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Riassunto Penco - Appunti Unict

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Alla fine del ‘900 Kripke, cercando di individuare un nuovo tipo di relazione tra metafisica ed<br />

epistemologia, parla di verità contingenti a priori e necessarie a posteriori:<br />

1) enunciati contingenti a priori, cioè enunciati la cui giustificazione è a priori , ma la cui<br />

verità è contingente. Esempio: “il metro standard di Parigi è lungo un metro”. La verità<br />

di tale asserto è definita per convenzione e quindi riconosciuta a priori ma resta cmq<br />

del tutto contingente il fatto che il metro di Parigi abbia la lunghezza che ha. Esistono<br />

quindi enunciati che hanno verità contingenti a priori.<br />

2) Enunciati necessari a posteriori, la cui giustificazione è data a posteri dall’esperienza<br />

ma il cui stato metafisico è necessario. Stella del mattino = Stella della sera è una verità<br />

provata dalle scoperte astronomiche, non deriva da assunzioni o convenzioni, è una<br />

conoscenza empirica, provata dai fatti.<br />

Kripke non risparmia di criticare anche Wittgenstein, per non aver fatto chiarezza su<br />

espressioni del tipo “il metro campione è lungo un metro”, pur dando grande importanza alla<br />

distinzione tra empirico e concettuale (la distinzione non riguarda i tipi di enunciati ma l’uso<br />

che ne facciamo). Il secondo Wittgenstein abbandona le idee del Tractatus sul significato come<br />

condizione di verità e cerca un’alternativa all’idea che “il significato di un enunciato è il suo<br />

metodo di verifica” (ovvero che conoscere un enunciato vuol dire sapere come giustificarlo o<br />

asserirlo). Nel caso di un animale che sappia indicare i colori entriamo nello spezio delle<br />

ragioni: il ragionamento è solo limitato a corretto e scorretto, l’animale non sa il reale<br />

significato del colore, li associa solamente.<br />

Quine rivolge una critica devastante alla distinzione analitico/sintetico successivamente<br />

anche alla nozione di giustificazione, propria della teoria della conoscenza . Da queste 2<br />

critiche nasceranno una serie di problemi per i filosofi del linguaggio che dovranno affrontare<br />

la sfida della naturalizzazione: la semantica non può che essere riconosciuta come analisi<br />

scientifica data nei termini della psicologia o degli studi sull’evoluzione.<br />

Frege apre almeno due strade per riflettere sul problema della naturalizzazione della<br />

semantica:<br />

1) la riflessione sul concetto di senso come potenziale inferenziale. Le inferenze sono<br />

regolate dalla relazione di conseguenza logica e questa relazione ha una valenza<br />

normativa<br />

2) la riflessione sulla differenza tra senso e rappresentazione soggettiva. Per Locke il<br />

significato sta nella mente, per Frege non è così. Non possiamo conoscere il contenuto<br />

della mente degli altri e non possiamo affermare che la comunicazione sia un processo<br />

privato, altrimenti sarebbe impossibile. Dunque è necessario che il significato sia fuori<br />

dall’ambito soggettivo e sia afferrabile da tutti, comunicabile e intersoggettivo.<br />

Negli ultimi scritti Frege tenta di fondare il carattere oggettivo dei pensieri e distinguerli dal<br />

pensare, ovvero il processo psicologico di comprendere i pensieri. Quindi i pensieri vengono<br />

definiti come entità che non sono né psichiche né fisiche, ma appartenenti a un terzo regno,<br />

che ha molto del mondo platonico delle idee. Questo antipsicologismo fregeano non è né<br />

necessario né sufficiente.<br />

Wittgenstein mostra che l’ipotesi del terzo regno non è necessaria: il comprendere non è un<br />

processo psichico ma una capacità. Quindi un’analisi concettuale del comprendere non<br />

dipenda dalla psicologia e allo stesso tempo non richiede i significati come entità ideali.

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