Le vie infinite dei rifiuti - PORTA DI MASSA
Le vie infinite dei rifiuti - PORTA DI MASSA
Le vie infinite dei rifiuti - PORTA DI MASSA
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
36<br />
di “impiego”), poi concentrandosi su una manovalanza ancor più a buon<br />
mercato: rom ed extracomunitari, soprattutto clandestini, i più<br />
convenienti sia sotto il profilo economico sia sotto quello del silenzio.<br />
La tecnica che abbiamo esposto non può durare a lungo, per due motivi:<br />
da un lato, il territorio si satura rapidamente di <strong>rifiuti</strong>, dall’altro tali<br />
depositi iniziano a divenire visibili, fino ad attirare l’attenzione delle<br />
forze dell’ordine. E visibili lo sono ancora oggi. Lo sanno bene i<br />
pneumatici della mia sgangherata automobile, costretti a calpestare<br />
materiali diversi dall’asfalto durante tanti interminabili pomeriggi.<br />
Lungo la circumvallazione esterna di Napoli, in quelle foreste di<br />
cemento venute su come funghi, lungo l’asse mediano, a Caivano, a<br />
Orta di Atella, dove le discariche si mimetizzano alla perfezione con<br />
l’edilizia abusiva, dovunque si posi l’occhio ci sono cumuli di scorie, a<br />
cielo aperto, spesso neanche racchiuse in contenitori. Immondizia<br />
comune, fusti e buste, pneumatici, tutto mischiato e lasciato a bordo<br />
strada. Cumuli di “monnezza” urbana, con i sacchi che spesso si<br />
rompono, che fanno da copertura perfetta ai <strong>rifiuti</strong> tossici.<br />
D’inverno come d’estate, ho indossato una mascherina, per quel poco di<br />
protezione che può dare, e sono andato a ficcare il naso, con una<br />
telecamerina grande quanto un pacchetto di sigarette, di quelle che se le<br />
usi da 50 metri di distanza, chi ti vede non si accorge che stai facendo<br />
delle riprese. Non è difficile vedere: non è neanche necessario andare in<br />
luoghi appartati, in una campagna che non c’è più. Non servono<br />
binocoli, basta il proprio occhio a rivelare la dimensione della<br />
devastazione. Ho festeggiato così, a febbraio 2006, il quindicesimo<br />
anniversario del “caso Tamburrino”: girando per la zona nord di Napoli,<br />
sentendo perennemente nell’aria un odore che ricorda vagamente quello<br />
delle zone industriali – solo che le fabbriche non ci sono - e facendo<br />
sempre attenzione a non passare due volte con la stessa auto per lo<br />
stesso posto. Solo così ho potuto capire fino in fondo la grandezza del<br />
problema. Ci sono cose che non si possono comprendere<br />
completamente se non le si vede, se non si poggia il piede dove<br />
dovrebbe esserci il terreno e invece non c’è erba, non c’è terra, e si<br />
lascia l’orma sopra <strong>rifiuti</strong> maleodoranti.<br />
Dieci milioni di tonnellate di veleni sversati sul territorio campano negli<br />
ultimi due anni, dieci milioni di tonnellate da sentire sotto le piante <strong>dei</strong><br />
piedi.<br />
Per risolvere il primo problema, quello della saturazione del territorio,<br />
gli addetti ai lavori si sono rivolti ad aziende e clan, ma anche a