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Le vie infinite dei rifiuti - PORTA DI MASSA

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Territorio saturo, appunto. Talmente saturo che di<strong>vie</strong>ne problematico<br />

anche per chi sversa <strong>rifiuti</strong> scovare nuovi luoghi dove depositare i<br />

veleni, dove scavare nuove buche. E’ proprio questa saturazione a<br />

causare la nuova rivoluzione degli sversamenti.<br />

Quella zona della provincia di Napoli si è trasformata ed è tuttora uno<br />

<strong>dei</strong> maggiori centri privati d’Italia di smaltimento illecito di <strong>rifiuti</strong>. In<br />

seguito alle inchieste giudiziarie che si sono susseguite negli anni,<br />

spesso spinte da denunce di comitati di cittadini o ai sempre più<br />

frequenti controlli delle forze dell’ordine, le attività hanno avuto per un<br />

certo periodo una pausa, all’incirca attorno al 2000. Pausa che non va<br />

letta come un segnale di sconfitta: è servita a riorganizzare le attività, a<br />

far calare il silenzio sul fenomeno, a diversificare l’offerta di servizi<br />

nell’ambito dello smaltimento di <strong>rifiuti</strong> tossici. Finita la fase di<br />

riorganizzazione, verso il 2002 l’attività è ripresa. Da un lato ne è nata<br />

la nuova ecomafia, dall’altro è ripresa l’attività di abbandono di<br />

materiali nocivi.<br />

Oggi la tecnica di smaltimento con grossi camion e ruspe, all’interno di<br />

cave abusive o di laghetti artificiali ottenuti rompendo la falda acquifera,<br />

è stata abbandonata, per fare spazio alla nuova tecnica del piccolo<br />

pusher del rifiuto tossico: risulta più facile riempire piccoli anonimi<br />

furgoni o motocarri con poche decine di fusti di piccolo taglio, in modo<br />

da essere scaricati sul luogo in pochissimo tempo, piuttosto che il<br />

grosso camion con centinaia di fusti come ai tempi di Tamburrino. In<br />

una giornata lo stesso ciclo di smaltimento si ripete per tre o quattro<br />

volte, facendo diversi “viaggi” tra un centro di deposito temporaneo ed<br />

il sito finale.<br />

Il grosso camion con tonnellate di <strong>rifiuti</strong> arriva in un anonimo<br />

capannone, nel quale av<strong>vie</strong>ne il travaso del carico, a piccole dosi, su<br />

mezzi piccoli e agili, che andranno poi a sversare dando meno<br />

nell’occhio. Il passo finale è ancora una volta semplice e cinico: si<br />

scaricano sul terreno i <strong>rifiuti</strong> con i piccoli furgoni, per poi incendiarli<br />

sprigionando altissime colonne di fumo nero e denso.<br />

Il triangolo Qualiano-Giugliano-Villaricca diventa quotidianamente la<br />

terra <strong>dei</strong> fuochi, come è stata definita da <strong>Le</strong>gambiente.<br />

L’organizzazione ambientalista non poteva scegliere nome migliore per<br />

questa fetta di territorio: il nome “terra <strong>dei</strong> fuochi” è divenuto negli anni<br />

talmente popolare da essere stato usato sia dal giornalismo, sia dalle<br />

associazioni civili, sia dalla letteratura, al punto in cui <strong>vie</strong>ne spesso<br />

ignorato che l’origine sia da ricercare in un dossier di <strong>Le</strong>gambiente.<br />

Per generare gli incendi vengono usate tecniche rudimentali ma<br />

efficienti. Si depositano sul terreno pneumatici fuori uso, li si riempie

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