, ridendo sommessamente contro la bottiglietta<br />
rovesciata a terra.<br />
Ma il problema era fondamentalmente questo: la stessa Dr. sa Marchigiani, uno dei me<strong>di</strong>ci<br />
principali dellʼistituto, aveva dato una bottiglietta <strong>di</strong> alcol ad un uomo che non ricordava<br />
neanche quanti anni avesse. Perché?<br />
Gaspare era la vittima perfetta, incapace <strong>di</strong> protestare, debole ma in generale in salute:<br />
sarebbe stato una cavia fatta e finita, e questo era ciò che i suoi amici stavano tentando <strong>di</strong><br />
evitare.<br />
Ad Arca<strong>di</strong>o quasi pianse il cuore nel comprendere che il suo primo amico al S. Pancrazio<br />
fosse non solo matto, ma anche una facilissima preda per i me<strong>di</strong>ci che lo avrebbero potuto<br />
stu<strong>di</strong>are a loro piacimento.<br />
Il giorno seguente il cielo era limpido e la temperatura curiosamente mite. I nostri vecchi<br />
decisero <strong>di</strong> approfittarne per una passeggiata <strong>di</strong> piacere, che tuttavia aveva anche un altro<br />
fine: curiosare negli altri due reparti, nel caso in cui trovassero in<strong>di</strong>zi su dove fosse finito il<br />
povero Clau<strong>di</strong>o.<br />
Tutti coperti come pupazzi <strong>di</strong> neve, finsero <strong>di</strong> camminare e chiacchierare felicemente<br />
come i comuni signori <strong>di</strong> una certa età. Fecero anche quello, certo, perché un tempo simile<br />
a novembre non era da buttar via, ma non solo; si organizzarono per entrare negli altri<br />
reparti, o perlomeno avvicinarsi sufficientemente. E passeggiando, si avvicinarono al<br />
reparto degli animali.<br />
Si presentava esattamente come il loro reparto, con un ingresso bianco e silenzioso; non<br />
cʼera nessuno a controllare che non entrassero intrusi. Tanto meglio per loro. A passi lenti<br />
e il più possibile silenziosi, attraversarono il corridoio, identico a quello che avevano loro al<br />
primo piano; era proprio uguale. Ma le porte erano più resistenti, con una finestra. Si<br />
sporsero e videro dei cani coricati, altri seduti, immobili, con sguar<strong>di</strong> tristi e abbandonati al<br />
vuoto, silenti; altri ancora,con una violenza inau<strong>di</strong>ta contro le proprie zampe, quasi<br />
volessero staccarle. Non notarono affatto <strong>di</strong> essere oggetto <strong>di</strong> un commovente spettacolo,<br />
anzi. Ma ci fu qualcosa che fece scoppiare in singhiozzi le due donne ed Ivo e paralizzò<br />
Arca<strong>di</strong>o; Gaspare non faceva testo. Alcuni cani avevano le zampe completamente<br />
spellate, con la carne viva scoperta; in altri le zampe erano orribilmente gonfie, talvolta<br />
deformate fino a non essere più zampe, ma specie <strong>di</strong> arti putrescenti e grumose; quando<br />
forse andava meglio, esse andavano in cancrena e si staccavano da sole. Fu allora che<br />
iniziarono a comprendere che poteva essere quella la loro fine, una dolorosissima tortura<br />
che faceva sperare la morte, sempre che i me<strong>di</strong>ci crudeli non decidessero <strong>di</strong> riportarli in<br />
vita artificialmente. Quello era il segreto del S. Pancrazio e non toccava solo quei poveri<br />
cani: riguardava anche Clau<strong>di</strong>o e sicuramente anche i bambini.<br />
“”Sei ancora convinto <strong>di</strong> voler sapere cosa è successo a Clau<strong>di</strong>o?” fece Ivo, coprendosi la<br />
bocca e il naso con la sciarpa per contrastare la nausea.
“Anche più <strong>di</strong> prima” rispose Arca<strong>di</strong>o “Ora so che Clau<strong>di</strong>o aveva ragione, quin<strong>di</strong> non è<br />
pazzo e <strong>di</strong>ce la verità. Ora bisogna solo scoprire cosa gli hanno fatto”<br />
“Vi prego, an<strong>di</strong>amocene <strong>di</strong> qui” pianse Ersilia, che per la prima volta non trovò conforto nel<br />
cinema e nella letteratura. Mai nessunʼimmagine né pagina lʼaveva sconvolta tanto.<br />
Passarono alla porta successiva e vi videro delle gabbie; al loro interno, gatti che in preda<br />
alle convulsioni si gettavano contro le sbarre con strilli umani, alcuni giacevano stesi, con<br />
ogni probabilità morti, e accanto altre gabbie,più piccole, dove dei topi si comportavano<br />
allo stesso modo, correvano allʼimpazzata per quel minuscolo spazio e si spaccavano gli<br />
incisivi, lasciando sul muso tracce <strong>di</strong> sangue che non permetteva loro <strong>di</strong> respirare. Topi e<br />
gatti insieme, a morire per una stessa causa. Lʼuomo.<br />
“An<strong>di</strong>amo via!” singhiozzò Ivo, mano nella mano con Ersilia. Straor<strong>di</strong>nariamente, Luciana<br />
sembrava la più lucida. Gaspare, questa volta, si era impressionato e continuava a<br />
chiedere che cosa avessero quegli esseri così belli da soffrire tanto.<br />
“A cosa pensi?” chiese Arca<strong>di</strong>o, senza smettere <strong>di</strong> fissare quellʼatrocità.<br />
Luciana prese un respiro e voltò le spalle allʼorrido spettacolo.<br />
“Potrei rubare dei documenti, per capire cosa fanno e perché; lo stesso vale per il reparto<br />
dei bambini”<br />
“E perché tu?”<br />
“Perché sono lʼunica che ne sa <strong>di</strong> scienza nel gruppo. Ed quella che si mimetizza meglio,<br />
voi quattro avete proprio qualcosa che non va anche a vedervi in faccia”<br />
“Chi saresti, Cesare... Lobr... Lo... dài, quello dei criminali...!”<br />
Peccato che non ci fossero le sue nipoti.<br />
“Cesare Lombroso? Potrei anche.”<br />
Scapparono velocemente da quellʼinferno, ma già che cʼerano attuarono il piano. Arca<strong>di</strong>o<br />
portò con sé Ivo,Gaspare ed Ersilia allʼaperto. Erano troppo terrorizzati per stare zitti e<br />
collaborare attivamente, tranne Gaspare,che sarebbe stato un ostacolo anche da<br />
immobile.<br />
Allʼinterno,Luciana si mise al bancone dellʼaccettazione, vuoto, e si mise a rovistare tra i<br />
fogli e anche nel computer. Si trattenne dal commentare, soffocò il proprio <strong>di</strong>sgusto e<br />
procedette a rubare informazioni come un pirata. Di colpo, però, un uomo bussò al vetro,<br />
facendola sussultare.<br />
“Scusi, lʼho spaventata?”<br />
Luciana si mise una mano al cuore,che andava più veloce <strong>di</strong> quanto dovuto. Sapeva che<br />
non era un buon segno. Lʼuomo aveva delle buste in mano ed il camice, ed era anche<br />
giovane.<br />
“Dovʼè Leonardo? Lo sostituisce lei?”<br />
Ella esitò un attimo, poi decise <strong>di</strong> tentare la sorte.<br />
“Sì, per oggi sì. Letizia Lo<strong>di</strong>ci, piacere.”<br />
“Okay... non lo sapevo... beh, comunque... sa dovʼè il Dr. Ravèn?”<br />
“Credo che sia nel reparto anziani... oggi non lʼho ancora visto...”<br />
“Ha degli orari strani, quellʼuomo... grazie mille, arrivederci...”<br />
Luciana tirò un sospiro nel vederlo lasciare lʼe<strong>di</strong>ficio ed uscire in giar<strong>di</strong>no. Quin<strong>di</strong> decise<br />
che aveva abbastanza prove, le raccolse alla rinfusa e raggiunse gli amici che<br />
lʼaspettavano fuori.<br />
“Allora?” le fece Ersilia, cercando <strong>di</strong> mettere mano ai fogli. Lei però se li tenne stretti al<br />
petto.<br />
“Non ora. Dobbiamo tornare al reparto; li leggeremo insieme in una camera, dove non<br />
possiamo essere visti né sentiti.”<br />
“Se scoprono che li abbiamo rubati,ci ammazzano” <strong>di</strong>sse Ivo, con le mani fra i pochi capelli<br />
che gli erano rimasti.<br />
“Ammazzati ci finiamo comunque” fu la risposta <strong>di</strong> Arca<strong>di</strong>o “Su, ha ragione Luciana”.<br />
Prese a braccetto Gaspare e guidò il gruppo al reparto. Neanche lì erano al sicuro.
In camera <strong>di</strong> Luciana, si misero fianco a fianco davanti alla scrivania,<strong>di</strong>etro Luciana che<br />
reggeva i fogli e si preparava a leggerli.<br />
“Questo pomeriggio devono tornare dove li abbiamo presi, okay?” fece.<br />
Ersilia sbottò, come una ragazzina “Unʼaltra spe<strong>di</strong>zione, oggi? E lì?”<br />
“Non sto scherzando” rispose lʼamica “Se me li trovano qui, che cosa gli <strong>di</strong>co?”<br />
Tutti tacquero. Iniziò la lettura. Dalle pagine che Luciana aveva rubato emergevano le<br />
peggiori crudeltà che la mente umana potesse concepire, anche una mente malata.<br />
Parlavano <strong>di</strong> molti esperimenti compiuti nei laboratori, dove erano impazziti animali<br />
notoriamente innocui, come i beagles, od erano stati spellati dei gatti per provare che lo<br />
spellamento abbassa la temperatura corporea. Ma furono le descrizioni dei test più recenti<br />
che fecero inorri<strong>di</strong>re i vecchi. Un me<strong>di</strong>co,ad esempio,aveva tenuto una sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>ario delle<br />
reazioni <strong>di</strong> una scimmia sfruttata in un esperimento, ma Luciana non era riuscita a<br />
prendere tutti i fogli.<br />
“10 settembre 2011. Lʼin<strong>di</strong>viduo si aggrappa alle sbarre della gabbia ed urla terrorizzata,<br />
imitando il comportamento umano. Sembra che chieda aiuto a chiunque le passi davanti e<br />
simula il pianto (...)<br />
15 settembre 2011. Lʼin<strong>di</strong>viduo ha smesso <strong>di</strong> urlare e <strong>di</strong> chiedere aiuto. Lo sguardo è<br />
vitreo, anche se interpellato non risponde ad alcuno stimolo, è completamente in<strong>di</strong>fferente<br />
a tutto. Lʼunica occupazione che sembra meritare il suo tempo è quel che pare il gesto <strong>di</strong><br />
volersi strappare il mento, tantʼè che la mascella è profondamente ferita e slogata. La<br />
compagna, che finora è sembrata partecipe al suo dolore, ha tentato <strong>di</strong> aiutarlo, ma è finita<br />
uccisa dopo una violenta lite, nata senza apparente motivo.(...) Lʼin<strong>di</strong>viduo muore con un<br />
rantolo flebile, tendendo il braccio, ormai contuso, verso lʼesterno.”<br />
Questo era forse lʼesempio più atroce dei test compiuti in quelle fucine infernali. La povera<br />
creatura, probabilmente una scimmia, era morta impazzita: aveva patito sofferenze<br />
inau<strong>di</strong>te, quin<strong>di</strong> non aveva provato più nulla; poi aveva ucciso la compagna e poi era<br />
deceduta. Meglio per lei.<br />
Ma <strong>di</strong> certo questa non era la sola vittima del sa<strong>di</strong>smo <strong>di</strong> quegli scienziati. Infatti,<br />
lʼattenzione del gruppo cadde in appunti veloci su due tipi <strong>di</strong> test, compiuti invece proprio<br />
allʼinizio <strong>di</strong> novembre. Si trattava del Draize Test, che vedeva come vittime sacrificali dei<br />
conigli. Nella prima prova, detta oculare, il coniglio veniva preso, lasciato su un tavolo, e<br />
quin<strong>di</strong> gli si spruzzavano lacche e deodoranti negli occhi non anestetizzati. Arca<strong>di</strong>o pensò<br />
a quel coniglio che Alessia, da bambina, aveva voluto tenere dopo averlo salvato dalla<br />
strada, grigio e grasso. Si chiamava Merlino; poi era scappato nelle campagne, chissà<br />
dove. Forse, proprio Merlino era stato usato per quella barbarie.<br />
Nella seconda prova, cioè il Draize Test cutaneo,prevedeva lʼapplicazione <strong>di</strong> sostanze in<br />
punti delicati, come la vagina,lʼano e le mucose, oppure in parti <strong>di</strong> pelle opportunamente<br />
rasate con il cerotto strappato. Merlino poteva anche essere morto lì; Arca<strong>di</strong>o sʼimmaginò<br />
quella povera creatura mentre le strappavano il pelo e gridava come un bambino.<br />
Infine, fu un altro test a terminare il racconto <strong>di</strong> orrore che si stava formando nelle menti<br />
dei vecchi. A quanto si era capito, il S. Pancrazio aveva relazioni costanti con le industrie<br />
farmaceutiche ed ora, con questʼultima prova che stavano per leggere, anche con le<br />
aziende <strong>di</strong> cosmetica. Si chiamava DL50 e serviva a testare la tossicità <strong>di</strong> prodotti<br />
cosmetici: si cibava a forza un gruppo <strong>di</strong> animali che possono esser topi, conigli e gatti<br />
in<strong>di</strong>fferentemente, con il prodotto, ossia un rossetto o una crema, fino alla morte del 50%<br />
dei soggetti.<br />
Ersilia si toccò con <strong>di</strong>sgusto i capelli e il viso. Anche lei aveva partecipato, per quanto<br />
involontariamente, al massacro.<br />
“Vi prego, riportiamoli in<strong>di</strong>etro” fece Ivo, piangendo. Certo, per la sua patologica acuta<br />
sensibilità, quelle righe dovevano essere pari al cilicio sulla schiena.
A Clau<strong>di</strong>o non era toccata questa sorte; forse, una anche peggiore. E chissà se<br />
lʼavrebbero mai più rivisto.<br />
Quel pomeriggio, tornarono sul campo <strong>di</strong> battaglia per rimettere al loro posto le pagine<br />
rubate. Tuttavia, decisero <strong>di</strong> <strong>di</strong>vidersi, unʼidea più intelligente: Luciana e Ivo riportarono la<br />
documentazione al reparto animali, mentre Arca<strong>di</strong>o ed Ersilia si occuparono <strong>di</strong> quello dei<br />
bambini. Gaspare fu costretto a rimanere in camera, perché da assente era molto più utile;<br />
la scelta non lo offese, anzi. Quel freddo non gli faceva affatto bene alle ossa.<br />
“Ci troviamo tutti allʼingresso del nostro reparto, <strong>di</strong>ciamo... fra unʼoretta massimo?” <strong>di</strong>sse<br />
Luciana. Gli altri assentirono.<br />
Così, tenendosi stretto Ivo, che neanche era entrato e già piagnucolava, sfruttò le proprie<br />
doti recitative e tornò al banco dellʼaccettazione per gli animali. Ma non aveva pensato ad<br />
un dettaglio: ora al banco era seduto Leonardo, un ragazzo alto, gobbo e smilzo con gli<br />
occhiali da miope, tutto vestito <strong>di</strong> nero, il camice abbandonato su un appen<strong>di</strong>abiti alle sue<br />
spalle.<br />
“E ora?” fece Ivo, ritraendosi il più possibile verso la porta, per scappare “Non dovevamo<br />
farlo... non dovevamo farlo... sono cose troppo gran<strong>di</strong> per noi, siamo degli stupi<strong>di</strong> vecchi...”<br />
Luciana lo prese per il bavero della giacca e lo attaccò al muro<br />
“Queste sono cose che facciamo noi essere umani e noi vecchi siamo esseri umani prima<br />
<strong>di</strong> tutto, non smetteremo <strong>di</strong> esserlo neanche da cremati, capito? Gli orrori umani non sono<br />
mai troppo gran<strong>di</strong> per noi e purtroppo nemmeno per le nostre vittime che sono anche<br />
nostri fratelli, gli animali. Dobbiamo fare qualcosa, capisci? Se ci fermiamo ora, con ogni<br />
probabilità ci finiremo noi sotto i ferri ed io non voglio. Sono vecchia e ho avuto un infarto,<br />
ma ho ancora un briciolo <strong>di</strong> speranza <strong>di</strong> poter vivere ancora e bene.”<br />
Ivo singhiozzò piano, asciugandosi il naso con la manica della giacca. Non parlava, ma<br />
fissava Luciana con gli stessi occhi che dovevano aver avuto quei conigli <strong>di</strong> fronte ai propri<br />
seviziatori.<br />
Ma ora serviva un piano, e non avevano il tempo <strong>di</strong> organizzarne uno. Luciana <strong>di</strong>sse<br />
allʼamico <strong>di</strong> starsene buono in un angolo lì allʼingresso; si sarebbe arrangiata lei in qualche<br />
modo.<br />
Or<strong>di</strong>nando le carte fra le mani, si <strong>di</strong>resse verso il bancone con una sicurezza che non<br />
aveva. Lasciò i plico <strong>di</strong> fogli sotto gli occhi <strong>di</strong> Leonardo e cercò <strong>di</strong> misurare la voce affinché<br />
non se ne sentisse il tremolio.<br />
“Queste sono gli ultimi risultati. Per favore, mettili nella busta dovʼerano”<br />
Leonardo alzò pigramente gli occhi, ma sembrò un attimo sorpreso <strong>di</strong> trovarsi davanti<br />
quella signora in giacca e con una cuffia <strong>di</strong> lana rossa in testa.<br />
“Scusi, lei chi è?<br />
“Letizia Lo<strong>di</strong>ci, collega” rispose Luciana. Terribile risposta.<br />
E Leonardo, ovviamente, non apparve molto persuaso.<br />
“E quel signore è con lei?”<br />
Luciana si girò. Ivo, invece <strong>di</strong> stare al suo posto, si era messo a girare per lʼingresso con<br />
aria curiosa.<br />
“Sì... devo riportarlo al reparto anziani... sai come sono fatti... e spero che dopo la<br />
pensione non ci finisca io in un posto del genere!” replicò, tentando lʼumorismo. Che<br />
sembrò pure funzionare: il ragazzo sorrise e rispose<br />
“Ah, non glielo augurerei per nulla al mondo! Ho sentito che hanno appena avuto un<br />
vecchio un poʼ <strong>di</strong>fficile... gli hanno fatto la lobotomia e pace... oggi dovrebbero averlo<br />
<strong>di</strong>messo”<br />
Luciana impallidì. Senza saperlo, Leonardo le aveva detto tutto e anche <strong>di</strong> più. Allora si<br />
girò e chiamò Ivo. Era sparito.<br />
“Scusa, hai visto il vecchio che stava con me?”<br />
Il ragazzo alzò gli occhi, ma subito li riabbassò verso i documenti.
“É già uscito”<br />
La donna si mise a correre, per quanto potesse, per il giar<strong>di</strong>no, ansimando. Allʼingresso<br />
dove si erano dati appuntamento, non cʼera nessuno. Ivo poteva essere già salito, magari<br />
da Gaspare. Lei però decise <strong>di</strong> aspettare ancora. Chissà cosa avevano visto Arca<strong>di</strong>o ed<br />
Ersilia.<br />
Arca<strong>di</strong>o ed Ersilia erano entrati nel reparto bambini con un poʼ <strong>di</strong> sospetto. Al contrario<br />
degli altri due, esso era tuttʼaltro che silenzioso. I bambini strillavano e piangevano, li si<br />
sentiva sbattere contro le porte e lanciare tutto quel che si trovassero in mano; e molti,<br />
curiosamente, non erano rinchiusi in camere o in celle; giravano per i corridoio che erano<br />
chiusi da reti <strong>di</strong> ferro. Ersilia, forse in virtù <strong>di</strong> essere donna e <strong>di</strong> avere comunque del senso<br />
materno, si aggrappò a quella rete. Dallʼaltra parte, videro cosa davvero erano capaci gli<br />
uomini contro i propri simili, i propri figli e ciò che erano stati, bambini.<br />
Videro ragazzi sui se<strong>di</strong>ci anni, che era quasi il massimo dellʼetà per stare lì, in grembiuli<br />
bianchi e seduti per terra. Erano tutti rasati, anche le ragazze e perfino le bambine, ed<br />
erano realmente pazzi o avevano ancora luci<strong>di</strong>tà per capire oppure vivevano in un altro<br />
mondo. Videro dei ragazzini seduti a terra, magrissimi, con i volti scuri e profonde<br />
occhiaie, gli sguar<strong>di</strong> feroci e aggressivi. Un ragazzo ed una ragazza avevano in mano una<br />
siringa e si drogavano a vicenda, <strong>di</strong> fronte a tutti, come se niente fosse. Quando si<br />
accorsero della presenza degli stranieri, si voltarono e sorrisero, con le loro labbra chiare,<br />
dalla pelle rovinata e pallida ma a tratti inscurita da cicatrici o chiazze misteriose, i denti<br />
completamente rovinati, se non ad<strong>di</strong>rittura assenti. Sembravano vecchi decrepiti, dei morti.<br />
Il ragazzo si levò da terra, togliendosi il laccio emostatico dal braccio e tirando su con il<br />
naso. Era alto quasi come Arca<strong>di</strong>o, magrissimo; sotto la pelle emergevano gli zigomi,<br />
bianchissimi. Aveva gli occhi neri, grossi, vivaci come quelli <strong>di</strong> un <strong>di</strong>avolo. Si aggrappò alla<br />
rete, fissando il vecchio.<br />
“Siete scappati,eh?” mormorò, con una voce baritonale e roca, già da uomo “Cosa volete<br />
per fare scappare anche me e Anita? Come avete fatto, eh? Dimmelo, vecchio... <strong>di</strong>mmi<br />
come avete fatto...”<br />
Nel parlare, stringeva il polso ad Arca<strong>di</strong>o e lo fissava, folle e <strong>di</strong>sperato. Quel ragazzo<br />
sarebbe morto presto.<br />
“Come ti chiami?”<br />
“Sono Gabriele... stavo a Torino, mi hanno portato qui perché ero orfano...”<br />
“E non lo sei più, orfano?” domandò tristemente Ersilia.<br />
“Si è orfani da bambini, io non lo sono più. Sono fra i più gran<strong>di</strong> qui e faccio da padre ai<br />
più piccolini... e detto tra noi, lo so benissimo che alla fine dellʼanno mi danno qualcosa e<br />
ci rimango secco. Allora ci saranno molti orfani... tipo, Marghe, vieni qui!”.<br />
Si avvicinò alla rete una bambina <strong>di</strong> forse sette anni, anche lei con i segni della tortura<br />
addosso. Era rasata, ma sul viso aveva molte lentiggini scure, che <strong>di</strong>cevano che la<br />
bambina era rossa. Alla vista <strong>di</strong> quella bambina, Ersilia scoppiò in lacrime e allungò una<br />
mano per carezzarla.<br />
“Tu sei Pippi Calzelunghe!”<br />
Margherita sorrise,con quei quattro denti che aveva nella bocca nera, e con uno strillo le<br />
afferrò la mano per strapparle un braccialetto. Ersilia non gridò neanche, ma la pregò <strong>di</strong><br />
non farle del male, che le avrebbe dato il gioiello; Arca<strong>di</strong>o tirò lʼamica per levarlo<br />
dallʼattacco della bambina, mentre Gabriele prese Margherita, sgridandola<br />
“Sono compagni, Marghe, sono compagni...”<br />
“Io voglio il braccialetto!” urlò lei, pestando i pie<strong>di</strong> “Papà, io voglio il braccialetto!”<br />
Ersilia si levò quel benedetto braccialetto e lo <strong>di</strong>ede alla bambina senza fiatare. Lei lo<br />
afferrò, sorrise e se lo mise alla gola, stringendo forte. Gabriele evitò che quella si<br />
strozzasse prendendole il braccialetto e legandoglielo al polso.<br />
“Contenta?”
Margherita sorrise ancora. Diede un veloce bacio al padre e se ne scappò per i corridoi.<br />
La videro attaccare un altro bambino, con cui scoppiò una selvaggia rissa. Gabriele non<br />
fece nulla; guardò ancora i vecchi e <strong>di</strong>sse<br />
“Le hanno dato il Methotreate qualche anno fa. Incre<strong>di</strong>bilmente è riuscita a resistere, ne<br />
sono morti... 2596, per lesioni al cervello. A lei il cervello è andato in pappa,però è viva.<br />
Chissà cosa le faranno, e se riuscirà a sopravvivere questa volta”<br />
Dopo un secondo <strong>di</strong> silenzio, in cui il ragazzo doveva essersi commosso senza tuttavia<br />
piangere, Arca<strong>di</strong>o lo prese per un braccio e gli chiese se riuscisse a procurar loro dei<br />
documenti che provassero incontrovertibilmente quel che succedeva nei reparti del S.<br />
Pancrazio.<br />
“Ah, volete fare gli eroi, volete denunciare tutti?” rise quello, amaramente.<br />
“Sì, come Erin... il cognome non me lo ricordo... beh, quello con Julia Roberts”<br />
“Non ce la farete mai. Siete anche vecchi, non ce la fareste comunque. E io non riuscirei<br />
mai a rubare per voi dei documenti simili... non ho più tentato <strong>di</strong> fare lʼeroe, il coraggioso.<br />
Lʼho fatto una volta e mi hanno dato il Metaqualone. Mi hanno fatto <strong>di</strong>ventare un pazzo.<br />
Ma posso <strong>di</strong>rvi <strong>di</strong> più. I tre reparti sono legati tra loro attraverso i sotterranei...”<br />
“Lo sapevo!” esclamò Arca<strong>di</strong>o “ E ci sono i laboratori...”<br />
“Esatto.” continuò il ragazzo “Nei laboratori potete vedere con i vostri stessi occhi che cosa<br />
cazzo fanno quei bastar<strong>di</strong>, e troverete anche dei documenti.”<br />
“Ci sei mai stato?”<br />
“Una volta, con Anita. Siamo riusciti a forzare la porta bianca e siamo scesi per le scale<br />
nere, strette... la strada è un poʼ lunga, perché deve legare tutti e tre i reparti... non<br />
abbiamo visto tutto, stavamo correndo e Anita poi si è messa a vomitare. I me<strong>di</strong>ci si<br />
prendono dei feti appena abortiti e li crescono nei barattoli nutritivi finché non hanno nove<br />
mesi, lʼetà <strong>di</strong> essere partoriti. Quando nascono, in senso lato, sopravvivono con i cuori dei<br />
cani...”<br />
“I cuori dei cani?”<br />
“Sì, certo... e per questo <strong>di</strong>ventano <strong>chimere</strong>, in parte umani e in parte animali. Ce ne sono<br />
parecchi in giro, sia nei laboratori sia nei reparti...”<br />
“Da noi non ce ne sono” fece Ersilia, guardando Arca<strong>di</strong>o stupefatta.<br />
Gabriele sorrise e roteò gli occhi<br />
“Come no? Non avrete guardato bene: alcuni sembrano persone normali. Le <strong>chimere</strong><br />
hanno gli organi interni degli animali, ma a volte prendono anche qualcosa in più, non so<br />
se mi spiego. Iniziano a comportarsi da animali, magari hanno anche qualcosa nellʼaspetto<br />
che lo ricorda...”<br />
“Del tipo?”<br />
“Tipo Ma gli androi<strong>di</strong> sognano pecore elettriche? <strong>di</strong> Dick, nonché Blade Runner?” <strong>di</strong>sse<br />
Ersilia, per non smentire se stessa.<br />
“Beh, volendo vedere non ha tutti i torti... ma, ad esempio, qui cʼè un ragazzino in<strong>di</strong>ano a<br />
cui hanno trapiantato la proboscide <strong>di</strong> un cucciolo <strong>di</strong> elefante. Si vergogna <strong>di</strong> farsi vedere,<br />
non esce praticamente mai dalla sua camera. Però barrisce e muove il naso come una<br />
mano, è prensile. É anche <strong>di</strong>vertente...”<br />
Gli occhi del ragazzo furono attraversati da un guizzo improvviso, quasi un fulmine. E la<br />
sua espressione cambiò <strong>di</strong> colpo. Da ragionevole che era,tutto dʼun tratto si mise a<br />
sbraitare, a sputare contro i vecchi, a tentare <strong>di</strong> strappare la rete che li <strong>di</strong>videva. Il suo<br />
corpo magro venne percosso da violente convulsioni; si graffiava il volto e si tirava i<br />
capelli, tenendosi la testa che gli doleva. In suo aiuto giunsero due ragazzi della sua età,<br />
magri ma più piazzati; lo presero per le ascelle e lo tirarono via dalla rete, trascinandolo<br />
per terra, dove continuava ad agitare i pie<strong>di</strong>. Fissava i due vecchi con quegli occhi neri e<br />
minacciosi, strillando<br />
“Uccidetevi! Uccidetevi! I<strong>di</strong>oti, uccidetevi!”
Ersilia si avvicinò ad Arca<strong>di</strong>o, impaurita. Paradossalmente, il reparto più spaventoso era<br />
proprio quello dove erano segregati i bambini. Fecero per andare, quando una voce<br />
flebile, rotta dal pianto, li chiamò. I vecchi si girarono e videro la ragazza <strong>di</strong> Gabriele,Anita,<br />
con un neonato fra le braccia. Arca<strong>di</strong>o ed Ersilia tornarono alla rete e guardarono il<br />
piccolo. Era un neonato cereo, con già le occhiaie viola intorno agli occhi bianchi,ciechi;<br />
non si capiva se era già morto o la morte se la portava in giro al posto del sonaglio.<br />
“É uno dei 36 a cui hanno dato lʼossigeno e uno degli 8 rimasti ciechi in tutti e due gli<br />
occhi”<br />
“Sei Anita?” chiese Ersilia, fissandola nel volto che, seppur butterato dalla droga e rovinato<br />
dalle torture, aveva dei lineamenti meravigliosi.<br />
“Sono Anita. Scusate Gabriele, non voleva farlo. É il Metaqualone che lo ha fatto <strong>di</strong>ventare<br />
così, prima è normale e poi si mette a urlare, a fare del male e a farsi del male,ha le<br />
allucinazioni. Ma potreste farmi un favore?”<br />
I due attesero.<br />
“Mi salutereste mio nonno? Si chiama Gaspare Freticelli, ma probabilmente non si ricorda<br />
<strong>di</strong> me”<br />
Aveva gli occhi pieni <strong>di</strong> lacrime. Il bambino cominciò a lamentarsi. Arca<strong>di</strong>o le sorrise<br />
dolcemente.<br />
“Lo faremo sicuramente”<br />
“Grazie”<br />
Anita si allontanò con passi lenti, sospesi, quasi andasse a morire, consolando quel<br />
neonato che aveva tra le braccia. Forse entrambi andavano a morire e il peggio era che,<br />
entrambi giovani, lo sapevano.<br />
Arca<strong>di</strong>o <strong>di</strong>ede il braccio ad Ersilia e lasciarono quellʼinferno infantile senza <strong>di</strong>re una parola.<br />
Appena fuori, <strong>di</strong>etro un cespuglio, videro un bambino <strong>di</strong> forse <strong>di</strong>eci anni, <strong>di</strong> colore ma<br />
palli<strong>di</strong>ssimo, rasato e ossuto come tutti, lottare tenacemente con un grosso cane nero,<br />
pieno <strong>di</strong> cicatrici e con il muso insanguinato, gli occhi rossi, per un pacchetto <strong>di</strong> sigarette<br />
caduto a terra tra <strong>di</strong> loro. Proseguirono per la propria strada come se non avessero visto<br />
nulla.<br />
Al loro ritorno allʼingresso del reparto, li aspettava Luciana. Non domandò niente, notando<br />
gli sguar<strong>di</strong> smarriti e sconvolti degli amici.<br />
“Ivo è scomparso”<br />
“Come,è scomparso?”<br />
“Era <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> me, poi non cʼera più. Il tizio che avevo davanti mi ha detto che era uscito,<br />
ma non è da nessunissima parte”<br />
Sospirarono. Quel giorno era stato troppo impegnativo per loro, tra lʼaltro vecchi.<br />
“Tornerà” <strong>di</strong>sse Ersilia, slacciandosi la giacca “Per come è fatto, non può andare molto<br />
lontano. Ha bisogno <strong>di</strong> questo posto.”<br />
Andarono verso il proprio piano senza parlare. Luciana comprendeva che essi dovevano<br />
aver assistito ad un orrendo spettacolo, ma non ebbe il cuore <strong>di</strong> forzarli a parlare <strong>di</strong><br />
quellʼesperienza traumatica. Ne avrebbero <strong>di</strong>scusso il giorno seguente, ora dovevano<br />
riposare tutti.<br />
“Però una buona notizia cʼè”<br />
“Quale?”<br />
“Clau<strong>di</strong>o è tornato”<br />
Arca<strong>di</strong>o si bloccò nel corridoio, incerto se sorridere o meno.<br />
“E dovʼè, come sta, che cosa gli è successo...?”<br />
Luciana lo prese per il polso e lo guidò davanti alla camera del veterano. Era socchiusa.<br />
“Io non lʼho ancora visto, ma il tizio del reparto animali si è lasciato sfuggire lʼinformazione”
I tre entrarono nella camera immersa nel buio, con la finestra chiusa. Aleggiava un leggero<br />
odore <strong>di</strong> piscio. Sul letto cʼera qualcosa <strong>di</strong> imponente, che si muoveva appena, e si sentiva<br />
un pesante russare.<br />
Ersilia accese la luce e lʼessere sul letto protestò con una sorta <strong>di</strong> grugnito. Arca<strong>di</strong>o si<br />
avvicinò in ansia. Non riusciva ad ammettere a se stesso che quella montagna inerte e<br />
maleodorante fosse Clau<strong>di</strong>o. Luciana andò dallʼaltro lato e soffocò un singhiozzo.<br />
“Gli hanno fatto la lobotomia”<br />
Ersilia ed Arca<strong>di</strong>o la guardarono spaesati.<br />
“Si stacca la connessione tra il lobo frontale e il resto del cervello. Quel che rimane<br />
dellʼuomo è un vegetale”<br />
Mise una mano sul capo del povero Clau<strong>di</strong>o. Aveva due cicatrici sulle tempie. Come un<br />
vero combattente.<br />
“E ora che ne sarà <strong>di</strong> lui?” domandò, più a se stesso che a Luciana, Arca<strong>di</strong>o.<br />
Lei inarcò un sopracciglio.<br />
“Ne faranno una cavia”<br />
“Allora meglio che muoia”<br />
Arca<strong>di</strong>o gli tappò il naso e la bocca con lʼaiuto dellʼamica. Clau<strong>di</strong>o spirò senza nemmeno<br />
lottare unʼultima volta.<br />
Sulla poltrona, Ersilia piangeva rumorosamente, e con la voce rotta da irrefrenabili<br />
singhiozzi ripeteva<br />
“Veronika decide <strong>di</strong> morire <strong>di</strong> Paulo Coelho... Qualcuno volò sul nido del cuculo... Ragazze<br />
interrotte... Lʼesercito delle 12 scimmie...Il papà <strong>di</strong> Giovanna... Changeling...Amadeus...”<br />
Quei titoli non avevano un gran senso detto tra loro; per Ersilia, forse, rappresentavano<br />
tutto ciò che sapeva dei manicomi.<br />
Clau<strong>di</strong>o giaceva <strong>di</strong>steso ormai deceduto, come un gigante sconfitto. Però era sconfitto con<br />
la vittoria nel cuore, la vittoria <strong>di</strong> aver detto la verità ed esortato degli altri a lottare per<br />
scoprirla.<br />
I tre uscirono dalla stanza senza <strong>di</strong>re una parola, solo Ersilia piangeva ed ora in maniera<br />
più calma. Non si fecero vedere da nessuno e, a capo chino, entrarono nella camera <strong>di</strong><br />
Gaspare. Il vecchio li guardò sospettoso e chiese loro come si chiamassero e cosa<br />
potesse fare per loro.<br />
Ersilia li <strong>di</strong>ede il suo fido quaderno, in<strong>di</strong>candogli i loro nomi. Gaspare si convinse.<br />
“Ci siamo giocati Ivo, però. É sparito” <strong>di</strong>sse Luciana.<br />
“Per oggi basta fare gli investigatori” replicò Arca<strong>di</strong>o “Domani ricominciamo, ma per oggi<br />
basta”.<br />
Tutti assentirono.<br />
Così fecero. La mattina successiva si misero al tavolo, a mangiare in silenzio, quasi senza<br />
neanche guardarsi.<br />
“Ivo non è ancora tornato in camera?”<br />
“Non lʼho ancora sentito. Io e lui abbiamo una affinità elettiva, come il buon Goethe <strong>di</strong>ce.”<br />
Le ricerche non continuarono subito dopo la colazione. Lʼassenza <strong>di</strong> Ivo li inquietava. Ma<br />
ben presto egli tornò; erano nel corridoio del primo piano, quando u<strong>di</strong>rono la sua voce<br />
gridare<br />
“Sono qui! Sono qui!”<br />
Per quanto la sua età e il peso potevano permettere, correva ansimando. Aveva ancora i<br />
vestiti, scomposti, del giorno prima. Aveva il volto pallido ma arrossato per il freddo e,<br />
verosimilmente, per il pianto; gli occhi erano allucinati, grossi e luci<strong>di</strong>ssimi.<br />
“Dio mio,calmati!” esclamò Luciana,prendendolo al suo fianco “Dove sei finito? Eri <strong>di</strong>etro <strong>di</strong><br />
me e poi sei scomparso!”<br />
“Ho visto un cane crocifisso!” strillò, ficcandosi le mani nei capelli grigi “Ho visto un cane<br />
crocifisso alla parete, come Gesù Cristo sul Golgota!”
Lo portarono sul <strong>di</strong>vano e stettero ad ascoltare i suoi deliri. Arca<strong>di</strong>o pensò <strong>di</strong> non aver mai<br />
visto un uomo tanto sconvolto.<br />
“Era un cane grosso, marrone... ed era inchiodato alla parete, tutta insanguinata del suo<br />
sangue che colava sotto <strong>di</strong> lui...guaiva e tentava <strong>di</strong> staccarsi da quei chio<strong>di</strong>, ma non ci<br />
riusciva e poi piangeva come un bambino. Poi ha abbassato la testa ed ha rantolato, con<br />
la lingua fuori e il sangue che continuava a colare fino a terra... era un uomo, giuro...<br />
e in una gabbia, una scimmia si staccava il pelo e le <strong>di</strong>ta a morsi...voleva uccidersi...”<br />
Ivo piangeva, chino sulle ginocchia, scosso in tutto il corpo. Ci volle un poʼ per convincerlo<br />
ad andare a letto a riposare e <strong>di</strong>menticare quellʼincubo.<br />
Poche ore dopo gli infermieri scoprirono che Clau<strong>di</strong>o era morto. Tutti i pensionanti<br />
poterono vederlo venir portato via su una barella, senza nemmeno essere coperto almeno<br />
da un lenzuolo bianco. I pensionanti piansero nel vedere lʼidolo, il veterano passato ad<br />
una vita migliore, quel povero uomo, quella montagna morta, spezzata, <strong>di</strong>strutta.<br />
Poche ore dopo, anche Ivo era morto. Si era sparato un colpo in testa, con una rivoltella<br />
che nascondeva sotto il materasso, unʼarma che lo aveva salvato durante la guerra.<br />
Questo per Arca<strong>di</strong>o fu troppo. Non riuscì a piangere o ad arrabbiarsi. Con Luciana ed<br />
Ersilia si trovarono nella camera <strong>di</strong> Gaspare.<br />
“Non me ne frega niente. Io là ci vado e scopro che cazzo succede.” <strong>di</strong>sse Arca<strong>di</strong>o.<br />
“Vai a morire anche tu?” fece Luciana “Vuoi finire lobotomizzato come Clau<strong>di</strong>o, vuoi<br />
suicidarti come Ivo, vuoi fare la cavia e impazzire, come sarà con tutti noi... me,lei , lui, i<br />
bambini che hai visto?”<br />
Ersilia non <strong>di</strong>sse nulla e ovviamente nemmeno Gaspare. Ma Arca<strong>di</strong>o giurò <strong>di</strong> farlo.<br />
Avrebbe oltrepassato la porta bianca, superato le scale strette fino alle viscere della terra<br />
violentate da quegli stregoni, quei pervertiti che si chiamavano scienziati. Per quelle<br />
persone che si erano affidate a dei me<strong>di</strong>ci, convinte <strong>di</strong> trovare la salute e la salvezza; per i<br />
bambini morti e gli animali uccisi, le creature <strong>di</strong> Dio torturate fino a pregare la morte, il vero<br />
bene <strong>di</strong>vino.<br />
Quella notte, quando lʼintero istituto taceva e gli infermieri non davano troppa attenzione a<br />
quel che succedeva, Arca<strong>di</strong>o prese il coltellino svizzero, si mise il golf più pesante e scese<br />
al piano terra. La porta bianca stava in fondo al corridoio dove stavano tutti gli stu<strong>di</strong>oli; da<br />
quello del Dr. Celeste udì una videocassetta andare: una voce maschile e profonda<br />
<strong>di</strong>ceva ad un bambino cosa fare e quello piangeva e si lamentava. E non erano cose<br />
normali, come prendere un bicchiere dʼacqua o mettere a posto la stanza.<br />
Al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questo particolare, tutto sembrava propizio alla sua <strong>di</strong>scesa negli Inferi. Arca<strong>di</strong>o<br />
provò una certa agitazione nel trovarsi davanti a quella porta, sapendo che in quel<br />
momento doveva assolutamente varcarla. Tentò con il coltellino svizzero, ricordando lʼetà<br />
del giovane teppista, ed incre<strong>di</strong>bilmente ci riuscì. La porta si aprì con un cigolio, come<br />
nelle migliori scene dei film dellʼorrore. Stupido, non aveva portato con sé neanche una<br />
pila elettrica o almeno una candela. E i suoi occhi non erano più buoni come una volta.<br />
Vagò a tentoni tenendo una mano sulla parete fredda, <strong>di</strong> cemento, gonfia, mentre con<br />
lʼaltra reggeva il coltellino, in caso dovesse <strong>di</strong>fendersi da eventuali attacchi. Lʼaria era<br />
umida, afosa, puzzava <strong>di</strong> morte, <strong>di</strong> <strong>di</strong>sinfettante e aci<strong>di</strong>, <strong>di</strong> piscio e sangue, <strong>di</strong> polvere,<br />
come se la luce del sole non toccasse quella zona da anni. Gli venne la nausea e dovette<br />
fermarsi un minuto per prendere fiato e persuadersi a restare lucido. Gli unici rumori nel<br />
sotterraneo erano i suoi pazzi e il suo respiro. Aveva paura <strong>di</strong> quel che avrebbe visto, la<br />
faccia <strong>di</strong> Gabriele gli si era ficcata nella testa e non voleva più andarsene; continuava a<br />
parlare degli orrori, dei feti e degli animali.<br />
Dʼun tratto, il sotterraneo finì. Si apriva una tenda <strong>di</strong> plastica, come quella dei<br />
supermercati, aperta. Non cʼera nessuno. Entrò con le mani tremanti, tenendosi davanti il<br />
coltello.<br />
Non cʼerano persone, cioè non cʼerano me<strong>di</strong>ci. Cʼera ben altro.
Arca<strong>di</strong>o vide imme<strong>di</strong>atamente i barattoli e i feti abortiti, che non sembravano neanche reali<br />
ma <strong>di</strong> plastica, come quelli dei film; gatti dalle volte craniche aperte e collegati ai cervelli<br />
degli elettro<strong>di</strong>, che riposavano in piccole gabbiette <strong>di</strong> ferro; scimmie coricate sui lettini, che<br />
a volte erano scosse da convulsioni negli arti; conigli mezzi spellati, che stavano rintanati<br />
negli angoli più oscuri delle gabbie. Sulla parete, il Gesù animale ancora in croce.<br />
Il laboratorio era grosso, bianco e tanto oscuro, ma niente <strong>di</strong> nuovo per lui. Erano come<br />
tanti.<br />
Ma sul tavolo principale, dei fogli sparsi. Arca<strong>di</strong>o si voltò in<strong>di</strong>etro per non venir preso alle<br />
spalle. Erano documenti ufficiali, come quelli rubati da Luciana nel reparto animale. Li<br />
piegò e se li mise sotto il golf. Ma uno in particolare catturò la sua attenzione. Si trattava <strong>di</strong><br />
un elenco <strong>di</strong> farmaci e dei risultati la cui sperimentazione aveva dato. Oltre ai nomi noti<br />
che perfino un paesano come lui conosceva per gli effetti <strong>di</strong>versi nellʼuomo e nellʼanimale,<br />
ossia la penicillina, gli estrogeni sintetici, la stricnina, il calamelano,la <strong>di</strong>gitalina, il cianuro<br />
<strong>di</strong> potassio e la morfina, vi erano nomi strani che avevano condannato lʼessere umano,<br />
avevano provocato malattie al posto <strong>di</strong> curarle. Lʼ Orobilex aveva causato danni mortali ai<br />
reni; lʼ Isoproterenol spray aveva ucciso migliaia <strong>di</strong> asmatici; il Metaqualone aveva fatto<br />
impazzire ragazzi come Gabriele; il MEL/29 causava cataratta; lo Stilbestrolo causava<br />
cancerogenesi chimica transplacentarie e cancro alla vagina in donne la cui madre aveva<br />
assunto il farmaco durante la gravidanza; la Talidomide fece nascere 10000 bambini<br />
focomelici e causò nevrite periferica negli adulti.<br />
Quando lesse questʼultimo nome, Arca<strong>di</strong>o trattenne il fiato. Si sentì <strong>di</strong> colpo il petto gelare<br />
e due paia <strong>di</strong> mani lo presero per le braccia e lo fecero coricare sul lettino.<br />
“Siamo chimerre” <strong>di</strong>sse una voce.<br />
Erano due uomini, due me<strong>di</strong>ci. Uno era alto, dallʼatteggiamento gobbo,<strong>di</strong> capelli e peli<br />
nerissimo, il muso, perché <strong>di</strong> muso si trattava, lungo e uncinato come quello <strong>di</strong> un corvo;<br />
lʼaltro era basso,corpulento, con occhi enormi che quasi gli uscivano dalle orbite.<br />
Sorridevano.<br />
“Ravèn e Mosca” <strong>di</strong>sse questo.<br />
Arca<strong>di</strong>o abbassò le palpebre. Il coltellino gli cadde sui pie<strong>di</strong>.<br />
“Incantato”