Riassunto Penco - Appunti Unict
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INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO – PENCO<br />
Cap. 1 – Dare ragioni<br />
Argomentazione: ragionamento che tende a dimostrare una tesi in modo persuasivo, sia sulla<br />
base di ragioni (premesse o assunzioni), sia utilizzando regole o schemi riconosciuti.<br />
Frege distingueva tra assiomi e regole:<br />
a) assiomi o assunzioni sono il punto di partenza del ragionamento, dato assunto per<br />
vero. (dato per assunto che la terra è tonda...)<br />
b) regole di inferenza: regole accettate che permettono di passare dalle assunzioni alle<br />
conclusioni<br />
c) inferenza: azione del passare dalle premesse alle conseguenze tramite regole. La<br />
struttura di questo passaggio si chiama schema di inferenza.<br />
L’argomentazione è generalmente costituita da una o una serie di inferenze.<br />
Le regole di inferenza spesso sono seguite implicitamente, ma parte del lavoro dei logici è<br />
mettere in evidenza queste regole, soprattutto quelle che determinano la verità della<br />
conclusione. Alla base del sistema logico di Frege c’è il Modus Ponens (regola di separazione):<br />
se p allora q (se nevica(p) allora fa freddo(q)).<br />
In questo schema di inferenza le prime due righe costituiscono la premessa dell’argomento e<br />
la terza riga è la conclusione. Le argomentazioni possono essere deduttive o induttive, a<br />
seconda se le premesse possano portare ad una conclusione certa o solamente probabile.<br />
La terminologia si riferisce alle argomentazioni denominandole come:<br />
• valide: non è possibile che la conclusione sia falsa e le premesse vere (la conclusione è<br />
conseguenza logica delle premesse, segue necessariamente)<br />
• corretta: argomentazione valida e fondata, ossia le cui premesse sono vere<br />
• buona: argomentazione corretta ma anche psicologicamente plausibile e convincente<br />
• invalide: la conclusione non consegue necessariamente dalle premesse<br />
• scorretta: invalida o con premesse false<br />
• fallace: sembra corretta ma non lo è<br />
E’ importante analizzare non solo la conclusione ma anche il ragionamento, perché’ tramite<br />
esso possiamo vedere se attraverso i vari passaggi viene mantenuta la verità.<br />
• Se le premesse sono vere e si segue un’argomentazione valida, la conclusione sarà<br />
vera. Dobbiamo dunque distinguere la ricerca della verità delle singole proposizioni<br />
con la ricerca della validità degli argomenti.<br />
Fin da Aristotele si è cercato distinguere le argomentazioni valide e invalide tramite la loro<br />
forma (logica formale). I diagrammi di Venn (cerchi che si intersecano) ad esempio forniscono<br />
immediate evidenza di cosa vale come conclusione e cosa no. Per capire se ci sono<br />
argomentazioni scorrette basta usare controesempi: gli italiani sono europei, i francesi sono<br />
europei, gli italiani sono francesi. Da premesse palesemente vere siamo arrivati a conclusioni<br />
palesemente false. Il problema è che non è sempre facile verificare se le argomentazioni sono<br />
valide, a volte lo sembrano solamente...<br />
La falsità di quanto si dice può essere smascherate con l’evidenza di prove e dati empirici o<br />
ipotesi non considerate. La scorrettezza dell’argomentazione può essere smascherata con<br />
controesempi o mostrando l’anello debole della catena di inferenze.<br />
Frege vede nella logica uno strumento utile per chiarire confusioni concettuali. Non tute le<br />
teorie di Frege sono valide, ma cmq buona parte del suo lavoro è stato utile, ha scoperto infatti<br />
la nuova logica e i problemi della filosofia del linguaggio. I filosofi dopo di lui ( Carnap, Russell<br />
e Wittgenstein) hanno usato la logica come strumento di lavoro.
Due sono le correnti tradizionali nella filosofia del linguaggio:<br />
1) filosofi dei linguaggi formali che cercano di ricostruire il linguaggio scientifico o<br />
cercano una formalizzazione del linguaggio comune (Russell, Carnap, Montague,<br />
Wittgenstein del Tractatus)<br />
2) filosofi del linguaggio ordinario che cercano, attraverso l’analisi degli usi correnti, di<br />
mostrare la ricchezza e la varietà del linguaggio ma anche come alcuni dei problemi<br />
della filosofia derivino da fraintendimenti linguistici. (il “secondo” Wittgenstein,<br />
Austin, Ryle, Strawson).<br />
La contrapposizione era molto viva nella prima metà del 900 ma si è progressivamente andata<br />
attenuando. Autori più recenti come Grice, Kripke, Putnam e Quine non son inquadrabili in<br />
questi termini. Accenni della vecchia contrapposizione negli anni ’50 nella battaglia omerica<br />
(Strawson), che vede due fazioni:<br />
1) Chi privilegia lo studio del significato oggettivo degli enunciati, determinato dalla loro<br />
struttura logica: questo è il paradigma dominante della filosofia del linguaggio che<br />
definisce il significato di un enunciato come condizioni di verità.<br />
2) Chi privilegia lo studio delle intenzioni del parlante per definire il significato delle<br />
espressioni linguistiche, privilegiando la pragmatica sulla semantica.<br />
Fallacie: argomento che sembra corretto ma non lo è.<br />
Esempi:<br />
• petitio principi (dio esiste perché lo dice la Bibbia)<br />
• ignoratio elenchi (usare premesse che non hanno a che fare con la conclusione: il delitto di cui è<br />
accusato Marco è terribile; Marco è da condannare.<br />
• Ambiguità di composizione (i cani sono comuni, gli husky sono cani, gli husky sono comuni.)<br />
• Ambiguità di divisione (gli uomini sono numerosi, Socrate è un uomo, Socrate è numeroso)<br />
• Affermazione del conseguente (se p allora q, ma q, quindi p)-‐>(se piove allora è freddo; è freddo; quindi<br />
piove)<br />
• Negazione dell’antecedente (se p allora q, non p, quindi non q) -‐> (se piove allora è freddo; non piove;<br />
quindi non è freddo)<br />
• Il quarto incomodo (se si usa un termine con più significati) -‐> le cose ricercate sono care; i criminali<br />
sono ricercati; i criminali sono cari.<br />
Cap. 2 -‐ Linguaggio e logica<br />
Per 2000 anni i filosofi hanno usato la logica come strumento contro le argomentazioni<br />
scorrette o fallaci, per lo stesso periodo la logica è stata propedeutica per lo studio della<br />
filosofia. Tra il ‘500 e ‘600 si realizza una rottura con la tradizione della logica scolastica da<br />
parte di studiosi come Descartes e Locke. Per Descartes il vero metodo si basa sulla ricerca di<br />
idee chiare e distinte a partire dalla riflessione e dal dubbio metodico; per Locke il problema<br />
filosofico centrale è mostrare come le idee nascano e si sviluppino. L’epistemologia (teoria<br />
della conoscenza) sostituisce logica e ontologia, messe in dubbio da filosofi influenzati da<br />
Descartes e Locke. Leibniz non viene influenzato da questa corrente, ma continua a lavorare ai<br />
fondamenti della logica aristotelica e sviluppa un pensiero marginale, che integri lingua<br />
universale e calcolo combinatorio ( arte della memoria ), attraverso strumenti dell’algebra e<br />
simbolizzazione logica. Le idee di Leibniz verranno riprese e sviluppate 200 anni dopo da<br />
Boole e Frege. Alla fine dell’800 Frege ripropose esplicitamente il pensiero di Leibniz nel suo<br />
complesso. Frege, conosceva i lavori di matematici illustri come Boole e di Peano e criticava<br />
entrambi. L’algebra di Boole dava le regole di un calcolo formale, senza dare una lingua<br />
universale. Ad esempio il simbolo x poteva essere usato come simbolo di moltiplicazione,<br />
intersezione tra classi o congiunzione tra proposizioni. Peano aveva fornito una lingua
universale ma senza calcolo logico. L’obiettivo di Frege era il progetto di Leibniz, un insieme<br />
costituito da lingua e calcolo.<br />
La storia della logica occidentale è segnata dalla frattura tra due stili e due sistemi:<br />
1) gli aristotelici, interessati ai rapporti tra i termini delle premesse e conclusioni. Il<br />
sillogismo: tutti gli uomini sono mortali; tutti i greci sono uomini; dunque tutti i greci<br />
sono mortali.<br />
2) Gli stoici consideravano centrale per la logica la relazione condizionale “se...allora” che<br />
può valere tra proposizioni qualsiasi. Le premesse andavano lette nella forma<br />
condizionale: “se qualcosa è un uomo allora esso è mortale”<br />
La grande svolta del 900 è la sintesi delle due tradizioni, tramite invenzione dei<br />
quantificatore, cioè una notazione matematica per la generalità.<br />
Frege generalizza il concetto di funzione, accettando al posto di argomenti e valori anche<br />
oggetti qualsiasi, non solo numeri: Uomo (x), ovvero X è un uomo. L’espressione assume il<br />
valore di vero se a x sostituiamo un nome maschile, falso se usiamo un nome femminile.<br />
Definizione fregeana di concetto: il concetto è una funzione che ha per valori “valori di verità”.<br />
Questa definizione vale sia per le proprietà che per le relazioni (hanno più variabili: x,y,z,ecc).<br />
Frege non solo generalizza il concetto di funzione ma critica i matematici del suo tempo che<br />
creano confusione tra segno e designato, tra espressione e contenuto. Frege abbandona quindi<br />
l’analisi della logica aristotelica (soggetto/predicato) e introduce la distinzione tra oggetto e<br />
concetto. Con la distinzione tra espressione e contenuto, Frege distingue l’analisi linguistica<br />
da quella ontologica e epistemologica.<br />
• Semantica: La verità degli enunciati è data dal significato dei termini, la verità degli<br />
enunciati sintetici richiede una qualche intuizione extralinguistica.<br />
• Epistemologia: un enunciato è a priori se la verità è conosciuta prima di ogni<br />
esperienza, a posteriore se richiede un processo conoscitivo empirico di qualche tipo,<br />
al termine del quale si riconosce la verità o falsità.<br />
• Ontologia e metafisica: enunciato necessario se parla di ciò che non può che essere così<br />
e quindi sempre vero; enunciato contingente se parla di ciò che potrebbe essere<br />
altrimenti, vero solo in qualche caso.<br />
Per Frege il regno della logica è il regno dell’ “a priori” e del “necessario”.<br />
Estendendo la notazione funzionale anche a termini come “tutti” (simbolo ∀) e “qualche” (<br />
simbolo ∃), Frege unifica la logica stoica e aristotelica. I simboli sono chiamati<br />
rispettivamente “quantificatore universale” e “quantificatore esistenziale”.<br />
Quindi potremo leggere proposizioni come “tutti gli uomini sono mortali” in:<br />
∀x (Uomo x -> Mortale x) che si legge: per tutti gli x, se x è uomo, x è mortale)<br />
L’uso dei quantificatori permette di esprimere distinzioni che aiutano a chiarire ambiguità del<br />
linguaggio comune. Frege realizza così una nuova forma di logica, il calcolo dei predicati. Che<br />
comprende come sottoparte la sillogistica aristotelica. Frege merita un posto nella storia della<br />
logica e matematica per la distinzione tra assiomi/regole, per la costruzione della logica<br />
matematica e l’invenzione dei quantificatori. Kant, che aveva affermato che nulla di nuovo si<br />
poteva realizzare in logica formale dopo Aristotele, viene così smentito.<br />
Logica stoica e aristotelica<br />
La logica stoica si occupava soprattutto dei rapporti tra proposizioni, considerate come entità autonome e<br />
inscindibili che rappresentavano fatti. Gli stoici studiarono i connettivi logici, in particolare “se...allora”. alcuni<br />
dei connettivi logici più importanti sono: “non” “e” “o” “se e solo se”.<br />
La logica aristotelica si occupava soprattutto dei rapporti tra i termini. Si basa sulla “predicazione”, ovvero
qualcosa di predica di qualcos’altro se i due termini si possono unire con la copula “è” (uomo è mortale).<br />
Caratteristica anche l’uso di enunciati affermativi e negativi (tutti i piaceri sono beni, nessun piacere è un bene).<br />
Sillogismo è sinonimo di ragionamento, il sillogismo è sovente costituito da 2 premesse e una conclusione. Di<br />
256 forma di sillogismo esistenti solo 15 sono corrette. I rapporti tra i quattro tipi di enunciati discussi da<br />
Aristotele vennero sistematizzati nel quadrato delle opposizioni. Un secondo aspetto da richiamare è il modo<br />
con cui la logica aristotelico-‐medievale intende un enunciato. La sua struttura è sempre del tipo “S è P”: per<br />
esempio, “Socrate è calvo”, “Qualche ateniese è grasso”, “Tutti gli spartani sono greci”. In tal caso, ‘S’ indica il<br />
soggetto (‘Socrate’, ‘Qualche ateniese’, ‘Tutti gli spartani’), ‘è’ la copula e ‘P’ il predicato, ossia ciò che si predica<br />
del soggetto, la sua proprietà (‘calvo’, ‘grasso’, ‘greco’).<br />
Su questa base si possono determinare quattro tipi di enunciati, detti categorici perché indicano i soli quattro<br />
modi per affermare in modo incondizionato un predicato di un soggetto. Essi sono:<br />
• enunciato universale affermativo: “Tutti gli S sono P”. In tal caso, l’enunciato afferma che tutto ciò che è<br />
S ha la proprietà di essere P, cioè gli si predica l’essere P (per esempio, “Tutti i greci sono europei”,<br />
“Tutti i piselli sono legumi” ecc.). In epoca medievale si indicò l’enunciato universale affermativo con la<br />
lettera A (la prima vocale della parola latina Adfirmo).<br />
• enunciato universale negativo: “Nessun S è P”. In tal caso, l’enunciato afferma che nulla di ciò che è S ha<br />
la proprietà di essere P, cioè gli si predica il non essere P (per esempio, “Nessun greco è persiano”,<br />
“Nessun pisello è un animale” ecc.). In epoca medievale si indicò l’enunciato universale negativo con la<br />
lettera E (la prima vocale della parola latina nEgo).<br />
• enunciato particolare affermativo: “Qualche S è P”. In tal caso, l’enunciato afferma che solo qualche S ha<br />
la proprietà di essere P, cioè gli si predica l’essere P (per esempio, “Qualche greco è calvo”, “Qualche<br />
pisello è giallo” ecc.). In epoca medievale si indicò l’enunciato particolare affermativo con la lettera I (la<br />
seconda vocale della parola latina Adfirmo).<br />
• enunciato particolare negativo: “Qualche S non è P”. In tal caso, l’enunciato afferma che qualche S ha la<br />
proprietà di non essere P, in altre parole gli si predica il non essere P (per esempio, “Qualche greco non<br />
è giovane”, “Qualche pisello non è verde” ecc.). In epoca medievale si indicò l’enunciato particolare<br />
negativo con la lettera O (la seconda vocale della parola latina negO).<br />
Questo quadrato sintetizza le relazioni fra i quattro enunciati categorici, ossia fra<br />
A: “Tutti gli S sono P” (“Tutti i greci sono calvi”);<br />
E: “Nessun S è P” (“Nessuno greco è calvo”);<br />
I: “Qualche S è P” (“Qualche greco è calvo”);<br />
O: “Qualche S non è P”(“Qualche greco non è calvo”).<br />
Questi sono che così collegati:<br />
Cap. 3 – Semiotica e linguistica<br />
L’inventore della semiotica, o scienza generale dei segni, è Charles Peirce, un logico che si<br />
ispirò ai lavori di Boole. Un segno è qualcosa che sta al posto di qualcos’altro. Il modello di<br />
funzionamento generale dei segni è il triangolo semiotico o semantico. Per Peirce<br />
l’intermediario tra i segni e le cose è l’interpretante, ovvero un<br />
altro segno che viene usato per interpretare il segno dato. Il<br />
triangolo, nel caso di Pierce, diviene uno schema di semiosi<br />
illimitata: un segno è tale solo se viene interpretato da un altro<br />
segno, un interpretante; questo può andare avanti all’infinito.<br />
Peirce ci fornisce una classificazione generale dei tipi di segni:
1) icona: segno che assomiglia all’oggetto che intende rappresentare (dipinto,<br />
immagine...)<br />
2) indice: segno collegato direttamente a ciò che rappresenta (fumo segno del fuoco).<br />
3) Simbolo: segno che è astratto dal rappresentato, dipende da una convenzione (omini<br />
sulle porte dei wc pubblici)<br />
Per ogni segno si deve distinguere tra:<br />
• Type: tipo di segno<br />
• Token: replica o occorrenza di un segno<br />
Un segno di uno stesso tipo può essere replicato o avere diversi esempi in diverse versioni.<br />
Espressioni come “tu” e “io”: ogni parlante può usare questo tipo di espressione, ma ad ogni<br />
replica si riferiranno a persone diverse (il tuo “tu” è il mio “io”). Lo stessi enunciato può<br />
assumere valori di verità o falsità a seconda di chi lo proferisce (tu menti, io no).<br />
La tradizione peirceana e fregeana si incontrano nelle figure di Morris e Carnap. Entrambi<br />
riconoscono l’importanza della semiotica generale che viene suddivisa in tre campi:<br />
• Sintassi: studio del rapporti dei segni con altri segni<br />
• Semantica: studio del rapporto dei segni con gli oggetti<br />
• Pragmatica: studio del rapporto dei segni con i parlanti<br />
L’oggetto di studio è l’aspetto sistematico della organizzazione dei segni; la semiotica<br />
considera i segni come facenti parte di un codice, o sistema.<br />
Saussure agli inizi del 900 lottava contro la riduzione della scienza linguistica a mero studio<br />
dell’evoluzione delle parole nel tempo. La lingua non è solo un elenco di vocaboli ma prima di<br />
tutto una struttura, in cui ogni elemento ha un ruolo: la lingua è un prodotto sociale e un<br />
insieme di convenzioni.<br />
Lo studio della lingua (langue) come insieme sistematico deve essere distinto dallo studio di<br />
proferimenti linguistici occasionali (parole). Ad ogni voce del lessico corrisponde un aspetto<br />
fonetico e uno semantico, una forma e un contenuto, un significante e un significato. La lingua<br />
è un intermediario tra pensiero e suono: l’associazione dei suoni (significanti) e concetti<br />
(significati) costituisce il segno linguistico.<br />
Il segno linguistico è un’entità a due facce, che lega indissolubilmente signifiant e signifiè,<br />
espressione linguistica e contenuto concettuale. Il segno è arbitrario e convenzionale a un<br />
tempo. La linguistica teorica si deve occupare della sintassi (rapporti orizzontali dei segni<br />
linguistici dell’enunciato) e della morfologia (rapporti associativi tra gli elementi del lessico).<br />
La semantica riguarda invece la struttura dei significati intra-‐linguistici, l’organizzazione<br />
peculiare del lessico di una lingua. Se è vero che una lingua è un sistema, dunque ogni<br />
espressione (significante) e ogni contenuto (significato) ha un valore all’interno del sistema o<br />
struttura della lingua. Il valore oppositivo dipende dal fatto che ogni voce ha un suo posto nel<br />
sistema linguistico e fa differenza rispetto ad altre voci. Lo studio dei significati delle voci<br />
lessicali può essere concepito sia come studio dei vari modi in cui le lingue strutturano il<br />
mondo con diverse modulazioni concettuali (strutturalismo), sia come studio dei modi in cui<br />
lo stesso campo concettuale è strutturato in diverse voci lessicali.<br />
Il fatto che esistano componenti concettuali comuni alla specie umana è alla base della<br />
semantica dei frames di Fillmore. I frames sono strutture concettuali che diventano principi di<br />
organizzazione del lessico. L’analisi componenziale è uno degli strumenti più utilizzati per lo<br />
studio della struttura del lessico. Si scompone il significato delle parole in elementi minimi
chiamati tratti semantici o primitivi semantici (uomo= maschio, adulto, umano). Ma come si<br />
individuano i primitivi semantici? L’analisi in primitivi semantici ha una possibile traduzione<br />
in logica con i postulati di significato (Carnap), che definiscono i rapporti inferenziali tra gli<br />
elementi del lessico.<br />
La linguistica di Saussure ha dato origine in Europa ad una corrente chiamata<br />
“strutturalismo”, che si applicò a diverse discipline (antropologia, psicologia, psicoanalisi).<br />
Negli stati uniti in contemporanea Chomsky promuoveva una nuova rivoluzione linguistica.<br />
Le differenza tra le idee di Saussure e Chomsky:<br />
LINGUISTICA STRUTTURALISTA LINGUISTICA GENERATIVA<br />
Riguarda il sistema della lingua, visto come:<br />
• Sistema determinato socialmente<br />
• Sistema strutturato di componenti del lessico<br />
(semantica)<br />
riguarda la facoltà del linguaggio, intesa come:<br />
• Capacità mentale individuale e innata<br />
• Sistema sintattico, modulo che permette di<br />
produrre frasi grammaticali.<br />
Alla distinzione langue/parole di Saussure, Chomsky contrappone la distinzione<br />
competenza/esecuzione. L’esecuzione riguarda la produzione effettiva di frasi della lingua. La<br />
competenza riguarda la capacità di produrre frasi ben formate, ed è al centro dell’interesse<br />
dalla linguistica generativa, mentre la strutturale si occupa solo dell’analisi della parole.<br />
Per Chomsky il compito principale della linguistica è studiare la competenza, ossia la capacità<br />
di generare e riconoscere frasi grammaticali; studiare le regole innate che permettono di<br />
generare le infinite frasi della lingua. La creatività linguistica è la capacità di costruire un<br />
numero potenzialmente infinito di frasi grammaticali con un vocabolario limitato, seguendo<br />
regole. Nella prima versione della teoria di Chomsky le regole sono:<br />
• Regole che generano le frasi nucleari della lingua<br />
• Regole che trasformano queste frasi in altre più complesse.<br />
Lo schema originario di Chomsky ha subito molte variazioni nel tempo, restando ferma l’ida<br />
che la grammatica debba spiegare come certi suoni siano collegati a certi significati. Restano<br />
altresì ferme altre idee:<br />
1) diversi livelli linguistici: sintassi, fonologia e semantica. Di questi livelli di descrizione<br />
quello sintattico è generativo e universale. Quello fonetico e semantico sono<br />
interpretazioni delle strutture sintattiche. La sintassi resta la parte generativa, che<br />
permette di unire un suono ad un significato, che in diverse lingue.<br />
2) L’idea di una grammatica universale innata, che permettono di spiegare lo sviluppo del<br />
linguaggio dei bambini.<br />
L’idea di struttura superficiale e profonda si ritrova anche nei lavori di Frege, Russell e<br />
Wittgenstein. Ma Chomsky puntava a verificare le sue ipotesi sulle forme di competenza<br />
innata, qualcosa di più pratico rispetto agli approcci astratti dei filosofi.<br />
Semiotica: Boole<br />
George Boole inventò l’algebra della logica, un formalismo le cui regole erano valide sia per la matematica che<br />
per la logica. In matematica, informatica ed elettronica, l'algebra di Boole, anche detta algebra booleana o<br />
reticolo booleano, è un'algebra astratta che opera essenzialmente con i soli valori di verità 0 e 1. Nel libro “Le<br />
leggi del pensiero” (1864) così definisce le leggi universali dei simboli che valgono per tutte le interpretazioni:<br />
xy = yx (proprietà commutativa del prodotto);<br />
x+y = y+x (proprietà commutativa dell’addizione);<br />
z(x+y)=zy+zx (proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione);<br />
z(x-‐y)=zx-‐zy (proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto alla sottrazione);<br />
se x=y allora zx=zy, z+x=z+y, x-‐z=y-‐z (sostitutività di elementi uguali rispetto a moltiplicazione, addizione e
sottrazione);<br />
x =x (legge degli indici). Boole la spiega ricordando che essa vale in aritmetica binaria.<br />
Cap. 4 – Senso, riferimento e verità: un’introduzione<br />
Nel costruire la nuova logica Frege sviluppa un’analisi del contenuto concettuale o<br />
informativo, che denomina “senso”. Ogni tipo di espressione del suo linguaggio ha senso:<br />
termini singolari, predicati e enunciati. La sua definizione di pensiero come senso di un<br />
enunciato caratterizza la svolta linguistica del XX secolo, anche se molti autori ritengono che<br />
Frege abbia posto sotto il concetto di senso troppi aspetti non sempre coerenti tra di loro.<br />
Il senso si contrappone ad altri aspetti della riflessione del linguaggio, in particolare a:<br />
• Il riferimento, o ciò a cui ci riferiamo proferendo l’enunciato<br />
• Il tono emotivo e la forza convenzionale con cui l’enunciato è proferito<br />
• Il contesto linguistico e extralinguistico in cui l’enunciato è proferito<br />
• La rappresentazione soggettiva o le immagini mentali che accompagnano la<br />
comprensione dell’enunciato.<br />
La distinzione più famosa è tra senso e riferimento (o denotazione). Viene sviluppata da Frege<br />
in uno dei suoi saggi più conosciuti, Uber Sinn und Bedeutung, discutendo il concetto di<br />
identità. L’identità è un rapporto tra oggetti o un rapporto tra segni. Non basta dire che se ci<br />
riferisce ad uno stesso oggetto con nomi diversi l’identità coincide. Vanno presi in<br />
considerazione non solo il “nome” e l’ ”oggetto” ma anche il modo di presentazione<br />
dell’oggetto. Il senso di un termine singolare è il modo di presentazione dell’oggetto a cui il<br />
termine si riferisce.<br />
Frege ci invita quindi a distinguere sempre tra:<br />
1) segno o espressione linguistica (nome, termine singolare)<br />
2) senso o modo di presentazione dell’oggetto<br />
3) riferimento, cioè l’oggetto stesso.<br />
Il punto di vista di Frege, negli anni successivi, viene denominato “antipsicologismo”. Egli<br />
stesso ci fornisce una ulteriore distinzione tra senso e rappresentazione soggettiva:<br />
• la rappresentazione, o immagine mentale che si associa naturalmente ad una<br />
espressione linguistica, ha a che fare con la vita psichica e cambia da individuo a<br />
individuo.<br />
• Il senso è oggettivo, ovvero esprimibile in un linguaggio afferrabile e condivisibile da<br />
tutti.<br />
La definizione di senso di un predicato è analoga a quella di senso dei nomi: il senso di un<br />
predicato è il modo di presentazione del concetto denotato dal predicato; il riferimento di un<br />
predicato è il concetto stesso. Per Frege due concetti sono equivalenti se hanno la stessa<br />
estensione, ovvero se corrispondono alla stessa classe di oggetti. Bipede implume e animale<br />
razionale sono riferiti entrambi all’uomo ma espressi cono modi di presentazione diversi.<br />
Il senso di un termine singolare, invece, è ‘il modo di darsi dell’oggetto’, ‘la via per<br />
giungere al riferimento’. Nel caso del nome ‘Aristotele’, per esempio, si potrebbe assumere<br />
come senso: "l’allievo di Platone" o "il maestro di Alessandro Magno". Il senso di un nome<br />
proprio è pertanto espresso da una serie di descrizioni definite che presentano l’oggetto<br />
per cui quella espressione sta in un certo modo. Più specificatamente, il senso è ciò che un<br />
parlante competente di una lingua deve conoscere per determinare il riferimento di<br />
un’espressione. Infatti, sottolinea Frege, non è possibile accedere al riferimento senza la<br />
mediazione del senso.
Quello che Frege cercava era una teoria semantica sistematica, in cui ogni espressione avesse<br />
sia un senso che un riferimento. Come estendere la distinzione agli enunciati? Frege definisce<br />
pensiero il senso di un enunciato e valore di verità il suo riferimento, egli arriva a due<br />
definizioni con argomenti differenti:<br />
1) se due enunciati possono essere ragionevolmente creduti l’uno vero e l’altro falso,<br />
allora esprimono diversi pensieri (principio della differenza intuitiva di pensieri).<br />
Esempio: una persona, nella sua ignoranza, crede che sia vero che “la stella del mattino<br />
è un pianeta” ma falso che “la stella della sera è un pianeta”. I due enunciati esprimono<br />
diversi pensieri, e l’unica differenza tra i due enunciati è il loro avere espressioni con<br />
lo stesso riferimento e con diverso senso, è ragionevole identificare i pensieri con i<br />
sensi degli enunciati.<br />
2) Differenza tra poesia e scienza, ovvero verità di un enunciato. “Ulisse sbarcò a Itaca”.<br />
Che differenza c’è se Ulisse è esistito davvero o no? Se studiamo dal punto di vista<br />
poetico non siamo interessati alla verità, dal punto di vista scientifico lo siamo. Ci<br />
interessa il senso nel primo caso e il riferimento nel secondo. Quindi possiamo<br />
affermare che il riferimento di un enunciato è identificabile con il suo valore di verità.<br />
Se l’enunciato contiene nomi che non hanno un riferimento non ha valore di verità.<br />
Il senso di un enunciato è il pensiero che esso esprime; il riferimento di un enunciato è il suo<br />
valore di verità.<br />
Il principio di Frege, o principio di composizionalità è uno dei principi centrali della semantica:<br />
“il significato di un enunciato è funzione del significato delle sue parti e delle sue regole di<br />
composizione.”<br />
Questo spiega come, con un repertorio finito di espressioni sensate, si possa costruire un<br />
numero infiniti di enunciati significanti. La controparte sintattica di questo principio è quello<br />
che Chomsky chiama “creatività linguistica”. Il principio richiede l’armonia tra sintassi e<br />
semantica. Accanto a questo principio Frege usa la legge di sostitutività:<br />
due espressioni coreferenziali sono sostituibili, lasciando inalterato il valore di verità.<br />
Ad esempio sostituire stella della sera con stella del mattino non cambia il riferimento del<br />
tutto ne il suo valore di verità. Nel discorso indiretto non vale il principio di sostitutività, in<br />
quanto non si può prescindere dal contesto (nell’esempio del testo Pia non sa che la stella del<br />
mattino e sera sono la stessa cosa).<br />
Principio del contesto: una parola ha significato solo nel contesto di un enunciato<br />
Un’espressione in un contesto indiretto assume come riferimento un riferimento<br />
indiretto, che corrisponde al senso normale.<br />
Nei discorsi indiretti ci riferiamo ai pensieri del parlante, senza chiederci se quello che il<br />
parlante crede sia verità. Nel discorso indiretto ci riferiamo a pensieri e non a valori di verità.<br />
Frege risponde al problema di come trattare quelli che Russell chiama “atteggiamenti<br />
proposizionali”. Credere, pensare, sapere, sono atteggiamenti che riguardano proposizioni<br />
(pensieri).<br />
Il senso è il valore di conoscenza degli enunciati e il riferimento è il valore di verità. Senso e<br />
riferimento sono collegati: il senso è ciò che è rilevante per la verità.<br />
Le preoccupazioni di Frege sono volte alla realizzazione di un linguaggio formale capace di<br />
esprimere il ragionamento matematico. nel linguaggio formale il senso deve essere sempre<br />
determinato, perché da esso deriva il riferimento e le condizioni di verità.<br />
Nel linguaggio naturale Frege individua due problemi:
1) l’oscillazione del senso dei nomi: nel linguaggio naturale parlanti diversi possono<br />
attribuire sensi diversi allo stesso nome. Aristotele è per alcuni “allievo di Platone” e<br />
per altri “maestro di Alessandro Magno”. Per Frege non fa differenza se ci si riferisce<br />
allo stesso individuo ma per altri no. Per Wittgenstein del Tractatus e Kripke questo<br />
non va bene: i nomi non hanno un senso ma si riferiscono direttamente agli oggetti.<br />
Questo sarà il fulcro dello scontro teorico sullo status dei nomi nel linguaggio naturale.<br />
2) l’indeterminatezza del senso di espressioni considerate fuori dal contesto di emissione.<br />
Non si può valutare la verità di un enunciato fuori dal contesto; “la porta è aperta”<br />
significa ben poco se analizzata fuori da qualunque contesto.<br />
Logica di Frege e paradosso di Russell<br />
La logica di Frege nasce nel 1879 con la pubblicazione della sua Ideografia. Per dimostrare di essere<br />
superiore alla logica tradizionale rivede quello che già era espresso in essa in una veste nuova.<br />
Presenta il quadrato aristotelico delle opposizioni nel suo nuovo linguaggio.<br />
Russell individua un paradosso negli studi di Frege, relativamente al principio della comprensione,<br />
con il famoso paradosso del barbiere:<br />
“In un villaggio vi è un solo barbiere, un uomo ben sbarbato, che rade tutti e soli gli uomini del villaggio che non<br />
si radono da soli. Il barbiere rade se stesso ?”<br />
Se, come apparirebbe plausibile, il barbiere si radesse da solo, verrebbe contraddetta la premessa secondo cui il<br />
barbiere rade gli uomini che non si radono da soli. Se invece il barbiere non si radesse autonomamente, allora<br />
dovrebbe essere rasato dal barbiere, che però è lui stesso: in entrambi i casi si cade in una contraddizione.<br />
Cap. 5 – Nominare oggetti: Frege, Russell, Wittgenstein<br />
La filosofia del linguaggio contemporanea nasce dall’intreccio delle relazioni di tre pensatori<br />
molto diversi tra loro ma legati da relazioni teoriche e personali profonde: Frege, Russell e<br />
Wittgenstein. Uno dei contrasti teorici tra i tre grandi filosofi riguardava il problema dei<br />
termini non denotanti, espressioni come Pegaso, Sherlock Holmes (personaggi non realmente<br />
esistiti).<br />
Per Frege ogni tipo di espressione linguistica del linguaggio ha un senso e un riferimento:<br />
Nome proprio Predicato Enunciato<br />
Senso modo di dare modo di dare pensiero<br />
riferimento riferimento<br />
Riferimento oggetto concetto valore di verità<br />
Estensione classe<br />
Frege usa il termine “nome proprio” al posto di termine singolare, ovvero termine che indica<br />
un singolo oggetto. Una tesi fondamentale di Frege è che espressioni che denotano un singolo<br />
oggetto (o individuo) presuppongono l’esistenza dell’individuo in questione.<br />
Presupposizione semantica: “una presupposizione semantica di P è un enunciato Q che deve<br />
essere vero affinché P e non P possano essere veri”.<br />
La teoria logica di Frege ha per base il principio della composizionalità, per cui sia il senso che<br />
il riferimento del tutto è funzione del senso e riferimento delle parti. Se una parte manca di<br />
riferimento allora l’enunciato è anch’esso privo di riferimento e quindi di valore di verità: non<br />
è né vero, né falso.<br />
Russell si ribella all’idea di Frege e ritiene che l’errore sia nel cercare di dare senso e<br />
riferimento ai nomi. Nei suoi scritti del primo 900 (“sulla denotazione” e “principia<br />
Mathematica”) combatte la teoria di Frege e l’ontologia di Von Meinong, che afferma che<br />
esistono diversi tipi di oggetti non esistenti, quelli contraddittori (il quadrato tondo) e quelli<br />
non contraddittori (Ulisse, Atlantide, ecc.). Per Russell il significato di un nome proprio si
iduce solo al suo riferirsi all’oggetto: “I nomi propri del linguaggio naturale sono<br />
abbreviazioni di descrizioni definite”. I nomi quindi sono espedienti retorici utili per brevità,<br />
che di fatto abbreviano descrizioni (l’amico del dott. Watson e protagonista dei romanzi di<br />
Conan Doyle). Occorre distinguere tra:<br />
1) descrizioni definite, come il presidente degli USA, che valgono per chiunque soddisfi la<br />
proprietà. I normali nomi propri rientrano in questa categoria, in quanto abbreviazioni<br />
di descrizioni (arancia = agrume di colore arancione e forma tonda che cresce<br />
prevalentemente in zone calde)<br />
2) nomi logicamente propri, che si riferiscono direttamente ad oggetti, a prescindere dalle<br />
sue proprietà (conoscenza diretta)<br />
Si deve fare attenzione quindi ad utilizzare i nomi logicamente propri e non confonderli con le<br />
descrizioni. Non è la stessa cosa dire “Berlusconi è dissoluto “ e “il presidente del consiglio è<br />
dissoluto”, in quanto sottintendiamo esistenza e unicità dell’individuo, mentre ben sappiamo<br />
che non è l’unico presidente del consiglio nella storia d’Italia, ma lo è stato per un certo<br />
periodo.<br />
Affermando che “il re di Francia è calvo” vedremo che:<br />
1) per Frege l’enunciato non è né vero né falso, in quanto la Francia è una repubblica e<br />
non esiste re<br />
2) per Russell questo enunciato nasconda la sua vera forma logica sotto una forma<br />
grammaticale fuorviante, in quanto deve essere esplicito che: esiste almeno un<br />
individuo che è attuale re di Francia; esiste al massimo un individuo che è attuale re di<br />
Francia; questo individuo è calvo. Questo enunciato è falso, in quanto non essendoci un<br />
re, tutto l’enunciato è falso. Un problema: se “il re di Francia è calvo” è falso, allora “il re<br />
di Francia non è calvo” dovrebbe essere vera, ma non è così. Quindi Russell giunge alla<br />
conclusione che: tutti gli enunciati del linguaggio, compresi quelli con termini non<br />
denotanti, hanno sempre un valore di verità.<br />
3) Per Wittgenstein (del Tractatus) i nomi si danno solo nel contesto di un enunciato.<br />
Caratteristica del Tractatus è considerare l’enunciato come immagine della realtà, ed<br />
ha in comune con essa la forma logica. Rifiutando il “senso e riferimento” di Frege,<br />
Wittgenstein sostiene una tesi alternativa: “ i nomi si riferiscono a oggetti, senza alcuna<br />
mediazione cognitiva o concettuale”. A Wittgenstein interessava solo se la<br />
proposizione avesse o no un senso. I nomi sono segni semplici, atomi non<br />
ulteriormente scomponibili, e non dobbiamo temere che esistano o no. A cosa si<br />
riferiva parlando di segni semplici non lo spiega, delegando il compito agli scienziati.<br />
La forma logica di enunciati atomici (semplici) e composti è un punto fermo del<br />
Tractatus. Essa viene spesso travestita nel linguaggio comune e compito del logico e<br />
filoso è mostrare chiaramente la forma logica del linguaggio. Ad esempio il verbo<br />
essere è allo stesso tempo “copula”(ogni francese è gioviale), “identità” (Mario è il re) e<br />
“esistenza” (vi è almeno un francese). “L’enunciato mostra il suo senso, mostra come<br />
stanno le cose se è vero (mostra la condizioni a cui l’enunciato sarebbe vero) e dice che<br />
le cose stanno così”.<br />
Con l’analisi di Frege, Russell e Wittgenstein ci troviamo di fronte ad un contrasto di principio,<br />
basato su idee di fondo comuni. Come Frege, Russell distingue una forma grammaticale e una<br />
forma logica, riconosce che il linguaggio naturale è spesso ambiguo e fuorviante. Ma le due<br />
visioni su cosa sia la forma logica portano a due posizioni antagoniste:<br />
a) Frege: visione riformista o correttiva che sostiene che una parafrasi in forma logica<br />
mira a correggere il linguaggio naturale rendendolo meno ambiguo
) Russell: visione ermeneutica che vede nel parafrasare in forma logica solo<br />
l’esplicitazione della vera struttura, che soggiace al linguaggio naturale.<br />
Wittgenstein, dal canto suo, si schiera con il suo maestro, Russell: “il linguaggio è in ordine<br />
così com’è”. Se ci inganna o appare ambiguo è perché la sua essenza o vera forma logica sono<br />
nascoste. Le tacite intese della comunicazione e del discorso ci impediscono di vere subito la<br />
vera forma logica, ma vi possiamo giungere attraverso l’analisi del linguaggio e la ricerca delle<br />
proposizioni semplici (o atomiche). Tale teoria, sviluppata dopo Russell e Wittgenstein dai<br />
neopositivisti viene chiamata atomismo logico. Si richiama all’analisi chimica, che usa una<br />
scrittura simbolica per descrivere la struttura delle molecole a partire dagli atomi.<br />
Analogamente anche la logica dovrebbe trovare una scrittura simbolica che permetta di<br />
descrivere come le proposizioni complesse vengono costruite a partire da quelle semplici. Il<br />
lavoro del logico è dare la struttura essenziale del linguaggio.<br />
Cap. 6 Condizioni di verità e mondi possibili: Wittgenstein e Carnap<br />
Per Wittgenstein, il valore di verità di una proposizione composta dipende dal valore di verità<br />
delle proposizioni semplici che la compongono (principio di composizionalità di Frege). Nel<br />
Tractatus Wittgenstein introduce le tavole di verità, un metodo di decisione con cui è possibile<br />
decidere facilmente quale sia il valore di verità degli enunciati.<br />
p q p e q p o q se p allora q<br />
VV V V V<br />
VF F V F<br />
FV F V V<br />
FF F F V<br />
Nella prima colonna con i simboli p e q in alto, vi sono le quattro possibilità di Vero/Falso<br />
degli enunciati p e q. Possiamo chiamare queste quattro possibilità stati di cose o situazioni<br />
possibili, o come dirà in seguito Carnap, mondi possibili. Nelle altre tre colonne abbiamo<br />
enunciati composti, ove il connettivo indica il modo di composizione. Il valore dell’enunciato<br />
composto deriva da quello dei semplici che lo compongono. Con la teoria delle funzioni di<br />
verità si definisce la visione estensionale della logica, detta estensionale perché il valore di<br />
verità di un enunciato è chiamato anche la sua estensione. Per il principio di funzionalità,<br />
l’estensione di un enunciato è funzione dell’estensione delle parti componenti.<br />
Il Tractatus rappresenta anche il primo tentativo compiuto di individuare un altro aspetto,<br />
intensionale, della semantica, il concetto di senso come condizioni di verità. Wittgenstein<br />
correla, come Frege, senso e comprensione e asserisce che capire un enunciato è capire a<br />
quali condizioni è vero; il senso di un enunciato consiste nelle sue condizioni di verità.<br />
Tale concezione del senso vale per enunciati atomici e composti; conosco il senso di un<br />
enunciato se so cosa accade se è vero. La tavola di verità esprime le condizioni per cui<br />
l’enunciato è vero. La logica rende rigorose le definizioni dei connettivi e permette un accordo<br />
preciso sul loro significato.<br />
Un aspetto del Tractatus che ha dato filo da torcere ai filosofi successivi riguarda la<br />
distinzione tra i diversi tipi di enunciati:<br />
1) enunciati sensati, descrivono stati di cose, hanno precise condizioni di verità e per<br />
questo hanno senso<br />
2) enunciati privi di senso: gli enunciati della logica non descrivono alcunché, possono<br />
essere sempre veri (tautologia: piove o non piove) o sempre falsi (contraddizione:
piove e non piove), indipendentemente da come stanno le cose del mondo. Tautologie<br />
e contraddizioni sono sempre vere o false, senza condizioni<br />
3) enunciati insensati: enunciati della filosofica, etica , estetica, non descrivono alcunché e<br />
sono dunque insensati. Ad esempio quelli della metafisica pretendono di descrivere il<br />
mondo e quindi non hanno senso. Gli enunciati della filosofia sono invece un nonsenso<br />
palese, secondo Wittgenstein occorre dire ciò che si può dire, tacere di ciò di cui non si<br />
può parlare. La filosofia è come una scala, una volta percorsa deve essere abbandonata.<br />
La sua conclusione è un ascetismo linguistico che non ha pari nella filosofia<br />
contemporanea.<br />
Il neopositivismo si prefiggeva di unite la ricerca empirica con la logica matematica di Frege e<br />
Russell e avrà fecondi sviluppi anche negli Usa, dove alcuni esponenti (tra cui Carnap)<br />
emigreranno a causa del nazismo. Fin dall’inizio delle riunioni al Circolo di Vienna, i<br />
neopositivisti accolgono con entusiasmo l’opera di Wittgenstein. La lezione del Tractatus,<br />
nelle loro mani, si trasforma nel progetto di una nuova teoria del significato. Inizialmente la<br />
tendenza era il riduzionismo: gli enunciati scientifici si possono ridurre, in linea di principio, a<br />
enunciati di osservazione diretta (protocollari) e formule logiche. Per Wittgenstein<br />
comprendere un enunciato significa sapere accade se esso è vero. Egli identifica significato e<br />
condizioni di verità, ma non discute del problema di eventuali metodi di verifica: da logico<br />
non si interessa all’accesso epistemico. I neo positivisti danno invece un’interpretazione forte<br />
a questa idea: sapere cosa accade è per loro saper verificare la verità dell’enunciato.<br />
Il principio di verificazione è riassumibile in uno slogan che si trova in alcuni scritti posteriori<br />
di Wittgenstein e anche nell’opera di Moritz Schlick (1882-‐1936): il significato di un enunciato<br />
è il metodo della sua verifica. Questa revisione della definizione del significato come<br />
condizioni di verità verrà chiamata da Quine “teoria verificazionista del significato”.<br />
Il principio di verificazione divenne un criterio che avrebbe dovuto risolvere il problema della<br />
demarcazione tra scienza e non scienza. In proposito, Popper è noto per aver sostituito il<br />
principio di verificazione con il principio di falsificazione: una teoria è scientifica se è possibile<br />
falsificarla. Tale principio subirà fin dall’inizio profonde trasformazioni. Con Carnap si passerà<br />
a una versione in termini di probabilità; i dati empirici non possono confermare o falsificare<br />
definitivamente un enunciato, ma possono aumentare o diminuire la probabilità che esso sia<br />
vero. La teoria verificazionista del significato sarà poi criticata da Quine, che contribuirà a<br />
rafforzare una visione empirista, priva dei dogmi dei primi neopositivisti.<br />
Tarski costruisce una semantica formale che presenta maggiore ricchezza e precisione di<br />
quella di Frege e Wittgenstein, denominata “teoria dei modelli”.<br />
Tarski lascia in eredità la funzione interpretazione, che interpreta un’espressione in un<br />
dominio D, un insieme di oggetti ben definito. La funzione interpretazione assegnerà come<br />
estensione a un termine singolare un individuo, a un predicato una classe, a un enunciato un<br />
valore di verità. Tarski definisce poi la nozione di modello, una coppia composta da un<br />
dominio e una funzione interpretazione. Per parlare di verità di un enunciato occorre sempre<br />
specificare sia il dominio D sia la funzione interpretazione I.<br />
Espressioni uguali possono avere interpretazioni differenti in domini differenti, ma anche<br />
nello stesso dominio. La semantica formale è dunque una teoria che specifica le condizioni di<br />
verità per gli enunciati di un linguaggio. Ogni definizione di verità deve essere sia<br />
formalmente corretta, sia materialmente adeguata. A questo proposito Tarski individua una<br />
condizione di adeguatezza formale e materiale. Questa condizione è chiamata Convenzione T<br />
(da Truth). Essa si basa sulla distinzione tra linguaggio oggetto e metalinguaggio, una
iformulazione della distinzione tradizionale di uso e menzione.<br />
Prendiamo un enunciato dell’inglese, snow is white (in questo caso l’inglese è il linguaggio<br />
oggetto). Tarski si domanda a quali condizioni questo enunciato è vero. Usando come<br />
metalinguaggio l’italiano, diremo che snow is white è vero se e solo se la neve è bianca.<br />
Concludiamo dunque che secondo la Convenzione T ogni teoria della verità è formalmente<br />
corretta e materialmente adeguata se si possono derivare tutti i bicondizionali del tipo:<br />
l’enunciato N è vero se e solo se E. N sta per il nome di un enunciato del linguaggio che si<br />
vuole analizzare (il linguaggio oggetto) ed E sta per la sua traduzione nel metalinguaggio.<br />
Il primo a sviluppare le idee di Tarski e a discuterle è stato Rudolf Carnap nel saggio<br />
Significato e necessità, ove il filosofo intende applicare la semantica formale anche al discorso<br />
modale.<br />
Rudolf Carnap (1891-‐1970), studente di Frege a Jena, inizia una ridefinizione dei concetti<br />
semantici di base. Diversi autori hanno distinto, con diversa terminologia, tra estensione di un<br />
concetto ( la classe di oggetti che cadono sotto il concetto) e intensione dello stesso (la<br />
proprietà o l’insieme di proprietà condivise dagli oggetti che cadono sotto il concetto).<br />
Maggiore è l’estensione, minore l’intensione. I quadrupedi sono un’ampia classe caratterizzata<br />
dall’essere animali con quattro gambe. I cani sono una sottoclasse dei quadrupedi e hanno un<br />
numero maggiore di proprietà specifiche.<br />
Per mondo possibile si intende uno stato del mondo che può essere diverso dal mondo reale.<br />
Carnap riscrive in termini di intensione ed estensione ciò che Frege aveva espresso in termini<br />
di senso e riferimento. Dal punto di vista generale parlare di estensione è parlare di individui,<br />
classi e valori di verità, parlare di intensione è parlare di concetti individuali, proprietà e<br />
proposizioni.<br />
Ogni espressione del linguaggio formale ha una intensione e una estensione:<br />
• l’estensione di un termine singolare è un individuo, la sua intensione una funzione da<br />
mondi possibili a individui: un concetto individuale;<br />
• l’estensione di un predicato è una classe, la sua intensione una funzione da mondi<br />
possibili a classi: una proprietà;<br />
• l’estensione di un enunciato è un valore di verità, la sua intensione una funzione da<br />
mondi possibili a valori di verità: una proposizione.<br />
L’intensione è dunque una funzione da mondi possibili a estensioni; l’intensione di un<br />
enunciato è una funzione da mondi possibili a valori di verità (l’insieme dei mondi possibili in<br />
cui esso è vero). Infine, due enunciati hanno la stessa intensione se e solo se sono veri negli<br />
stessi mondi possibili. Il problema principale di Carnap in Significato e necessità (1947) è<br />
dare una semantica della logica modale. La logica modale tratta le modalità aletiche, che<br />
riguardano la verità possibile o necessaria. Il possibile è vero in qualche mondo possibile; il<br />
necessario è vero in tutti i mondi possibili.<br />
Carnap mantiene l’idea della necessità come caratteristica del linguaggio; vi sono però due<br />
diversi modi in cui la verità può dipendere dal significato:<br />
• da una parte alcuni enunciati sono veri in virtù del significato delle costanti logiche.<br />
Sono tautologie o verità logiche.<br />
• D’altra parte alcune verità dipendono dal significato dei termini non logici. Ad es.<br />
gli scapoli sono uomini non sposati è una definizione lessicale che dipende solo dal<br />
significato delle parole. Non è una verità empirica che dipende da com’è fatto il<br />
mondo. Ma non è nemmeno una verità logica, vera in tutti i mondi possibili.
Carnap suggerisce di parlare in proposito di postulati di significato, che impongano restrizioni<br />
ai mondi di cui è sensato parlare.<br />
Carnap distingue dunque nell’idea di enunciato analitico due aspetti:<br />
• enunciati logicamente veri, in virtù del significato delle costanti logiche in tutti i mondi<br />
possibili;<br />
• enunciati veri per i postulati di significato, dipendenti dal significato dei termini e veri<br />
in tutti i mondi compatibili con i postulati di significato.<br />
Consideriamo il principio di Sostitutività, in una riformulazione in termini di estensione<br />
(Frege avrebbe parlato di riferimento): due espressioni con la stessa estensione sono<br />
sostituibili, mantenendo la verità del tutto.<br />
Esempio:<br />
• necessariamente 9>7<br />
• il numero dei pianeti = 9<br />
• necessariamente il numero dei pianeti > 7.<br />
Che il numero dei pianeti sia 9 è un fatto contingente e non necessario: l’inferenza non si può<br />
fare. Mentre 9 si riferisce allo stesso numero in tutti i mondi possibili, il numero dei pianeti si<br />
può riferire a numeri differenti in differenti mondi possibili.<br />
Nei contesti modali sostituire espressioni coreferenziali (9 e il numero dei pianeti) non<br />
assicura il mantenimento del valore di verità dell’enunciato. I contesti modali sono<br />
intensionali; in essi un’espressione è sempre sostituibile salvo verità con un’altra che abbia la<br />
stessa intensione. Risolto il problema della Sostitutività nei contesti modali, Carnap affronta<br />
quello del discorso indiretto. I contesti doxastici (di credenza, dal greco doxa, opinione) ed<br />
epistemici (di conoscenza, dal greco episteme, conoscenza) sono controesempi della<br />
Sostitutività più gravi che non i contesti modali.<br />
Carnap rileva che in tali contesti due espressioni sono intersostituibili salva veritate se hanno<br />
la stessa struttura intensionale, cioè se hanno la stessa struttura sintattica e i costituenti che<br />
occupano posti corrispondenti hanno la stessa intensione. La semantica della logica modale<br />
abbozzata da Carnap sarà poi ridefinita in modi diversi da Hintikka, Kripke, Lewis e<br />
Montague.<br />
Mondi possibili e logica modale<br />
Nell'ambito della logica formale, si indica come logica modale una qualsiasi logica in cui è possibile esprimere il<br />
"modo" in cui una proposizione è vera o falsa. Generalmente la logica modale si occupa dei concetti di possibilità<br />
e necessità, ma può essere utilizzata anche per esprimere l'obbligo morale o la credenza. Esempi di proposizioni<br />
modali sono quindi "È possibile che piova" o "È necessario che Socrate sia mortale o non mortale", ma anche "È<br />
doveroso andare a votare" o "Socrate crede che piova".<br />
Gli operatori modali basilari sono per esprimere la necessità e la possibilità. Nella logica modale classica,<br />
ciascuno dei due operatori può essere espresso nei termini dell'altro e dell'operatore di negazione.<br />
Modalità aletiche<br />
Le modalità aletiche sono quelle relative al modo di essere vero di un enunciato, ovvero se esso è possibilmente<br />
vero, necessariamente vero o contingentemente vero. Si tratta delle modalità comunemente intese quando non<br />
diversamente specificato.<br />
Le modalità aletiche possono essere intese in diversi sensi.<br />
Possibilità logica<br />
È il senso più debole, in quanto pressoché qualsiasi cosa intelligibile è logicamente possibile: gli asini possono<br />
volare, Socrate può essere immortale e la teoria atomica della materia può essere falsa.<br />
Alla stessa maniera, pressoché nulla è logicamente impossibile: una cosa logicamente impossibile è chiamata<br />
contraddizione. È possibile che Socrate sia immortale, ma non è possibile che Socrate sia mortale e immortale.<br />
Molti logici ritengono che le verità matematiche siano logicamente necessarie (ad esempio è logicamente<br />
impossibile che 2+2 ≠ 4).
Possibilità fisica<br />
Qualcosa è fisicamente possibile se è permesso dalle leggi della natura. Ad esempio, è possibile che ci sia un<br />
atomo con numero atomico 150, anche se nella realtà tale atomo non esiste. Per contro non è in questo senso<br />
possibile che ci sia un atomo il cui nucleo contenga formaggio. Mentre è logicamente possibile accelerare<br />
qualcosa oltre la velocità della luce, secondo la scienza moderna ciò non è fisicamente possibile per un oggetto<br />
dotato di massa.<br />
Possibilità metafisica<br />
I filosofi possono prendere in considerazione le proprietà che gli oggetti hanno indipendentemente dalle leggi<br />
della natura. Ad esempio, potrebbe essere metafisicamente necessario che qualsiasi ente pensante abbia un<br />
corpo e possa avere esperienza del passaggio del tempo, o che Dio esista (o non esista).<br />
La possibilità metafisica è generalmente ritenuta più forte di quella logica, nel senso che ci sono meno cose<br />
metafisicamente possibili di quante ce ne siano logicamente. È invece materia di dibattito filosofico il rapporto<br />
con la possibilità fisica, e il fatto se le verità metafisicamente necessarie siano tali "per definizione" o perché<br />
riflettono qualche fatto rilevante sulla realtà.<br />
Modalità epistemiche<br />
Le modalità epistemiche (dal greco episteme, conoscenza scientifica o certezza) sono usate per esprimere la<br />
certezza di una proposizione. Gli operatori possono essere letti come "È certamente vero che ..." e "Può essere<br />
vero (in base alle informazioni disponibili) che ...".<br />
Modalità temporali<br />
Le modalità temporali sono utilizzate per esprimere il valore di verità di una proposizione rispetto al tempo. Si<br />
hanno due coppie di operatori duali, una riferita al passato e una al futuro. Per il passato l'operatore è letto<br />
come "È sempre stato vero che...", mentre l'operatore come "C'è stato un istante in cui è stato vero che ...". Per<br />
il futuro si avrà invece, rispettivamente, "Sarà sempre vero che ..." e "Ci sarà un istante in cui sarà vero che ...".<br />
Modalità deontiche<br />
Le modalità deontiche sono relative agli enunciati concernenti il concetto di dovere. "È obbligatorio ..." è<br />
l'interpretazione deontica dell'operatore , "È permesso ..." dell'operatore .<br />
Cap. 7 – Teorie del riferimento diretto: Kripke e Putnam<br />
Nel 1950 Strawson, riprendendo il lavoro di Russell sul valore da dare a enunciati con termini<br />
non denotanti, mostra che questa è una soluzione parziale al problema. Non distingue tra:<br />
1) espressione linguistica (espressione tipo)<br />
2) uso di un’espressione in un contesto<br />
l’uso di una espressione è il suo essere pronunciata in un contesto e con una certa intenzione.<br />
Vanno quindi distinti l’enunciato (sequenza di parole) e l’enunciazione (l’uso della frase in un<br />
contesto). Per Strawson la denotazione è una relazione tra una espressione e ciò che denota,<br />
date le regole e le convenzioni linguistiche. Il riferimento è una relazione tra parlanti e oggetti,<br />
o meglio una relazione tra espressione e ciò a cui il parlante intende riferirsi nella specifica<br />
occasione d’uso.<br />
Visto che la denotazione è data dalle regole convenzionali e dal sistema linguistico e il<br />
riferimento dipende dalle intenzioni del parlante, nulla vieta di usare “la regina d’Italia” anche<br />
per riferirsi ad una persona reale. Russell nel suo lavoro di concentra sul concetto di<br />
denotazione. Riferirsi non è qualcosa che viene fatto da una espressione ma da noi che usiamo<br />
l’espressione. Quindi anche Frege ha ragione nella misura in cui si occupa di riferimento; se<br />
usiamo un termine singolare con l’intenzione di riferirci a qualcosa che non esiste, non<br />
possiamo che riconoscere di aver fallito e l’enunciato che proferiamo sarà privo del valore di<br />
verità.<br />
Searle riprende il contrasto tra Frege, Russell e Wittgenstein discusso da Strawson, cercando<br />
di risolvere il conflitto. Alla domanda se i nomi propri hanno un senso Searle risponde NO se<br />
si intende dire che i nomi sono usati per specificare caratteristiche di oggetti; SI se si intende<br />
che i nomi sono connessi logicamente alle caratteristiche degli oggetti. Searle elabora una
teoria, denominata “teoria del grappolo”: i nomi propri non sono abbreviazioni di descrizioni<br />
ma ganci a cui appendere descrizioni”. Nasce il descrittivismo: anche se un nome proprio non<br />
funziona come una descrizione (la sua funzione è riferirsi ad un individuo), è necessario che<br />
possegga la somma delle proprietà che vengono comunemente attribuite al suo portatore. Se<br />
un individuo non possedesse almeno alcune delle proprietà attribuite ad Aristotele, non<br />
potrebbe essere Aristotele. Questa teoria riceverà forti critiche, in particolare da Kripke.<br />
Una forte critica alla visione tradizionale parte da una distinzione data da Donnellan tra uso<br />
referenziale e uso attribuivo di una descrizione:<br />
• nell’uso attributivo il parlante si riferisce a qualsiasi oggetto che soddisfi la descrizione<br />
• nell’uso referenziale il parlante di riferisce ad uno specifico oggetto, usando una<br />
qualche descrizione, sia essa appropriata o no<br />
Analogamente Kripke distingue tra:<br />
• riferimento semantico: espressioni che denotano secondo l’uso standard della lingua<br />
• riferimento del parlante: ciò a cui il parlante intende riferirsi usando certe espressioni,<br />
siano esse appropriate o no.<br />
Si evince che l’uso della descrizione serve a fissare il riferimento, anche quando la descrizione<br />
è sbagliata, insistendo sul rapporto diretto tra uso di un’espressione e oggetto a cui si<br />
riferisce. Tra i diversi modi di pensare al problema dell’ambiguità del riferimento c’è sempre<br />
l’idea centrale che esista un modo diretto di riferirsi ad individui a prescindere dalla<br />
descrittività delle espressioni usate. Kripke rivolge una critica alla “teoria descrittivista del<br />
riferimento”, intesa come insieme di idee che accomunano Frege, Russell, secondo<br />
Wittgenstein e Searle. L’alternativa sta in Stuart Mill, che distingue connotazione e<br />
denotazione. I nomi non hanno connotazione ma solo denotazione.<br />
Sulla scia di Russell, Kripke afferma che i nomi proprio sono termini che designano<br />
rigidamente, ovvero uno e un solo oggetto in tutti i mondi possibili (a differenza delle<br />
descrizioni che possono designare svariati oggetti). E’ dunque errato pensare che i nomi<br />
abbiano un senso (come sostiene Frege) e che questo senso consista in una o più descrizioni<br />
definite (Russell e Searle).<br />
Gli argomenti di Kripke sono, sostanzialmente, raggruppabili in tre tipologie l’argomento<br />
modale, l’argomento semantico e quello epistemico.<br />
1) L’argomento modale: sia “il maestro di Alessandro Magno” la descrizione definita che<br />
un parlante associa al nome “Aristotele”. L’assunzione del descrittivismo `e che tale<br />
descrizione fornisca il significato del nome in questione. Gli enunciati che esplicitano<br />
nessi di significato sono detti enunciati analitici. Gli enunciati analitici sono<br />
necessariamente veri (ad esempio: `e necessario che uno scapolo sia un uomo non<br />
sposato, poiché l’enunciato “uno scapolo `e un uomo non sposato” esplicita il nesso di<br />
significato delle espressioni “scapolo” e “uomo non sposato”). L’enunciato “Aristotele `e<br />
il maestro di Alessandro Magno” `e per i descrittivisti un enunciato analitico e quindi<br />
necessario. Ma `e falso che sia necessario poiché non `e difficile immaginare una<br />
situazione possibile in cui Aristotele non sia il maestro di Alessandro Magno. Quindi `e<br />
falsa l’assunzione del descrittivismo secondo cui la descrizione associata ad un nome<br />
proprio ne fornisca il significato.<br />
2) L’argomento semantico: l’assunzione del descrittivismo `e che il riferimento di un<br />
nome proprio, usato da un certo parlante, sia determinato dal fatto che esso sia la<br />
denotazione di una descrizione definita (o di una serie di descrizioni definite) associate<br />
al nome. Ma non sono difficili da immaginare situazioni in cui, ad esempio, un certo<br />
parlante, non associ ad un certo nome una descrizione definita (ma solo, ad esempio,<br />
una descrizione indefinita) o che associ ad un nome una o più descrizioni definite vere<br />
di qualcun altro. Sia, ad esempio, “il logico che ha dimostrato l’incompletezza
dell’aritmetica” la descrizione definita che fornisce il significato del nome Go ̈del.<br />
Poiché la descrizione definita esplicita un nesso di significato, l’enunciato “Go ̈del `e il<br />
logico che ha dimostrato l’incompletezza dell’aritmetica” `e analitico. Gli enunciati<br />
analitici sono necessari. Ma non `e difficile immaginare una situazione possibile in cui a<br />
dimostrare il teorema di incompletezza sia stato, ad esempio, Vittorio Morato. In quella<br />
situazione non diremmo certo che il nome “Go ̈del” si riferisce a Vittorio Morato poiché<br />
in quella situazione vorremmo poter dire che Vittorio Morato e non Go ̈del ha<br />
dimostrato il teorema. Quindi `e falsa la tesi che la descrizione definita associata ad un<br />
nome proprio sia utile a determinarne il riferimento e ne fornisca il significato.<br />
3) Argomento epistemico: sia “la prima stella visibile di sera”, la descrizione associata al<br />
nome “Espero”. Una delle tesi del descrittivismo `e che un parlante comprende allo<br />
stesso modo l’enunciato “Espero `e molto lumino-‐ sa” e l’enunciato “la prima stella<br />
visibile di sera `e molto luminosa” poiché “Espero” e “la prima stella visibile di sera”<br />
hanno lo stesso profilo epistemico (si assume che due espressioni che abbiano lo<br />
stesso significato abbiano anche lo stesso profilo epistemico). Ciò vuol dire che dato un<br />
enunciato e compreso tale enunciato in un certo modo (ad es.: a priori o a posteriori),<br />
la sostituzione del nome con la descrizione che ne fornisce il significato, non cambia il<br />
modo di comprensione dell’enunciato. Si consideri un enunciato come: “Espero è la<br />
prima stella visibile di sera”; il modo di comprensione di tale enunciato `e a posteriori.<br />
Si sostituisca “Espero” con la descrizione che ne fornisce il significato; il risultato è “La<br />
prima stella visibile di sera `e la prima stella visibile di sera”. Tale enunciato, però, è<br />
conoscibile a priori. Quindi è falsa la tesi che la descrizione associata al nome abbia lo<br />
stesso profilo epistemico e quindi anche la tesi che abbiano lo stesso significato.<br />
La tradizione fregeana diceva che il senso di un nome è un modo di fare il suo riferimento.<br />
Come viene dato il riferimento secondo Kripke? Teoria causale del riferimento: “Il riferimento<br />
del nome dipende da un battesimo iniziale e dalla catena causale che collega questo battesimo<br />
all’uso successivo del nome nella comunità”.<br />
Questo paradigma diviene presto dominante tra i filosofi statunitensi e esteso da Kripke e<br />
Putnam all’analisi dei termini di generi naturali, da Kaplan all’analisi dei dimostrativi. Si<br />
sviluppando quindi teorie duali del riferimento, distinguendo all’interno di un’espressione<br />
linguistica una componente mentale e una reale (contenuto stretto e contenuto ampio). il<br />
contenuto ampio, ciò cui effettivamente i parlanti si riferiscono, e che è determinato dal<br />
mondo, il contenuto stretto, ciò che i parlanti hanno in mente, ma che non è sufficiente a<br />
determinare inequivocabilmente cosa vi è nel mondo.<br />
Putnam sostiene che le due tesi di Frege “il senso determina il riferimento” e “il senso viene<br />
afferrato mentalmente, quindi è un contenuto mentale” non siano applicabili<br />
contemporaneamente e non possono coesistere.<br />
Cap. 8 – Senso, tono, forza: un’introduzione<br />
Nel suo articolo del 1918 Frege fa una distinzione tra:<br />
1) l’afferrare un pensiero – il pensare<br />
2) il riconoscimento della verità di un pensiero – il giudicare<br />
3) la manifestazione di questo giudizio – l’asserire<br />
I primi due sono atti o processi mentali, il terzo è un atto o un processo linguistico.<br />
La forza di un enunciato indica il modo p lo scopo in cui l’enunciato viene proferito (ad<br />
esempio per asserirlo come vero o domandare se è vero). La forza quindi riguarda il modo o<br />
lo scopo generale con cui viene proferito un enunciato.
Lo stesso senso può essere espresso in vari modi, con diverso tono ad esempio (per tono<br />
intendiamo coloritura grammaticale: la pula ha beccato il compare). Le differenti forme<br />
grammaticali o stilistiche non devono far dimenticare il “contenuto concettuale”, che resta<br />
costante da una lingua all’altra o anche nei diversi modi di esprimersi nella stessa lingua.<br />
Frege fornisce una definizione di “identità di senso”: possiamo attribuire lo stesso senso a<br />
enunciati da cui derivano le stesse conclusioni. Il senso o contenuto concettuale di un<br />
enunciato è il suo potenziale inferenziale. Per potenziale inferenziale si intende la capacità di<br />
un enunciato di permettere diverse inferenze, cioè di far derivare un certo insieme di<br />
conseguenze. Capire un enunciato significa conoscere le principali inferenze che sono<br />
connesse ad esso. Il senso di un enunciato non si distingue solo dalla forza ma anche dal tono<br />
o colorazione retorica associata ad esso. Il tono ha la funzione di comunicare quelle intenzioni<br />
dei parlanti che non sono riconducibili al contenuto cognitivo esplicito e diretto, ma<br />
dipendono dal rapporto del parlante con le circostanze e l’uditorio. Non sempre il contenuto<br />
letterale corrisponde con quello che vogliamo far intendere. Quindi il senso è il contenuto<br />
diretto, il tono è il contenuto indiretto.<br />
In enunciati del tipo "questo albero è coperto di foglie" Frege rileva che la semplice sequenza<br />
di parole non è l'espressione completa del pensiero. L'enunciato esprime a volte non di più ma<br />
di meno rispetto a un pensiero completo:<br />
• da una parte una enunciazione spesso esprime qualcosa di più che un pensiero,<br />
esprime sia la forza sia la colorazione e il tono che vanno al di là del mero contenuto<br />
cognitivo dell'enunciato, valutabile come vero o falso<br />
• dall'altra spesso la mera sequenza delle parole di un enunciato non basta a esprimere<br />
un pensiero, ma lo esprime solo se completata da aspetti temporali e da altre<br />
circostanze concomitanti date dal contesto (sguardi o altri aspetti del comportamento).<br />
Nel primo caso, parlando di tono si vanno a toccare le intenzioni dei parlanti (psicologia), nel<br />
secondo è necessario considerare la presenza di circostanze concomitanti, il tempo e il luogo<br />
di proferimento, le intenzioni dei parlanti. Sembra che il pensiero dipenda da situazioni<br />
occasionali e rapporti tra parlanti e perda quella oggettività che Frege voleva riservare al<br />
regno del Senso in quanto contrapposto alla rappresentazione oggettiva.<br />
Frege quindi colloca il pensiero in un "terzo regno" (platonismo fregeano):<br />
" i pensieri appartengono ad un regno che non è costituito né da entità fisiche (cose del<br />
mondo esterno) né da entità psichiche (rappresentazioni mentali), ma è un terzo regno, il<br />
regno dei pensieri".<br />
I pensieri hanno validità atemporale. Ad esempio il teorema di Pitagora: se fosse un'entità<br />
psichica ognuno avrebbe il "suo" teorema di Pitagora. Il teorema di Pitagora è vero<br />
indipendentemente dal fatto che qualcuno lo comprenda in un modo e altri in un altro.<br />
"accediamo ai pensieri con il processo mentale del comprendere, che è collocato nel tempo e<br />
nello spazio e nella psicologia del parlante, ma la verità dei pensieri non dipende dalla nostra<br />
comprensione". Bisogna scindere il processo mentale del comprendere dal contenuto di ciò<br />
che si comprende. Comprendere è un processo misterioso perché mette in contatto l'azione<br />
psichica soggettiva e una realtà oggettiva (il pensiero atemporale).<br />
Cap. 9 -‐ Significato e uso: il secondo Wittgenstein<br />
Il Tractatus è l'opera giovanile di Wittgenstein, scritto tra il 1914 e il 1918. influenzato dalle<br />
opere di Frege, verso cui nutriva grande ammirazione, Wittgenstein sviluppa una tormentata<br />
critica della sua opera giovanile. In una lettera di commento, Frege gli suggeriva di produrre<br />
più esempi, cosa che Wittgenstein realizzerà nelle "Ricerche Filosofiche", pubblicate postume
nel 1953. Mentre alcune delle idee del Tractatus vengono mantenute, altre sembrano essere<br />
in opposizione con quelle della prima opera. Si sviluppa soprattutto una analisi delle<br />
molteplici funzioni del linguaggio, che non è solo un mezzo per descrivere il mondo. Al<br />
contrario Wittgenstein si preoccupa di approfondire i diversi usi del linguaggio che Frege<br />
aveva abbozzato parlando di forza e tono e sviluppare l'idea che il senso sia sempre<br />
dipendente dal contesto. Nelle ricerche filosofiche Wittgenstein mantiene il principio di<br />
contestualità (un nome ha un riferimento solo nel contesto di un enunciato) e accetta<br />
l'antipsicologismo, ma rifiuta nettamente il platonismo fregeano del terzo regno.<br />
Per Wittgenstein il significato di una parole non è un oggetto, né una immagine mentale, né<br />
un'entità del terzo regno, ma è l'uso della parola in un contesto. il concetto di gioco linguistico<br />
è centrale in questa complessa relazione con le idee di Frege: "un gioco linguistico è un<br />
contesto di azioni e parole, in cui un'espressione può avere significato".<br />
Wittgenstein rifiuta la distinzione senso/forza, essendo essa non praticabile a causa della<br />
varietà dei giochi linguistici. se vi è una forza, essa è intrinseca al gioco linguistico stesso e<br />
inerisce al senso dell'espressione. il senso o significato si può' dare solo nell'insieme del gioco<br />
linguistico e nelle differenze con gli altri giochi.<br />
Wittgenstein critica due teorie tradizionali del significato:<br />
1) l'idea che una lingua sia una nomenclatura, quindi imparare una lingua sia solo<br />
associare le parole alla cose, per definizione ostensiva (questa cosa tonda si chiama<br />
arancia)<br />
2) l'idea che il significato si a un'immagine mentale associata ad una parola<br />
Partendo dall'idea di Frege che "una parola ha significato solo nel contesto di un enunciato",<br />
Wittgenstein ci porta ad esempio un gioco linguistico elementare, una comunicazione tra due<br />
muratori: il dialogo è limitato a nomi di oggetti come "mattone!", "cemento".<br />
il punto dell'esempio è che neanche un linguaggio così semplice si può ridurre alle teorie 1 o<br />
2.<br />
I proferimenti non sono solo nomi di oggetti ma ordini, quindi proposizioni complete. ogni<br />
linguaggio è un gioco, costituito da regole e loro applicazione. il gioco linguistico, nel pensiero<br />
di Wittgenstein è uno strumento per lo studio del linguaggio e un dato da cui partire per<br />
trovare differenze e somiglianze tra vari giochi linguistici.<br />
"Il significato di una parola è il suo uso nel contesto di un enunciato e quindi nel contesto di<br />
un gioco linguistico".<br />
Quindi i significati:<br />
• non sono oggetti di tipo speciale, come i sensi di Frege, entità appartenenti al terzo<br />
regno<br />
• non sono riconducibili al riferimento, come sostiene chi riduce il ruolo dei nomi propri<br />
al solo fornire il riferimento, l'oggetto denotato<br />
• non sono riconducibili ad entità mentali, come è usuale in psicologia<br />
L'uso è qualcosa di osservabile oggettivamente, non una entità astratta o psichica.<br />
Nella prima parte delle Ricerche Filosofiche, Wittgenstein critica la teoria di Russell<br />
riguardante la definizione ostensiva. Anche per comprendere l'enunciato "questo si chiama<br />
seppia" si deve essere in possesso di qualche nozione, per capire che stiamo indicando un<br />
colore e non altre proprietà.
L'intuizione di fondo sulla molteplicità degli usi linguistici ha dato origine ad applicazioni<br />
diverse da parte dei filosofi successivi:<br />
-‐ Waismann conia il termine "tessitura aperta" per parlare della dipendenza contestuale del<br />
significato<br />
-‐ teoria degli atti illocutori di Austin<br />
-‐ teoria del significato come condizioni di asseribilità di Dummett<br />
-‐ teoria del significato come insieme di condizioni di uso di Brandom<br />
-‐ competenza linguistica osservabile di Diego Marconi<br />
A Wittgenstein resta da risolvere il problema di cosa significhi "comprendere" il significato.<br />
questa volta l'obiettivo polemico è la concezione di Frege della comprensione, ovvero<br />
l'esistenza dei tre regni: fisico, mentale e dei pensieri (terzo regno). per Frege mentre i<br />
pensieri sono atemporali e indipendenti dal soggetto che li afferra, nel "misterioso" processo<br />
di comprensione i regni del mentale e dei pensieri vengono a contatto tra di loro.<br />
Wittgenstein vuole mantenere il concetto di pensiero atemporale ed oggettivo ma critica il<br />
"misterioso processo mentale di comprensione".<br />
Nulla è nascosto, non c'è nulla da ricercare, il compito del filosofo non è spiegare ma deve<br />
limitarsi a descrivere il funzionamento del linguaggio, e facendo ciò i concetti verranno<br />
chiariti. "Comprende" chi sa usare propriamente le parole.<br />
"comprendere un enunciato è comprendere un linguaggio. E comprendere un linguaggio è<br />
padroneggiare una tecnica". cosa garantisce la corretta comprensione e la corretta<br />
applicazione dei segni?<br />
Dopo il paradosso di Russell, filosofi e matematici avevano cercato strade diverse per dare<br />
sicuro fondamento alla certezza matematica:<br />
Russell e Carnap tentano di dare una versione aggiornata del logicismo fregeano<br />
Hilber e Bernays fondano la certezza matematica su dimostrazioni di non contraddittorietà<br />
Brouwer e Heyting la fondano sull'intuizione<br />
Wittgenstein critica tutte e tre le risposte, in particolare quella degli intuizionisti. L'intuizione<br />
(stato mentale) non è una valida risposta su cui fondare la certezza matematica. L'idea che vi<br />
possa essere uno stato mentale particolare che garantisce la corretta esecuzione di una regola<br />
sottintende l'idea che il linguaggio sia una attività essenzialmente privata e che la<br />
comprensione di una regola sia data da un'intenzione o da un processo mentale misterioso<br />
che anticipa magicamente lo sviluppo futuro della formula. Come Frege, anche Wittgenstein<br />
nutre diffidenza verso l'intuizione, altrimenti ogni regola verrebbe interpretata in svariati<br />
modi, sempre diversi da persona a persona. Questo rende fallace la visione intuizionista.<br />
"Paradosso delle regole: una regola sembra determinare un modo di agire, ma ogni modo<br />
d'agire può essere reso compatibile con la regola".<br />
Questo paradosso nasconde un fraintendimento di fondo: cercare una garanzia di certezza<br />
nell'interpretazione della regola. Cosa ci può' garantire la corretta interpretazione di una<br />
regola? Wittgenstein oppone all'interpretazione della regola la pratica del seguire una regola,<br />
ovvero una pratica (consuetudine) sviluppatasi in seno ad una comunità linguistica.<br />
Occorre distinguere 3 livelli in cui si parla di regole:<br />
• l'espressione (o formulazione) di una regola<br />
• l'interpretazione di una regola<br />
• la pratica del seguire una regola.<br />
I tre livelli sono nel nostro agire sociale; il risultato della discussione di Wittgenstein è che la<br />
sola interpretazione non basta e interpretare una regola non vuol dire necessariamente
seguirla correttamente. Visto che il linguaggio non è un fenomeno privato ma pubblico e<br />
costituito dall'accordo dei parlanti sull'uso dei segni, non si può seguire una regola<br />
privatamente, interpretandola soggettivamente; essa va interpretata come previsto nella<br />
prassi della comunità.<br />
Per Wittgenstein, come per Frege, la filosofia è una lotta contro gli inganni del linguaggio,<br />
contro i fraintendimenti che nascono da un cattivo uso del linguaggio quotidiano (ma<br />
Wittgenstein al contrario di Frege dà minore importanza alla logica formale).<br />
La filosofia è un lavoro di chiarificazione e deve aiutare a distinguere tra empirico e<br />
grammaticale. A proposito degli enunciati sul dolore Wittgenstein ripropone una delle prime<br />
fonti di perplessità filosofica: "come faccio a sapere che gli altri vedono quello che vedo io=<br />
come fanno gli altri a sentire quello che sento io?". La risposta intuitiva è: "solo io so che provo<br />
il mio dolore". Per Wittgenstein questa risposta è allo stesso tempo falsa e insensata.<br />
• falsa se la si considera come enunciato descrittivo, empirico, che descrive un fatto: io<br />
so che ho dolore. ma questo è falso perché anche altri possono sapere del mio dolore,<br />
guardando il mio comportamento o con mezzi di analisi ( elettroencefalogramma ad<br />
esempio).<br />
• insensata perché di fatto un enunciato del genere non è usato come enunciato<br />
empirico, non descrive alcunché anche se sembra farlo. Non è empirico perché non<br />
serve provarlo (lo so e basta di avere dolore) e non può' essere vero o falso (non<br />
dubito di avere dolore).<br />
Questo tipo di enunciati nascondono una verità grammaticale: hanno funzioni differenti se<br />
espressi alla prima o terza persona:<br />
• espressi alla terza persona (egli ha dolore) sono enunciati empirici e descrittivi, vanno<br />
valutati con criteri oggettivi e giudicati veri o falsi<br />
• espressi alla prima persona (ho dolore) sono enunciati grammaticali travestiti, non<br />
vanno verificati, non descrivono alcunché ma fungono da espressione di dolore.<br />
Ad esempio gli enunciati insensati della metafisica (Tractatus) che non descrivono alcunché<br />
vanno riportati dall'essere presentati come enunciati empirici alla loro vera forma, all'uso<br />
normale, mostrandone la funzione grammaticale (esprimere il proprio dolore).<br />
La posizione di Wittgenstein viene denominata "quietismo", sostiene che non ci sono<br />
problemi filosofici, ma che la filosofia consiste solo nella chiarificazione e conseguente<br />
dissoluzione di problemi apparenti, di cui le riflessioni di senso comune sul dolore sono un<br />
caso esemplare.<br />
Questa posizione venne aspramente criticata da alcuni filosofi (Popper) ma contribuì a creare<br />
nuove teorie (ad esempio quella delle somiglianze di famiglia).<br />
Le teorie tradizionali del concetto sono solitamente di due tipi contrapposti:<br />
• idealisti (detti anche platonisti) che affermano che il concetto è un'essenza, un'idea di<br />
cui le cose particolari partecipano in qualche modo<br />
• empiristi che dicono che esso è una astrazione delle proprietà particolari di individui<br />
simili<br />
Tutti sono d'accordo sull'idea che "un concetto specifica un insieme di proprietà (necessarie e<br />
sufficienti) che determinano una classe di oggetti"<br />
Il contrasto è sul come vengono definite queste condizioni, non che esse esitano.<br />
Wittgenstein dal canto suo rivolge una critica agli assunti generali della teoria classica del<br />
concetto, portando un esempio: il concetto di gioco, ovvero qual è l'essenza di gioco?
Ragionandoci ne deriviamo che:<br />
• non esiste un gruppo di proprietà che riesca a definire tutti e soli i giochi<br />
• non esiste una essenza comune a tutti i giochi, solo somiglianze e differenze<br />
• non esiste un insieme di proprietà necessarie e sufficienti a definire ogni caso di gioco<br />
Come è possibile che pur non essendoci una definizione univoca di gioco siamo comunque in<br />
grado di usare il predicato "gioco"?<br />
"Spesso varie esemplificazioni di un concetto sono imparentate tra loro come i membri di una<br />
famiglia: qualcuno ha certi caratteri in comune con altri, ma non è detto che via sia un<br />
carattere comune a tutti i membri della famiglia".<br />
La presentazione delle idee di Wittgenstein sui predicati di somiglianza di famiglia non<br />
sarebbe completa senza l'idea di schema o prototipo.<br />
Vi sono due modi diversi di usare una immagine:<br />
-‐ come immagine di un esemplare<br />
-‐ come immagine di un tipo, ossia schema di una serie di oggetti che, per quanto imparentati,<br />
sono diversi tra loro<br />
L'immagine di una foglia può' essere la rappresentazione di una singola foglia o di uno schema<br />
prototipico di foglia in generale. Le riflessioni di Wittgenstein sulle somiglianze di famiglia e<br />
sui prototipi aprono sono spesso rielaborate successivamente da altri filosofi. Putnam ad<br />
esempio sviluppa un argomento basato sul concetto di "deferenza". e sulla comprensione di<br />
parole comuni e apparentemente padroneggiate da tutti i parlanti. La comprensione della<br />
parola "oro" è differente da un soggetto comune ad un orefice. Come facciamo a capirci se i<br />
concetti, le immagini e le credenze connesse alla parola oro sono differenti in ciascun<br />
parlante?<br />
-‐ perché il significato è qualcosa di condiviso dalla comunità dei parlanti (che spesso usano<br />
una parola deferendo ad altri la responsabilità del suo uso corretto o del suo significato<br />
preciso)<br />
-‐ c'è uno stereotipo semplificato per tutti gli individui della comunità<br />
In parole povere: nessun singolo parlante conosce in modo esaustivo il significato delle<br />
parole. La conoscenza del significato è distribuita nella società e i parlanti normalmente<br />
deferiscono agli esperti molti aspetti del significato, utilizzando stereotipi semplificati.<br />
(pensando alle tigri ognuno lo fa secondo uno stereotipo, solo un esperto distingue tra le<br />
moltitudini di varianti).<br />
Frames e reti semantiche<br />
Minsky si rifà direttamente a Wittgenstein e all’idea di somiglianze di famiglia, presentando il<br />
concetto di frames. Un frame è una struttura dati (o quadro di riferimento) che rappresenta le<br />
caratteristiche di un concetto, ma per ogni caratteristica del concetto fornisce una serie di valori<br />
possibili e un valore default (predefinito, valido fino a prova contraria), in mancanza di ulteriori<br />
informazioni. In tal modo un frame si può facilmente cambiare e arricchire. I valori di default<br />
contribuiscono a formare uno stereotipo. A livello di sistema computazionale ci saranno funzioni<br />
specifiche che vengono attivate quando le informazioni sono discordanti con i valori del frame. I<br />
frames sono organizzati in reti (reti semantiche) e si distinguono dagli insiemi di postulati di<br />
significato tradizionali per la presenza di valori di default. Per essere tradotta in un insieme di<br />
postulati di significato, una rete semantica deve utilizzare forme diverse dal calcolo predicativo<br />
classico (logiche non monotone o probabilistiche) boh ????
Cap. 10 Convenzione e atti linguistici: Austin e Searle<br />
Nella prima metà del XX secolo Oxford e Cambridge rappresentavano il centro della filosofia<br />
nel mondo di lingua inglese. Alla Cambridge di Russell e Wittgenstein si opponeva la Oxford<br />
del dibattito tra il neopositivismo di Ayer e la filosofia del linguaggio ordinario di Ryle e<br />
Austin. Cambridge era platonica, Oxford Aristotelica e Austin era curatore delle traduzioni di<br />
Aristotele. Austin era infastidito dalla vaghezza del richiamo all’uso linguistico del secondo<br />
Wittgenstein, cercava invece una definizione sistematica che sembrava improponibile nel<br />
quadro wittgensteiniano. Il rapporto con Wittgenstein sarà quindi ambiguo, da un lato fonte<br />
di influenza profonda, dall’altro oggetto di critica.<br />
I due testi principali di Austin (Senso e sensibilia e Come fare cose con le parole) criticano le<br />
due idee chiave del neopositivismo:<br />
• l’idea che la vera conoscenza riguarda i “dati di senso”<br />
• l’idea che tutto ciò che c’è da dire sul significato di un enunciato sia fornire le<br />
condizioni di verità o verificabilità<br />
Il linguaggio serve a descrivere il mondo e il significato di un enunciato è dato dalle condizioni<br />
a cui esso è vero, come suggerivano Frege e il primo W. Quindi il significato di un enunciato è<br />
correlato alla situazioni rappresentata. Il Tractatus aveva dichiarato insensati gli enunciati<br />
non descrittivi, dell’etica e dell’estetica. Le proposizioni etiche spesso sono comandi travestiti:<br />
“è tuo dovere dire la verità” si potrebbe tradurre in “dì la verità”.<br />
Il problema maggiore dei neopositivisti era trovare un criterio di significanza per permettere<br />
di distinguere enunciati accettabili dalla scienza da quelli ritenuti insensati o metafisici. Gli<br />
enunciati accettabili dovevano essere veri o verificabili, quindi quelli dell’etica o estetica non<br />
erano considerabili come dotati di significato. Austin, contro il criterio di significanza dei<br />
neopositivisti, formula un controesempio costituito da enunciazioni che non descrivono stati<br />
di cose, non si possono ridurre a espressione di emozioni e non sono ritenibili nonsenso.<br />
Le enunciazioni performative di Austin sono tali perché in esse si esegue una azione (battezzo<br />
questa nave Queen Mary, o accetto di prendere in sposta la signorina Y). Ad esse si<br />
contrappongono le enunciazioni constantive, la cui funzione è descrivere uno stato di cose.<br />
Per le enunciazioni performative non vale il criterio di significanza, quindi serve un criterio<br />
più ampio, che non si restringa alle sole condizioni di verità o verificabilità.<br />
Le enunciazioni performative non possono essere vere o false, sono azioni quindi o lo si fa o<br />
non lo si fa. Le azioni possono riuscire o meno , quindi Austin elabora il concetto di<br />
“condizioni di felicità” per le azioni riuscite correttamente:<br />
Condizioni di Felicità: condizioni che un’enunciazione performativa deve soddisfare per poter<br />
costituire una azione corrette (“felice”).<br />
Le condizioni possono riguardare condizioni che riguardano:<br />
• la convenzione: rispettare le convenzioni, pena la nullità; i matrimoni si fanno davanti<br />
al sindaco o al rappresentante religioso, non davanti ai barboni o baristi.<br />
• L’intenzione: le enunciazioni performative devono essere sincere ed esprimere la<br />
giusta intenzione. Promettere senza avere intenzione di mantenere non rende la<br />
promessa nulla, ma solo inadempiuta.<br />
La violazione di queste condizioni porta a “colpi a vuoto” se l’azione non ha effetto o “abusi” se<br />
l’azione c’è ma non sono rispettate le intenzioni attese.<br />
Violare una convenzione è più grave di non essere sinceri. Nel primo caso l’atto è nullo, nel<br />
secondo c’è.
Cosa caratterizza i performativi? Generalizzando il concetto fregeano di senso/forza, Austin<br />
teorizza la forza illocutoria, ovvero : ogni proferimento linguistico è un’azione, un atto<br />
linguistico totale e ogni atto è caratterizzato da una certa forza. Usare il linguaggio è un’azione<br />
che contiene sia aspetti constantivi che performativi.<br />
Austin propone quindi una teoria dell’azione linguistica che vuole essere una generalizzazione<br />
delle teorie del linguaggio di Frege e dei linguisti.<br />
L’azione linguistica di Austin nel suo complesso è riassumibile come segue:<br />
atto locutorio<br />
(atto di dire qualcosa)<br />
Atto illocutorio<br />
(atto che si compie nel dire qualcosa)<br />
Atto perlocutorio<br />
(atto che si compie col dire qualcosa)<br />
Definito fondamentalmente dagli aspetti fonetici,<br />
sintattici e semantici. Esempio:<br />
“egli mi ha detto sparale!” l’aspetto fonetico è il<br />
suono con cui si emette l’enunciato, il sintattico è<br />
l’aspetto grammaticale (seconda persona<br />
imperativo e pronome femminile in forma<br />
contratta), l’aspetto semantico individua il senso<br />
e il riferimento delle espressioni “tu” (sottinteso)<br />
“sparare” e “lei”<br />
È l’espressione della forza illocutoria:<br />
“egli mi ha ordinato di spararle”<br />
l’atto è caratterizzato dalla forza convenzionale<br />
con cui è emesso l’enunciato, può essere un<br />
ordine (a seconda della gerarchia) o un<br />
suggerimento o consiglio.<br />
Riguarda le conseguenze non convenzionali che si<br />
ottengono con il dire qualcosa:<br />
“egli mi ha persuaso a spararle”<br />
l’azione ha l’effetto di convincere qualcuno a<br />
sparare.<br />
La definizione di atto perlocutorio da parte di Austin non è stata del tutto chiara e non ha<br />
avuto molti sviluppi, se non indirettamente nelle teorie di Grice.<br />
Per quanto riguarda l’atto illocutorio, esso riguarda soprattutto gli aspetto convenzionali del<br />
tipo di proferimento e per esso valgono le restrizioni (le condizioni di felicità) degli atti<br />
performativi.<br />
La teoria di Austin ha avuto influenza su Searle, nella sua ripresa della teoria degli atti<br />
linguistici. Searle analizza un problema che sembra essere un controesempio alla teoria<br />
austiniana della forza illocutoria convenzionale. Domande come ”mi passi il sale?” non<br />
richiedono una risposta diretta alla domanda. Se rispondiamo “si” non rispondiamo<br />
appropriatamente. Che tipo di forza hanno queste domande? Per Searle tali domande<br />
costituiscono atti linguistici indiretti e comportano una forza indiretta. Esse forniscono una<br />
condizione preparatoria per poter svolgere un’azione: prima di passare il sale occorre essere<br />
in grado di farlo. “senza chiedere direttamente di svolgere l’azione, gli atti linguistici indiretti<br />
lo suggeriscono implicitamente e indirettamente”.<br />
Esiste comunque un aspetto diretto nell’atto linguistico indiretto, solo nella negazione: è<br />
possibile rispondere “no”, aggiungendo una giustificazione.<br />
Resta il problema di dare una classificazione degli atti linguistici. Austin propone una<br />
classificazione basata sui performativi espliciti, cioè sui verbi alla prima persona singolare.<br />
Searle propone una diversa classificazione che si basa sulla ricerca di criteri espliciti e rifiuta<br />
il tentativo di Austin in quanto troppo intuitivo e privo di un criterio ordinatore.
Searle distingue due tipi di regole che governano gli atti linguistici:<br />
o regole costitutive: definiscono il tipo di gioco che si sta giocando (regole scacchi)<br />
o regole regolative: suggeriscono come comportarsi<br />
Di fatto Searle riproduce la distinzione di Austin tra colpi a vuoto e abusi. Infatti se le regole<br />
costitutive “costituiscono” l’atto, la loro violazione rende l’atto nullo; e’ un abuso del gioco se<br />
le regole vengono contravvenute.<br />
In Austin, la classificazione è basata sui performativi espliciti (alla prima persona):<br />
• verdettivi; emissione di un giudizio basato su ragioni o prove (giudico, calcolo, stimo, ecc.);<br />
• esercitivi; esercizio di poteri, diritti (ordino, nomino);<br />
• commissivi; impegno del parlante a una certa linea d’azione (prometto, propongo, ecc.);<br />
• comportativi; comportamento sociale in relazione ad azioni o eventi (ringrazio, mi scuso);<br />
• espositivi; organizzazione di un discorso (asserisco, affermo, nego, ecc.).<br />
Searle fa invece una classificazione in grandi classi d’azione basata su tre categorie:<br />
scopo illocutorio:<br />
• asserzione<br />
• comando<br />
• impegno<br />
• espressione<br />
• dichiarazione<br />
direzione di adattamento:<br />
• direzione dal linguaggio al mondo<br />
• dal mondo al linguaggio;<br />
condizioni di sincerità; sulla scia di quelle di Austin:<br />
• assertivi<br />
• direttivi<br />
• commissivi<br />
• espositivi<br />
• dichiarativi<br />
Cap. 11 Intenzione e conversazione: Grice, cortesia e pertinenza<br />
Il tema dell’intenzione è centrale nel lavoro di Grice, le sue teorie vanno controcorrente<br />
rispetto alla trazione Fregeana. Grice vede il significato linguistico come qualcosa di<br />
essenzialmente derivato dall’intenzione del parlante (meaning – significato -‐ deriva da to<br />
mean – intendere).<br />
Quindi quando un parlante dice qualcosa dotato di senso intende essenzialmente produrre un<br />
effetto in chi lo ascolta e far si che chi lo ascolta riconosca che il parlante intende produrre tale<br />
effetto. Cmq non sempre vogliamo far riconoscere le nostre reali intenzioni….<br />
Grice distingue tra due aspetti del significato:<br />
-‐ il significato occasionale del parlante: dipendente dalle intenzioni, legato ai processi mentali<br />
del parlante<br />
-‐ il significato semantico: dipendente dalle convenzioni, si consolida socialmente data la<br />
convergenza dei significati dei parlanti, che si uniforma nell’uso e nel tempo. Il significato<br />
semantico è il significato standard, come viene riconosciuto in una comunità linguistica.<br />
Che l’intenzione sia importante nella produzione del discorso non lo nega nessuno. Che il<br />
significato dipenda principalmente o esclusivamente dall’intenzione e quindi dai processi<br />
mentali è una tesi di Grice che si oppone di fatto alla tradizione fregeana per cui il senso è
qualcosa di oggettivo e non dipendente dai processi mentali con cui lo affettiamo. Anche per<br />
Frege molto dipende dalle intenzioni del parlante: la scelta delle espressioni linguistiche che<br />
esprimono un certo senso e la scelta del tono con cui far capire contenuti non asseriti ma<br />
tacitamente intesi.<br />
La teoria del significato incentrata sull’attenzione si oppone al paradigma classico di Frege.<br />
Grice sviluppa altri due aspetti della visione di Frege:<br />
l’idea dei connettivi logici e del loro funzionamento logico: studiando i connettivi logici e<br />
le loro definizioni in logica si nota che spesso queste definizioni non corrispondono al modo in<br />
cui i connettivi vengono usati nel linguaggio quotidiano. Grice, come del resto il giovane<br />
Wittgenstein, attribuisce la colpa di tutto ciò all’inadeguatezza della nostra comprensione del<br />
linguaggio quotidiano. Come Wittgenstein del resto potrebbe affermare che il linguaggi è in<br />
ordine così com’è, ma le tacite intese che rendono facile la comprensione ai parlanti sono<br />
enormemente complicate. Le deviazioni dall’uso standard dei connettivi logici dipendono<br />
dalle regole della conversazione comune, compito del filosofo del linguaggio è individuare<br />
queste regole implicite.<br />
il concetto di tono e di contenuto implicito in ciò che viene detto: il tono rivela ciò che si<br />
intende, anche se non esplicitamente detto. Frege distingue tra ciò che un parlante dice e ciò<br />
che intende. Grice analizza il funzionamento della conversazione, ideando il concetto di<br />
“implicatura” (ciò che è implicito): non quello che viene detto (esplicito o significato letterale)<br />
ma quello che viene fatto intendere (implicito o significato inteso). L’implicito viene colto<br />
attraverso una derivazione o implicatura, che può essere di tipo convenzionale se ciò che<br />
non viene detto viene fatto intendere utilizzando le convenzioni linguistiche o<br />
conversazionale se si utilizza il contesto della conversazione. Esempio di implicatura<br />
convenzionale: “è povero ma onesto” fa intendere con il “ma” che di solito i poveri non sono<br />
proprio onesti o che la povertà potrebbe essere movente per azioni disoneste. Per<br />
comprendere il concetto di implicatura conversazionale bisogna ricordare che la<br />
conversazione segue certe regole, principi generali che sottintendono a ogni conversazione,<br />
denominati “principio di cooperazione”: conforma il tuo contributo conversazionale a quanto<br />
è richiesto dall’intento comune, nel momento in cui avviene. Per Grice, questo è un principio<br />
normativo, a cui tutti i parlanti devono sottostare.<br />
Apparenti violazioni del principio possono essere interpretate in modo da salvare la<br />
razionalità del parlante (principio di carità o benevolenza di Quine e Davidson, secondo cui<br />
occorre interpretare i proferimenti de proprio interlocutore in modo da massimizzare la<br />
razionalità o sensatezza. Le eventuali espressioni apparentemente irrazionali vanno<br />
reinterpretate alla luce del contributo che il proferimento potrebbe portare alla<br />
conversazione.) Il principio di cooperazione di Grice e il principio di benevolenza sono<br />
dunque simmetrici e complementari. Il primo dice come dovrebbe comportarsi un parlante,<br />
l’altro come l’ascoltatore dovrebbe interpretare il parlante. Il principio di Grice può essere<br />
letto in veste descrittiva: la conversazione è un’azione collettiva che funziona in un certo<br />
modo, seguendo certe regole. O anche in veste costitutiva: per esserci dialogo deve esserci<br />
cooperazione. Come diceva Aristotele: “se una persona non segue il principio di razionalità e<br />
al contempo parla con te, è come se fosse una pianta: non è possibile conversare con lei”.<br />
Richiamandosi a Kant (se tutti dicessero il falso non sarebbe possibile alcuna conversazione),<br />
Grice presenta alcune “massime della conversazione”:<br />
1) quantità: dare un contributo tanto informativo quanto richiesto<br />
2) qualità: non dire ciò che ritieni falso o ciò di cui non hai prove adeguate<br />
3) relazione: sii pertinente<br />
4) modo: sii chiaro (evitare oscurità e ambiguità inutili)
Sia il sottrarsi alla conversazione che il violare le massime ci fanno intendere qualcosa. Il<br />
violare le massime per fare intendere qualcosa si chiama “implicatura conversazionale”. La<br />
violazione può essere:<br />
1) apparente: non reale ma il proferimento ha senso se interpretato nel contesto.<br />
Esempio: A: “ho finito la benzina”, B: “dietro l’angolo c’è un garage”. Anche se<br />
apparentemente la risposta di B viola la massima della pertinenza, in realtà la<br />
pertinenza c’è.<br />
2) Conflitto: una massima in conflitto con un’altra. Esempio: A: “dove abita C?” B: “da<br />
qualche parte nel sud della Francia”. La risposta di B viola la massima della quantità in<br />
quanto manca di contenuto informativo rilevante ma d’altra parte se dicesse cose che<br />
non sa violerebbe la massima della qualità.<br />
3) Violazione esplicita: ci si burla di una massima della conversazione allo scopo di<br />
generare implicatura conversazionale. Esempi: massima della quantità: una lettera di<br />
raccomandazione breve e con dettagli inutili fa intendere la poca stima che si ha del<br />
raccomandato; massima della qualità: sei un genio (detto ad uno che ha appena<br />
commesso un errore): ironia; massima della relazione: A: “mi ami?” B: “ho fame”: la<br />
risposta di B fa capire che è meglio cambiare discorso... ; massima del modo: parlare in<br />
modo oscuro per non far capire a qualcuno (bambini ad esempio) di cosa si sta<br />
parlando.<br />
Quindi secondo Grice ciò che si dice non sempre corrisponde a ciò che si intende.<br />
L’implicatura ha caratteristiche di :<br />
1) cancellabilità, sostenendo che si voleva dire quello che si è letteralmente detto. (ho<br />
detto questo ma non volevo intendere quest’altro, come fanno spesso i politici).<br />
2) Non distaccabilità: dire “sei un genio” ad un idiota equivale a dirgli “sei un prodigio<br />
mentale”. Non sono i termini detti ma il significato che conta e se lo si lascia inalterato<br />
si possono sostituire i termini con i sinonimi.<br />
3) Calcolabilità: dire qualcosa calcolando come verrà interpretata dall’ascoltatore. Ad<br />
esempio irritare qualcuno facendo apprezzamenti in modo viscido sulla sua<br />
compagna/o, calcolando che verrà interpretata come un’offesa... Per far si che questo<br />
funzioni ci deve essere un “terreno comune “ che i parlanti presuppongono in una<br />
conversazione.<br />
Secondo il principio di pertinenza, il parlante usa enunciati con contenuti impliciti o indiretti<br />
quando essi consentono di ottenere migliori risultati (in termine di effetti cognitivi) in tempi<br />
minori. (costi/benefici).<br />
Secondo la logica della cortesia bisogna: non imporsi, offrire delle alternative, mettere<br />
l’interlocutore a suo agio. Queste regole vengono spesso interpretate come il passaggio da<br />
formale a informale.<br />
Teoria del significato di Grice<br />
la teoria del significato di Grice ha influenzato molti autori (tra cui anche Searle). Essa fonda il<br />
significato sull’intenzione, dopo una distinzione tra significato naturale (in genere legati da rapporto<br />
causa/effetto) e significato non naturale.<br />
Esempi di significato naturale: fumo=fuoco, nuvole=brutto tempo<br />
Esempi di significato non naturale= campanella= fine lezioni (ma non sempre e non necessariamente)<br />
.<br />
nel significato non naturale il parlante dice qualcosa intendendo : è quindi necessario che il<br />
destinatario capisca che il parlante intende qualcosa al di là del significato letterale e l’effetto<br />
nell’ascoltatore avviene dopo la comprensione di ciò che si intende.<br />
il significato non naturale può essere occasionale (ciò che il parlante intende far capire in una<br />
particolare occasione, ovvero implicature conversazionali) o convenzionale (ciò che viene inteso in<br />
modo standard dalla comunità linguistica, ovvero ciò che viene detto + implicature convenzionali).
Cap. 12 – Senso, contesto e il problema dell’olismo<br />
Nei Fondamenti dell’aritmetica, Frege presenta 3 principi metodologici fondamentali:<br />
1) distinguere sempre oggetto e concetto<br />
2) distinguere sempre soggettivo e oggettivo<br />
3) non considerare il significato delle parole fuori dal contesto.<br />
Frege critica la tesi per cui i significati delle parole sono immagini mentali. La tesi, già di<br />
Aristotele (le parole significano i moti della mente che a loro volta si riferiscono agli oggetti) è<br />
ripresa da Locke nella teoria del significato come idea: le parole, nella loro significazione<br />
primaria, stanno per null’altro che le idee nella mente di chi le usa. Per Locke, l’associazione<br />
di un’idea caratterizza il linguaggio umano un pappagallo può dire cubo, ma solo ‘umano<br />
l’associa. Frege obietta che se il significato fosse un’immagine mentale non potremmo<br />
comunicare, visto che le immagini sono soggettive e quindi non potremmo condividere gli<br />
stessi significati, ciascuno userebbe parole riguardanti il proprio significato privato. Frege<br />
contrappone all’immagine mentale soggettiva e privare il senso o valore cognitivo,<br />
suggerendo un contrasto tra senso (contenuto oggettivo di informazione che viene espresso<br />
con il linguaggio condivisibile da tutti) e rappresentazione o idea (intesa nell’accezione<br />
psicologica e soggettiva, che resta chiusa nel privato della propria coscienza).<br />
Per Frege l’errore di Locke sta nel considerare le parole fuori dal contesto, solo dall’enunciato<br />
completo possiamo capire cosa significa la parola (spesso dà un contributo al di là<br />
dell’enunciato in cui compare). Questo atteggiamento di Frege avrà influenza su Wittgenstein<br />
e anche su Quine (che sviluppa una visione del linguaggio antimentalista e<br />
comportamentista).<br />
Il principio del contesto sancisce la priorità dell’enunciato rispetto alle parti che lo<br />
compongono. In Wittgenstein ritroviamo tracce del principio del contesto sia nel Tractatus (il<br />
mondo è la totalità dei fatti e non delle singole cose) che nel secondo Wittgenstein<br />
(l’enunciato è la mossa elementare di un gioco linguistico).<br />
Questo atteggiamento è alla base del contrasto tra filosofia analitica (orientata alla<br />
proposizione) e filosofia continentale (orientata all’oggetto). La filosofia analitica post Frege si<br />
orientava all’analisi degli enunciati, la filosofia continentale post Kant alla rappresentazione e<br />
coscienza dell’oggetto.<br />
I lavori di quine sono risolti principalmente ai contrasti teorici sui fondamenti della<br />
matematica, nati dopo la contraddizione di Russell. Per Quine le 3 scuole di filosofia della<br />
matematica (logismo Frege-‐Russell, intuizionismo di Brouwer e il formalismo di Hilbert)<br />
ripropongono in tempi contemporanei le vecchie contrapposizioni medievali tra ontologia<br />
realista, concettualista e nominalista. Per sanare questi contrasti è necessario un linguaggio in<br />
cui è possibile chiarire i disaccordi ontologici. Quine sostiene la necessita di eliminare in linea<br />
di principio i nomi propri, come ad esempio Pegaso (per evitare di avere termini non<br />
denotanti) e utilizzare al loro post dei predicati (x pegasizza). Per capire quali siano gli oggetti<br />
definiti in una teoria basterà verificare a cosa si applica la quantificazione (tutti gli x o qualche<br />
x), cioè cosa può stare al posto di una variabile vincolata.<br />
Ontologico: riferirsi all’essere, alla sua struttura oggettiva e reale... Tramite l’approccio di<br />
Quine i problemi ontologici divengono controversie linguistiche. Accettare un’ontologia vuol<br />
dire accettare uno schema concettuale, un modo di parlare. “ascesa semantica” : la discussione<br />
su cosa sono gli oggetti si trasforma in una discussione sul modo in cui parliamo di oggetti.
Quindi si può aiutare la discussione ontologica chiarendo la forma logica degli enunciati con<br />
cui proponiamo di descrivere il mondo. L’olismo è una teoria che si richiama alla dipendenza<br />
delle parti dal tutto; applicato al significato risulta una teoria che fa dipendere il significato di<br />
ogni singola parola o enunciato da tutto il linguaggio, in una apparente estensione del<br />
principio di Frege del contesto.<br />
La visione olista si trova ad affrontare 3 grossi problemi:<br />
1) la costituzione del significato di un’espressione: non esistono particolari enunciati<br />
aventi funzioni costitutive del significato (enunciati analitici)<br />
2) la comunicazione e la condivisione dei significati: se il significato di una singola<br />
parola dipende da tutto il linguaggio , tutti dovrebbero usarlo allo stesso modo ma<br />
nelle lingue naturali non avviene...<br />
3) la composizionalità del significato: il principio del contesto (il significato non è delle<br />
parole ma del contesto) cozza contro quello della composizionalità (il significato del<br />
tutto dipende da quello delle parti che lo compongono)<br />
Cap. 13 Olismo e traduzione radicale: Quine<br />
Quine ha messo in serio dubbio l’esistenza dei significati come entità teoriche accettabile,<br />
affidandosi agli enunciati. Come Frege, ammette l’importanza della distinzione tra significare<br />
e denotare e rifiuta di identificare i significati con idee contenute nella mente. Per Quine non<br />
esiste una risposta soddisfacente alla domanda. Per Quine sono da abbattere dogmi come:<br />
1) divisione analitico/sintetico (gli enunciati sono divisi in due classi, gli analitici,<br />
necessaria priori e i sintetici)<br />
2) il riduzionismo: l’idea che ogni enunciato significante sia riducibile a dati osservativi<br />
immediati<br />
La distinzione tra enunciati analitici e sintetici, adombrata da Hume e Leibniz, viene definita<br />
da Kant: analitico è quell’enunciato in cui il predicato è contenuto implicitamente nel concetto<br />
espresso dal soggetto; sintetico è l’enunciato in cui il predicato non è contenuto nel soggetto.<br />
La definizione va scartata perché si applica ai soli enunciati dei tipi soggetto/predicato. Ma<br />
l’idea di fondo è chiara: analitico è ciò che è vero in virtù del mero significato delle parlo e non<br />
dei fatti. La distinzione tra verità analitiche e sintetiche diviene uno dei capisaldi del<br />
neopositivismo. Quanto vale questa distinzione tra significato e denotazione (riferimento) ?<br />
Stella del mattino e stella della sera sono lo stesso oggetto ma hanno diverso significato. Quine<br />
in pratica, come già Wittgenstein, non accetta entità come “i significati”. Quando si parla di<br />
significato è per spiegare le relazioni di sinonimia (sinonimi=uguale significato;<br />
scapolo=uomo non sposato) e di analiticità (enunciato è analitico se è vero in virtù del<br />
significato delle espressioni). L’argomentazione di Quine è questa a grandi linee:<br />
1) per definire il concetto di analitico dobbiamo definire il concetto di uguaglianza di<br />
significato, cioè sinonimia<br />
2) per definire sinonimo dobbiamo definire necessario, perché la sinonimia richiede i<br />
contesti intensionali<br />
3) ma i linguaggi intensionali presuppongono la comprensione del concetto di analiticità<br />
Secondo la definizione di Frege di analiticità, un enunciato è analitico se si riduce a verità<br />
logica sostituendo sinonimi con sinonimi. Ed esempio: gli scapoli sono uomini non sposati si<br />
riduce a verità logica sostituendo scapolo a non sposato, ottenendo: gli uomini non sposati<br />
sono uomini non sposati. Per definire la sinonimia Quine propone il concetto di sostituibilità:<br />
termini sostituibili senza effetti sul significato sono quindi sinonimi. Questo anche nei contesti
intensionali ( intensione: insieme di proprietà condivide dall’oggetto ). Ma se per definire un<br />
linguaggio intensionale dobbiamo avere compreso il concetto di analiticità, e se è proprio<br />
quello che stiamo cercando di definire, il ragionamento non regge, diviene un circolo vizioso.<br />
Anche se questa critica di Quine ha riscosso diverse reazioni, ha lasciato comunque un segno<br />
indelebile: la dicotomia fondamentale della storia del pensiero filosofico viene messa in<br />
dubbio. Non si possono distinguere le proposizioni in due classi, ogni enunciato dipende dal<br />
linguaggio e dai fatti. Anche il rapporto tra filosofia e scienza è da rimettere in discussione (ai<br />
filosofi spettavano i compiti concettuali della verità analitica; agli scienziati il compito di<br />
scoprire le verità fattuali).<br />
Dopo aver posto di discussione il primo dogma, Quine si concentra sul secondo, affrontando la<br />
teoria verificazionista del significato (il significato di un enunciato è il suo metodo di verifica o<br />
conferma empirica). In pratica un enunciato è vero se è fattualmente verificabile.<br />
Quine riprende una tesi di Duhem: “l’unità di conferma empirica di una teoria non è il singolo<br />
enunciato, ma la teoria nella sua totalità”. Di conseguenza non è vero che il significato di un<br />
enunciato è la sua verifica empirica, data in isolamento da altri enunciati, come se ogni singolo<br />
enunciato avesse bisogno di una conferma empirica individuale. Ogni enunciato di una teoria<br />
scientifica dipende dagli altri, la teoria quindi è un insieme di enunciati che si sostengono tra<br />
loro.<br />
È come un campo di forze in cui tutto si collega. Un enunciato che si dovesse dimostrare falso<br />
non demolisce necessariamente tutta la teoria: riadattando gli altri enunciati si può salvarla.<br />
Anche se il linguaggio non è apparentemente simile ad una teoria scientifica, il concetto si può<br />
estendere anche ad esso, in quanto il linguaggio naturale è un modo di strutturare il mondo e<br />
contiene in sé una teoria implicita. Non solo la nostra conoscenza ma anche il significato dei<br />
nostri enunciati è dato da una rete di credenze, dove informazioni linguistiche concettuali,<br />
dati empirici e fattuali sono inestricabilmente connessi.<br />
Per olismo si intende quella posizione filosofica che insiste sulla dipendenza del significato<br />
delle singole parti dalla totalità del linguaggio. Citando il secondo Wittgenstein: “capire un<br />
enunciato significa capire il linguaggio”. Quine sviluppa le idee di un empirismo senza dogmi.<br />
Partendo da un esempio (quello di un esploratore che vuole imparare la lingua dei nativi)<br />
teorizza la traduzione radicale: una traduzione tra due lingue e culture che non hanno mai<br />
avuto contatti, per cui il traduttore ha come unica base per la traduzione la connessione tra<br />
espressioni verbali e comportamenti osservabili. Per verificare l’apprendimento si riferisce<br />
alle reazioni di assenso e dissenso dei nativi (che assentiranno se indicando un oggetto dirà la<br />
parola adatta o dissentiranno in caso contrario). Questa traduzione è però indeterminata:<br />
Indeterminatezza della traduzione: possono esservi diverse traduzioni, compatibili con i<br />
dati empirici ma incompatibili tra loro.<br />
Ogni traduzione è relativa allo schema concettuale usato dal traduttore nell’analizzare il<br />
linguaggio nativo. Il comportamento di assenso/dissenso non è sufficiente a discriminare la<br />
differenza di traduzione. Quindi non esiste una traduzione giusta e perfetta. Una restrizione<br />
all’indeterminatezza della traduzione nasce dall’idea che non è facile che la gente proferisca<br />
asserzioni palesemente false: se un manuale fa tradurre troppe frasi in un modo sbagliato,<br />
non è la gente che mente ma il manuale forse non va... Secondo il principio di carità, bisogna<br />
scegliere la traduzione che rende vero il maggior numero possibile di asserzioni del nativo.<br />
Quine rifiuta il riduzionismo neopositivista ma non significa che abbandoni l’empirismo e la<br />
ricerca di ridurre analisi semantica e scientifica. Come spiega l’associazione tra espressioni<br />
linguistiche e stimoli condivisi? Tre sono i livelli di spiegazione semantica: mentalista
(superficiale), fisiologica (neurofisiologico) e comportamentale. Propone una forma di<br />
comportamentismo linguistico: il comportamento linguistico osservabile è da una parte ciò<br />
che deve essere spiegato, dall’altra l’unico criterio per dare una spiegazione ragionevole del<br />
fenomeno del linguaggio.<br />
I tre aspetti centrali del comportamentismo linguistico di Quine sono:<br />
1) la base di una analisi delle nostre capacità di comprensione degli enunciati è il<br />
comportamento, e in particolare la disposizione ad assentire o dissentire a certe<br />
emissioni sonore in certe situazioni osservabili.<br />
2) Il punto di partenza dell’analisi sono gli enunciati osservativi, quelli che si realizzano in<br />
risposta a stimolazioni sensoriali attuali;<br />
3) A livello di enunciati osservativi si può parlare di significato stimolo, definito come la<br />
classe delle stimolazioni che provocano un assenso o dissenso alla presenza di una<br />
emissione verbale.<br />
Il resto della spiegazione si avvarrà delle ipotesi del linguista che segue il principio di carità. Il<br />
discorso di Quine è caratterizzato dall’analisi disposizionale: una disposizione è una<br />
caratteristica fisica che può essere specificata a diversi livelli di precisione (come la<br />
solubilità). La visione quineana presenta una strategia riduzionista in tre passi: la mente<br />
consiste nelle disposizioni al comportamento e queste a loro volta consistono in stati<br />
fisiologici. Finché non possiamo aspirare alle spiegazioni causali neurofisiologiche del<br />
fenomeno linguistico, dobbiamo accontentarci di quelle comportamentali. Queste, a differenza<br />
di quelle mentaliste, non generano l’illusione di essere più esplicative di quelle che sono.<br />
Cap. 14 – interpretazione e verità: Davidson<br />
Davidson sviluppa una intuizione di Quine, secondo cui vi sono problemi di traduzione<br />
(interpretazione) anche tra chi parla la stessa lingua. Dato che l’interpretazione deriva dalle<br />
credenze, può essere diversa a seconda di chi ascolta. Capire un linguaggio è come tradurre: la<br />
teoria di Davidson sarà appunto chiamata “teoria dell’interpretazione” o del significato.<br />
Richiamandosi alla teoria di Tarski della verità, la teoria del significato dovrebbe avere come<br />
conseguenza tutti gli enunciati del tipo “p è vero se p” (piove è vero solo se piove). La teoria di<br />
Davidson è un altro modo di rendere la teoria classica del significato come condizioni di<br />
verità. In questa teoria infatti la verità degli enunciati composti dipende da quelli componenti.<br />
Per verificare se il bicondizionale che viene utilizzato è vero ci si basa sempre sull’assenso o<br />
dissenso dei parlanti. Come per Quine vi era una indeterminatezza della traduzione, per<br />
Davidson esiste una indeterminatezza dell’interpretazione. Ma mentre Quine parla di diversi<br />
schemi concettuali, tutti compatibili con la stessa evidenza empirica, Davidson non accetta<br />
questa soluzione. Per ogni schema concettuale infatti esiste una diversa traduzione, una<br />
diversa verità, incompatibile con le altre.<br />
Quine aveva criticato due dogmi dell’empirismo, ovvero il riduzionismo e la distinzione<br />
analitico/sintetico. Davidson attacca il terzo dogma: “la dicotomia di schema<br />
concettuale/contenuto empirico è il terzo dogma che va abbandonato assieme alla distinzione<br />
analitico/sintetico”. La distinzione analitico/sintetico è una forma particolare del terzo<br />
dogma: l’analitico infatti dipende dal significato (dallo schema concettuale) e il sintetico<br />
dall’esperienza (contenuto empirico). Se rinunciamo davvero alla distinzione<br />
analitico/sintetico allora dobbiamo rinunciare anche al dogma più generale che la sostiene,<br />
che rimane anche in Quine ed è l’empirismo.<br />
Per giustificare l’olismo Quine cita Wittgenstein, mentre Davidson si richiama a Frege:
OLISMO SEMANTICO (DAVIDSON) -‐ “Frege disse che una parola ha significato solo nel<br />
contesto di un enunciato; nello stesso spirito avrebbe potuto aggiungere che un enunciato (e<br />
quindi una parola) ha significato solo nel contesto del linguaggio”.<br />
L’olismo semantico è solo un’estensione dell’olismo epistemologico di Quine, e prosegue la<br />
critica sulla dicotomia analitico/sintetico. La visione di Davidson non è priva di gravi<br />
problemi (puntualizzati da Dummett):<br />
1) con l’olismo i significati diventano privati e individuali. Il significato attribuito alle<br />
parole di ogni individuo, data la visione olista, sarà diverso da quello di qualsiasi altro.<br />
Se il significato di una parola dipende dalla totalità del linguaggio in cui è inserita, non<br />
è possibile che due parlanti condividano lo stesso significato delle parole.<br />
2) Con l’olismo la comunicazione diviene impossibile: tra i parlanti non ci sarà né accordo<br />
ne disaccordo (perché il disaccordo presuppone una qualche forma di accordo). La<br />
comunicazione diverrà quindi un mistero inspiegabile.<br />
Queste critiche non dimostrano che l’olismo semantico è sbagliato ma che ha delle<br />
conseguenze implausibili. Davidson risponde che queste critiche hanno valore solo se si<br />
intende la comunicazione come trasmissione di significati condivisi. Per lui abbiamo in<br />
comune solo lo stesso mondo e molte credenze fondamentali in esso.<br />
Quindi :”le credenze dell’interlocutore sono derivare dai significati che riteniamo egli dia alle<br />
parole, e i significati delle sue parole sono derivati da quelle che riteniamo siano le sue<br />
credenze”. Questo circolo non si può rompere del tutto e quindi non avremo mai la certezza di<br />
interpretare correttamente un’altra persona. Come in Quine, l’evidenza empirica non basta a<br />
chiarire il significato e trovare l’interpretazione corretta.<br />
Come uscire da questa impasse?<br />
Davidson sostiene che nella comunicazione avviene un continuo processo di aggiustamento e<br />
di convergenza verso significati condivisi. Il parlante adegua quindi la comunicazione in<br />
relazione all’interlocutore, creando al momento una teoria dell’interpretazione provvisoria.<br />
Questo dovrà avvenire ogni volta, ogni nuovo interlocutore sarà necessario un nuovo<br />
aggiustamento e una nuova teoria.<br />
Ma come si distingueranno i fraintendimenti dovuti a diversi significati e diverse credenze?<br />
Davidson usa il principio di carità e la triangolazione.<br />
Richiamandosi al principio di carità di Quine, l’interpretazione avviene massimizzando la<br />
razionalità dei proferimenti del parlante, tenendo conto della coerenza (non<br />
contraddittorietà) e corrispondenza ( somiglianza delle risposte a quelle del mondo).<br />
Esempio: “nel frigo ci sono quattro “bestie” arancioni, me ne fai una spremuta? “: il parlante si<br />
riferisce a dei frutti, o in maniera scherzosa o perché non conosce il significato della parola<br />
“bestie”. Solo in questo modo posso interpretare il suo comportamento come razionale,<br />
rivolto ad un fine.<br />
La triangolazione avviene quando i soggetti convergono nelle loro reazioni all’oggetto. Sono<br />
necessarie almeno tre persone... se uno dice: ”coniglio” e gli altri due guardano il coniglio si<br />
forma il significato “coniglio”.
Dipendenza contestuale<br />
Davidson ha insistito sulla dipendenza significato dal contesto, seguendo una tradizione consolidata<br />
in filosofia. Il contesto aiuta a chiarire e affinare le interpretazioni. I parlanti quindi convergono verso<br />
gli stessi significati. Quali regole governano questa convergenza? Una parziale risposta la riceviamo<br />
dalla linguistica e dalla intelligenza artificiale, dove il tema della dipendenza contestuale ha assunto<br />
un ruolo sempre maggiore alla fine del 900. I contesti sono rappresentazioni del mondo (teorie, spazi<br />
mentali, spazi concettuali) , soggette a regole di diverso genere definite attraverso parametri<br />
contestuali (spazio, tempo, luogo, parlante, insieme di presupposizioni). Una esemplificazione di<br />
queste regole viene proposta da Bouquet:<br />
1) espansione/contrazione: restando invariati i parametri contestuali (ad es. luogo, parlante) si<br />
può importare nel contesto fatti non considerati esplicitamente, per poter risolvere problemi<br />
inaspettati<br />
2) esplicitare/implicitare: alcuni parametri possono essere resi espliciti quando necessario o<br />
dati per impliciti se ciò facilita il ragionamento<br />
3) scorrimento: si possono variare certi valori semantici variando certi parametri: “oggi”<br />
secondo un certo parametro temporale equivale a “domani” secondo un altro parametro<br />
temporale; “io” dal mio punto di vista diviene “lui” da un altro punto di vista... ;<br />
Questi tre tipi di regole possono essere messi in relazione a 3 aspetti fondamentali delle<br />
rappresentazioni del mondo. Il cerchio in basso sta per il mondo e i cerchi in alto stanno per<br />
rappresentazioni del mondo. Ogni rappresentazione sarà parziale, approssimata e prospettica.<br />
Cap. 15 – Senso e giustificazione<br />
Frege ha sempre dato grande importanza sia al problema della deduzione (conseguenze di<br />
un’asserzione) sua al problema della giustificazione, cioè delle premesse o di cosa giustifica<br />
una asserzione. Nel fare ciò ha sempre insistito, come Kant, sulla differenza tra questioni di<br />
fatto e questioni di diritto, e sulla differenza tra cause e ragioni.<br />
Frege distingue il pensiero come senso oggettivo di un enunciato, il pensare come processo<br />
soggettivo del parlante. Del pensiero si occupa la logica, del pensare lo studio psicologico, due<br />
cose da tenere ben distinte. Anche se può essere interessante capire i processi mentali, il<br />
risultato di tali processi deve poi essere validato attraverso lo studio logico del ragionamento<br />
corretto, che gli fornirà giustificazione.<br />
Frege, come Kant e Leibniz prima di lui, sosteneva l’importanza di una distinzione<br />
fondamentare tra proposizioni analitiche e sintetiche. Secondo lui la matematica poteva<br />
essere ridotta a logica, la soluzione stava nella distinzione tra senso e riferimento. Come<br />
sappiamo la riduzione dell’aritmetica in logica come l’aveva pensata Frege si rivelò un<br />
fallimento, ma la distinzione di senso e riferimento e l’idea di una distinzione di proposizioni<br />
analitiche a priori (cioè giustificare solo per via logica) e proposizioni sintetiche a posteriori<br />
(giustificare per via empirica) restò sempre centrale in Frege.<br />
La contingenza è la caratteristica attribuita all'ente la cui esistenza è ritenuta non necessaria<br />
ma nello stesso tempo non impossibile: la sua realtà non può essere dimostrata una volta per<br />
tutte ma neppure negata definitivamente.
Alla fine del ‘900 Kripke, cercando di individuare un nuovo tipo di relazione tra metafisica ed<br />
epistemologia, parla di verità contingenti a priori e necessarie a posteriori:<br />
1) enunciati contingenti a priori, cioè enunciati la cui giustificazione è a priori , ma la cui<br />
verità è contingente. Esempio: “il metro standard di Parigi è lungo un metro”. La verità<br />
di tale asserto è definita per convenzione e quindi riconosciuta a priori ma resta cmq<br />
del tutto contingente il fatto che il metro di Parigi abbia la lunghezza che ha. Esistono<br />
quindi enunciati che hanno verità contingenti a priori.<br />
2) Enunciati necessari a posteriori, la cui giustificazione è data a posteri dall’esperienza<br />
ma il cui stato metafisico è necessario. Stella del mattino = Stella della sera è una verità<br />
provata dalle scoperte astronomiche, non deriva da assunzioni o convenzioni, è una<br />
conoscenza empirica, provata dai fatti.<br />
Kripke non risparmia di criticare anche Wittgenstein, per non aver fatto chiarezza su<br />
espressioni del tipo “il metro campione è lungo un metro”, pur dando grande importanza alla<br />
distinzione tra empirico e concettuale (la distinzione non riguarda i tipi di enunciati ma l’uso<br />
che ne facciamo). Il secondo Wittgenstein abbandona le idee del Tractatus sul significato come<br />
condizione di verità e cerca un’alternativa all’idea che “il significato di un enunciato è il suo<br />
metodo di verifica” (ovvero che conoscere un enunciato vuol dire sapere come giustificarlo o<br />
asserirlo). Nel caso di un animale che sappia indicare i colori entriamo nello spezio delle<br />
ragioni: il ragionamento è solo limitato a corretto e scorretto, l’animale non sa il reale<br />
significato del colore, li associa solamente.<br />
Quine rivolge una critica devastante alla distinzione analitico/sintetico successivamente<br />
anche alla nozione di giustificazione, propria della teoria della conoscenza . Da queste 2<br />
critiche nasceranno una serie di problemi per i filosofi del linguaggio che dovranno affrontare<br />
la sfida della naturalizzazione: la semantica non può che essere riconosciuta come analisi<br />
scientifica data nei termini della psicologia o degli studi sull’evoluzione.<br />
Frege apre almeno due strade per riflettere sul problema della naturalizzazione della<br />
semantica:<br />
1) la riflessione sul concetto di senso come potenziale inferenziale. Le inferenze sono<br />
regolate dalla relazione di conseguenza logica e questa relazione ha una valenza<br />
normativa<br />
2) la riflessione sulla differenza tra senso e rappresentazione soggettiva. Per Locke il<br />
significato sta nella mente, per Frege non è così. Non possiamo conoscere il contenuto<br />
della mente degli altri e non possiamo affermare che la comunicazione sia un processo<br />
privato, altrimenti sarebbe impossibile. Dunque è necessario che il significato sia fuori<br />
dall’ambito soggettivo e sia afferrabile da tutti, comunicabile e intersoggettivo.<br />
Negli ultimi scritti Frege tenta di fondare il carattere oggettivo dei pensieri e distinguerli dal<br />
pensare, ovvero il processo psicologico di comprendere i pensieri. Quindi i pensieri vengono<br />
definiti come entità che non sono né psichiche né fisiche, ma appartenenti a un terzo regno,<br />
che ha molto del mondo platonico delle idee. Questo antipsicologismo fregeano non è né<br />
necessario né sufficiente.<br />
Wittgenstein mostra che l’ipotesi del terzo regno non è necessaria: il comprendere non è un<br />
processo psichico ma una capacità. Quindi un’analisi concettuale del comprendere non<br />
dipenda dalla psicologia e allo stesso tempo non richiede i significati come entità ideali.
L’antipsicologismo fregeano non è sufficiente a discutere il problema delle rappresentazioni<br />
mentali, ove per rappresentazioni Frege intendeva: “Le rappresentazioni sono tutte quelle<br />
immagini mentali, sensazioni e stati d’animo che le parole evocano in noi”.<br />
Cap. 16 – Significato e inferenza: Dummett, Brandom<br />
Frege aveva parlato di :<br />
• contenuto concettuale come ciò che asseribile, quindi come ciò che ha un qualche<br />
fondamento o giustificazione<br />
• senso come ciò che è comune agli enunciati che hanno le stesse conseguenze.<br />
Chi conosce il senso di un enunciato sa come giustificarlo e quali conseguenze se ne possono<br />
trarre. Il significato di un enunciato è il suo ruolo inferenziale o ruolo concettuale, perché i<br />
nostri concetti sono legati tra loro da relazioni inferenziali. Dire che Fido è un cane comporta<br />
sapere che i cani sono quadrupedi, hanno 4 zampe, sono carnivori. L’enunciato è quindi legato<br />
all’insieme di relazioni inferenziali che ha con gli altri concetti. Saper inserire un enunciato in<br />
una giusta rete di relazioni concettuali comporta una conoscenza pratica: sapere cosa<br />
consegue dall’asserzione di tale enunciato e cosa mi giustifica a farla. Due aspetti connessi al<br />
significato riguardano la conoscenza delle premesse che lo giustificano e delle conseguenze<br />
che se ne possono derivare.<br />
L’idea di significato in termini di giustificazione è sostenuta da Dummett sulla scia del<br />
secondo Wittgenstein, che affermava che “comprendere un enunciato è conoscere i suoi<br />
fondamenti”, ovvero a quali condizioni è giustificato.<br />
Negli stessi anni della riflessione di Wittgenstein sul significato come giustificazione, il logico<br />
tedesco Gentzen sviluppa una nuova prospettiva in logica, inventando il metodo della<br />
deduzione naturale, Dummett nota che il suo lavoro ha una forte analogia con l’idea del<br />
significato come uso, dato che il logico propone di considerare le regole di introduzione di una<br />
costante logica come ciò che da la definizione della costante logica. In cosa consistono queste<br />
regole? Da un lato, per poter introdurre sensatamente un’espressione come “p e q” dobbiamo<br />
avere una giustificazione indipendente per ciascuna delle due frasi. Dall’altro, se sappiamo<br />
che p e q è vera o giustificata, possiamo senza problemi asserire l’una o l’altra frase, ed<br />
eliminare il connettivo “e”.<br />
La logica classica è sempre stata considerata la logica del punto di vista di Dio,<br />
dell’onniscienza. Ma poiché esistono limitazioni cognitive dei parlanti è nata la logica<br />
intuizionista, che rispetta le limitazioni evitando di postulare infinità attuali ed evitando<br />
principi logici come il terzo escluso (Sta a significare che una terza soluzione non esiste<br />
rispetto a una situazione che paia prefigurarne soltanto due).<br />
Dummett critica il modo troppo generico con cui lo slogan wittgensteiniano è spesso usato e<br />
presenta quindi la sua visione del concetto: “capire il significato di un enunciato vuol dire<br />
conoscere le condizioni a cui l’enunciato è giustificabile (ovvero dimostrabile).<br />
Accanto all’influenza di Wittgenstein, Dummett risente anche di quella di Frege, in particolare<br />
dell’idea di senso come correlazione alla comprensione e di una teoria sistematica del<br />
significato basata sulla distinzione senso/forza. Per conciliare W e Frege, Dummett cerca una<br />
teoria che spieghi in cosa consiste possedere un linguaggio, concludendo che “una teoria del<br />
significato deve essere una teoria della comprensione”.<br />
Dummett sostiene che padroneggiando l’uso del linguaggio ne abbiamo una conoscenza<br />
implicita. La teoria del significato, o della comprensione, deve quindi spiegare la conoscenza<br />
implicita del linguaggio, posseduta da un parlante che padroneggia il linguaggio. Si sposa
invece con le teorie del significato come uso: una teoria del significato deve rispecchiare il<br />
carattere pubblico del linguaggio. I requisiti fondamentali di una teoria del significato sono<br />
dunque:<br />
1) conoscenza implicita: la comprensione si basa su una conoscenza implicita,<br />
manifestata dal seguire tacitamente le regole e i principi che governano l’uso del<br />
linguaggio<br />
2) manifestabilità: la comprensione si manifesta nell’uso del linguaggio.<br />
Tre le linee di fondo per l’organizzazione della sua teoria:<br />
1) significato come condizioni di asseribilità<br />
2) distinzione senso/forza e i livelli di una teoria ricca<br />
3) il molecolarismo<br />
Le due principali regole di ogni uso linguistico sono:<br />
1) le regole che stabiliscono quando un enunciato è correttamente asserito (le<br />
giustificazioni che si possono dare, cioè le premesse dell’asserzione)<br />
2) le regole che stabiliscono le aspettative appropriate (e che mostrano le conseguenze di<br />
un proferimento)<br />
Come riconoscere le condizioni di verità di alcuni enunciati se non ci sono criteri o prove che<br />
permettano di verificare tali condizioni? (esempio, Cesare, passando il Rubicone, fu punto da<br />
una zanzara). Richiamandosi alla filosofia della matematica, in particolare al realismo e<br />
antirealismo. Per il matematico realista il significato degli asserti è dato dalle loro condizioni<br />
di verità è a prescindere dalla verificabilità, per l’antirealista solo dalla dimostrabilità.<br />
Dummett propone di indentificare il significato con il primo aspetto dell’uso linguistico: la<br />
capacità di giustificare le proprie asserzioni. Dato che i due aspetti devono armonizzarsi<br />
(premesse e conseguenze), il significato si indentifica con uno di essi e l’altro ne sarà derivato.<br />
“il significato di un enunciato si indentifica con le sue condizioni di asseribilità, cioè con le<br />
giustificazioni necessarie per poterlo asserire”.<br />
Con l’idea di gioco linguistico W aveva rifiutato la distinzione tra senso e forza di Frege,<br />
ritenendo che l’infinità dei giochi linguistici mal si adeguava a questa teoria.<br />
Dummett segue la strada di Austin, sostenendo che una teoria del significato deve utilizzare la<br />
distinzione fregeana di senso e forza. Questa è fondamentale in un progetto di teoria<br />
sistematica del significato, che deve organizzarsi su due diversi livelli:<br />
1) una teoria del riferimento, che determini il modo in cui la verità di ciascun enunciato<br />
dipende dal riferimento delle parti<br />
2) una teoria del senso, che spieghi il valore cognitivo degli enunciati e definisca il senso<br />
di un enunciato come le sue condizioni di asseribilità o di giustificazione. (fornisce una<br />
rappresentazione delle procedure che costituiscono la conoscenza del riferimento)<br />
3) una teoria della forza, che descriva il modo in cui i diversi contenuti cognitivi possono<br />
essere usati in diversi atti linguistici.<br />
Per Dummett è essenziale avere una teoria sistematica del significato. Egli rielabora anche il<br />
concetto di composizionalità di Frege: il significato di un enunciato è funzione del significato<br />
delle espressioni che occorrono in esso e nella sua struttura sintattica. In cosa consiste il<br />
significato delle espressioni sottoenunciative (nomi, predicati) contenute in un enunciato? Per<br />
gli atomisti (Wittgenstein, Fodor ) ogni parola ha il suo significato in modo del tutto<br />
indipendente da ogni altra. Per gli olisti (Quine, Davidson) il significato di una parola dipende<br />
dall’intero linguaggio.
Dummett rifiuta entrambe le soluzioni e tenta una strada nuova (denominata molecolarismo):<br />
”il significato di una parola dipende da un sottoinsieme limitato del linguaggio“. Il linguaggio<br />
non si impara tutto insieme ma a blocchi e alcuni sono necessari (ne è necessaria la<br />
padronanza) per l’apprendimento dei successivi. E’ come dice che per correre bisogna prima<br />
saper camminare, e prima ancora saper stare in piedi.<br />
Dummett definisce il significato come giustificazione anche perché ritiene che le conseguenze<br />
di un enunciato siano un insieme aperto e troppo vago per poter servire da criterio definitorio<br />
del significato.<br />
Brandom sostiene che una teoria del significato deve tenere presente sia le premesse che le<br />
conseguenze di un enunciato, che lui considera dal punto di vista pragmatico (lingua come<br />
azione) e normativo, come un insieme di diritti e doveri, o più precisamente di autorizzazioni<br />
e impegni. La giustificazione di un enunciato è ciò per cui siamo autorizzati o titolati ad<br />
asserirlo come vero; le conseguenze di un enunciato sono ciò che implicitamente ci<br />
impegniamo a sostenere quando lo asseriamo. La teoria di Brandom si definisce Semantica<br />
inferenziale: “il significato di un enunciato deriva dall’intreccio delle diverse prospettive con<br />
cui i parlanti si impegnano sulla rete di inferenze a esso connesse”.<br />
Il significato dipende dalla rete di tutte le attività linguistiche in cui il parlante è collocato<br />
socialmente, e a sua volta questo comporta una visione olistica del linguaggio. Per evitare il<br />
contrasto con il principio di composizionalità, come Davidson, Brandom auspica la<br />
convergenza dei significati nel processo sociale del dialogo e dello scambio di opinioni.<br />
Brandom si richiama a Frege riguardo la sua proposta di una semantica inferenziale in una<br />
visione della razionalità. L’essere umano è razionale perché è capace di articolare le ragioni e<br />
questa capacità si manifesta nel rendere esplicito quello che viene assunto implicitamente.<br />
Per Brandom rendere esplicito qualcosa è “metterlo in una forma tale che possa al contempo<br />
servire da ragione ed essere qualcosa per cui si chiedono ragioni”.<br />
Il gioco linguistico dei muratori di Wittgenstein sembra un banale azione/reazione, mentre il<br />
gioco di dare e chiedere ragioni è ciò che è in grado di distinguere tra animali e umani<br />
(esempio: A : questo è rosso!; B: come lo sai?; A: perché l’ho visto...). il rendere esplicito<br />
caratterizza la natura umana.<br />
Bivalenza, terzo escluso e intuizionismo<br />
Secondo il principio di bivalenza una qualsiasi proposizione può assumere uno e uno solo dei due<br />
valori di verità, vero o falso. La validità di questo principio venne messo in dubbio dalle logiche<br />
polivalenti nella prima metà del 20 secolo. Il principio del terzo escluso messo in discussione da<br />
Brower e Heyting. IL principio di non contraddizione contestato dalle logiche paraconsistenti.<br />
La logica intuizionista critica il principio del terzo escluso, e ridefinisce il significato delle costanti<br />
logiche.
Cap. 17 – Significato e cognizione: intelligenza artificiale, Fodor, Marconi<br />
L’idea che pensare sia fare inferenze, porta a identificare il pensare con un tipo di calcolo. Le<br />
procedure computazionali dei pc possono riprodurre le inferenze logiche, e quindi l’idea che è<br />
possibile tentare di simulare i processi mentali umani tramite l’utilizzo di pc è facilmente<br />
concepibile. E’ questo essenzialmente il progetto chiamato “intelligenza artificiale” nato negli<br />
anni ’60. Alla sua base lo sviluppo del concetto di procedura o algoritmo elaborato da Alan<br />
Turing. Un algoritmo è un procedimento deterministico che in un numero finito di passi<br />
produce un risultato. Turing definì un modello matematico dei passi elementari che un essere<br />
umano fa quando esegue un calcolo: scrivere un simbolo, tenerlo a mente, spostarlo,<br />
cancellarlo, secondo un certo ordine. Il modello matematico astratto venne chiamato<br />
“Macchina di Turing”; le MT definiscono la classe di tutto ciò che è calcolabile mediante un<br />
algoritmo, cioè mediante un tipo di calcolo che in linea di principio eseguibile tramite un<br />
dispositivo meccanico. Turing dimostrò che esiste una MT universale, che può prendere in<br />
input sia dati che altre MT, cioè programmi specifici di trattamento dati. Questa idea, centrale<br />
nell’architettura dei moderni pc, presenta la struttura nota come “architettura di von<br />
Neumann”. L’intelligenza artificiale utilizza i procedimenti algoritmici per simulare processi<br />
mentali effettivi, cosa che è per lo più molto lontana degli interessi dei logici. Si suole<br />
distinguere:<br />
1) semantica come impresa matematica: lo studio delle condizioni di verità degli<br />
enunciati del linguaggio in una presentazione formale adeguata.<br />
2) Semantica come impresa psicologica: lo studio dei processi mentali della<br />
comprensione come strumenti o controlli sperimentali adeguati<br />
E’ innegabile che i due tipi di ricerca hanno intrecci e interessi comuni.<br />
La prima proposta alternativa alla semantica modellistica in ambito computazionale è stata la<br />
semantica procedurale, definita negli anni 70 attorno all’idea di minimondo, una situazione<br />
idealizzata, particolare e ristretta. il sistema di comprensione del linguaggio associato a un<br />
minimondo contiene:<br />
1) una grammatica con un analizzatore sintattico<br />
2) un motore logico<br />
3) un dizionario molto dettagliato su un campo di oggetti ristretto e ben definito (blocchi<br />
geometrici ad esempio.)<br />
Per poter fare funzionare il programma occorre che a ogni voce del dizionario sia associata<br />
una procedura, e questo è il punto di partenza per una teoria semantica originale: “a ogni<br />
simbolo o espressione del linguaggio è associata una procedura, che viene identificata con il<br />
significato dell’espressione”.<br />
L’idea di significato come procedura soddisfa i requisiti fregeani del senso in almeno tre modi:<br />
1) il significato determina il riferimento: a ogni termine singolare e predicato viene<br />
associata una procedura che da in uscita lo specifico oggetto o la classe di oggetti<br />
presente nel minimondo<br />
2) composizionalità: le procedure sono composizionali, si possono ad esempio unire la<br />
procedura che individua il colore rosso con quella che cerca la forma cubo e ottenere<br />
come risultato il cubo rosso (se esiste nel minimondo in considerazione).<br />
3) Analisi della forza: a ciascun atto linguistico di base (asserzione, domanda, comando)<br />
corrisponde una specifica proceduta. Una domanda attiva una risposta che fornisce<br />
l’informazione richiesta; una asserzione attiva una procedura di aggiornamento<br />
dell’informazione (assunta come vera); un comando attiva una procedura di<br />
esecuzione.
L’idea di significato come procedura corrisponde anche a 2 idee del secondo Wittgenstein:<br />
1) il concetto fregeano di significato come uso: una procedura è una buona<br />
rappresentazione dell’uso. La descrizione della procedura rappresenta le regole d’uso<br />
del linguaggio, la sua attivazione corrisponde all’uso effettivo.<br />
2) Il metodo dei giochi linguistici: i minimondi somigliano ai giochi linguistici, che<br />
semplificando i dati a disposizione, permettono una maggiore chiarificazione del<br />
funzionamento del linguaggio.<br />
Il paradigma procedurale non è l’alternativa a quello classico, ma potrebbe integrarlo. Si<br />
possono concepire due livelli di significato, quello strutturale che viene dato dalle intensioni<br />
(L'intensione di un'espressione è una funzione che associa valori di verità a mondi possibili) e<br />
quello cognitivo che viene espresso da procedure associate alle intensioni.<br />
Il paradigma procedurale appare antagonista dell’olismo, il significato viene specificato da<br />
una procedura ben definita senza coinvolgere tutto il lessico. Quindi, in contrapposizione a<br />
quella olista, la teoria del significato procedurale si presenta come “localista”. Il fatto di avere<br />
campo ristretto ha portato ad un nuovo tipi di problema, il rapporto tra i vari campi locali.<br />
Le procedure dei minimondi sono relative ad oggetti dati in una simulazione, ma in linea di<br />
principio è possibile applicarle al mondo reale. I sistemi di riconoscimento attuali hanno<br />
procedure complesse, che uniscono aspetti non simbolici (percezione di basso livello) e<br />
aspetti simbolici (interpretazione degli oggetti percepiti a seconda del contesto).<br />
La semantica procedurale ha avuto grande sviluppo anche n psicologia, con l’idea di<br />
procedure come modi di costruzione di modelli mentali. Laird è uno dei maggiori esponenti<br />
del campo e i suoi studi ci hanno permesso di capire perché certi ragionamenti siano più<br />
difficili da accettare rispetto ad altri. (le procedure per costruire il modello giusto sono più<br />
complicate).<br />
Sia linguisti che scienziati cognitivi usano testare le loro teorie su programmi di computer, o<br />
le realizzano direttamente a livello computazionale. Il rilievo dato agli algoritmi è ormai<br />
pratica consolidata (limiti: realizzabilità, complessità, limiti fisici dei sistemi). Gli sviluppi e le<br />
scoperte della linguistica e della logica sono spesso strettamente legati a programmi<br />
implementati su macchina.<br />
L’uso della simulazione su computer ha contribuito a introdurre alcuni temi di carattere più<br />
generale che hanno toccato anche la filosofia del linguaggio, come la tesi del funzionalismo, la<br />
semantica naturalizzata.<br />
Gli atteggiamenti verso le simulazioni dei processi mentali su pc ha dato luogo a due<br />
atteggiamenti contrapposti:<br />
1) l’atteggiamento simulativo (i processi computazionali processati da un computer sono<br />
analoghi a quelli umani. Le operazioni che un cervello deve compiere per calcolare, ad<br />
esempio, sono le stesse che vengono compiute in un algoritmo, quindi non vi è<br />
differenza tra mente umana e calcolatore)<br />
2) l’atteggiamento emulativo ( i processi emulano solamente l’intelligenza umana e<br />
possono anche discostarsi dai processi mentali umani per poter ottenere risultati<br />
migliori. Fini simili, ma mezzi e architettura diversi).<br />
Dall’atteggiamento simulativo nasce il funzionalismo, sviluppato da Putnam e Fodor:
“la mente sta al cervello come il software sta all’hardware, quindi: uno studio dei processi di<br />
pensiero è indipendente dal supporto fisico (sia esso fatto di neuroni o di chip di silicio).<br />
Negli anni 50 Turing aveva proposto un test da lui ideato che consisteva nel far comunicare,<br />
tramite un terminale, un essere umano con una macchina (a sua insaputa) e vedere se la<br />
macchina era in grado di essere confusa con un altro umano. In questo caso la macchina<br />
poteva essere definite “pensante”.<br />
Negli anni 60 si è registrata qualche risposta positiva al test di Turing (il programma Eliza<br />
riuscì ad “ingannare” un direttore del dipartimento di informatica.) Searle si pronuncia sui<br />
cosiddetti “sistemi intelligenti”, tramite l’esperimento mentale della stanza cinese. Un uomo in<br />
una stanza riceve dei fogli scritti in cinese e delle istruzioni per convertire i simboli. Anche se<br />
riesce a convertirli ciò non vuol dire che ha imparato il cinese, ha solo manipolato simboli<br />
senza significato . per Searle questo è quello che fanno le macchine, non comprendono il<br />
linguaggio ma lo manipolano in virtù delle istruzioni in loro possesso. L’essere umano è in<br />
grado di connettere i simboli con gli oggetti del mondo (intenzionalità originaria), il computer<br />
lo fa perché noi diamo significato ai loro simboli (intenzionalità derivata).<br />
Lo studio dei processi cognitivi oggi non può fare a meno degli strumenti offerti dai computer,<br />
sulla base di un’ipotesi debole che i processi cognitivi siano almeno in parte indipendenti<br />
dalla particolare realizzazione che ne danno gli umani (e i loro cervelli).<br />
Quine elabora la tesi dell’epistemologia naturalizzata, che ha lo scopo di fornire risposte<br />
alle questioni fondamentali della conoscenza e del significato con l'ausilio di metodi e<br />
strumenti delle scienze naturali. Su questa base, il problema della naturalizzazione si pone per<br />
la semantica.<br />
Semantica naturalizzata: la semantica è parte della psicologia e di altre scienze naturali (ad<br />
esempio gli studi evolutivo o la genetica). La connessione tra semantica e psicologia non è<br />
difficile, in quanto la semantica si occupa di problemi quali atteggiamenti proposizionali,<br />
quindi tratta di contenuti di credenza, desiderio, conoscenza , temi pertinenti della psicologia,<br />
la quale studia i processi e gli stati mentali.<br />
IL primo a concepire lo studio del linguaggio come parte della psicologia è Chomsky. La<br />
facoltà del linguaggio è vista come una capacità innata della mente e il suo studio fa parte di<br />
una scienza generale dei processi mentali. Fodor estende l’atteggiamento naturalista di<br />
Chomsky alla semantica.<br />
La naturalizzazione della semantica di Fodor si basa, oltre che sull’ipotesi funzionalista, su tre<br />
pilastri principali:<br />
1) teoria psicologica del senso comune (teoria implicita che i parlanti sottintendono<br />
quando descrivono il comportamento proprio o altrui tramite credenza, intenzione,<br />
desiderio. Per Fodor la folk psichology è il risultato di una lunga selezione naturale che<br />
ha portato allo sviluppo di una complessa capacità di interpretazione della mente<br />
altrui).<br />
2) teoria modulare della mente (i concetti di intenzione, credenza e desiderio, secondo<br />
Fodor, rispecchiano l’architettura della mente che prevede che vi siano moduli<br />
autonomi, come la percezione o la sintassi, e processi centrali (ragionamento e<br />
credenze) per loro natura non modulari perché utilizzano informazione derivata da<br />
diversi moduli).<br />
3) teoria computazionale rappresentazionale della mente (ipotesi del linguaggio del<br />
pensiero. Nel cervello ci sono un insieme di rappresentazioni mentali che hanno una<br />
forma analoga agli enunciati di una lingua. I processi mentali sono computazionali e<br />
operano su queste rappresentazioni. Il linguaggio del pensiero (mentalese) segua il<br />
principio di composizionalità ed è atomista, cioè ad ogni concetto corrisponde un
simbolo. Fodor si contrappone quindi a qualsiasi idea di significato come ruolo<br />
inferenziale. Come con gli anticorpi (cellule innate ma no attivate, presenti nel corpo<br />
umano), anche nel linguaggio del pensiero potrebbero essere presenti tutti i concetti<br />
possibili, innati ma non attivati. Questo risolve i problemi relativi alla sostitutività dei<br />
contesti di credenza. Fodor propone anche una visione causale delle nozioni<br />
semantiche come il riferimento: gli oggetti si attivano in presenza di uno stimolo,<br />
diciamo o pensiamo ai cavalli perché ne vediamo uno, ad esempio).<br />
La naturalizzazione della semantica di Fodor è radicale e si contrappone alle versioni<br />
normative della tradizione classica. Chomsky ritiene invece che la dimensione del significato<br />
non sia naturalizzabile e sia irriducibile ad un trattamento scientifico.<br />
Marconi cerca di definire una teoria della comprensione che faccia del tutto a meno della<br />
nozione di significato. La sua idea è di estendere la nozione di Chomsky di “competenza” da un<br />
piano sintattico al piano semantico. si potrà parlare quindi parlare di “competenza<br />
semantica”, la capacità di connettere parole al mondo. Tale competenza si realizza a differenti<br />
livelli:<br />
1) competenza strutturale: costruire frasi ben formate, semanticamente corrette e con<br />
regole di inferenza valide;<br />
2) competenza lessicale: capacità di orientarsi nel lessico di una lingua in modo da<br />
saperla usare. Può essere di tipo inferenziale (tutte le parole del lessico sono connesse<br />
in una rete semantica) o di tipo referenziale (capacità di associare oggetti a suoni)<br />
Marconi dimostra che questa suddivisione trova conferma empirica in diversi dati ed<br />
esperimenti neurofisiologici: è possibile riconoscere un oggetto di cui viene fatto il nome, ma<br />
senza saper nulla di esso oppure parlare di un oggetto senza che si sia in grado di riconoscerlo<br />
in mezzo ad altri. Esistono persone con danni cerebrali che mancano di competenza<br />
referenziale o inferenziale e sono la dimostrazione vivente di come queste capacità siano in<br />
parte autonome e di come concorrano alla costituzione della nostra abilità d’uso dei segni<br />
linguistici.<br />
Semantiche cognitive<br />
SHRDLU è uno dei primi programmi di “mondi di blocchi” degli anni 70. Dotato di grammatica,<br />
vocabolario procedurale e un motore inferenziale, il minimondo viene realizzato su schermo e<br />
premette dialoghi con un robot che sposta blocchi.<br />
Nella rete semantica di seguito si possono notare le relazioni inferenziali tra elementi del lessico. I<br />
nodi della rete corrispondono a concetti generici, le linee gli attributi o relazioni.