03.06.2013 Views

Linguistica Romanza Varvaro - Appunti Unict

Linguistica Romanza Varvaro - Appunti Unict

Linguistica Romanza Varvaro - Appunti Unict

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Parte A Introduzione<br />

1 cHE COSA È LA LINGUISTICA ROMANZA<br />

La linguistica romanza studia in ogni loro aspetto tutte le parlate che hanno<br />

origine da una evoluzione della lingua latina. Proprio per questo le lingue<br />

romanze si chiamano anche neolatine.<br />

Secondo la distinzione delle lingue che risale a August Wilhelm Schlegel si<br />

possono distinguere lingue isolanti, agglutinanti e flessive. Le prime sono le<br />

lingue in cui ogni parola corrisponde ad uno e un solo morfema, le<br />

agglutinanti sono quelle in cui in una parola si combinano più morfemi<br />

invariabili e ben distinguibili tra di loro, le lingue flessive sono quelle in cui<br />

ogni parola combina più morfemi non necessariamente distinti e di forma<br />

variabile, come accade per il latino.<br />

In realtà i tre tipi isolante, agglutinante e flessivo non si trovano mai in forme<br />

pure; le lingue reali si approssimano più ad uno o ad un altro ma con<br />

gradazioni molto sottili.<br />

Tutte le lingue romanze rientrano con modalità varie nel tipo flessivo, ma<br />

l’identificazione di tali lingue non è tipologica, bensì genealogica: si fa<br />

riferimento ad una famiglia linguistica, che ha a capo una lingua madre.<br />

All’inizio del XIX secolo fu riconosciuta la fondamentale affinità di un gruppo<br />

assai cospicuo di lingue che include il latino, il greco, il tedesco, il russo,<br />

l’albanese, l’armeno, il persiano e il sanscrito. Questa affinità fu dimostrata<br />

non sulla base di evidenze, ma di rigorose corrispondenze tra morfemi e suoni.<br />

Essa fu spiegata con la comune origine di tutte questa lingue da un<br />

capostipite unico: l’indoeuropeo. Postulando cioè una lingua di cui non si ha<br />

alcuna traccia, ma è l’unico strumento possibile per spiegare tali affinità. Poco<br />

a poco la metafora genealogica fu utilizzata anche per ipotizzare fasi<br />

intermedie anch’esse scomparse, per spiegare la somiglianza tra loro di alcuni<br />

gruppi di lingue indoeuropee rispetto alle altre.<br />

Le lingue romanze sono dunque una ramificazione particolare della famiglia<br />

indoeuropea; il solo caso conosciuto e documentato in cui da una lingua ben<br />

attestata come il latino sia nata un’intera famiglia.<br />

Può accadere però che i dati siano contraddittori. Accade che ci siano lingue<br />

in cui il lessico è in maggioranza romanzo ma il sistema grammaticale no.<br />

Come accade per l’inglese, considerata per questo lingua germanica. Analogo<br />

è il caso del romeno che consideriamo lingua romanza anche se gran parte del<br />

suo lessico non è latino.<br />

La linguistica romanza include dunque lo studio di ogni aspetta, antico e<br />

moderno delle lingue romanze. Essa ha un versante diacronico ed uno<br />

sincronico, oltre ai settori tradizionali come la fonetica, la morfologia, la<br />

sintassi e la lessicologia include anche la dialettologia, la sociolinguistica, la<br />

pragmatica e la tipologia delle lingue romanze di ieri e di oggi.<br />

2 BREVI CENNI DI STORIA DELLA LINGUISTICA ROMANZA<br />

Conosciamo già dal medioevo riflessioni sulle lingue romanze. I collezionatori<br />

sei e settecenteschi di campioni di lingue non avevano riconosciuto però<br />

l’appartenenza al gruppo romanzo di numerose varietà europee. Mancava un<br />

Pagina 1 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

metodo che permettesse una sistemazione scientifica delle ricche conoscenze<br />

in questo campo.<br />

È l’acquisizione del metodo comparativo elaborato dalla linguistica<br />

indoeuropea a fornire la consapevolezza che le corrispondenze devono essere<br />

regolari, costanti e verificabili. Ciò permette al tedesco Diez di produrre una<br />

grammatica comparata delle lingue romanze e poi un vocabolario etimologico<br />

della famiglia.<br />

Nella seconda metà dell’800 si realizza un gran numero di edizioni scientifiche<br />

di testi letterari e non letterari medievali; parallelamente si sviluppa<br />

l’attenzione ai dialetti parlati soprattutto ad opera del goriziano Isaia Ascoli.<br />

Tra il 1866-1868 il tedesco Schuchardt mise in rilievo la complessità dei<br />

rapporti con il latino, indagando di questa lingua non i testi normalizzati dalla<br />

letteratura, ma le innumerevoli deviazioni della norma documentale degli<br />

scritti più umili o rozzi. Ci si rendeva così conto che le lingue romanze non<br />

sono lo sviluppo dell’uso scritto di Cicerone odi Virgilio ma del complesso<br />

delle forme del latino parlato nell’impero romano. Egli metteva in rilievo<br />

l’importanza della variazione continua e della diffusione della innovazioni<br />

nello spazio e sottolineava il peso della mescolanza linguistica.<br />

Diventò così centrale il problema dell’esistenza o meno di confini linguistici<br />

sul terreno, problema che dette la spinta alla realizzazione di atlanti linguistici<br />

basati su inchieste dirette. Il francese Jules Gilléron fu autore del primo<br />

atlante linguistica nazionale, nasce così la geografia linguistica.<br />

Alla metà del novecento la linguistica romanza soffre molto il trionfo della<br />

linguistica strutturale che si richiama a Saussure. La linguistica romanza<br />

ormai si è comunque estesa a tutti i paesi romanzi europei ed extraeuropei, e<br />

alla maggior parte di quelli non romanzi.<br />

Parte B Le lingue romanze oggi<br />

3 GEOGRAFIA ED IDENTITÀ DELLE LINGUE ROMANZE ATTUALI<br />

Oggi le lingue romanze occupano, in primo luogo, un’area geografica continua<br />

nell’Europa occidentale, ad ovest di una linea che va dal Canale della Manica<br />

al mare adriatico. A occidente di questo confine, all’interno dell’area romanza,<br />

ci sono sparse isole linguistiche alloglotte, soprattutto in Italia. Ma vanno<br />

segnalate soprattutto due cospicue aree: la Bretagna francese è in parte di<br />

lingua celtica, vi sono poi zone basche nel sud della Francia e in Spagna. In<br />

queste aree, come nelle isole alloglotte minori, la maggior parte della<br />

popolazione è bilingue e non mancano coloro che non parlano la lingua locale.<br />

Le grandi lingue romanze sono il portoghese, lo spagnolo, il francese e<br />

l’italiano, ma alcune lingue come il catalano, il galego e l’asturiano hanno<br />

riconoscenza romanza.<br />

In Europa esiste però un’altra importante area romanza, ad oriente del<br />

confine che abbiamo tracciato e senza continuità con l’aria principale. Nei<br />

Balcani c’è una massa compatta che copre gran parte della Romania e della<br />

Repubblica Moldava, ambedue di lingua romena.<br />

Fino ai primi anni del novecento c’era nei Balcani un’altra parlata romanza,<br />

un linguaggio ibero-romanzo degli ebrei espulsi nel 1492 dalla Spagna e<br />

rifugiatisi nell’impero Ottomano. Le stragi della seconda quella mondiale, nel<br />

Pagina 2 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Balcani e l’immigrazione in Israele hanno fatto quasi scomparire questa<br />

varietà romanza dalla nostra area.<br />

In America vi è una vastissima area romanza, così come in Africa, dove nessun<br />

paese è propriamente di lingua romanza, ma la maggior parte degli stati di<br />

recente indipendenza ha conservato come ufficiale la lingua dell’antico<br />

colonizzatore perché non c’è una lingua locale dominante. In Asia vi sono delle<br />

piccole aree portoghesi e spagnole, mentre in Oceania usano il francese solo<br />

alcuni gruppi di isole.<br />

Non è facile alla luce di tutto ciò dire quanti siano i parlanti di lingua<br />

romanza. In ogni caso non meno di mezzo miliardo di persone. Delle lingue<br />

principali il più diffuso è lo spagnolo, seguito dal portoghese, dal francese e<br />

per ultimo l’italiano.<br />

4 POLITICHE LINGUISTICHE IN AREA ROMANZA<br />

Per politica linguistica si intende tutte quelle decisioni prese a livello<br />

governativo e simili che interessano l’ambito della lingua di un paese.<br />

Nella storia delle lingue romanze alcune di queste decisioni sono rimaste<br />

memorabili.<br />

Nell’anno 813 un concilio di vescovi dell’impero carolingio, riunito sulla Loira<br />

decise che nelle chiese dell’Impero, mentre la liturgia rimaneva in latino, le<br />

omelie dovessero essere formulate in lingua volgare, romanza nelle aree<br />

romanze e germanica in quelle germaniche, affinché i fedeli potessero<br />

intenderle. Questa decisione dava soprattutto legittimità alle lingue volgari<br />

modificandone quindi non la diffusione ma lo status.<br />

Nel 1539 il re di Francia Francesco I con l’ordinanza di Villers-Cotterêts segnò<br />

un altro storico momento. Per evitare gli equivoci e le difficoltà che nascevano<br />

dall’uso del latino nei tribunali del regno il re decise che fosse obbligatorio<br />

l’uso del francese. Questa norma era fatta per agevolare tutti quanti<br />

disconoscevano il latino ma di fatto assegnò al francese uno status che<br />

riduceva quello di tutti gli altri dialetti del regno. Da qui ha inizio una politica<br />

di unificazione linguistica della Francia che sarà portata alle estreme<br />

conseguenze dalla Rivoluzione, per cui l’uguaglianza tra i cittadini implica<br />

l’uso di una stessa lingua, il francese.<br />

La storia del Ducato di Savoia, e quindi del Piemonte, ebbe una svolta quando<br />

dal 1560 in poi il duca Emanuele Filiberto adottò l’italiano<br />

nell’amministrazione e nella giustizia della parte italiana dei suoi<br />

possedimenti<br />

Il decreto de Nueva Planta, emanato nel 1707 ed esteso nel 1716 ai paesi<br />

catalani dal re di Spagna Filippo V (il primo della dinastia dei Borboni)<br />

introduceva l’obbligo dello spagnolo nell’uso dell’amministrazione e<br />

giudiziario, risolvendo a sfavore delle altre parlate del regno, soprattutto del<br />

catalano.<br />

Non meno importanti in campo di politica linguistica sono le fondazioni di<br />

associazioni cui si assegna il compito di regolare l’uso linguistico; come ad<br />

esempio l’Accademia della Crusca,fondata nel 1582, l’Académie Française,<br />

del 1636, e la Real Accademia de la lengua, del 1714.<br />

Nel mondo romanzo attuale solo in Francia è considerato normale che il<br />

governo intervenga sull’uso linguistica, non solo combattendo l’introduzione<br />

di termini stranieri, ma anche stabilendo che le insegne dei negozi debbano<br />

Pagina 3 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

essere in francese e perfino legiferando su usi grafici come la dieresi o<br />

l’accento circonflesso.<br />

Il campo più importante della politica linguistica è sempre stato la scuola<br />

perché è il luogo in cui bisognerebbe insegnare ai giovani come si scrive e si<br />

legge. In Italia, dall’unità (1861) in poi, salvo brevi periodi nelle scuole il<br />

dialetto è stato sanzionato, obbligando i bambini all’uso dell’italiano.<br />

5 LA VARIAZIONE<br />

L’unita linguistica non è la condizione naturale della lingua. La variazione è<br />

del tutto normale non solo tra le diverse comunità ma all’interno di ciascuna<br />

di esse ed è limitata soltanto dalla necessità di comunicare.<br />

Già Dante aveva osservato che in una stessa città non si parla in tutti i rioni<br />

alla stessa maniera e che la lingua del passato era certamente diversa da<br />

quella del presente. I dialettologi dell’800 assumevano che in ogni località<br />

esistono usi linguistici sostanzialmente omogenei e prendevano in esame solo<br />

pochi campioni, ma quando le inchieste sul terreno si espansero fu inevitabile<br />

constatare che non era così. La prima spiegazione fu affidata al passare del<br />

tempo, ipotizzando che la lingua originale fosse quella degli abitanti più<br />

anziani, mentre i giovani la cambiavano col passare del tempo. Furono quindi<br />

presi in esame solo gli abitanti più anziani, dando per scontato che almeno in<br />

una famiglia l’uso linguistico fosse omogeneo. Successivamente risultò invece<br />

che i parlanti studiati differivano gli uni dagli altri nel modo di parlare a<br />

seconda del sesso, dell’età, dell’occupazione.<br />

Ritenendo necessario non rinunciare all’idea di omogeneità linguistica, i<br />

linguisti si convinsero che essa esistesse almeno all’interno di un singolo<br />

individuo. Più tardi fu ripreso il concetto con il termine di idioletto, con cui si<br />

indica l’insieme degli usi linguistici propri del singolo parlante.<br />

Ma essendo la variazione un carattere intrinseco della lingua, di ogni lingua,<br />

anche l’uso linguistico di un singolo parlante risulta incostante e ricco di<br />

variazioni.<br />

Le dimensioni della variazione sono molteplici. Le principali sono la<br />

diatòpica, diafàsica, diastràtica e diacronica. Per variazione diatòpica si<br />

intende quella che si realizza nello spazio. Tale variazione include sia la<br />

differenza tra le famiglie linguistiche, che può essere grandissima, sia quella<br />

tra le parlate dei rioni di una stessa città, che può essere minima. Per<br />

variazione diastràtica intendiamo quella che si realizza all’interno di una<br />

comunità sociale in rapporto al variare delle condizioni sociali stesse. Per<br />

variazione diafasica si intende quella che si realizza in rapporto ai registri<br />

espressivi. Per variazione diacronica si intende quella che avviene nel<br />

tempo, per esempio quella che è avvenuta in italiano tra l’800 e il 900.<br />

6 LA VARIAZIONE DIATÒPICA: I DIALETTI E LE VARIETÀ REGIONALI<br />

La forma più evidente di variazione linguistica è quella diatòpica, che si<br />

realizza nello spazio. Queste varietà vengono detti dialetti. Nella Romània<br />

antica i dialetti sono in linea di principio la continuazione diretta del latino<br />

parlato nella stessa area, trasmesso di generazione in generazione. In ogni<br />

caso è errata la convinzione diffusa che i nostri dialetti siano forme corrotte<br />

della lingua nazionale, al contrario essi derivano direttamente dal latino,<br />

Pagina 4 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

proprio come le lingue romanze, le quali per altro si sono formate sulla base di<br />

un dialetto.<br />

Se si prende ad esempio la città di Siviglia, essa è rimasta per secoli in mano<br />

ai musulmani e alla fine di questa dominazione la popolazione era in<br />

maggioranza araba. Il Sivigliano moderno non è dunque lo sviluppo del latino<br />

in Italica ma la conseguenza della Reconquista e del ripopolamento della città<br />

con immigrati.<br />

Nello spazio la variazione è costante ma in genere modesta: gli abitanti di<br />

una località sono quasi sempre in grado di comprendere il dialetto usato nelle<br />

località circostanti; solo ad una certa distanza la somma delle differenze da<br />

luogo alla convinzione che sia intervenuta una differenziazione più radicale.<br />

I dialetti regionali presentano fenomeni di convergenza: usandoli i parlanti<br />

evitano fenomeni strettamente locali, che sono generalmente considerati più<br />

rustici. I dialetti locali vengono così sottoposti all’influsso livellatore dei<br />

dialetti regionali e a quello della lingua di cultura. Essa è ritenuta<br />

indispensabile per acquisire uno status sociale alto e per accedere ad una<br />

serie di attività professionali, specialmente se si lavora fuori dal luogo di<br />

origine. Chi parla solo il dialetto è condannato all’emarginazione.<br />

In Francia questo processo è iniziato prima ed è molto avanzato. I patois<br />

resistono solo in zone e strati sociali molto marginali, soprattutto se non sono<br />

originariamente affini dal francese. In Italia i dialetti sono molto più forti che<br />

in Portogallo, Spagna o Francia, ma da tempo se ne paventa la morte. In<br />

realtà questo inarrestabile processo di variazione non si arresta, ma cambia, si<br />

formano così quelli che vengono chiamati italiani regionali. Nella fonetica<br />

spesso si distinguono ad esempio la presenza o l’assenza del raddoppiamento<br />

fonosintattico, ma anche nella sintassi possiamo riscontrare piccole variazioni<br />

a seconda delle diverse regioni.<br />

Sono numerosi anche i geosinonimi, cioè le parole che in aree diverse<br />

esprimono lo stesso concetto.<br />

7 LA VARIAZIONE DIATÒPICA: I PIDGINS ED I CREOLI<br />

Un caso estremo di variazione diatòpica si è realizzata negli empori<br />

commerciali creati dall’espansione oceanica degli europei dal medioevo in poi<br />

e più tardi nelle colonie basate sul lavoro degli schiavi. Nel primo caso, piccoli<br />

gruppi di europei, soprattutto portoghesi e poi spagnoli e francesi, quasi<br />

esclusivamente maschi, gestivano sulle coste dell’Africa e dell’Asia stazioni<br />

commerciali. Gli europei avevano limitate necessità di contatto linguistico con<br />

gli indigeni e non imparavano la lingua di costoro, ma semmai ricorrevano alla<br />

mediazione di servitori locali. A questo fine si creavano lingue semplificate,<br />

dette pidgins, caratterizzate da una grammatica ridotta all’essenziale e da un<br />

lessico funzionale ai rapporti commerciali e a forme ridotte di convivenza. La<br />

stabilità di un pidgins è limitata: esso nasce e muore in rapporto al bisogno di<br />

comunicazione.<br />

Alcuni di questi empori rimasero attivi per secoli e vi si creò una mini-società<br />

gli europei si univano a donne indigene e i figli nati da queste unioni erano<br />

detti meticci. Il pidgins diveniva così la lingua materna. A questo punto, però,<br />

non parliamo più di pidgins ma di creolo privo di limitazioni funzionali alle<br />

relazioni commerciali ed è appunto lingua materna e spesso unica.<br />

Pagina 5 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Nelle colonie commerciali non mancavano schiavi ma la situazione cambia<br />

quando la richiesta continua di braccianti genera la tratta. Le masse razziate<br />

sulle coste e nell’interno venivano concentrate negli empori costieri d’africa e<br />

poi imbarcate per la traversata. In questa fase gli indigeni venivano mescolati<br />

e dovevano così adottare una nuova lingua per comunicare tra loro e con i<br />

padroni; questa era di norma una lingua creola..<br />

Le lingue creole, romanze e non romanze, sembrano costituire una categoria<br />

linguistica ben individuabile. Tutte hanno una grammatica molto<br />

semplificata, tendenzialmente di tipo isolante. Caratteristica è la morfologia<br />

verbale: il tempo e l’aspetto sono espressi non da desinenze ma da particelle<br />

che precedono il morfema lessicale del verbo. Ne diversi creoli le particelle<br />

cambiano, ma il sistema è analogo.<br />

Il lessico è formato per la maggior parte da parole della lingua europea anche<br />

se modificate nella forma, quindi un creolo è differente dall’altro ma le forme<br />

grammaticali presentano somiglianze anche se non sembrano in relazione con<br />

la stessa lingua europea di base.<br />

Di norma il creolo può accrescere o diminuire l’incidenza della lingua di base<br />

e al limite può essere riassorbito da questa.<br />

Considerare i creoli come generati dalla lingua romanza di cui portano il nome<br />

(il creolo di haiti come neo-francese così come il francese è neo-latino) non è<br />

possibile, perché i due processi di formazione sono differenti. Ma è<br />

ugualmente inadeguato considerare i creoli come risultato di mescolanze<br />

linguistiche perché l’apporto delle lingue non europee risulta modestissimo e<br />

marginale.<br />

8 LA VARIAZIONE DIASTRÀTICA<br />

In Italia, più che negli altri paesi romanzi, la prima forma di differenza<br />

nell’uso linguistico è quella tra chi usa il dialetto e chi usa lingua. Fino al<br />

pieno ‘800 la maggioranza degli italiani apparteneva al primo gruppo; De<br />

Mauro ha calcolato che gli italiani che parlavano italiano erano il 2.5% degli<br />

abitanti.<br />

Con i successivi rilevamenti statistici compiuti fino alla fine del ‘900 si<br />

constata che il numero dei dialettofoni aumenta tra le persone di condizione<br />

bassa rispetto a quelli di condizione medio alta, tra gli anziani rispetto ai<br />

giovani,nei piccoli centri rispetto alle città. Ecco perché possiamo dire che<br />

l’opposizione tra uso della lingua e dialetto diventa correlativa di una<br />

stratificazione sociale. Più in generale, parlando di stratificazione sociale<br />

dell’italiano, si è elaborato nei decenni scorsi il concetto di italiano popolare,<br />

una varietà che rappresenterebbe il livello socio linguistico basso della nostra<br />

lingua e che sarebbe influenzata dall’area regionale di provenienza del<br />

parlante.<br />

Vi sono inoltre differenze sistematiche tra il parlato e lo scritto; il congiuntivo,<br />

ad esempio, è raro nel parlato piuttosto che nello scritto; in francese il parlato<br />

usa quasi esclusivamente il passato prossimo, o il futuro composto, la<br />

negazione semplice e l’interrogazione espressa dal tono di voce. Lo scritto<br />

invece utilizza il passato remoto, il futuro semplice, la doppia negazione,<br />

l’inversione interrogativa. Stratificazioni analoghe esistono in tutti i paesi<br />

romanzi, in forme diverse ma del tutto comparabili.<br />

Pagina 6 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

9 LA VARIAZIONE DIAFÀSICA: DIFFERENZE DI SESSO, ETÀ E PROFESSIONE<br />

Tra le forma di differenziazione diafasica ci sono anzitutto quelle collegabili al<br />

sesso e all’età del parlante. Si ha spesso l’impressione che le donne usino la<br />

lingua non esattamente come gli uomini. Non è stato facile per gli studiosi<br />

definire in cosa consista il linguaggio femminile, gli autori di ricerche sul<br />

terreno tendono a ritenere che la lingua delle donne sia più conservatrice di<br />

quella degli uomini. In passato questa caratteristica sarebbe stata associata<br />

alla minore mobilità della donna che aveva meno contatti con estranei.<br />

In verità, per quanto riguarda la Francia alcuni studi hanno portato alla<br />

conclusione opposta, nelle aree occitane e franco-provenzali le donne sono<br />

passate all’uso del francese abbandonando il dialetto prima e con più<br />

attenzione alla correttezza rispetto agli uomini.<br />

Assai più netta è la specificità della lingua dei giovani. In realtà si tratta<br />

sempre di innovazioni lessicali di vitalità effimera. Nelle sue forma più spinte<br />

il linguaggio giovanile diventa un gergo cioè una forma linguistica usata da un<br />

gruppo con la specifica finalità di non essere compresi da chi non fa parte del<br />

gruppo. Il gergo è un fenomeno antico, specialmente nei gruppi che hanno<br />

specifiche ragioni per non farsi comprendere. Esso incide in generale soltanto<br />

sul lessico e presenta una forte differenziazione nel tempo e nello spazio. Una<br />

caratteristica del lessico gergale è la ricchezza di sinonimi per le parole<br />

chiave. Il gergo più anticamente documentato è quello furbesco usato dalla<br />

malavita.<br />

In Francia il gergo, chiamato jargon e poi argot, è documentato fin dal<br />

medioevo, in particolare si conosce bene nel 400 quello dei coquilards. Il<br />

lessico dei coquilards è registrato in atti processuali. Oggi l’argot, dopo aver<br />

contribuito al francese popolare, è in via di estinzione.<br />

Dal gergo alle lingue speciali quelle legate ad una specifica professione, il<br />

passo a volte è breve. Anche in questo caso si tratta soprattutto di fenomeni<br />

lessicali che danno origine a neo formazioni.<br />

10 LO STUDIO DELLA VARIAZIONE: GLOSSARI, VOCABOLARI E GRAMMATICA<br />

La coscienza della variazione è nel mondo romanzo assai antica, intrinseca<br />

all’esperienza dei parlanti. Il più antico segno di una attività culturale legata<br />

alla variazione è l’attività di glossatura, cioè la pratica di accompagnare un<br />

testo in una lingua poco familiare con annotazioni interlineari o marginali<br />

che rendono una o più voci della lingua del testo con parole di un’altra lingua<br />

più familiare a chi scrive.<br />

La pratica delle glosse è diffusissima e molto produttiva. essa era normale per<br />

la bibbia, sia in ambiente ebraico che latino, e produceva migliaia di voci, che<br />

spesso era comodo utilizzare senza ricominciare da capo la lettura, si capisce<br />

dunque come sia nata l’idea di staccare le glosse dai testi e raggrupparle in<br />

glossari che fossero sistematici.<br />

La più elementare forma di organizzazione dei glossari è quella ideologica, in<br />

cui le parole sono raggruppare per campi concettuali. Ciò rende difficile la<br />

ricerca di una parola, si passa così al glossario alfabetico che in una prima<br />

fase raggruppa le parola solo in base alla lettera iniziale, poi assume un<br />

ordinamento propriamente alfabetico.<br />

Pagina 7 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Solo con la dialettologia moderna, dalla fine dell’800 e soprattutto nel 900,<br />

appaiono vocabolari dialettali di concezione diversa. Basati sulla varietà di<br />

piccoli centri o di aree molto vaste, essi mirano a raccogliere l’intero lessico di<br />

un dialetto per permetterne non la traduzione ma la conoscenza, e quindi in<br />

tutta la sua varietà formale e semantica.<br />

Dalla stessa esigenza nascono, già nel medioevo, le prime descrizioni<br />

grammaticali del francese ad uso di chi era di lingua madre inglese. Una<br />

lingua può essere descritta affinché sia parlata correttamente oppure affinché<br />

chi non la conosce ne apprenda almeno i rudimenti.<br />

11 LO STUDIO DELLA VARIAZIONE: DIALETTOLOGIA ED ETNOLINGUISTICA<br />

Tradizionalmente, lo studio dei dialetti mirava a dimostrare che la loro dignità<br />

linguistica non era minore di quella delle lingue letterarie del tempo. Si tratta<br />

dunque di grammatiche normative che definiscono come si dovrebbe scrivere<br />

in dialetto e non descrivono come si parlava effettivamente.<br />

La dialettologia moderna invece, (dalla seconda metà dell’800) è descrittiva.<br />

Essa non si concentra sullo studio di un dialetto in particolare, ma sulla sua<br />

metodologia. È basata sulla raccolta diretta, sul terreno, dei dati da parte<br />

dell’autore; i dati sono di norma tratti dal parlato e non dallo scritto o dalla<br />

letteratura dialettale.<br />

Lo studioso, dopo aver scelto la zona da analizzare, vi si reca per svolgere<br />

inchieste personale, trascrive il dialetto locale attraverso risposte alle sue<br />

domande o alla conversazione spontanea e poi studia e sistema i dati così<br />

raccolti.<br />

In passato si mirava a raccogliere e studiare il dialetto nella sua forma più<br />

pura e arcaica; a questo fine si selezionavano soggetti quanto più anziani e<br />

incolti possibile, senza esperienza di altre parlate. Poi ci si è resi conto che il<br />

dialetto “puro” è inesistente, poiché da nessuna parte esiste perfetta<br />

omogeneità. Il dialettologo mira dunque a raccogliere tutte le modalità di una<br />

parlata locale, sia in funzione dello studio della variazione diatòpica che di<br />

quelle diafàsica e diastràtica. Così la dialettologia diventa sempre di più<br />

sociolinguistica. Mentre quest’ultima era nata come studio della varietà nelle<br />

parlate urbane e l’altra si occupava dei piccoli paesi e dei villaggi, ora le<br />

metodologia convergono.<br />

I dialettologi non trascurano quasi mai il lessico, anche se non hanno come<br />

scopo la confezione di un vocabolario, ma poiché il fine dello studio è<br />

evidenziare le variazioni, queste sono sottolineate con maggiore rilevanza nel<br />

lessico. In ogni caso la descrizione di una rete di dialetti porta alla<br />

constatazione di differenze e somiglianze che permettono di tracciare delle<br />

aree geografiche separate la linee dette isoglosse. La constatazione di una<br />

rete di dialetti permette di tracciare un gran numero di isoglosse, ma si<br />

constaterà che assai di rado esse si sovrappongono.<br />

Lo studio dei dialetti non investe solo le forme, ma anche i loro usi. Se si<br />

considera ad esempio il caso dei pronomi personali le cui forme nei dialetti<br />

regionali non presentano molte particolarità, si trova interessante, invece, il<br />

loro uso ad esempio come allocutivo che varia a seconda delle regioni: nella<br />

zona appenninica si usa quasi sempre il “tu” anche con persone del rango<br />

superiore, mentre nel sud Italia si usa il “voi”.<br />

Pagina 8 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Lo studio del lessico dialettale può avere un altro sviluppo, quello<br />

etnolinguistico. Spesso, infatti, per tradurre una parola non basta specificarla<br />

con un’altra parola della lingua standard, a volte sono necessarie ulteriori<br />

definizioni che concernono questa parola o in alcuni casi disegni. Questo tipo<br />

di studio fu sviluppato all’inizio del Novecento nel metodo “parole e cose” e<br />

poi esteso a termini che designano cose astratte che illustrano ideologie e<br />

valori di una cultura.<br />

Si è così realizzata una dialettologia che ricostruiva non solo le forme di<br />

espressione ma anche i contenuti della cultura di una comunità contadina e<br />

artigiana, assai diversa dalle culture urbane e borghesi. Si tratta dunque di<br />

una linguistica etnografica, non molto diversa da quella che si suole realizzare<br />

quando si descrivono lingue e culture extraeuropee di popolazioni “in via di<br />

sviluppo”.<br />

12 LO STUDIO DELLA VARIAZIONE: GLI ATLANTI LINGUISTICI<br />

Verso la fine dell’800 si pensò in Germania che la soluzione del problema<br />

dell’esistenza o meno di confini dialettali precisi potesse essere travata in<br />

indagini sistematiche che accertassero la distribuzione nello spazio di<br />

determinati fenomeni linguistici. Su questa base fu elaborata più tardi la<br />

tecnica di produzione degli atlanti linguistici.<br />

Un atlante linguistico è una raccolta di carte il cui fondo è costante: la<br />

rappresentazione schematica e muta (senza nomi di località, monti, fiumi..)<br />

dell’area studiata, con la sola indicazione dei punti d’inchiesta, cioè le località<br />

nelle quasi è stata condotta la ricerca. Le carte sono onomasiologiche, basate<br />

cioè su concetti e non su parole, ed ogni concetto corrisponde ad una<br />

domanda fatta in modo analogo in tutti i punti d’inchiesta sulla base di un<br />

questionario predeterminato. Una singola carta può riportare forme diverse di<br />

una stessa parola, oppure forme diverse di parole diverse. I concetti sono<br />

scelti in modo che le parole che si ottengono documentino la variazione<br />

fonetica, morfologia, lessicale e qualche volta sintattica.<br />

La preparazione di un atlante implica una scelta di domande che dovranno<br />

comporre il questionario, i concetti da indagare devono essere tali da<br />

corrispondere alla cultura del luogo e da illuminare il maggior numero<br />

possibile di fenomeni linguistici. Preparato il questionario si scelgono i punti<br />

di inchiesta, in un primo momento si sceglievano le località più isolate e fuori<br />

mano, alla ricerca delle forme più arcaiche, poi ci si è accorti che anche i<br />

grandi centri e le vie di comunicazione erano importanti. In ogni punto<br />

bisogna scegliere più soggetti, quanto più ampio è un atlante e ricco il suo<br />

questionario, più diventa necessario utilizzare più soggetti. Il soggetto<br />

dovrebbe conoscere bene il dialetto ed essere poco o per niente influenzato da<br />

altre varietà. Una volta fatto il questionario, le domande verranno trascritte<br />

con un alfabeto fonetico adatto e spesso foto e disegni di oggetti faranno parte<br />

della documentazione.<br />

Fin dai primi atlanti, le carte hanno mostrato che le isoglosse che dividono<br />

l’area in cui un fenomeno si realizza dall’area in cui questo non si realizza in<br />

genere non si sovrappongono. Viene così confermata l’ipotesi dell’inesistenza<br />

di netti confini dialettali e dell’esistenza di un continuum. Si intravede che il<br />

mutamento linguistico si diffonde non solo nello spazio ma nello stesso luogo,<br />

da parola a parola, fino a diventare generale.<br />

Pagina 9 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Si vede, in Francia, che il quadro dialettale è fortemente influenzato dal<br />

prestigio, e quindi dalla capacità di diffusione delle innovazioni non sempre<br />

avviene da una località a quelle vicine, bensì dalla località di maggiore<br />

prestigio ad una di prestigio intermedio.<br />

Esistono oggi atlanti nazionali, ma si prediligono quelli regionali per la<br />

possibilità di prendere in analisi un numero maggiore di punti.<br />

13 LO STUDIO DELLA VARIAZIONE: LA SOCIOLINGUISTICA<br />

Dopo il 1950 è stata costituita la sociolinguistica, volta allo studio delle<br />

variazioni nei grandi centri urbani. Le prime indagini adottarono il metodo<br />

delle sociologia, distinguendo inchieste macro (che interessavano un largo<br />

numero di individui) e inchieste micro (più approfondite su una cerchia<br />

ristretta di individui analizzati). Nel primo caso il campione studiato deve<br />

rappresentare adeguatamente l’universo corrispondente: i soggetti esaminati<br />

devono proporzionalmente rispettare le caratteristiche della popolazione nel<br />

suo insieme. Un tipo di ricerca esemplare è stata condotta dai coniugi Milroy, i<br />

quali hanno dimostrato l’importanza delle reti di relazioni sociali di ogni<br />

individuo per quanto riguarda le variazioni linguistiche: le comunità a<br />

relazioni forti (in cui gli individui sono in continuo contatto tra di loro) sono<br />

più restie alle innovazioni rispetto a quelle comunità con relazioni deboli. Gli<br />

studi anglosassoni hanno poi influenzato lo studio di alcune città italiane,<br />

come Napoli, nella quale si trovano diverse variazioni diastràtiche.<br />

Si è così giunti alla conclusione che la sociolinguistica non è in una posizione<br />

antagonistica rispetto agli studi linguistici romanzi, anzi essa può essere utile<br />

nell’integrarsi con la dialettologia tradizionale.<br />

Per uno studio sociolinguistico non occorre un questionario; bisogna tener<br />

conto di tutte le forme di uso parlato in tutti i ceti sociali ed in tutte le località<br />

dell’area studiata, possibilmente nella loro espressione spontanea, raccolta<br />

mediante registratore, senza che i soggetti si rendano conto di essere<br />

osservati e limitino la loro spontaneità di espressione. Il tentativo di inserire<br />

negli atlanti tradizionali la dimensione diastràtica, è limitata appunto alla<br />

bidimensionalità della carta stessa che non permette di esprimere tutti gli<br />

approfondimenti degli studi.<br />

Ciò ha portato a nuove necessità di studio, scaturite dalla coscienza che in<br />

tutte le comunità linguistiche non esiste omogeneità, ma bisogna tener conto<br />

che in una identità individuale entrano in gioco anche fattori sociali.<br />

La correlazione tra debolezza delle reti di relazione e propensione per un<br />

mutamento chiarisce perché le parlate sono molto stabili dove esiste stabilità<br />

demografica, mentre i grandi fenomeni migratori facilitano il mutamento<br />

linguistico: chi rimane nel gruppo originario ha legami forti con la famiglia,<br />

chi si sposta ha sempre difficoltà a creare nuove relazioni altrettanto solide.<br />

Ecco perché la dove i dialetti romanzi continuano la parlata di insediamenti<br />

antichi e stabili, il dialetto è più conservativo e le differenze diatoniche sono<br />

più forti, mentre nelle aree di nuovo popolamento ed in tutte le situazioni<br />

coloniali il dialetto è più innovativo e meno differenziato. In Italia, per ragioni<br />

simili i dialetti siciliano sono meno differenziati di quelli peninsulari.<br />

Pagina 10 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

14 DIGLOSSIA E LINGUE IN CONTATTO ALL’INTERNO DELLA FAMIGLIA ROMANZA<br />

Si è già visto che è molto raro che una comunità usi compattamente una sola<br />

varietà linguistica. La situazione più comune è quella in cui più varietà, della<br />

stessa famiglia o di famiglie differenti, sono usate in concorrenza o con una<br />

ripartizione sistematica delle rispettive funzioni. Nel prendere in analisi le<br />

diverse varietà appartenenti tutte alla famiglia linguistica romanza, bisogna<br />

innanzitutto distinguere due concetti: diglossia e bilinguismo.<br />

La diglossia è un fenomeno sociale in cui si attribuiscono a due varietà<br />

linguistiche funzioni comunicative di livello diverso, vale a dire un particolare<br />

ambito comunicativo; una delle varietà di solito è legata agli usi bassi, l’altra<br />

agli usi alti. Il bilinguismo è, invece, un fenomeno individuale e si manifesta<br />

quando un individue è in grado di usare due o più varietà.<br />

Alla luce di questa distinzione è chiaro quindi che possono esserci sia<br />

situazioni di compresenza di entrambi i fenomeni, che situazioni di assenza.<br />

Può inoltre essere presente solo uno dei due: si ha diglossia senza bilinguismo<br />

là dove i gruppi sociali che usano le due varietà sono nettamente divisi, come<br />

accadeva nelle colonie europee in cui il bilinguismo era assente e per la<br />

comunicazione tra gli europei e gli indigeni ci si serviva di un ristretto numero<br />

di traduttori; si ha bilinguismo senza diglossia là dove vi sono parecchie<br />

persone che conoscono due o più varietà, ma non esiste una differenziazione<br />

sistematica del loro uso.<br />

Quest’ultima situazione, di solito presente nelle comunità a mobilità sociale, è<br />

quella dell’Europa romanza di epoca moderna.<br />

I casi più studiati sono forse quelli dei conflitti tra castigliano e catalano in<br />

Catalogna e francese e occitano nella Francia meridionale. Sia il catalano che<br />

l’occitano hanno goduto nel medioevo di prestigio paritario rispetto alle<br />

varietà che sono poi diventate le loro antagoniste. Ma in epoca moderna<br />

hanno perso terreno sia sul piano sociale che in quello culturale; le classi alte<br />

della Catalogna e della Francia hanno preferito il castigliano ed il francese. Il<br />

processo si realizza a livello collettivo, come affermazione di una varietà<br />

sull’altra in un dominio dopo l’altro e, a livello individuale, porta al cambio di<br />

lingua. La conseguenza del processo è talvolta la scomparsa totale della<br />

varietà privata di prestigio. I casi analoghi non sono pochi, spesso anche al di<br />

fuori dell’Europa.<br />

Sono simili, infondo, le dinamiche che si realizzano in Italia, dove la lingua<br />

standard si trova di fronte ai suoi dialetti. Il veneziano, il napoletano, il<br />

siciliano, avevano prestigio nell’uso amministrativo e letterario, eppure, ai<br />

confronti con l’italiano anch’essi sono scivolati verso le funzioni basse, sempre<br />

più limitati ad usi informali e familiari.<br />

In questo processo, però, si è determinata di rado una vera e propria<br />

situazione diglottica, cioè con distribuzione sistematica delle funzioni e dei<br />

domini. Il parlante non produce più enunciati solo in una delle due varietà, ma<br />

le mescola continuamente, in ragione delle sue capacità, dell’ascoltatore,<br />

dell’argomento, del luogo. Un insieme di enunciati si dispone così in un<br />

continuum di gradazioni da una lingua all’altra. Si parla allora di basiletto,<br />

varietà linguistica considerata di livello più basso, e acroletto, varietà<br />

linguistica considerata di livello più alto. Quando un parlante passa da una<br />

varietà all’altra avviene quello che si chiama “commutazione di codice”,<br />

Pagina 11 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

questo si intende all’interno di uno stesso enunciato o discorso. Nel caso<br />

dell’italiano, il dialetto si identifica con il basiletto, la lingua standard come<br />

acroletto.<br />

Il parlante cercherà di dirigersi maggiormente verso l’acroletto, non solo per<br />

sentirsi meno rozzo, ma anche quando, nel dover comunicare con una persona<br />

che non appartiene allo stesso dialetto, cerca di rendersi più comprensibile.<br />

15 LINGUE ROMANZE E NON ROMANZE IN CONTATTO<br />

Le lingue romanze non sono in contatto solo con altre lingue romanze, nel<br />

mondo contemporaneo, così come in quello medievale e moderno, esse hanno<br />

rapporti con numerose altre lingue che appartengono a famiglie differenti.<br />

Non si tratta solamente di rapporti orizzontali, ovvero di tipo adstratico, ma<br />

anche di veri e propri casi di diglossia, in cui la lingua romanza gioca il ruolo<br />

di varietà alta. A loro volta però, in alcuni gruppi come quello daco-romanzo,<br />

funzionano come varietà basse.<br />

Il bretone attuale, varietà celtica, è conseguenza dell’immigrazione delle<br />

popolazioni celtiche dalla Gran Bretagna al ducato di Bretagna, in Francia. Il<br />

ducato comprendeva tanto zone abitate da popolazioni bretoni, tanto zone di<br />

lingua francese. Pertanto il bretone rimase sempre la parlata dei contadini,<br />

fino ad epoca moderna, senza produzione letteraria né normalizzazione e con<br />

forti differenze dialettali. Tra i secoli X e XIII la frontiera linguistica è<br />

arretrata verso occidente ma poi è rimasta sostanzialmente stabile. Essa<br />

divide una Bretagna brétonnante (di dialetto bretone) e una Bretagna gallo (di<br />

dialetto francese). In realtà anche nella prima zona il francese è usato da<br />

quasi tutti i parlanti e gode di prestigio sociale superiore.<br />

Un caso diverso si trova nelle Fiandre, fino al 1900 il francese era considerato<br />

varietà alta rispetto al fiammingo, mentre a partire dal 1900 da un lato il<br />

Belgio fiammingo ha avuto un fiorente sviluppo demografico, dall’altro la zona<br />

francese ha subito una crisi economica. Il fiammingo ha dunque acquisito<br />

maggior prestigio sociale e funzioni alte. Oggi nelle città delle Fiandre sembra<br />

più diffuso il bilinguismo fiammingo-inglese che non quello fiammingofrancese.<br />

Se osserviamo il caso dell’America latina, è bene ricordare che il castigliano e<br />

il portoghese sono in contatto con un centinaio di lingue amerindiane, quasi<br />

sempre rilegate ai più bassi livelli sociolinguistici. Ci sono però due eccezioni<br />

rilevanti. La prima è quella del Paraguay che ha una storia fondata sulle<br />

missioni dei gesuiti dei sei-settecento; lo status che aveva la lingua indigena (il<br />

guaranì) ha fatto si che esso sia parlato dalla maggioranza della popolazione,<br />

in tutti i ceti sociali, e sia considerato un tratto distintivo dell’identità<br />

nazionale. Da qualche tempo il guaranì è affiancato allo spagnolo, lingua<br />

dell’istruzione, ma questo è parlato spesso male, con forti influenze del<br />

guaranì. Diversa è la situazione del quechua in Perù. La lingua è legata al<br />

ricordo del glorioso passato degli Inca ed è parlato da milioni di persone, ma il<br />

tentativo di renderlo paritario con lo spagnolo, anche nell’insegnamento, fallì<br />

nel 1970.<br />

Più in generale, il rapporto con l’inglese è oggi in tutto il mondo la più<br />

rilevante forma di contatto tra lingue romanze e non romanze. L’uso<br />

dell’inglese come lingua universale di molte scienze, della tecnologia, della<br />

politica e del commercio, producono nelle lingue romanze un altissimo<br />

Pagina 12 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

numero di prestiti lessicali, spesso neppure adattati alle consuetudini della<br />

lingua romanza che li accoglie. Per non dimenticare, poi, gli influssi sul<br />

sistema delle lingue romanze: grazie ai prestiti è diventata normale l’uscita<br />

consonantica delle parole (gol, film), sono diventati accettabili i nessi<br />

sostantivo + sostantivo (conferenza stampa, musica jazz) e si ammette un<br />

ordine capovolto determinante + determinato (radiocronista, nordeuropeo).<br />

16 PRAGMATICA, TRADIZIONI DISCORSIVE E TRADIZIONI TESTUALI<br />

La moderna pragmatica studia la lingua nei suoi contesti ed in relazione con le<br />

circostanze del suo uso, e soprattutto con le dinamiche relazionali. La filosofia<br />

analitica inglese di Austin e Searle, ai quali risale l’intera teoria degli atti<br />

linguistici, considera gli enunciati non in rapporto alla loro grammaticalità ma<br />

come azione governata da regole tanto linguistiche che socioculturali. A<br />

seconda della sua natura un atto linguistico può essere realizzato in enunciati<br />

diversi, con diverse modalità linguistiche.<br />

Si osservi la distinzione tra enunciati constativi, che descrivono o constatano<br />

(e che quindi possono essere veri o falsi come “oggi fa caldo” “l’idraulico ha<br />

finito il suo lavoro”) ed enunciati performativi, che compiono essi stessi<br />

l’azione: la frase “la proclamo laureato in lettere” non può essere valutata<br />

vera o falsa, è la frase stessa che compie l’azione di trasformare lo studente in<br />

laureato. Chi pronuncia enunciati performativi non asserisce qualcosa, ma la<br />

fa. Naturalmente ci sono casi in cui l’azione non riesce o non sono sinceri.<br />

Pragmaticamente queste frasi sono diverse da quelle semplicemente<br />

constative, che posso essere vere o false.<br />

Più in generale, gli enunciati hanno una forza illocutoria: se il parlante<br />

compie un atto del genere, ad esempio un’affermazione, gli ascoltatori gliene<br />

attribuiscono la responsabilità e ne attendono la coerenza; se invece il<br />

parlante produce degli effetti sugli interlocutori, come avviene quando si da<br />

un ordine, si parla di atto perlocutorio.<br />

Una ricerca interessante è anche quella che mira a definire le condizioni in cui<br />

si realizza una conversazione: secondo il filosofo americano Grice la logica che<br />

governa la conversazione è fondata sul principio di cooperazione.<br />

Un aspetto molto importante del parlato è la deissi cioè l’insieme dei<br />

riferimenti allo spazio, al tempo e alle persone. Già la differenza tra i pronomi<br />

e gli aggettivi dimostrativi è di carattere deittico: “questo” si riferisce a cosa o<br />

persona vicina a chi parla, “quello” si riferisce a cosa o persona lontana da chi<br />

parla. Deittica è anche la differenza tra gli articoli determinativi o<br />

indeterminativi, in quanto i primi si riferiscono ad una cosa o persona nota<br />

all’ascoltatore, mentre gli indeterminativi ad una cosa sconosciuta.<br />

Questa distinzione ci porta a contrapporre due concetti molto importanti per<br />

l’analisi pragmatica del discorso: dato e nuovo, di solito l’analisi procede per<br />

aggiunta progressiva di elementi nuovi a quelli già conosciuti. La distinzione<br />

si sovrappone parzialmente ad un’altra: quella tra tema e rema (topic e coda).<br />

I nostri enunciati sono costruiti su qualcosa, in genere dato, che ne costituisce<br />

il tema, di cui si afferma qualcos’altro, che in genere è nuovo. Il tema non<br />

deve per forza coincidere con il soggetto, ma in italiano, grazie ad un processo<br />

chiamato dislocazione a sinistra, di solito si trova all’inizio della frase.<br />

Pagina 13 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Sotto questo profilo di analisi, gli enunciati orali sono considerati ed analizzati<br />

come quelli scritti. Un testo orale o scritto si definisce in ragione della sua<br />

coerenza rispetto ai codici linguistici ed extralinguistici.<br />

La linguistica testuale studia i fenomeni di testualità, cioè le regolarità e le<br />

condizioni che trasformano una serie di frasi in una successione coerente che<br />

chiamiamo testo. Rientra qui anche lo studio dei generi letterari, che sono<br />

una specifica categoria di testi per i quali sono state già individuate delle<br />

specifiche caratteristiche.<br />

17 CORPORA DI TESTI ORALI E SCRITTI<br />

La variazione non si può studiare nel suo aspetto macro, perché sarebbe<br />

necessaria una quantità molto vasta di materiale. Si ricorre allora ad alcuni<br />

insiemi di testi (enunciati tanto orali che scritti), che forniscono il materiale<br />

per ricerche di taglio svariato, senza che ogni volta sia necessaria la raccolta<br />

personale del materiale di base. Fin dagli accademici della Crusca, i lessici e<br />

le grammatiche sono stati basati su un corpus di testi considerati autorevoli.<br />

La raccolta di enunciati orali e la loro archiviazione è stata resa possibile<br />

dall’invenzione di forme di registrazione della voce (il grammofono, il<br />

registratore).<br />

Per la realizzazione di un “corpus” si è cominciato dai più semplici “corpora”<br />

letterari; in Italia l’opera canonica è ormai la LIZ (letteratura italiana<br />

Zanichelli), un cdrom in cui sono raccolti oltre 800 opere di letteratura<br />

italiana.<br />

Una prima limitazione di tali corpora è rappresentata dalla finezza dell’analisi<br />

informatica dei testi stesi e dalla funzionalità dei motori di ricerca: se un testo<br />

è rimasto grezzo, pura trascrizione della pagina a stampa,l’analisi che se ne<br />

può fare sul disco o sulla rete è sostanzialmente la stessa che è permessa dal<br />

libro. Dall’altro la raccolta non ha opere letterarie che non siano di pubblico<br />

interesse, anche se molto ricche dal punto di vista linguistico.<br />

Il Centro dell’Opera del Vocabolario del nostro Consiglio Nazionale delle<br />

Ricerche, riprendendo i precedenti lavori dell’Accademia della Crusca, sta<br />

realizzando un vocabolario dell’italiano antico basato su un corpus<br />

tendenzialmente completo di testi anteriori al 1379.<br />

Molto più complesso è il problema dei corpora di lingua parlata. Anche se<br />

accettiamo di produrre un corpus che rifletta il parlato di una sola località le<br />

difficoltà sono alte. Di fatto finora ci si accontenta di corpora di parlato<br />

rappresentativi di situazioni particolari. In conclusione, è molto probabile che<br />

la linguistica venga a dipendere sempre più dalla disponibilità di corpora.<br />

18 TIPOLOGIA DELLE VARIETÀ ROMANZE<br />

La linguistica moderna, come abbiamo già detto, ha sviluppato molto l’analisi<br />

tipologica. Da molto tempo, ad esempio, si è osservato che i principali<br />

elementi costitutivi della frase, cioè il soggetto (S), l’oggetto (O) e il verbo (V)<br />

nelle diverse lingue si dispongono reciprocamente in maniera diversa e che<br />

questo ordine è connesso ad altre caratteristiche della lingua.<br />

Le lingue romanze si norma prescrivono l’ordine SVO, ma questa non era la<br />

norma del latino, dove S e O potevano stare in qualsiasi ordine e V era<br />

solitamente alla fine della frase. L’efficienza del sistema dei casi rendeva<br />

Pagina 14 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

possibile, certamente più in sede letteraria che nel parlato, di separare il<br />

sostantivo dall’aggettivo ad esso coordinato. La perdita delle definizioni<br />

casuali dovette essere in relazione con un irrigidimento dell’ordine delle<br />

parole, perché altrimenti la comunicazione sarebbe stata seriamente<br />

compromessa.<br />

Se nelle proposizioni principali le lingue romanze condividono l’ordine SVO,<br />

non è sempre così negli altri casi. Nelle interrogazioni, ad esempio, il francese<br />

standard richiede l’inversione obbligatoria del soggetto rispetto al verbo. Alla<br />

luce di questa osservazione si possono ricercare altre lingue romanze con<br />

l’obbligo di inversione e creare così un’analisi tipologica.<br />

Si è osservato che nelle lingue romanze delle origini la prima posizione della<br />

frase deve essere occupata da un elemento accentato (un pronome personale<br />

tonico come “me” piuttosto che uno atono come “si”). Questo obbligo si è<br />

attenuato nel corso del medioevo, ma in momenti diversi da lingua a lingua.<br />

Le lingue romanze sono passate lentamente dal tipo che all’inizio della frase<br />

non accettava i pronomi atoni a quello che ammette un attacco atono.<br />

Per l’antico francese e l’antico provenzale è stata avanzata l’ipotesi che si<br />

trattasse di lingue tipologicamente “verb second” ovvero con il verbo<br />

obbligatoriamente nella seconda posizione della frase. In italiano questa<br />

collocazione è stata debolmente obbligatoria. La situazione del francese antico<br />

si può definire come tendenza a mettere ad inizio della frase il tema, cui<br />

seguiva subito il verbo.<br />

Da alcuni secoli il francese non solo ha abbandonato l’obbligo di avere il verbo<br />

in seconda posizione, ma ne ha assunto un altro: il soggetto deve essere<br />

sempre espresso, se non è costituito da un sostantivo, deve esserci almeno un<br />

pronome. Il soggetto è obbligatorio anche se generico.<br />

L’italiano non ha condiviso questa caratteristica né in passato né oggi. Questa<br />

situazione è analoga a quella delle altre lingue romanze standard. Vi è dunque<br />

all’interno della Romània una contrapposizione tra lingue a soggetto<br />

obbligatorio (francese) e lingue a soggetto non obbligatorio (tutte le altre). Il<br />

panorama tipologico, a livello dialettale, è diverso da quello a livello standard<br />

ed il tipo a soggetto obbligatorio è molto più diffuso di quanto si possa<br />

pensare.<br />

Un altro esempio dell’importanza di includere i dati dialettali nel nostro<br />

quadro è quello dell’oggetto marcato. Quando l’oggetto è un essere umano<br />

definito, lo spagnolo lo fa precedere da “a” (Pedro quiere a Dolores – Pedro<br />

ama Dolores). Nulla di simile si ha in italiano o in francese, ma è errato<br />

pensare che lo stagnolo sia un tipo isolato, i dialetti italiani meridionali hanno<br />

infatti lo stesso fenomeno.<br />

Questi esempi ci permettono di capire come la tipologia sia per definizione un<br />

sistema classificatorio senza necessaria relazione con l’origine e la storia delle<br />

lingue interessate. Ma se noi consideriamo congiuntamente tipologia e storia,<br />

viene alla luce un’ulteriore dimensione dinamica della linguistica.<br />

Pagina 15 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Parte C La storia delle lingue romanze<br />

19 LE LINGUE ROMANZE NEL 1600 E NEL 1100<br />

Nell’analisi storica della distribuzione geografica delle lingue romanze<br />

prendiamo in esame due momenti importanti: il 1600 e il 1100. Attorno al<br />

1600 l’isoglossa che separa le lingue romanze da quelle non romanze non<br />

doveva essere molto diversa da quella odierna dalla Manica fino all’Istria, ma<br />

nell’ultima sua parte meridionale includeva anche la fascia dell’Istria ed<br />

almeno una parte di quella della Dalmazia, sino a Dubrovnik. Quest’area,<br />

successivamente passata allo sloveno e soprattutto al croato, usava o il<br />

dalmatica o il veneziano, portatovi dal dominio politico della Serenissima.<br />

Attorno al 1100 l’isoglossa romanzo-germanica era invece diversa. Ad oriente<br />

e a nord rimanevano ancora isole linguistiche romanze, anche se l’antico<br />

confine romano lungo il Reno e il Danubio era stato perduto da tempo. Al<br />

Nord in Germania, Austria e Svizzera; ancora più a nord l’Inghilterra che era<br />

stata conquistata dai Normanni (anglo-normanno). È probabile che alcune<br />

città fossero ancora in parte bilingui e che nelle campagne ci fossero nuclei di<br />

contadini di lingua romanza. La penisola Iberica era dominio arabo e la lingua<br />

romanza era ridotta alla minoranza. Nel levante esistevano stati latini a<br />

seguito delle crociate, in cui il romanzo conviveva con le lingue indigene,<br />

soprattutto arabe. Infine nella Tunisia centrale vi era una parlata afroromanzo.<br />

20 LA RICONQUISTA DELLA SPAGNA E DELLA SICILIA<br />

Nell’alto medioevo l’espansione rapidissima dell’Islam ha eroso molta parte<br />

della Romània meridionale. L’antica Africa romana, invasa dagli arabi fin dal<br />

sec. VII, sembra aver perduto abbastanza rapidamente l’uso di un afroromanzo<br />

che certamente era in formazione. Nel sec XII ne rimaneva una<br />

piccola isola attorto a Gâfsa, nella Tunisia centrale interna. In Africa accanto<br />

all’arabo è sopravvissuto il bèrbero, che continua la lingua parlata<br />

anticamente dai Libici e dai Nubidi.<br />

Nel 711 un esercito musulmano, formato da arabi e berberi, traversò lo stretto<br />

che sarà chiamato di Gibilterra e vinse in battaglia l’esercito del re visigoto di<br />

Spagna; il re scomparve in battaglia l’esercito e il regno cedette<br />

completamente agli spauriti ma arditi gruppi di invasori. In circa 20 anni gli<br />

arabi avevano conquistato non solo la penisola iberica, ma avevano lanciato<br />

numerose incursioni nella Francia meridionale; furono fermati solo nel 732 da<br />

Carlo Martello. La Francia rimase così cristiana, malgrado i transitori<br />

insediamenti musulmani in Provenza e nella Alpi. L’Islam avrebbe conservato,<br />

invece, parte della Spagna fino al 1492.<br />

La conquista musulmana non comporto comunque né conversione all’Islam né<br />

la perdita della parlata romanza. Tutto ciò ch imponevano i nuovi padroni era<br />

una tassa, per il resto gli spagnoli si limitavano a vivere la vita di tutti i giorni.<br />

Per chi decideva di convertirsi il solo problema linguistico era che la lingua<br />

del testo sacro da latina diventava araba.<br />

Malgrado ciò la situazione linguistica andò mutando. L’arabo godeva del<br />

prestigio dato dall’essere la lingua del potere e quella di una civiltà divenuta<br />

Pagina 16 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

splendida in breve tempo, inoltre continuavano a giungere immigrati da tutte<br />

le regioni dell’Islam, soprattutto di lingua araba o berbera. Poiché le<br />

popolazioni cristiane delle montagne del nord della penisola si erano dopo<br />

poco tempo ribellate ai musulmani ed avevano formato i primi nuclei di ciò<br />

che saranno gli staterelli dell’Asturia, Castiglia, Navarra, Aragona e della<br />

Catalogna, i cristiani delle vaste aree dominate dai musulmani avevano anche<br />

la possibilità di emigrare verso nord, ritornando tra i propri connazionali. Chi<br />

restava in paese arabo continuando a professare la religione cristiana veniva<br />

chiamato mozàrabo, continuando a parlare le loro varietà romanze.<br />

Vi era dunque una situazione di convivenza tra gente che parlava arabo, gente<br />

che parlava berbero e gente che parlava dialetti mozaràbici. Intanto il<br />

romanzo era rimasto negli stati cristiani del nord, che si erano formati proprio<br />

nelle regioni più marginali, più arretrate, meno latinizzate e meno colte<br />

dell’antica Spagna visigota. Poiché si trattava di una zona montagnosa, in cui<br />

le comunicazioni erano difficili, questi dialetti presentavano differenze.<br />

Si tratta, da occidente a oriente, del galego, dell’asturiano, del leonese, del<br />

castigliano, del navarro, dell’aragonese e del catalano. Tra il castigliano e il<br />

navarro si trova l’area basca, un’area allora più estesa di quella attuale.<br />

I regni cristiani del nord hanno combattuto con gli arabi e a poco a poco sono<br />

riusciti ad espandersi verso sub. La riconquista fu lenta, ma attorno al 1250<br />

agli arabi non restava altro che il piccolo regno di Granada, che sarà<br />

conquistato dai re cattolici nel 1492. I moriscos, musulmani rimasti in terra<br />

cristiana e battezzati furono espulsi solo dopo il 1600.<br />

Poiché la Riconquista avvenne in fasi che corrispondevano allo spostamento<br />

verso sud di uno spazio sostanzialmente disabitato e poiché nel sud la<br />

popolazione cristiana e romanza diminuì sempre più fino a scomparire del<br />

tutto in Andalusia, le parlate romanze dei territori riconquistati non<br />

continuano quelle degli indigeni.<br />

Ne risulta che il tipo linguistico romanzo che finì per dominare fu quello<br />

castigliano. Dalla Galizia si estese verso sud il portoghese; asturiano e<br />

leonese rimasero chiusi nell’area originale, come il navarro; l’aragonese<br />

occupò una striscia di poco spessore dal nord al sud e fu presto invaso di<br />

tratti castigliani; solo il catalano conservò una sua autonomia dai Pirenei fino<br />

ad Alicante.<br />

Il castigliano era il più originale dei romanzi del nord, quello che si distaccava<br />

da tutti gli altri. Si creò così un cuneo linguistico tra i dialetti iberoromanzi<br />

occidentali e quelli orientali, che non erano privi i affinità. Non conoscevano<br />

ad esempio il dittonga mento spontaneo, mentre il castigliano si: [portoghese<br />

novo, catalano nou, castigliano nuevo da latino novu; portoghese e catalano<br />

pedra mentre castigliano piedra da latino petra]; conservavano la f iniziate<br />

latina mentre il castigliano la trasformava in aspirata h e poi in Ø e così via.<br />

In generale i dialetti mozaràbici condividevano i tratti conservatori, ma essi<br />

sono scomparsi ed il tipo castigliano è diventato dominante.<br />

Particolarmente importante è il caso dell’Andalusia, riconquistata tardi e<br />

quando le relative parlate mozarabiche erano ormai scomparse. La<br />

romanizzazione della regione è dunque dovuta ad immigrazione dal nord: si è<br />

determinato un gruppo di dialetto di base castigliana ma non privi di<br />

innovazioni importanti. Poiché l’America fu scoperta nello stesso 1492 ed è<br />

stata colonizzata da spagnoli che potevano partire solo dal porto andaluso di<br />

Siviglia, la lingua romanza che si è diffusa in America è proprio uno spagnolo<br />

di timbro andaluso.<br />

Pagina 17 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Per quanto riguarda il caso della Sicilia, l’invasione araba dell’isola ha inizio<br />

nell’827 e si conclude con la conquista completa nel 902. L’isola, appartenente<br />

all’impero bizantino, era di lingua greca nella parte orientale e latina in quella<br />

occidentale. Come in Spagna vi furono emigrazioni di cristiani e immigrazioni<br />

di arabi e berberi e soprattutto conversioni. Quando, nel XI secolo i bizantini e<br />

poi i normanni intrapresero la riconquista completata nel 1091, rimanevano<br />

ad oriente popolazioni di lingua greca, specialmente nella zona di Messina, ma<br />

non si è sicuri che ad occidente vi furono popolazioni di lingua romanza.<br />

Alla riconquista solo una parte dei ceti alti musulmani si trasferirono in Africa.<br />

All’immigrazione di nuovi signori si aggiunse quella di numerosi contadini ed<br />

artigiani. Mentre i dominatori erano spesso galloromanzi, questi immigrati<br />

provenivano dall’Italia meridionale ed anche centrale e in buon numero anche<br />

dal nord. Alcune colonie hanno conservato fino ad oggi un dialetto di tipo<br />

settentrionale, come appare a Piazza Armerina e Nicosia.<br />

Nell’isola si è formata una varietà romanza che probabilmente è coagulata<br />

attorno alla parlata degli indigeni, ma con apporto degli immigrati e le<br />

conseguenze di una generale mescolanza. Il dialetto siciliano appare meno<br />

differenziato di quanto ci si possa aspettare in un’isola molto vasta e<br />

montagnosa.<br />

21 COME FURONO SCRITTE LE LINGUE ROMANZE<br />

Tutto quello che sappiamo delle lingue romanze antiche lo apprendiamo dai<br />

testi scritti, dal momento che le varietà parlate sono andate perdute per<br />

sempre. Lo studio delle lingue nel passato deve cercare in primo luogo di<br />

interpretare correttamente i testi scritti e di ricavarne informazioni sul parlato<br />

corrispondente. Sorgono in questo caso alcune problematiche, la prima di<br />

queste riguarda la corretta corrispondenza delle grafie. I primi scrittori<br />

romanzi avevano di certo imparato a scrivere in latino ed è dunque ovvio che<br />

ne seguissero le consuetudini. Il latino utilizza un alfabeto di 23 lettere (A B C<br />

D E F G H I K L M N O P Q R S T V X Y Z) a cui, nell’are anglonormanna si<br />

aggiungeva la W per rendere la bilabiale che esisteva nei nomi anglosassoni. Il<br />

problema della mancata espressione della quantità vocalica non aveva più<br />

importanza, dato che le lingue romanze non sfruttavano le opposizioni di<br />

durata, ma restava l’uso ambiguo di V sia per la vocale [u] che per la<br />

semiconsonante [w]; e di I sia per la vocale [i] che per la semiconsonante [j].<br />

Molto tarda è stata la normalizzazione degli accenti, che risalgono all’apex<br />

che i latini ponevano a volte sulla vocale per indicare che era lunga.<br />

Nella grafia delle lingue romanze (escluso il francese), l’accento segnala solo<br />

quale sia la vocale tonica e viene usato, secondo regole fissate tra il sei e il<br />

settecento, soltanto quando la posizione dell’accento non è quella normale. Il<br />

francese fa invece dell’accento un uso diacritico (per distinguere tra e ed ε<br />

toniche, per indicare che la e atona non è ə, e così via).<br />

La più semplice via di uscita dal problema dei rapporti tra grafia tradizionale<br />

(latina) e lingua evoluta (romanza) era di conservare le grafie, mutandone il<br />

valore.<br />

In francese tutte le u lunghe erano diventate [ʯ] e le u brevi [o]: per la prima<br />

vocale non c’era nessun segno disponibile, ma bastò lasciare la grafia u che<br />

veniva letta come [ʯ].<br />

Pagina 18 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Il latino aveva una sola s, quella sorda, ma le lingue romanze possedevano ora<br />

anche la corrispondente sonora [z], che si trova solo all’interno di parola. In<br />

mancanza di segni appositi o la differenza rimase inespressa o si usò -ss- per<br />

indicare la sorda.<br />

I romani per scrivere le consonanti nasali M ed N usavano una abbreviazione:<br />

il titulus (un trattino più o meno curvo sulla lettera precedente) così annus si<br />

poteva scrivere ānus e poi anūs. Nello spagnolo antico la doppia n era<br />

diventata [ɲ] e così le grafie nn e ñ furono usate come grafie della palatale e la<br />

seconda divenne generale nel XVI secolo.<br />

Anche nel caso delle consonanti palatali provenienti dagli sviluppi di C e G<br />

seguite da vocale anteriore, di norma si sono seguite le grafie che per parole<br />

corrispondenti usava il latino, che però leggeva queste consonanti come<br />

velari. In Italia si scrive Cicerone ma non si legge, come avrebbero fatto i<br />

latini, [kikerone]. Poiché gli sviluppi romanzi sono stati divergenti, queste<br />

antiche grafie hanno assunto valori diversi nelle diverse tradizioni scrittorie<br />

romanze. Così la grafia ci, ce vale [ʧ] in italiano, valeva [ʦ] in francese, in<br />

spagnolo e in portoghese antichi e poi è diventata [s] in francese e portoghese<br />

moderni mentre è [θ] in spagnolo moderno.<br />

Nel sistema grafico latino X serviva poco. Il francese antico usò x come<br />

abbreviazione per us e ne resta ancora oggi traccia nei plurali -eux, -aux. In<br />

altre tradizioni grafiche x fu usata normalmente per il suono romanzo [ʃ],<br />

mentre nei latinismi era letta [ks]. Nel cinquecento in spagnolo [ʃ] è diventata<br />

[χ], così come [ʤ] che era scritto j e dopo un periodo di oscillazione nella<br />

grafia spagnola ha sostituito x, salvo che nel nome Mexico.<br />

Per le velari palatali [k] e [g] davanti ad e, i il francese, lo spagnolo e altre<br />

varietà hanno trovato una soluzione comoda. Poiché le consonanti labiodentali<br />

antiche [kw] e [gw] erano quasi sparite, le grafie que e qui potevano essere<br />

usate per [k + e, i] e gue, gui per [g + e, i]: così in francese antico abbiamo<br />

que [ke].<br />

Lo spagnolo ha avuto il problema dell’oscillazione grafica tra b e u, v dovuta<br />

alla confusione degli esiti di B e V latine. Nei testi antichi si trova spesso b<br />

quando ci si aspetteremmo v. Il problema è stato risolto nel 1726<br />

generalizzando la forma latina corrispondente a ciascuna parola.<br />

Un’altra soluzione possibile era l’uso di qualche segno grafico inutile<br />

dell’alfabeto latino con funzione diacritica, cioè per indicare il valore di altri<br />

segni vicini.<br />

Nell’alfabeto latino H non corrispondeva ad un suono, come tale essa fu usata<br />

in romanzo per indicare, in combinazione di altre lettere, suoni estranei al<br />

latino. Così dh esprime la d fricativa [δ], sh esprime [ʃ],invece ch è usato in<br />

francese antico per esprimere [ʧ]. Il toscano e poi l'italiano hanno fatto la<br />

scelta opposta: ch e gh esprimono rispettivamente le velari sorda [k] e sonora<br />

[g] e non le palatali.<br />

Restava infine la possibilità di usare combinazioni di antichi segni grafici per<br />

realizzare nuovi suoni.<br />

Il latino aveva una sola s, quella sorda, ma le lingue romanze possedevano ora<br />

anche la corrispondente sonora [z].L'italiano non intervenne ma altrove si<br />

ricorse alla soluzione che -ss- = [s] mentre -s- = [z], soprattutto in spagnolo.<br />

Per esprimere invece le nuove affricate [ts] e [dz] l'italiano ricorse a z senza<br />

distinzione tra sorda e sonora, altrove si usarono ts e tz, la distinzione fu resa<br />

possibile dall'introduzione di una piccola z sottoforma di cediglia sotto la c (ç).<br />

Pagina 19 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Non vennero invece inventati nuovi simboli grafici, fatta eccezione per w e ç.<br />

Il che dimostra quanto la scrittura sia conservatrice. Il sommarsi di interventi<br />

etimologici e di mutamenti fonetici che la grafia non seguiva, ha prodotto un<br />

sempre maggiore distacco tra grafia e pronuncia.<br />

22 I PRIMI TESTI ROMANZI<br />

Nell'alto medioevo la lingua normalmente scritta è il latino, ma può capitare<br />

che, in riferimento alle competenze di chi scrive questi testi tradiscano<br />

fenomeni romanzi. Capita spesso che nomi di luogo o di oggetti avessero di<br />

latino soltanto le desinenze e qualche aggiustamento grafico, ma siano di fatto<br />

romanzi. Il primo caso in cui sia sicuro che chi scrive abbia piena coscienza di<br />

opporre due sistemi linguistici è quello dei Giuramenti di Strasburgo.<br />

Nell'alleanza stipulata tra i due fratelli Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo<br />

contro l'altro fratello, ognuno dei due sovrani aveva usato, per meglio farsi<br />

comprendere la lingua prevalente nell'esercito dell'altro. È importante notare<br />

che fosse chiaro per Ludovico e Carlo quanto diversi fossero dal latino il<br />

francese e il tedesco.<br />

In italiano il primo caso in cui è certo che chi scrive vuole opporre al latino il<br />

volgare come due sistemi distinti è quello della testimonianza capuana del<br />

960, in cui il giudice trascrive nel suo testo latino la testimonianza così come è<br />

stata espressa.<br />

Nella penisola iberica l'uso scritto del volgare appare per la prima volta in un<br />

documento molto modesto in cui un frate annota una lista di formaggi che<br />

aveva concesso in cambio di alcuni lavori.<br />

Verso l'anno mille troviamo, invece, un testo in cui frasi intere romanze si<br />

inseriscono in un testo latino, nelle Glosse emilianensi. Si susseguono poi,<br />

nella storia, testi in cui iniziano a comparire le varie lingue romanze, sia in<br />

compagnia al latino, sia da sole.<br />

23 LE TRADIZIONI SCRITTORIE (LETTERARIE E NON)<br />

La Paleografia è la scienza che studia le scritture, essa è in grado di<br />

individuare con una certa approssimazione il tempo e l'ambiente in cui un<br />

manoscritto è stato prodotto. Ciò è possibile grazie alla natura tradizionale<br />

della scrittura, tanto meglio che nel medioevo le persone in grado di scrivere<br />

erano ben poche e si riunivano negli stessi luoghi, gli scriptoria, in cui si<br />

diffondevano le stesse norme e convenzioni. Così, una volta individuata una<br />

tradizione grafica, basta trovare un testo scritto in quel modo, di cui si sia<br />

certi della provenienza e della datazione per collocare nel tempo e nello<br />

spazio l'intera tradizione.<br />

La constatazione dell'esistenza di scuole di scrittura può indurre a pensare<br />

che esistessero tradizioni riguardo la forma linguistica, e che venissero<br />

tramandate parallelamente. I linguisti si sono interessati a trovare tradizioni<br />

nei testi, ma anche in quelli già datati, collocati geograficamente era difficile<br />

rintracciarne.<br />

Si partiva dall'ipotesi che ogni autore avesse usato la propria varietà locale,<br />

ma si è dovuto ammettere che chi scrive non traduce sulla carta il proprio<br />

idioletto e neanche il dialetto, ma si inserisce in una tradizione più ampia, che<br />

Pagina 20 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

tende ad eliminare non solo i tratti individuali, ma anche quelli considerati<br />

troppo locali.<br />

Si è così giunti alla nozione di scripta, come tradizione linguistica scritta,<br />

caratteristica di una data area.<br />

Parlando di scriptae non ci riferiamo soltanto alla lingua della letteratura, ma<br />

anche a quella delle scritture private o pubbliche. Si sono costituite, nel corso<br />

dei secoli, solide e durevoli tradizioni di scrittura che, dal punto di vista<br />

linguistico presentano tratti locali, ma divenuti normali ben al di là dell'area<br />

dove erano usati nel parlato. Non è dunque possibile rintracciare come<br />

testimonianze del parlato i testi scritti. L'analisi linguistica deve tener conto<br />

del filtro degli scripta.<br />

24 I MUTAMENTI DEL SISTEMA FONOLOGICO DAL LATINO ALLE LINGUE ROMANZE<br />

Già i primi testi romanzi rivelano sistemi linguistici diversi da quelli del latino,<br />

da cui hanno avuto origine. La differenza comincia fin dal sistema delle vocali.<br />

In latino esistevano 10 fonemi vocalici distinti tra loro per apertura e durata.<br />

Nessuna lingua romanza funzionalizzava in questo modo la durata, i sistemi<br />

romanzi sono basati più che altro sul grado di apertura.<br />

Per quanto riguarda le vocali toniche, il sistema più diffuso è quello detto<br />

“romanzo comune”, che è alla base della penisola iberica e della Francia e<br />

della maggior parte delle varietà italiane. Le corrispondenze con il sistema<br />

latino sono:<br />

Ī Ĭ Ē Ĕ Ă Ā Ŏ Ō Ŭ Ū<br />

↓ ↘ ↙ ↓ ↘ ↙ ↓ ↘ ↙ ↓<br />

i e ε a ɔ o u<br />

In Sardegna, in una fascia della Basilicata e probabilmente in Africa vige il<br />

sistema “sardo”, nel quale ogni coppia di vocali si è fusa in un solo fonema:<br />

Ī Ĭ Ē Ĕ Ă Ā Ŏ Ō Ŭ Ū<br />

↘ ↙ ↘ ↙ ↘ ↙ ↘ ↙ ↘ ↙<br />

i ε a ɔ u<br />

Nei Balcani e quindi nelle varietà romene, ma anche in una piccola zona della<br />

Basilicata orientale vi è uno schema misto detto “sistema romeno”:<br />

Ī Ĭ Ē Ĕ Ă Ā Ŏ Ō Ŭ Ū<br />

↓ ↘ ↙ ↓ ↘ ↙ ↘ ↙ ↘ ↙<br />

i e ε a ɔ u<br />

Un quarto sistema vocalico detto “siciliano”, interessa Sicilia, Calabria<br />

Meridionale e Salento:<br />

Ī Ĭ Ē Ĕ Ă Ā Ŏ Ō Ŭ Ū<br />

↘ ↓ ↙ ↓ ↘ ↙ ↓ ↘ ↓ ↙<br />

i ε a ɔ u<br />

Pagina 21 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Le vocali toniche delle lingue romanze sono state esposte al dittongamento,<br />

ma il fenomeno si presenta diverso a seconda delle aree interessate.<br />

Il toscano, e quindi l'italiano standard dittonga le vocali medio-basse (ε ed ɔ)<br />

solo se si trovano in sillaba libera 1 ad esempio dal latino MĔLE→miele,<br />

FŎCU→fuoco.<br />

Il francese dittonga anch'esso le vocali in sillaba libera, ma sia quelle mediobasse<br />

che quelle medio-alte (e ed o) ad esempio da HABĒRE→aveir→avoir.<br />

In castigliano il dittongamento interessa solo le vocali medio-basse ma è<br />

indifferente che esse appartengano a sillabe libere o bloccate.<br />

Oltre a questi tipi di dittongamento ne esiste un altro, risultante da<br />

armonizzazione o metafonesi. In italia meridionale abbiamo ad esempio da<br />

ε→ie, e da ɔ→uo solo se la vocale finale latina era Ī oppure Ŭ. Un altro caso di<br />

armonizzazione è la nasalizzazione, vale a dire l'adeguamento delle vocali<br />

alle condizioni di pronuncia della successiva consonante nasale 2 . In francese<br />

antico tutte le vocali seguite da consonante nasale sono più o meno<br />

leggermente nasalizzate.<br />

Sulla natura dell'accento latino ci sono state discussioni accese tra chi lo<br />

considera di natura musicale (la vocale tonica sarebbe stata pronunciata su un<br />

tono più alto delle altre) e chi lo ritiene di natura espiratoria (la vocale tonica<br />

sarebbe stata prodotta con una più forte emissione di fiato). In ogni caso, il<br />

passaggio alle lingue romanze implica un accento sensibilmente espiratorio.<br />

Questo ha come conseguenza l'indebolimento delle vocali atone.<br />

La posizione dell'accento rimane di norma quella originale latina in latino<br />

vigeva una regola semplice: l'accento cadeva sulla penultima sillaba, a meno<br />

che la vocale di questa non fosse breve in tal caso passava sulla terzultima.<br />

Nel latino di età imperiale si sono verificati alcuni fenomeni che hanno<br />

comportato lo spostamento dell'accento. Ecco i tre principali:<br />

1. Nel latino al tempo di Augusto (I sec. dC) se la vocale breve era seguita da<br />

una occlusiva e da una R essa non diventava lunga per posizione. I risultati di<br />

queste parole nelle lingue romanze mostrano che ad un certo punto,le<br />

penultime sono state considerate lunghe e l'accento è passato dalla terzultima<br />

alla penultima sillaba. Il fatto che alcune di queste parole siano sdrucciole in<br />

italiano significa solo che si tratta di parole di tradizione non popolare, ma di<br />

prestiti dotti dal latino, ad esempio la coppia intero – integro in cui la prima è<br />

la forma popolare, la seconda è quella colta.<br />

2. In latino i verbi composti con prefisso preposizionale applicavano la regola<br />

dell'accento e spesso la vocale breve divenuta atona si modificava. Nel tardo<br />

latino imperiale a causa dell'indebolimento del senso del rapporto tra quantità<br />

ed accento, l'accento è stato riportato là dove si trovava e il romanzo riflette<br />

questa nuova posizione, a volte è stata addirittura restituita la vocale del<br />

verbo semplice.<br />

A questo punto c'erano parole piane con la penultima vocale breve, dunque la<br />

regola dell'accento non valeva più.<br />

3. Il caso più grave di spostamento dell'accento è quello che coinvolge le<br />

numerose parole latine in cui la penultima vocale Ĕ oppure Ŏ era preceduta da<br />

I oppure E senza che si formasse dittongo (si trovava dunque in iato). Per la<br />

1 Una sillaba è libera se termina in vocale, bloccata se termina in consonante (es: pa-ne o<br />

car-ne)<br />

2 Nelle consonanti nasali m, n ed ɲ l'aria viene emessa parte dalla bocca e parte dal naso.<br />

Anticipando il movimento del velo palatino che divide il naso dalla bocca, l'aria esce già<br />

durante la pronuncia della vocale precedente che si nasalizza.<br />

Pagina 22 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

regola dell'accento era quest'ultima vocale a portarlo. Verso la fine del<br />

periodo imperiale, tutti questi iati sono stati risolti: le E e I della prima delle<br />

due sillabe in questione sono divenute semivocali, poiché un accento non può<br />

stare su una semivocale si è spostato sulla vocale successiva.<br />

Questa piccola modifica ha portato diverse conseguenze. L'unica palatale del<br />

sistema latino /j/ scritta I o J occorreva ad inizio di parola o tra vocali. Adesso<br />

la lingua si trovava ad avere moltissime /j/ dopo consonante. Queste nuove<br />

semivocali hanno modificato quasi senza eccezione la consonante che<br />

precedeva, determinando la formazione di nuove consonanti palatali. Per<br />

quanto riguarda la semivocale W in origine occorreva soprattutto nelle<br />

labiovelari, spesso la labiovelare si è conservata, altre volte è diventata velare.<br />

Un altro importante fenomeno del consonantismo romanzo è stata la<br />

lenizione che ha colpito le consonanti intervocaliche nella penisola iberica, in<br />

Francia e nell'Italia settentrionale. In generale il quadro è:<br />

pp→p kk→k tt→t t→d,δ,Ø p→b,v k→g,γ,Ø b→b,v,β,Ø g→g,γ,Ø d→d,δ,Ø<br />

Si può riassumere dicendo che le sorde doppie diventano semplici, le sorde<br />

semplici diventano sonore, le sonore diventano fricative o dileguano.<br />

In latino alcune consonanti potevano trovarsi in fine di parola, le più frequenti<br />

sono -m ed -s. La prima serviva ad indicare la maggior parte degli accusativi<br />

singolari, nonché alcune terminazioni verbali della prima persona singolare.<br />

La seconda era ancora più frequente, in molti nominativi plurali e in tutti gli<br />

accusativi plurali nonché nella 2 singolare e 1 plurale dei verbi.<br />

Della -m non rimane alcuna traccia nelle parole a più sillabe, mentre nei<br />

monosillabi a volte scompare altre viene sosituita da -n, soprattutto nella<br />

Romània occidentale.<br />

25 I MUTAMENTI DEL SISTEMA MORFO-SINTATTICO DAL LATINO ALLE LINGUE<br />

ROMANZE<br />

LA DECLINAZIONE - Il latino possedeva le declinazioni, sia al plurale che al<br />

singolare si distinguevano sei casi con terminazioni parzialmente diverse in<br />

corrispondenza di diverse funzioni sintattiche. Dal punto di vista formale<br />

questo sistema non era affatto perfetto, a volte si hanno infatti stesse forme<br />

per casi diversi, altre alcuni casi erano sovraccarichi di funzioni. Ma poiché il<br />

latino si serviva anche di preposizioni lo si può definire un sistema in<br />

evoluzione, al quale i cambiamenti fonetici di cui abbiamo parlato dettero una<br />

bella scossa.<br />

In gran parte delle lingue romanze non troviamo forma delle declinazioni,<br />

abbiamo una forma per il plurale ed una per il singolare, derivata spesso<br />

dall'accusativo latino. Diverso è stato per il gallo-romanzo francese e occitano,<br />

dove troviamo, in epoca medievale, una declinazione bicasuale, con la<br />

distinzione tra caso retto (con funzione di soggetto e vocativo) e caso obliquo<br />

(con tutte le altre funzioni). In questa fase dunque l'accusativo ha assorbito<br />

tutte le funzioni sintattiche meno quelle del nominativo e del vocativo.<br />

Nella seconda parte del medioevo sia l'occitano che il francese hanno<br />

eliminato la declinazione, quasi sempre a vantaggio della forma dell'obliquo.<br />

In realtà il francese andava perdendo le -s finali e quindi la distinzione tra i<br />

Pagina 23 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

due casi diventava problematica, poiché andavano a coincidere anche le forme<br />

di singolare e plurale il numero doveva essere dedotto dal contesto.<br />

I PLURALI - L'analisi dei plurali italiani non è semplice da spiegare. Se amici<br />

sembra provenire naturalmente dal latino AMICI, con la palatalizzazione di -ci<br />

che in latino si leggeva [ki], al femminile dovremmo trovare amice, mentre<br />

abbiamo la velare. In realtà la -s del plurale prima di cadere da forma ad una<br />

[j] ed il dittongo aj che ne risultava poteva dar forma alla palatalizzazione di<br />

c+e,i.<br />

I GENERI - Il latino aveva tre generi: maschile, femminile e neutro. Il neutro è<br />

stato eliminato da quasi tutte le lingue romanze, ma in una fascia dell'Italia<br />

centrale i dialetti distinguono tra sostantivi in -u, quelli che in latino erano<br />

maschili, e sostantivi in -o, di origine neutra. Al singolare il neutro latino<br />

spesso era marcato dalla terminazione -um tanto al nominativo che<br />

all'accusativo, sicché per la perdita della consonante finale veniva ad<br />

identificarsi con la forma del maschile; al plurale i neutri al nominativo e<br />

all'accusativo avevano uscita in -a, che li accomunava invece ai singolari<br />

femminili.<br />

L'ARTICOLO E I DIMOSTRATIVI - Il latino non aveva nessun articolo, né definito né<br />

indefinito. Tutte le lingue romanze li posseggono invece entrambi. L'articolo<br />

determinativo romanzo proviene di norma dalle forme del pronome<br />

dimostrativo latino ILLE. Le forme italiane, in particolare provengono da ILLU,<br />

ILLE → il, lo ILLA → la ILLI → i, gli ILLAE → le. L'origine è la stessa in tutte le<br />

lingue romanze tranne che in sardo ed in alcune varietà catalane in cui IPSE<br />

→ sa.<br />

La posizione dell'articolo non è sempre la stessa, il rumeno ad esempio esso<br />

segue il nome come un enclitico.<br />

L'articolo indeterminativo è sempre derivante da UNU e sempre anteposto.<br />

Per i pronomi dimostrativi il latino aveva un sistema a tre gradi di vicinanza,<br />

in corrispondenza alle tre persone verbali: la prima, si riferiva ad una cosa<br />

vicina al parlante, la seconda, si riferiva ad una cosa vicina a chi ascolta e la<br />

terza, si riferiva ad una cosa lontana dai due interlocutori. Questo sistema a<br />

tre gradi si conserva solo in spagnolo, portoghese, catalano, sardo e in alcuni<br />

dialetti dell'Italia meridionale.<br />

SISTEMA VERBALE E PERIFRASI - Il verbo latino si classificava in quattro coniugazioni,<br />

distingueva tre diàtesi (attiva, deponente 3 e passiva),tre tempi principali<br />

(presente, passato e futuro),due aspetti (perfettivo e imperfettivo),tre modi<br />

(indicativo, congiuntivo e imperativo), e tre persone nel singolare più tre nel<br />

plurale; aveva inoltre forme non finite: tre infiniti (presente, passato e futuro),<br />

tre participi (presente, passato e futuro), un supino, un gerundio e un<br />

gerundivo. l'intero sistema è stato scardinato e ricostruito in buona parte<br />

mediante perifrasi<br />

ORDINE DELLE PAROLE – In latino l'ordine delle parole era piuttosto libero, in quanto<br />

l'indicazione della funzione attraverso le desinenze permetteva perfino di<br />

separare il sostantivo dall'aggettivo che ad esso si riferiva. Una situazione<br />

diversa caratterizza le lingue romanze. La posizione dell'articolo rispetto al<br />

nome è fissa; l'aggettivo può essere separato dal nome solo in alcune<br />

espressioni ma di norma segue il nome (se lo precede ha un valore semantico<br />

diverso) ; i quantificatori e gli aggettivi negativi precedono il sostantivo cui si<br />

3 I verbi deponenti non avevano l'attivo ma solo il medio, identico alle forme del passivo, ed<br />

esprimevano azioni che operavano sul soggetto stesso, ad esempio “morire”<br />

Pagina 24 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

riferiscono; la posizione del determinante si è fissata dopo il determinato (la<br />

casa di mio padre).<br />

Similmente nel gruppo verbale l'oggetto segue il verbo, così come gli altri<br />

complementi; gli ausiliari precedono il participio e l'avverbio segue il verbo.<br />

Quanto alla posizione di quest'ultimo nella frase di norma segue il soggetto e<br />

precede l'oggetto. In conclusione l'ordine delle parole delle lingue romanze<br />

risulta diverso da quello latino<br />

SUBORDINAZIONE - Dopo un'importante serie di verbi il latino rendeva la<br />

proposizione subordinata con il soggetto in accusativo e il verbo all'infinito,<br />

nessuna lingua romanza continua nelle sue forme parlate questo tipo di<br />

costruzione, che è stata sostituita da QUOD seguito dal verbo in modo finito<br />

da cui provengono le frasi italiane con che + indicativo o congiuntivo.<br />

26 ALCUNI MUTAMENTI NELLA STORIA DEL FRANCESE E DELLO SPAGNOLO<br />

Nei loro secoli di storia le lingue romanze non sono rimaste intatte, ne è prova<br />

i numerosi prestiti lessicali, ma anche i mutamenti fonetici e morfosintattici. Il<br />

francese e lo spagnolo hanno modificato molto la situazione medievale, al<br />

contrario dell'italiano, in cui si possono leggere opere medievali senza troppi<br />

problemi, nel francese se non si ha una specifica competenza delle lingue<br />

antiche la lettura risulta impossibile.<br />

Alcuni esempi di mutamenti che hanno reso il francese classico e moderno<br />

differente da quello medievale si possono rintracciare nell'indebolimento delle<br />

uscite consonantiche in -t, -s ed -nt che avevano importanti funzioni<br />

morfologiche. La caduta della -s rimane nello scritto per la distinzione tra il<br />

singolare e il plurale, mentre nel parlato si indebolisce, ad eccezione dei casi<br />

di liaison. La distinzione del numero però è troppo importante perchè se ne<br />

possa fare a meno, così si aggiunge un elemento che precede il nome, spesso<br />

l'articolo. La perdita di -s ha gravi conseguenze anche nella coniugazione<br />

verbale, dal momento che le prime 3 persone del presente finiscono per avere<br />

lo stesso suono, anche questa volta il recupero avviene tramite un nuovo<br />

elemento a sinistra, il pronome soggetto a cui si fa ricorso tutte le volte che è<br />

necessario fino a diventare obbligatorio.<br />

Quando la distinzione dei numeri dei nomi e quella delle persone nei verbi<br />

vengono espresse non più mediante desinenza ma mediante un elemento<br />

prefissale a sinistra, il francese muta la sua natura anche dal punto di vista<br />

tipologico.<br />

Inoltre nei testi medievali era assai frequente l'ordine OVS, questa<br />

caratteristica si perde man mano che il soggetto diventa sempre più frequente<br />

e poi obbligatorio a sinistra del nome.<br />

Anche lo spagnolo subì enormi mutamenti alla fine del medioevo. Lo spagnolo<br />

medievale usava l'opposizione tra sorde e sonore non solo nelle occlusive ma<br />

anche nelle affricate e nelle fricative. Il sistema entra in crisi perchè entra in<br />

crisi la distinzione di sonorità: in ogni coppia l'elemento sonoro confluisce in<br />

quello sordo.<br />

In epoca moderna, in conseguenza di questi mutamenti, lo spagnolo che già<br />

possedeva un sistema vocalico più semplice di quello di molte altre lingue<br />

sorelle, semplifica anche il sistema consonantico, che finisce per usare<br />

l'opposizione tra sorde e sonore soltanto per le occlusive, ha solo un'affricata<br />

Pagina 25 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

e possiede un fonema sconosciuto alle altre lingue romanze; per un totale di<br />

17 fonemi o ancor meno in alcune regioni.<br />

27 IL RAPPORTO CONTINUO CON IL LATINO<br />

Il rapporto delle lingue romanze con il latino non è solo un rapporto di<br />

filiazione, in quanto le prime derivano dal secondo, ma anche di influenza<br />

ininterrotta nei secoli del latino sulle lingue figlie, in ragione del fatto che il<br />

latino è rimasto lingua della scuola, della chiesa e della cultura per tantissimo<br />

tempo. Solo il romeno rimase al margine perché nei Balcani la lingua della<br />

chiesa ortodossa è il greco o lo slavo ecclesiastico.<br />

Lo status del latino però è cambiato nel corso dei secoli, all'inizio si poteva<br />

considerare il registro alto di un sistema diastratico e diafasico il cui le<br />

divergenze andavano accentuandosi fino ad arrivare in pieno medioevo ad<br />

una situazione di diglossia, man mano il latino passava allo status di lingua<br />

straniera, ma conservando ancora il prestigio culturale e quello religioso.<br />

L'esempio evidente di questo rapporto di dominanza è la presenza di prestiti<br />

lessicali.<br />

Bisogna distinguere tra termini latini di origine patrimoniale, che sono stati<br />

continuamente presenti nella lingua parlata e sono riconoscibili in quanto<br />

hanno subito mutamenti fonetici caratteristici della lingua romanza, e<br />

prestiti che erano assenti dalla lingua parlata e vi sono rientrati come colti o<br />

semicolti, non subendo evidenti mutamenti.<br />

Ad esempio “orecchio” da AURICULA ma “auricolare”.<br />

Solo una piccola parte dei prestiti latini viene assunta dalle lingue romanze<br />

senza alcun adattamento. Si tratta per lo più di termini religiosi o scientifici.<br />

La possibilità di prendere a prestito termini latini, sempre a disposizione delle<br />

lingue romanze, ha prodotto un gran numero di coppie di parole che hanno la<br />

stessa origine ma diversa trafila storica, una volta patrimoniale e l'altra di<br />

prestito. Ad esempio: angoscia e angustia, comprare e comparare, mezzo e<br />

medio.<br />

Il rapporto secolare con il latino come lingua di superstrato culturale ha infine<br />

un altro significato per le lingue romanze, esso infatti diventa lingua<br />

centripeta con la tendenza a far somigliare le lingue romanze tra loro.<br />

28 IL RAPPORTO CON IL GRECO<br />

Il latino aveva avuto per secoli rapporti con il greco e ne aveva assorbito non<br />

pochi elementi che poi restituiva non come grecismi ma come parte integrante<br />

del patrimonio latino. In epoca altomedievale il greco antico aveva conosciuto<br />

una certa evoluzione e in questa situazione continuò ad influire sul latino,<br />

anche per il prestigio politico e culturale di Bisanzio.<br />

Attraverso il latino sono dunque pervenute alle lingue romanze molte parole di<br />

origine bizantina, in genere come prestiti colti. Alla rilevanza politica ed<br />

amministrativa dei bizantini dobbiamo parole come duca, despota, catasto.<br />

Accanto a questi termini penetrati dal greco alle lingue romanze in genere, vi<br />

sono alcuni grecismi locali nella aree in cui il greco è un importante sostrato,<br />

come in Sicilia e nell'Italia meridionale.<br />

Pagina 26 di 38


29 IL RAPPORTO CON L'ARABO<br />

<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Le parlate arabe della penisola arabica avevano avuto contatto con il latino<br />

perchè l'impero romano aveva posseduto per secoli una fascia settentrionale<br />

del deserto. Ma si trattava di un popolo lontano. Le cose cambiano con<br />

l'immediata espansione che già nel 711 portò gli eserciti arabi alla conquista<br />

della penisola iberica.<br />

Questo processo storico ridusse di molto l'area della Romània e creò in<br />

Spagna, in Sicilia e nella altre aree di meno stabile conquista una vera e<br />

propria Romània arabica. L'arabizzazione era stata così profonda che in molte<br />

aree al momento della riconquista non c'erano più persone di lingua romanza<br />

e dopo la riconquista la popolazione indigena adottò lentamente il romanzo.<br />

In queste aree l'arabo è un vero e proprio sostrato delle lingue romanze. Ma<br />

l'influsso linguistico arabo ha altri due canali: da un lato l'interesse dei latini<br />

per la scienza araba, dall'altro il commercio mediterraneo tra paesi arabi e<br />

paesi romanzi.<br />

La riconquista della Spagna ha determinato fenomeni di ripopolamento e di<br />

cambio di lingua su tale scala che le parole di origine araba sono<br />

numerosissime. Poche e discusse sono le influenze sintattiche, per lo più si<br />

parla di influsso lessicale e comporta sistematici adattamenti, sia perchè<br />

l'arabo possiede solo 3 vocali, sia perchè possiede consonanti ignote alle<br />

lingue romanze, che vengono sostituite con quelle che hanno luogo di<br />

articolazione vicino ad esse.<br />

Il tratto più caratteristico è che gli arabismi iberici integrano l'articolo arabo<br />

“al”. Pertanto quasi tutti gli arabismi spagnoli cominciano per a- assente nelle<br />

parole corrispondenti entrate in Sicilia.<br />

30 I PRESTITI INTERNI<br />

Nei più di mille anni di storia le lingue romanze sono state in costante<br />

rapporto tra di loro, questo rapporto ha però avuto nel tempo significative<br />

differenze di intensità e soprattutto mutamenti nei rapporti di prestigio.<br />

In una prima fase medievale, dall'epoca carolingia fino al 1400, il francese<br />

antico ha avuto un prestigio particolare, strettamente collegato alla civiltà<br />

feudale e cortese. Al di là della letteratura la prova della dominanza del<br />

francese si rintraccia nella quantità di prestiti che questa lingua dona alle<br />

lingue romanze occidentali (eccezion fatta per il romeno), ma anche alle<br />

lingue non romanze, nei dialetti tedeschi, nel neerlandese e nel medioinglese.<br />

L'italiano medievale ha moltissimi francesismi, molti dei quali riferibili alla<br />

vita di corte, come conte, contea, damigella (damoiselle), destriero (destrier).<br />

I francesismi si riconoscono perchè formalmente si sottraggono alle norme di<br />

evoluzione fonetica dal latino all'italiano e seguono invece quelle dal latino al<br />

francese.<br />

I dialetti italiani meridionali e siciliani, esposti all'influenza diretta dei<br />

Normanni hanno, oltre ai francesismi generali, parecchi loro prestiti come<br />

jardinu, buccirìa (macelleria).<br />

Assai più ridotta, ma non trascurabile, è nella stessa epoca l'influenza<br />

dell'occitano, dovuta al prestigio della poesia lirica. Ne è esempio da parola<br />

speranza da esperansa.<br />

Pagina 27 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Le conquiste che la casa d'Aragona fece nel meridione d'Italia e nelle isole<br />

durante gli ultimi secoli del medioevo ci hanno portato, inoltre, un gruppo di<br />

catalanismi che a volte resta nei dialetti, altre giunge a penetrare nell'italiano.<br />

Ne sono esempio parole come addunàrisi (da adonarse), muccaturi (da<br />

mocador), ma anche aguzzino.<br />

Con la fortuna europea di Petrarca e Boccaccio ed in secondo luogo anche di<br />

Dante, comincia attorno al 1400 una fase di grande prestigio dell'italiano, che<br />

dura fino a Tasso e, limitatamente nel teatro, fino a Goldoni o Puccini. Ne sono<br />

un esempio i numerosi italianismi che in questo periodo rientrano nelle altre<br />

lingue come adagio, opéra nel francese, banca, belleza nello spagnolo.<br />

Nel Cinque e Seicento si afferma anche la fortuna europea dello spagnolo,<br />

legata al predominio politico e militare, ma anche alla moda e alla cultura ne<br />

sono esempi alfiere, baciamano, bizzarro, creanza...<br />

Dal 1500 in poi anche il portoghese esercita una certa influenza sulle altre<br />

lingue, soprattutto come mediatore di americanismi. Dal 1700 il francese<br />

torna ad essere in tutta Europa una lingua dominante nelle relazioni<br />

internazionali, nella vita aristocratica e nella cultura, mantenendo questo<br />

prestigio fino alla prima guerra mondiale, soppiantato poi dall'inglese. Questa<br />

nuova influenza giunge fino al romeno, il quale, ristabiliti i contatti con<br />

l'occidente, trae dal francese molte parole utili alla vita moderna.<br />

31 LA ROMANIZZAZIONE DELL'AMERICA LATINA E GLI AMERICANISMI<br />

Nella storia moderna delle lingue romanze, la loro diffusione in America è un<br />

grande fenomeno, poiché ha coinvolto milioni di persone di lingue diverse in<br />

spazi molto ampi.<br />

La premessa è data dall'arrivo di Cristoforo Colombo a Guanahanì e la<br />

scoperta successiva di Haiti e Cuba. I primi insediamenti furono di pochi<br />

spagnoli e gli indigeni furono decimati in breve tempo da malattie e lavoro<br />

forzato. Fin dal 1513 si pose il problema di portare nelle isole caraibiche gli<br />

africani, da utilizzare come forza lavoro. Gli indigeni vennero dunque<br />

sostituiti, ma prima fornirono agli spagnoli le denominazioni di piante, animali<br />

e cose che questi non avevano mai visto. Così parole come canoa, hamaca,<br />

patata, tabaco, entrarono dalla lingua arawak a quella spagnola e poi gli<br />

spagnoli stessi le portarono nel resto dell'America, dove altri indigeni avevano<br />

già atri nomi per quelle cose.<br />

Le cose iniziarono a cambiare quando Hernan Cortés abbatté l'impero azteco<br />

e conquistò il Messico, nel 1521. Questa volta gli spagnoli dovevano<br />

confrontarsi con un paese sviluppato e molto popolato. Ancora nel 1821,<br />

quando il Messico divenne indipendente, la popolazione era per lo più formata<br />

da indios e meticci, con una minoranza europea.<br />

Una successiva fase della conquista fu la spedizione che permise a Francisco<br />

Pizarro la conquista degli Inca della zona centrale delle Ande. Nella zona<br />

andina si parlava e si parla ancora soprattutto il quechua, da cui si ebbero<br />

pure molti prestiti nei nomi di animali come alpaca, condor, lama e puma.<br />

La conquista si estese man mano anche nelle aree secondarie, fermandosi solo<br />

dove la foresta amazzonica era impenetrabile o dove gli spagnoli incontravano<br />

i portoghesi. Queste colonie furono organizzate in viceregni direttamente<br />

dipendenti dalla Spagna. Dalle autorità spagnole dipendevano dunque milioni<br />

di indigeni, di cui la maggiorparte contadini. Prima del problema<br />

Pagina 28 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

dell'insegnamento della lingua fu affrontato quello della conversione al<br />

cristianesimo. L'evangelizzazione fu ad opera di alcuni frati, che imparavano<br />

ad esprimersi nelle lingue indigene, ma dopo la conversione la comunità<br />

parlava lo spagnolo e la liturgia era in latino.<br />

Lo spagnolo era comunque la lingua del potere e della scuola, che fu<br />

impiantata molto presto. Si mise così in moto un processo di bilinguismo che<br />

portò presto al cambio di lingua che non è ancora completo dopo cinque<br />

secoli. In generale il sistema morfologico e fonologico dello spagnolo non è<br />

stato intaccato, non essendo presente un sostato indigeno. Questo non<br />

significa che lo spagnolo d'America sia identico a quello della penisola iberica.<br />

Esso ha infatti un carattere molto andaluso. La ragione di ciò è che la maggior<br />

parte di immigrati proviene dall'Andalusia, dunque il il tipo linguistico<br />

americano che si è costituito nei primi decenni dopo la conquista è di base<br />

andalusa ed è rimasto bene o male tale.<br />

Lo spagnolo d'America non è una varietà compatta, esistono varietà regionali<br />

che fanno capo ai grandi centri come città del Messico, Caracas, Bogotà,<br />

Lime, Buenos Aires. La loro diversità dipende da fenomeni introdotti dalle<br />

differenti lingue indigene.<br />

32 IL RAPPORTO CON IL TEDESCO E L'INGLESE<br />

In epoca moderna sono cambiati i rapporti delle lingue romanze tra di loro e<br />

con le altre lingue non romanze. Se il contatto e l'influenza del tedesco nella<br />

fase di invasione è stata molto importante, assai più scarsa invece è dal<br />

medioevo in poi. Per lo più si limitano a quelle zone di vicinanza geografica e<br />

comunque si tratta per lo più di parole dialettali.<br />

Un'area di contatto è quella della contea delle Fiandre, la cui popolazione era<br />

per lo più fiamminga, ma il territorio era Francese durante il medioevo e il<br />

francese era la lingua amministrativa fino al 1350. Le fiandre erano un paese<br />

ricco sia per la produzione tessile che per quella delle armi. Si sono diffusi<br />

così, sia in francese che in altre lingue, parole come arazzo o archibugio.<br />

Interessante è la provenienza della parola dollaro: nel Cinquecento<br />

l'imperatore germanico cominciò a coniare una grossa moneta d'argento che<br />

si chiamò Thaler dalla zona in cui venne battuta. La moneta ebbe lunga<br />

diffusione e il nome si diffuse sia come taler che come daler. In Italia la<br />

moneta fu conosciuta nella forma austriaca quindi come tàllero, ma in<br />

America arrivò la forma neerlandese e così la moneta degli Stati Uniti è il<br />

dollar.<br />

La Lingua germanica che ha avuto più contatti con quelle romanze dal<br />

medioevo in poi è l'inglese. Se in epoca medievale il rapporto è a tutto<br />

vantaggio per il francese, che dà all'inglese numerosi prestiti, la situazione si<br />

inverte soprattutto a partire dal secolo XVIII.<br />

Gli anglicismi erano un tempo adattati alle condizioni dell'italiano, ma il loro<br />

ingresso in gran numero e la capacità di resistenza alla forma originaria<br />

hanno reso più raro l'adattamento. Questo è invece indispensabile nei verbi.<br />

Per quanto riguarda il problema del genere e del numero le parole inglesi non<br />

hanno trovato una soluzione coerente. Più complesso il problema semantico,<br />

in quanto spesso un prestito entra in una nuova lingua solo con uno dei suoi<br />

significati.<br />

Pagina 29 di 38


33 GLI INFLUSSI ESTERNI SUL ROMENO<br />

<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

La storia dei paesi romeni è stata del tutto diversa da quella delle regioni<br />

romanze dell'Europa occidentale, ne derivano influssi diversi si superstrato o<br />

adstrato. Nei primi secoli dopo il 274 la popolazione di lingua latina suì<br />

invasioni e violenze da parte dei Germani e di vari popoli della steppa. Furono<br />

soprattutto le invasioni slave del secolo VI in poi che formarono dei veri e<br />

propri insediamenti e frammentarono i gruppi romanzi. Esse imposero una<br />

variante dello slavo antico come lingua della chiesa cristiana ortodossa e poi<br />

delle cancellerie dei principi. Questo slavo ecclesiastico può essere<br />

paragonato agli effetti che ebbe in latino in occidente sulle lingue romanze.<br />

L'alfabeto cirillico fu però abbandonato dalla Romania solo nel 1860.<br />

Lo strato più antico degli slavismi è quello che è comune alle quattro varietà<br />

romene, riguarda concetti centrali ed è rintracciabile prima del 1000. Nei<br />

secoli XI e XV lo slavo esercita una maggiore pressione sulla lingua della<br />

politica, della società, della cultura e della religione. Molti termini sono poi<br />

caduti in disuso, altri sono entrati a far parte di altre lingue come cimitero.<br />

In una fase successiva gli slavismi entrano in romeno soprattutto dalle lingue<br />

slave dei paesi vicini come il bulgaro, il serbo e l'ucraino.Nel complesso si<br />

calcola che gli slavismi compongono circa il 14% del lessico romeno attuale.<br />

Per tutto il medioevo è stato assai importante, per il romeno, l'influsso del<br />

greco; i grecismi risultano da contatti personali (matrimoni..) che aumentano<br />

dopo la conquista turca di Costantinopoli.<br />

Per quanto riguarda i germanismi, essi sono dovuti all'esposizione delle<br />

invasioni germaniche, che hanno lasciato forme antiche ma anche dialettali.<br />

Per citare ancora contatti con la lingua turca e l'ungherese.<br />

34 LESSICOGRAFIA STORICA ED ETIMOLOGIA<br />

Il Vocabolario degli Accademici della Crusca del 1612 è il primo dei grandi<br />

lessici della tradizione lessicografica. Ha carattere normativo, ovvero vuole<br />

determinare l'uso stabilendo cosa è lecito dire e cosa invece no, servendosi di<br />

testi antichi citati di volta in volta come esempio.<br />

Per questa ragione si sono cominciate a raccogliere attestazioni di parole in<br />

testi antichi di scrittori di riconosciuta qualità letteraria. Poiché però in<br />

Spagna e in Francia ci si riferiva anche a parole di uso di corte, già<br />

nell'ottocento esistono per tutte le lingue romanze vocabolari basati su criteri<br />

non letterari. La tendenza è quella di creare un vocabolario contenente tutte<br />

le parole di una lingua in tutti i loro significati possibili.<br />

I vocabolari di questo genere non hanno più scopi normativi, essi sono invece<br />

strumenti di studio del lessico nel tempo e nello spazio. Lo studio della<br />

variazione diacronica è difatti molto importante per queste opere. Ormai molti<br />

vocabolari segnano la data di apparizioni di un dato termine.<br />

Queste datazioni sono sempre posteriori alla data in cui si è cominciato ad<br />

usare una parola, soprattutto perchè una parola viene attestata dopo che il<br />

suo uso è stato consolidato, per quanto posteriori sono estremamente<br />

significative.<br />

In realtà non basta datare le parole, bisognerebbe datare anche i significati.<br />

Se si considera la parola fucile il senso documentato nel Trecento è quello,<br />

Pagina 30 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

oggi storico, di acciarino, mentre il senso attuale di arma da fuoco risale al<br />

Seicento.<br />

Si entra così nel campo dell'etimologia, il settore della linguistica che studia<br />

l'origine delle parole di una varietà linguistica. Bisogna distinguere tra<br />

etimologia immediata ed etimologia remota. La prima indica quale sia la<br />

forma e quale il senso della parola che ha dato origine al termine che ci<br />

interessa nella lingua da cui trae origine la varietà che studiamo; dunque<br />

l'etimologia latina è la più prossima a molte parole delle lingue romanze, ma<br />

esistono anche etimi italiani in francese o spagnolo, o viceversa.<br />

Le parole di una lingua si raggruppano in famiglie lessicali, ma la loro storia<br />

può essere molto complessa. Per stabilire l'etimo di una parola è<br />

indispensabile conoscere le forme ed i significati in tutta la storia<br />

documentabile, la distribuzione nello spazio oggi e nel passato, tutte le parole<br />

che ne costituiscono la famiglia nelle varietà che studiamo e che la<br />

posseggono.<br />

Parte D L'origine delle lingue romanze<br />

35 IL ROMANZO PRIMA DELLA DOCUMENTAZIONE ROMANZA<br />

Non è facile indicare quando è nata una lingua, la coscienza dei parlanti,<br />

infatti, non è tale da distinguere che il parlato di un dato momento è differente<br />

da quello dell'anno prima. Sorgono grandi difficoltà nel rintracciare<br />

mutamenti nella lingua avvenuti prima dei primi testi romanzi, scartando<br />

l'ipotesi che i testi latini antecedenti siano in realtà testi romanzi in veste<br />

latina.<br />

Per prima cosa però è facile rintracciare singoli fenomeni romanzi in nomi di<br />

persona o di luogo contenuti in testi che sono il latino, ma sono scritti da<br />

persone che del latino non avevano la piena competenza, notando le differenze<br />

tra uno scrittore e un altro. Si possono infatti notare dittongamenti o elisioni<br />

negli stessi nomi e presumere che quel fenomeno fosse in uso nella lingua<br />

romanza del posto e che fosse sfuggito a chi doveva scrivere quel testo in<br />

latino.<br />

Si ha dunque una documentazione diretta non di testi romanzi veri e propri,<br />

ma di fenomeni romanzi contenuti in testi latini.<br />

Si può anche seguire un'altra via, il recupero attraverso la comparazione e la<br />

ricostruzione di fenomeni non documentati. Il principio di base è quello che se<br />

un fenomeno innovativo appare in più varietà e si può escludere che una<br />

varietà l'abbia trasmesso orizzontalmente alle altre, è lecito ipotizzare che<br />

tutte lo abbiano autonomamente ereditato da una varietà più antica, anche se<br />

non si ha prova diretta).<br />

Se seguiamo il caso dell'articolo determinativo, come già detto esso deriva per<br />

la maggior parte delle lingue romanze dal dimostrativo latino ILLE, mentre<br />

altre lo fanno risalire all'altro dimostrativo IPSE, ma il latino non aveva alcun<br />

articolo determinativo che precedeva il nome. È dunque ipotizzabile che in<br />

una situazione temporale precedente la separazione delle varie lingue<br />

romanze fosse presente questo fenomeno.<br />

Sono però comunque ipotesi, perchè non ci sono attestazioni documentate.<br />

Pagina 31 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

36 IL LATINO E LA SUA DIFFUSIONE ANTICA<br />

Il latino, la lingua madre delle lingue romanze, appartiene alla famiglia<br />

linguistica indoeuropea. In origine era parlato solamente a Roma e in qualche<br />

località vicina. Nella penisola erano diffuse altre varietà indoeuropee<br />

abbastanza affini al latino, chiamate italiche.<br />

Ne facevano parte l'umbro e l'osco. Un'affinità minore legava il latino con<br />

altre due varietà indoeuropee parlate in latino: il siculo ed il venetico.<br />

Esistevano però in Italia anche altre lingue indoeuropee, come il celtico, il<br />

greco, il messapico; ed altre non indoeuropee, come il ligure, il retico,<br />

l'etrusco, il sicano, l'elimo e il punico.<br />

L'espanstione continentale del latino è stata condizionata dal grandioso<br />

estendersi del dominio politico della città di Roma. Attorno al 300 avanti<br />

Cristo il territorio romano non comprendeva che il Lazio e poche terre<br />

attorno, ma 200 anni dopo il territorio di dominio si era esteso<br />

sproporzionatamente. La latinizzazione di questi territori immensi, le cui<br />

popolazioni avevano lingue molto diverse e diversi gradi di civilizzazione è<br />

stato un processo secolare.<br />

Esso consistette da una parte nella emigrazione in tutto l'impero di persone<br />

che parlavano il latino come lingua madre, ma anche e soprattutto nel cambio<br />

di lingua da parte degli indigeni e non è stato promosso da una cosciente<br />

politica linguistica. Vi sono testimonianze del fatto che i Romani<br />

considerassero l'uso del latino un privilegio e ne fossero addirittura gelosi,<br />

come della cittadinanza romana.<br />

Il primo contatto dei popoli d'Italia e di quelli provinciali con il latino fu<br />

attraverso la presenza vittoriosa dell'esercito romano, ma gli eserciti si<br />

stabilivano lungo i confini, dunque la presenza delle truppe è un mezzo di<br />

latinizzazione sulla frontiera.<br />

Altrettanto importante fu la penetrazione dei mercati romani, che a volte<br />

precedette la conquista. Roma creò un enorme mercato unico che oltre alla<br />

circolazione delle cose premetteva libero scambio di persone e dunque di<br />

lingue. Anche l'imponente rete stradale costruita per scopi militari e di<br />

dominio si rivelò un ottimo strumento di diffusione delle lingue.<br />

Più tardi un importantissimo fattore fu la rete di rapporti tra le comunità<br />

cristiane che divennero latine da greche.<br />

Ma il fatto decisivo è comunque che gli indigeni abbiano deciso di adottare la<br />

lingua latina. Il potere romano si basava sull'appoggio delle classi alte<br />

indigene, l'integrazione era possibile, ma presupponeva l'adozione dei valori<br />

della civiltà romana e tra questi, la lingua.<br />

Inoltre il prestigio della cultura romana era incomparabile con quello delle<br />

culture indigene. Riaffermato continuamente dalla diffusione di scuole latine.<br />

La scomparsa delle lingue preromane fu comunque molto lenta, mentre la<br />

latinizzazione delle campagne deve essere stata completata soltanto in<br />

parallelo alla loro cristianizzazione, che è stata lenta ed indipendente<br />

dall'esistenza o della caduta dell'impero.<br />

37 LE VARIETÀ DEL LATINO<br />

Alcuni scrittori parlano esplicitamente di differenze all'interno del latino.<br />

Cicerone sa già che nella conversazione familiare si fa un uso più rilassato<br />

Pagina 32 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

della lingua, ed allude alla parlata della plebe come distinguibile da quella<br />

delle persone di classe più alta, ma non è chiaro se si tratti di vere e proprie<br />

varietà o solamente usi stilistici differenti.<br />

Nei testi pervenuti, però, non possibile rintracciare queste differenze, dunque<br />

la loro collocazione nello spazio ci risulta complicata. Si tratta non solo di testi<br />

di alta letteratura ma anche di altri che ci informano delle variazioni<br />

linguistiche. Vanno poi tenuti in conto i testi di carattere pratico, dai trattati<br />

veterinari a quelli di cucina, che sono ben lontani dalla letteratura alta, ma<br />

che hanno comunque una datazione ed una collocazione nello spazio difficile.<br />

Le indagini che sono state condotte sulla lingua delle iscrizioni delle maggiori<br />

provincie non hanno portato alla luce sostanziali differenze. La stessa lingua<br />

dei cristiani, per qualche decennio considerata dagli studiosi quasi una varietà<br />

a sé, non ha altra particolarità al di fuori dei tecnicismi religiosi, in modo<br />

analogo a quanto avviene nei gerghi di mestiere.<br />

Le fonti ci documentano buona parte dei fenomeni di cambiamento che<br />

ritroviamo nelle lingue romanze, e altri che non riappariranno, ma essi<br />

affiorano in tutte le provincie, senza rapporto evidente con la futura<br />

distribuzione dello spazio romanzo.<br />

Il linguista tedesco Hugo Schuchardt tra il 1866-68 riunì una serie di<br />

indicazioni sotto un' etichetta di latino volgare. Questa denominazione però<br />

da adito ad errori. Essa fa pensare ad uno sviluppo diacronico continuo dal<br />

latino arcaico a quello volgare fino alle lingue romanze, rispetto alle quali il<br />

latino romanzo sarebbe una cristallizzazione data dalle letterature classiche;<br />

in questo modo il latino volgare finisce per essere quello vero, mentre quello<br />

dei classici una lingua artificiale. D'altro canto questa distinzione può anche<br />

far pensare che il latino volgare sia una forma diversa di latino, in cui vi sono<br />

tutti gli errori che poi rimarranno nelle lingue romanze.<br />

In realtà l'impero romano non ha conosciuto nessuna diglossia, bensì una<br />

situazione del tutto diversa: una lingua dominante, il latino, mentre si<br />

estendeva nello spazio e assorbiva intere popolazioni attraverso il cambio di<br />

lingua, conservava una sostanziale omogeneità, che non era certo una totale<br />

immobilità nel tempo e nello spazio ma non dava luogo ad avvertibili varietà<br />

locali.<br />

Per quanto riguarda la variazione diacronica, non c'è dubbio che la lingua del<br />

tardo impero, il tardo latino, non fosse identica alla lingua del tempo di<br />

Cicerone e Cesare. Il racconto di una pellegrinaggio in Terrasanta del 400<br />

dettato da una nobildonna non è da leggere come un testo volgare, ma come<br />

un esempio efficace del latino tardo di una signora non di basso ceto e non<br />

incolta, ma che è lontana dalla tradizione letteraria del tempo. I presentimenti<br />

delle future lingue romanze non vi mancano, ma non sono neanche netti.<br />

Insomma il tardo latino è una lingua che conserva quasi del tutto l norma<br />

classica, ma conosce anche realizzazioni parlate che rappresentano una<br />

variazione. Il senso di appartenenza ad un' unica comunità controlla lo<br />

scostamento eccessivo dalla regola.<br />

Dunque le lingue romanze non provengono dal latino del volgo, come non<br />

provengono da quello dei classici, ma da questo complesso e variegato<br />

insieme del latino tardo.<br />

Pagina 33 di 38


38 I SOSTRATI DEL LATINO<br />

<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Il latino tardo si differenziava da quello arcaico e poi da quello classico, oltre<br />

che per i cambiamenti interni avvenuti nei molti secoli della sua storia, anche<br />

per effetto dei rapporti con le altre lingue. La maggior parte delle persone che<br />

nell'impero romano parlavano latino, avevano cambiato la loro lingua durante<br />

la loro vita oppure eran discendenti di qualcuno che aveva cambiato lingua.<br />

È dunque presumibile che il latino mostri le conseguenze di questa situazione,<br />

cioè degli effetti di sostràto. Vale a dire mutamenti indotti da una lingua che<br />

viene abbandonata nella lingua che ad essa si sovrappone.<br />

Nell'Italia antica il latino si è sovrapposto a lingue affini, come l'osco-umbro o<br />

lingue del tutto diverse come l'etrusco. Per quanto concerne l'osco, esso aveva<br />

in comune con il latino una serie di parole in cui ad una -B- latina<br />

corrispondeva una -f- osca. Dunque in forme come RUBEN (porpora) e RUFUS<br />

(rosso) è facile ipotizzare che il secondo termine latino sia un prestito osco.<br />

Ma non è facile distinguere tra un prestito (che deriva da un adstrato) o un<br />

relitto (che deriva da un sostrato).<br />

Un altro fenomeno conosciuto è il passaggio MB → mm ed ND → nn nei dialetti<br />

dell'Italia meridionale e in Sicilia. Ne sono esempio PALUMBA → palomma o<br />

QUANDO → quanno. L'area di diffusione moderna del passaggio corrisponde<br />

parzialmente all'area in cui duemila anni fa era parlato l'osco. Si è dunque<br />

concluso che il fenomeno romanzo è una conseguenza del sostrato osco;<br />

quando chi parlava osco passò a parlare latino conservò la vecchia pronuncia,<br />

che è poi stata trasmessa dal latino della zona osca al romanzo.<br />

Quanto agli etruschi, la cui lingua non aveva alcuna affinità con il latino, la<br />

loro relazione con Roma era stata nei primi tempi della città strettissima. Gli<br />

ultimi re di Roma sono appunto stati etruschi e lo stesso alfabeto latino viene<br />

dall'Etruria. Per quanto riguarda il lessico, dall'etrusco al latino sono passati<br />

molte parole, tra cui nomi di persona o altre come popolo o persona (legata<br />

però al teatro con il senso di maschera).<br />

Ma prestiti del genere vanno considerati di adstrato.<br />

In conclusione, se è incerto se il latino avesse o meno subito mutamenti<br />

fonetici a causa delle lingue indigene alle quali si era sovrapposto, è invece<br />

sicuro che il lessico latino era stato arricchito da nuovi termini corrispondenti<br />

alla flora, alla fauna, ai prodotti, alle pratiche agricole ed artigianali, ed<br />

insomma alla civiltà e cultura dei paesi conquistati e sottomessi.<br />

39 GLI ADSTRATI DEL LATINO<br />

Si ha influenza di adstrato quando la lingua che dà ha un rapporto paritario<br />

con quella che riceve, dunque in questo caso non si tratta delle lingue cui il<br />

latino si è sostituito, ma quelle con le quali aveva strette relazioni.<br />

Sul latino incisero molto due lingue che rimasero sempre di adstrato: il greco<br />

e il germanico.<br />

Nella Roma arcaica l'incidenza greca è appena meno forte di quella etrusca, il<br />

latino ha parole di origine greca fin dalle origini e non si tratta di parole<br />

marginali ma relative all'alimentazione come GARUM (salsa di pesce), OLIVA;<br />

o termini marinareschi come GUBERNARE (governare la nave).<br />

Pagina 34 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

Più tardi, in epoca classica, abbiamo un'altra ondata di influenza greca, i<br />

Romani sono affascinati dai Greci e da loro fanno persino derivare la<br />

letteratura, la filosofia e la retorica. Le persone romane colte spesso<br />

parlavano il greco o avevano studiato in Grecia. Si capisce perchè molte<br />

parole colte come IDEA, POESIS, MUSICA, PHILOSOPHIA siano grecismi puri<br />

e semplici come anche SCHOLA, GRAMMATICA, PALAESTRA.<br />

Ma accanto al grecismo dei ceti colti vi è anche quello popolare, introdotto da<br />

immigrati dall'oriente e dagli schiavi. Il bilinguismo fu così diffuso da<br />

introdurre in latino persino elementi morfologici come il suffisso nominale<br />

-ICUS (COMICUS, TRAGICUS), quello verbale -ISSARE, -IZARE.<br />

I rapporti popolari tra latini e greci spiegano poi una terza ondata di grecismi,<br />

legati alla diffusione del cristianesimo. La nuova fede era nata tra gli Ebrei,<br />

ma si era presto diffusa in greco tra i greci. Anche in occidente la religione si<br />

diffuse e la lingua dei riti rimase il greco per più di un secolo, finché andarono<br />

prevalendo i fedeli che non parlavano il greco e il rito fu fatto in latino. Non<br />

sorprende che il latino dei cristiani sia pieno di grecismi, come EVANGELIUM,<br />

ECCLESIA, EPISCOPUS, e anche ANGELUS e DIABOBUS.<br />

La competizione tra greco e latino in età imperiale fu tale che il latino si<br />

plasmò molto intimamente sull'altra grande lingua dell'impero. Ci si è anche<br />

chiesti se il greco, che aveva da sempre l'articolo determinativo (ricavato da<br />

un dimostrativo), non abbia potuto fornire un modello alla creazione<br />

dell'articolo in latino. Si ha dunque l'impressione che le due lingue in molti<br />

casi esprimessero con i propri materiali una struttura divenuta analoga, che<br />

sarebbe il segno più forte di una compenetrazione effettiva e profonda.<br />

Quanto al germanico, il rapporto con i romani si può far risalire verso la fine<br />

del II sec. avanti Cristo, per poi entrare in contatto definitivo<br />

successivamente. Fin da Tacito è evidente l'ammirazione che i romani avevano<br />

nei confronti dei germani, visti come barbari amanti della libertà.<br />

Dal III sec. dopo Cristo ebbero inizio le invasioni barbariche, che portarono<br />

alla creazione dei regni ostrogoto in Italia, franco in Francia, visigoto in<br />

Spagna. Bisogna anche in questo caso distinguere strati diversi di<br />

germanismi. Un certo numero di termini germanici entrano già nel latino<br />

imperiale come BURGUS, HARPA, MACHIO (muratore). I prestiti più tardi,<br />

quelli entrati quando i germani costituivano già il ceto dominante dei nuovi<br />

regni, vanno considerati per lo più effetti di superstrato, cioè di una lingua che<br />

si impone come usata da un gruppo sociale superiore, ma i cui parlanti<br />

finiscono per adottare la lingua delle genti soggette.<br />

Nell'ultima fase imperiale cominciano a diffondersi anche nomi di persona<br />

germanici, che poi dilagano nell'alto medioevo, anche qui con differenze tra<br />

paese e paese, tra regione e regione.<br />

40 TEORIE ED IPOTESI SUL PASSAGGIO DAL LATINO AL ROMANZO<br />

Il latino, come abbiamo visto fino ad ora, era cambiato nel tempo, ma era pur<br />

sempre rimasto latino. Eppure verso l'anno 800 la gente non sentiva più di<br />

parlare latino. Tutto ciò è piuttosto scontato, ma bisogna ancora trovare una<br />

spiegazione al frazionamento del latino in un gruppo di lingue differenti non<br />

solo dal latino stesso, ma anche tra di loro.<br />

LA CORRUZIONE BARBARICA – Fin dal sec. XV è stata presa in considerazione la tesi<br />

delle invasioni barbariche. Le lingue romanze vengono così considerate forme<br />

Pagina 35 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

corrotte di latino, imbarbarite dalla mescolanza etnica e linguistica delle<br />

invasioni; la pluralità delle lingue romanze corrisponderebbe alla pluralità di<br />

genti germaniche che hanno corrotto ognuna a suo modo il latino.<br />

Ma questa spiegazione viene confutata ad esempio dalla scomparsa della<br />

declinazione nominale, che invece era presente in tutte le lingue germaniche.<br />

LA DIGLOSSIA – Sempre al 1400 risale una spiegazione alternativa, che ipotizza<br />

nel mondo antico una permanente diglossia, cioè l'esistenza già nella Roma<br />

classica di una lingua alta, della letteratura, e una bassa, che gli studiosi<br />

moderni chiamano volgare. Mentre la prima si sarebbe cristallizzata<br />

nell'immobilità della grammatica, la seconda si sarebbe sviluppata nelle lingue<br />

romanze. Ma anche questa ipotesi è da scartare, perché non spiega<br />

l'articolazione del mondo linguistico romanzo in varietà diverse.<br />

IL SOSTRATO – Un' ipotesi del 1881 circa attribuisce il peso decisivo nella<br />

formazione delle lingue romanze ai sostrati prelatini. Non è improbabile che<br />

alcuni mutamenti romanzi abbiano la loro la loro remota origine in fenomeni<br />

di sostrato, ma non solo la loro storia successiva è tutta interna alla storia<br />

delle rispettive lingue romanze, ma essi sono comunque una parte limitata dei<br />

fenomeni che hanno trasformato il latino nelle lingue romanze.<br />

L'EPOCA DELLA LATINIZZAZIONE DELLE PROVINCIE – Nel 1884 Grober collega la differente<br />

fisionomia delle lingue romanze alla stadio di sviluppo raggiunto dal latino alla<br />

data della prima latinizzazione delle provincie corrispondenti. Il primo<br />

ostacolo a questa teoria è che anche questa presuppone che il latino imperiale<br />

fosse assai differenziato al suo interno, in rapporto alla successione diacronica<br />

della latinizzazione delle provincie. Inoltre la latinizzazione è un fenomeno di<br />

lunga durata, che comincia al momento della conquista di una provincia ma a<br />

volte non era ancora terminato quando l'impero crollò; ed è impensabile che il<br />

latino di una provincia non abbia risentito degli sviluppi che avvenivano<br />

altrove.<br />

È vero che qualche conferma l'ipotesi l'ha trovata nella constatazione che<br />

nelle tradizioni linguistiche coloniali la fase di una costituzione di una<br />

tradizione locale è importante, sicché la lingua della colonia conserva a volte<br />

qualche tratto diatòpico e diacronico, che dipende dall'epoca in cui si è<br />

costituita la tradizione e dalla provenienza dei colonizzatori.<br />

Questa teoria non va dunque considerata del tutto errata.<br />

I LIVELLI LINGUISTICI DELLA LATINIZZAZIONE – Nel 1936 von Wartburg si muove in<br />

quest'ultima direzione. Oppone una Romània occidentale, che sarebbe stata<br />

romanizzata dall'alto, e una Romània orientale, romanizzata dal basso. Ai<br />

primi sarebbe arrivata la lingua della grammatica, ai secondi quella dei<br />

contadini e dei soldati, dunque un latino molto meno regolato.<br />

A questa bipartizione si sarebbe aggiunta e sovrapposta l'influenza dei diversi<br />

superstrati germanici, producendo risultati eterogenei. Ma von Wartburg si<br />

limita a generalizzazioni senza compiere approfonditi studi in merito.<br />

IL PROTO-ROMANZO – In direzione opposta si muovono le teorie di Hall e de Dardel.<br />

Se noi compariamo tra di loro le lingue romanze con lo stesso metodo con cui<br />

compariamo le lingue germaniche come da queste ricostruiamo il germanico<br />

comune, da quelle ricostruiremo la rispettiva lingua madre,il proto-romanzo.<br />

Questo non risulta identico al latino: ha in più i tratti comuni delle lingue<br />

romanze ma inesistenti in latino (l'articolo), ed in meno i tratti esistenti in<br />

latino ma che le lingue romanze non permettono di ricostruire.<br />

Questa proto-lingua ricostruita è dunque il presupposto teorico delle lingue<br />

romanze storiche. Ma non esistendo documentazione non è possibile verificare<br />

Pagina 36 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

dove questa lingua ricostruita si scosti da quella storica. In fine, mentre in<br />

genere il frazionamento delle altre protolingue viene giustificato a ipotetiche<br />

migrazioni di gruppi parlanti, nel caso romanzo non vi sono migrazioni che<br />

possano spiegare formazioni di lingue romanze diverse.<br />

L'ipotesi proto-romanza ha una sua coerenza astratta ma non supera la<br />

verosimiglianza storica. Oltretutto non si capisce dove questa lingua vada<br />

collocata nel tempo e nello spazio. Né spiega soddisfacentemente la<br />

frammentazione linguistica coessenziale al passaggio dal latini al romanzo.<br />

L' INVENZIONE DEL LATINO MEDIEVALE – Ha avuto recentemente fortuna una altra tesi,<br />

dell'inglese Wright, secondo il quale quello che va spiegato non sono le lingue<br />

romanze, naturale evoluzione del latino, ma il latino medievale, che non è la<br />

continuazione diretta del latino scritto antico. Secondo Wright fino all'epoca di<br />

Carlomagno chi scriveva produceva testi romanzi sotto una veste grafica<br />

latina, presentando un distacco tra grafia e pronuncia. Purtroppo i dotti della<br />

corte di Carlomagno credettero bene di restaurare il latino: di fatto”<br />

inventarono” il latino medievale. Ne consegui che venne a mancare il consueto<br />

modo di scrivere il romanzo necessitando nuove grafie. Tutto ciò è avvenuto<br />

verso il 1200.<br />

Che una lingua non si legga come si scrive è vero fino ad un certo punto, e<br />

non si capisce come la grafia latina potesse coprire la fonetica e la<br />

grammatica romanza. Questa tesi della non corrispondenza tra grafia e<br />

pronuncia potrebbe essere sostenuta in qualsiasi periodo e la linguistica latina<br />

finirebbe in crisi.<br />

QUALCHE IPOTESI CONCLUSIVA – Un primo difetto di tutte queste teorie è la loro<br />

unilateralità, ed il più o meno forte distacco dal contesto della generale<br />

ricerca storica. Accettiamo come punti di partenza che il passaggio dal latino<br />

alle lingue romanze è un processo storico complesso e deve essersi svolto<br />

coerentemente ad altri processi storici.<br />

Il latino imperiale era la lingua di una comunità estesa e complessa dal punto<br />

di vista sociale, economico, culturale e religioso; essa fu adottata da masse<br />

sempre maggiore di alloglotti attraverso un processo di cambio di lingua che<br />

era cominciato ma non sempre concluso. Malgrado tutto,la forza centripeta<br />

che avvolgeva l'impero era abbastanza forte da generare una coesione<br />

effettiva, ma l'unità del latino imperiale non fu mai considerata in pericolo.si<br />

trattava,invece, di una unità che tollerava un forte grado di variazione<br />

diatòpica e diatràtica. Gli influssi delle lingue di sostrato e quelle di adstrato<br />

potevano essere assorbiti senza difficoltà in questo sistema complesso ma<br />

coeso. Le variazioni fonetiche da esso introdotte restavano fenomeni locali e<br />

substandard, i prestiti o relitti lessicali entravano a far parte della lingua<br />

comune, anche al di fuori dell'area di acquisizione.<br />

Attorno al 500 dC cambiò qualcosa al di fuori della lingua,l'impero di<br />

occidente era scomparso, finchè papa leone e CarloMagno nel natale dell'anno<br />

800 lo tradussero di nuovo in realtà. Questo era però l'ideale di persone colte,<br />

la realtà di tutti andava cambiando: gli orizzonti della vita politica, sociale ed<br />

economica si erano ristretti. Per fare un esempio nel regno dei franchi non si<br />

guardava più a Roma, il punto di riferimento era la corte itinerante del re<br />

franco. L'Italia si spezzava tra aree bizantine e aree longobarde. I mercati si<br />

restrinsero a loro volta. Il “mondo” si era fatto molto più piccolo e diverso per<br />

gruppi diversi, la patria ideale, Roma, faceva posto alla patria reale. Il modello<br />

di prestigio a cui i parlanti ispiravano il loro comportamento non era più<br />

Pagina 37 di 38


<strong>Linguistica</strong> <strong>Romanza</strong><br />

Corso introduttivo<br />

Alberto <strong>Varvaro</strong><br />

unitario o colto, era la lingua usata dai gruppi di potere, cioè un latino<br />

substandard in quanto parlato da alloglotti.<br />

Così la variazione linguistica fu sottratta al controllo di una norma unitaria, le<br />

nuove norme,invece, autorizzavano fenomeni che erano stati semplici<br />

variazioni. Le forze centrifughe si rafforzarono e quelle centripete si<br />

indebolirono. In meno di due secoli le lingue romanze avevano individualità<br />

distinte, collegate a nuove identità sociali, a nuovi sensi di appartenenza ad<br />

una comunità che non era più da tempo quella romana.<br />

Rimaneva il guscio del latino scritto e letterario, che non era certo uscito<br />

indenne dal processo appena descritto, ma restava ancora comprensibile<br />

ovunque a coloro che avevano studiato. Quando Carlomagno e i suoi dotti<br />

promossero una riforma di questo latino e lo resero più aderente alla norma<br />

antica, questo equilibrio si spezzò: le lingue romanze acquisirono identità<br />

piena e la diversità, che esisteva da tempo, diventò evidente a tutti.<br />

Pagina 38 di 38

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!