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N. 2 - 1° semestre 1996 - Circolo Culturale Armigeri del Piave

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In copertina:<br />

Pistola semiautomatica italiana mod. 1910.<br />

Quaderni di Oplologia, n. 2, giugno <strong>1996</strong>.<br />

a cura <strong>del</strong> <strong>Circolo</strong> <strong>Culturale</strong> “<strong>Armigeri</strong> <strong>del</strong> <strong>Piave</strong>”,<br />

via Brenta 50, 31030 Dosson (TV)<br />

Registrato col n. 1047 presso il Tribunale di Treviso il 2 gennaio 1998.<br />

Direttore Responsabile: Sergio Zannol.<br />

Comitato di Redazione: Millo Bozzolan, Antonio G. Caruso, Gianrodolfo<br />

Rotasso<br />

Hanno collaborato a questo numero:<br />

R. Allara, Vercelli - I. Cati, Udine - N. Ciampitti, Milano - S. Coccia, Roma -<br />

M. Gasparini, Treviso - R. Manieri, Brescia - V. Marrone, Brescia -<br />

P. Pinti, Macerata - G. Rotasso, Belluno - M. Troso, Novara.<br />

La collaborazione ai Quaderni di Oplologia è aperta a tutti i<br />

Soci. Il Consiglio Direttivo e la Redazione, per garantire al massimo<br />

l’obiettività <strong>del</strong>l’informazione, lascia ampia libertà di trattazione ai suoi<br />

collaboratori, anche se non sempre ne condivide le opinioni. Gli scritti,<br />

esenti da vincoli editoriali, investono la diretta responsabilità<br />

<strong>del</strong>l’Autore, rispecchiandone le idee e la personale cultura oplologica.<br />

La Redazione si riserva il diritto di modificare il titolo degli articoli e di<br />

dare a questi l’impostazione grafica ritenuta più opportuna.


SOMMARIO<br />

NELLO CIAMPITTI<br />

- La prima ordinanza italiana automatica: Glisenti 1910 pag. 3<br />

MARCO GASPARINI<br />

- I Giganti <strong>del</strong>l’aria pag. 7<br />

PAOLO PINTI<br />

- Armi e vele in Jugoslavia pag. 15<br />

ROBERTO ALLARA<br />

- La colorazione degli acciai inossidabili pag. 22<br />

MARCO GASPARINI<br />

- 9 Glisenti pag. 25<br />

MARIO TROSO<br />

- Una lacuna dei nostri vocabolari pag. 27<br />

SERGIO COCCIA<br />

- Un secolo fa: il reclutamento in Italia pag. 30<br />

ITALO CATI<br />

- Il lancia-torpedini Bettica pag. 45<br />

MARCO GASPARINI<br />

- L’Ultimo volo <strong>del</strong> Col. Smith pag. 51<br />

VINCENZO MARRONE - ROBERTO MANIERI<br />

- Enrico Bertasi, l’ultimo Signore <strong>del</strong> “Falco d’Italia” pag. 55<br />

GIANRODOLFO ROTASSO<br />

- Baionette italiane pag. 63<br />

1


La prima ordinanza<br />

italiana automatica:<br />

Glisenti mod. 1910<br />

La Glisenti mod. 1910 è stata chiamata anche<br />

la “Luger dei Poveri” e con piena ragione<br />

NELLO CIAMPITTI<br />

L<br />

a Glisenti, spesso chiamata la “Luger dei poveri”, ha purtroppo in comune<br />

con questa solo l’elevata qualità di esecuzione e di finitura oltre a<br />

parte <strong>del</strong>la complessità <strong>del</strong> progetto. Quest’arma, che se proprio deve<br />

essere sottoposta a paragone assomiglia per forma (ponticello <strong>del</strong> grilletto e sicura)<br />

alla Nambu 1904, venne ideata e disegnata dall’ing. Revelli, ufficiale di<br />

artiglieria e progettista, dieci anni dopo, <strong>del</strong>la mitragliatrice Fiat mod. 1914.<br />

L'inventore fu Revelli, ma il brevetto fu depositato nel 1905 dalla Siderurgica<br />

Glisenti, già produttrice <strong>del</strong>le ordinanze “74 e 89”. La Siderurgica Glisenti,<br />

fondata a Carcina (BS) circa cinquanta anni prima si era occupata inizialmente<br />

di armi sportive per poi entrare nel “giro grosso” con revolvers a doppia<br />

azione in calibro 10,35, sfruttando prima il brevetto Chamelot-Delvigne per la<br />

“74” e poi, riveduto e corretto, quello di Bodeo per la “89”.<br />

Il primo mo<strong>del</strong>lo costruito ed adottato ufficialmente come “mo<strong>del</strong>lo 19-<br />

06”, era camerato in 7,65 parabellum, calibro nato da pochi anni ma già sufficientemente<br />

popolare.<br />

Questo mo<strong>del</strong>lo differiva da quello successivo, oggetto di queste note,<br />

3


4<br />

principalmente per l’adozione di due sicure e per il calibro.<br />

Solo pochi anni dopo, intorno al 1909, le alte sfere <strong>del</strong>l’esercito si convinsero<br />

<strong>del</strong>l’assoluta inadeguatezza <strong>del</strong> calibro 7,65 parabellum nelle automatiche<br />

militari, così venne bandito un nuovo concorso per un’arma automatica con<br />

un calibro non inferiore al 9 mm. proprio in quel periodo la Glisenti cedette la<br />

propria sezione armamenti alla Meccanica Tempini, che per adeguarsi alle nuove<br />

tendenze, iniziò immediatamente a sperimentare il calibro 9 parabellum nell’arma<br />

recentemente rilevata.<br />

Purtroppo ci si accorse subito che, per deficienze oggettive (leggi progetto),<br />

non era assolutamente il caso di adoperare cartucce che sviluppassero<br />

forti pressioni in un’arma nata per un calibro inferiore. A tutt’oggi è difficile<br />

immaginare quali difficoltà e quali impedimenti dovette affrontare la Tempini<br />

per riuscire a superare l’iter burocratico (l’arma non fu mai presentata a test tecnici)<br />

e fare adottare un’arma camerata, solo sulla carta, per il 9 parabellum. Infatti<br />

nonostante tutti gli studi e prove fatte, per poterla adoperare senza rischiare<br />

la rottura <strong>del</strong>l’otturatore, era necessario usare cartucce con cariche ridotte di<br />

circa un quarto rispetto alla carica originale. Le entrature dovevano essere veramente<br />

notevoli, se si pensa che al bando <strong>del</strong> Regio Esercito partecipavano concorrenti<br />

come Colt, Mauser, Browning e Mannlicher, oltre all’italiana Vitali.<br />

Nonostante tutte le sue evidenti manchevolezze la Glisenti venne lo stesso adottata<br />

con il nome di “mod. 1910” e solo cinque anni dopo venne di fatto sostituita<br />

dalla Beretta 1915.<br />

E’ interessante notare che quest’arma sebbene fosse stata prodotta dalla<br />

Glisenti in 7,65 parabellum in quantità esigue e distribuita alle varie armi per<br />

prove valutative, anche nella seconda versione riveduta e migliorata dalla Tempini,<br />

continuò ad essere impropriamente chiamata Glisenti mod. 1910.


Vediamo ora la parte meccanica. La “910” è un’arma a corto rinculo e<br />

percussore lanciato. Ciò significa che manca completamente <strong>del</strong> cane. Per corto<br />

rinculo si intende invece che, la canna, all’atto <strong>del</strong>lo sparo rincula solidalmente<br />

con la culatta e l’otturatore di circa mezzo centimetro (6,5 mm). Poi la culatta<br />

viene fermata da un risalto, posto ad hoc, sul castello, mentre l’otturatore invece<br />

continua la sua corsa retrograda, comprimendo la molla di recupero ed armando<br />

il percussore. A questo punto l’insieme canna-culatta-otturatore viene<br />

riportato nella posizione originale da una seconda molla alloggiata nella parte<br />

anteriore <strong>del</strong> castello e passando recupera e camera la cartuccia. Il percussore<br />

quando è armato sporge dalla parte posteriore <strong>del</strong>l’otturatore, dando così avviso<br />

di percussore armato, ma non necessariamente di colpo in canna. Questo è il<br />

movimento in sintesi, non vogliamo infatti tediare il lettore con la descrizione<br />

<strong>del</strong>le innumerevoli molle, contromolle, rulli e leve che abbondano in quest’arma.<br />

Come è facile intuire questa pistola necessitava di manutenzione e controlli<br />

continui e per tali motivi non era ovviamente gradita dalla truppa, mentre, data<br />

la sua linea filante ed il suo bellissimo fodero in cuoio con caricatore di riserva,<br />

era molto apprezzata dagli ufficiali, che si dice la portassero sul lato destro <strong>del</strong>la<br />

schiena con il calcio rivolto verso l’alto.<br />

L'arma è fornita di due sicure, una a farfalla posta sulla parte posteriore<br />

<strong>del</strong>l’otturatore che se inserita blocca il percussore, l’altra automatica a controleva,<br />

situata anteriormente lungo l’impugnatura blocca perennemente il grilletto e<br />

deve essere tenuta premuta per sbloccarlo.<br />

Sulla parte sinistra <strong>del</strong>l’impugnatura sono alloggiati e ben dissimulati, i<br />

pulsanti per il blocco <strong>del</strong>l’otturatore in apertura e per lo sgancio <strong>del</strong> caricatore.<br />

La prima operazione va eseguita a due mani, infatti con una si arretra l’otturatore<br />

mentre con il pollice <strong>del</strong>la mano che impugna l’arma si preme il pulsante<br />

spingendo verso l’alto una linguetta (simile alla sicura Luger) che blocca l’ottu-<br />

5


6<br />

ratore. Per smontare la cartella sinistra ed accedere ai meccanismi interni è necessario<br />

svitare la vite posta sotto la canna e tenuta bloccata da un pernetto a<br />

molla. Una volta allentata la vite si solleva anteriormente la cartella che è invece<br />

agganciata ad incastro nella parte posteriore. Aperto questo “sportello” è<br />

possibile scalzare la guancetta sinistra ed accedere ad un attrezzino parte cacciavite<br />

e parte chiavetta per lo smontaggio <strong>del</strong>l’otturatore. Questo piccolo utensile<br />

è comodamente alloggiato su di una lastrina, che unisce i due lati <strong>del</strong>l’impugnatura,<br />

e su cui trova anche posto il gruppo sgancio caricatore. Il meccanismo<br />

è molto semplice: una lastrina incernierata al centro e tenuta in posizione<br />

da una molla a lamina, con da un lato il pulsante, dall’altro il gancio che trattiene<br />

il caricatore. Quando si preme l’estremità con il pulsante si solleva l’altra<br />

svincolando il caricatore. Per smontare la guancetta destra è necessario agire<br />

dall’interno, abbassando con una punta la levetta ad essa incernierata che la<br />

blocca contro il castello. L’arma è fornita di due caricatori cromati, particolare<br />

raro per quel tempo, di ottima fattura, molto robusti e muniti di due risalti zigrinati,<br />

posti ai lati <strong>del</strong>l’elevatore, che facilitano la presa e di conseguenza il caricamento.<br />

Gli organi di mira sono entrambi piccoli, sfuggenti e di difficile collimatura<br />

in condizioni di luce non perfette. Le guancette di bachelite nera zigrinata<br />

con al centro l’aquila sabauda, venivano spesso sostituite da altre in legno perché<br />

essendo molto sottili si rompevano per un nonnulla.<br />

Ultimo neo la cartuccia che dovendo per forza di cose contenere una carica<br />

ridotta, non era intercambiabile con le altre di pari calibro (diametro), requisito<br />

essenziale per un buon approvvigionamento e un conseguente utilizzo<br />

efficace.<br />

Cosa altro dire di quest’arma, bella ed elegante in fondina ma fallimentare<br />

dal punto di vista meccanico operativo, se non che grazie a tutti questi suoi<br />

difetti non fu prodotta in grandi quantità ed oggi rappresenta per il collezionista<br />

un pezzo molto ambito.<br />

Scheda tecnica<br />

Produttore: Glisenti e Tempini.<br />

Tipo: pistola a corto rinculo con percussore lanciato.<br />

Calibro: 9 millimetri Glisenti.<br />

Lunghezza: canna 100 mm a sei righe. complessiva 210 mm.<br />

Altezza: 140 mm.<br />

Peso: 850 gr scarica.<br />

Sicure: manuale a farfalla e automatica a controleva.<br />

Capacità: caricatore da sette colpi<br />

La cartuccia<br />

lunghezza totale 29 mm<br />

lunghezza bossolo 19 mm<br />

diametro orlo 9,9 mm<br />

peso <strong>del</strong>la palla 8,1 grammi<br />

velocità iniziale 320 m/s


I giganti <strong>del</strong>lÊaria<br />

MARCO GASPARINI<br />

I<br />

l 9 agosto 1945, con il bombardamento nucleare su Nagasaki, il Giappone<br />

cessò definitivamente le ostilità contro gli Stati Uniti; ancora sei giorni e la<br />

resa sarebbe stata sottoscritta a bordo <strong>del</strong>la corazzata Missouri nel porto di<br />

Tokyo.<br />

Con questo atto si chiudeva il più sanguinoso conflitto <strong>del</strong> secolo che, a<br />

detta di molti strateghi militari, ha avuto come vincitore un solo paese: l’Unione<br />

Sovietica.<br />

In effetti, con l’esclusione dei paesi sconfitti, tutti gli altri belligeranti<br />

sono rientrati in possesso di territori perduti all’inizio <strong>del</strong>le ostilità, per<br />

l’U.R.S.S. invece l’estensione <strong>del</strong>la zona d’influenza ai paesi <strong>del</strong>l’est europeo<br />

creava un “impero” inimmaginabile alla fine degli anni '30.<br />

Il Know-how nucleare era destinato a non rimanere monopolio degli<br />

Un B36 in volo. Questo enorme esamotore non ebbe la fortuna che meritava; i superperfezionati<br />

motori a pistoni non reggevano il passo dei turboreattori<br />

7


8<br />

Un B50 (in basso) si rifornisce da un B29 trasformato in aerocisterna; si può notare<br />

la estrema somiglianza dei velivoli con differenze essenzialmente sulla deriva e sulle<br />

gondole motori<br />

Stati Uniti, altrettanto dicasi per le esperienze nel campo <strong>del</strong>la propulsione a<br />

getto.<br />

Il fatto che i Tedeschi avessero spostato le zone di produzione e sperimentazione<br />

verso est temendo i bombardamenti strategici alleati permise la cattura<br />

di progetti, tecnici e prototipi da parte dei sovietici durante la loro fulminante<br />

avanzata in Cecoslovacchia e Polonia.<br />

Questa situazione di stallo politico e militare portò alla definitiva chiusura<br />

<strong>del</strong>l’Unione Sovietica ad occidente e alla separazione <strong>del</strong> mondo in due blocchi<br />

nettamente distinti.<br />

Le tensioni sfociarono quindi nella guerra di Corea dove gli Stati Uniti<br />

si scontrarono quasi direttamente con le armate Sovietiche; il “quasi” é d’obbligo,<br />

in quanto i MiG-15 nordcoreani erano spesso portati in volo da piloti sovietici.<br />

Il termine <strong>del</strong> conflitto portò all’inizio <strong>del</strong>la “guerra fredda”, combattuta<br />

sui fronti diplomatici e con aiuti più o meno velati alle popolazioni <strong>del</strong>le zone<br />

“calde” <strong>del</strong> globo: Sud America, Estremo Oriente e Centro Africa.<br />

In questo teatro, durato circa quarant’anni, si sviluppa il nostro excursus<br />

sugli sviluppi <strong>del</strong> bombardamento strategico.<br />

In un primo tempo, fino cioè all’inizio <strong>del</strong> conflitto in Corea, possiamo


Un Victor inglese mentre sgancia il suo enorme carico di bombe convenzionali;<br />

messo in ombra dal più famoso Vulcan, questo quadrireattore avrebbe meritato più<br />

fortuna<br />

dire che “si viveva di rendita”; fu in questo periodo che videro la luce, infatti,<br />

tutti i progetti avviati in Gran Bretagna, U.S.A. ed U.R.S.S. negli ultimi mesi<br />

<strong>del</strong>la seconda guerra mondiale.<br />

Si trattava di aerei che nascevano già superati, sviluppati senza le tecnologie<br />

<strong>del</strong> turboreattore e <strong>del</strong> nucleare, surclassati quindi dai piccoli caccia a reazione,<br />

sviluppati dalle varie potenze in tempi brevissimi.<br />

Negli Stati Uniti, già grandi maestri <strong>del</strong> bombardamento strategico,<br />

comparvero il B-36 ed il B-50; il primo fu chiamato “il fiasco da un miliardo di<br />

dollari”, e già questo la dice lunga sulla sfortuna di un aereo che se fosse comparso<br />

due anni prima avrebbe accorciato i tempi <strong>del</strong> conflitto mondiale.<br />

Dotato di sei motori per un complessivo di 20.000 cavalli di potenza e<br />

con un apertura alare di oltre 70 metri, questo gigante poteva raggiungere quote<br />

di 12 chilometri, impossibili quindi per i caccia ad elica, e poteva portare 36<br />

tonnellate di bombe ad oltre 5000 chilometri di distanza.<br />

Il B-50 invece era una versione modificata <strong>del</strong> glorioso B-29, montava<br />

motori più potenti ed era stato irrobustito rispetto al precedente mo<strong>del</strong>lo.<br />

La possibilità dei caccia sovietici di operare a quote di oltre 15.000 metri<br />

rendeva vulnerabili queste macchine che vennero quindi relegate a compiti di<br />

ricognizione ed aerocisterna.<br />

9


10<br />

Da ricordare i tentativi americani di proteggere i grossi e lenti bombardieri<br />

mediante dei caccia a getto modificati oppure appositamente progettati per<br />

potersi agganciare inferiormente al velivolo e entrare in azione solo al bisogno<br />

per poi riportarsi in posizione.<br />

Tra tutti lo XP85 poteva comodamente entrare nella stiva posteriore <strong>del</strong><br />

B-36 (dimezzando però il carico bellico) e quindi viaggiare al sicuro al suo interno<br />

e uscirne per intercettare eventuali caccia nemici per poi rientrarvi; la fase<br />

di aggancio falliva mediamente 9 volte su 10, per cui il progetto fu accantonato.<br />

In Unione Sovietica invece, con l’esclusione <strong>del</strong> Tu-4 (praticamente una<br />

copia non autorizzata <strong>del</strong> B-29 Americano), si continuarono a progettare e costruire<br />

piccoli ed agili bombardieri tattici come durante la “gloriosa guerra patriottica”;<br />

utilizzando la propulsione a getto Tupolev e Iliushin produssero due<br />

bireattori subsonici con ala dritta che presero le designazioni di Tu-14 ed Il-28.<br />

Il B52 é stato per oltre 30 anni la spina dorsale <strong>del</strong>lo Strategic Air Command <strong>del</strong>l'U-<br />

SAAF<br />

Gli Inglesi, frattanto, restavano gli unici a poter contare su una potente<br />

industria aeronautica e, esauriti i bombardieri a elica sviluppati alla fine <strong>del</strong> secondo<br />

conflitto, diedero il via alla serie dei cosiddetti Bombardieri classe “V”:<br />

il Valiant, il Vulcan ed il Victor.<br />

Caratterizzati dalla configurazione quadrireattore, ognuno presentava<br />

innovazioni aerodinamiche più o meno efficaci; tra tutti solo il Vulcan, caratterizzato<br />

da una grande ala a <strong>del</strong>ta, rivestì pienamente il ruolo di bombardiere<br />

strategico e deterrente nucleare, mentre dopo pochi anni dalla loro entrata in<br />

servizio il Valiant ed il Victor vennero convertiti in aerocisterne.<br />

Giudicato superato nel 1966 il Vulcan venne declassato al ruolo di bombardiere<br />

tattico e quindi radiato dal servizio agli inizi degli anni 90, con oltre 35<br />

anni di operatività.<br />

Anche i francesi misero in cantiere un bombardiere strategico in grado<br />

di utilizzare il potenziale nucleare ora disponibile: il Mirage IV.


Con le sue quattro turboeliche, per un totale di 60.000 cavalli, il Tu20 risulta il più<br />

veloce aereo a elica <strong>del</strong> mondo<br />

Da non confondere con il più famoso Mirage III, caccia con ala a <strong>del</strong>ta<br />

degli anni 60, il Mirage IV appare come una copia ingrandita <strong>del</strong> predecessore;<br />

con due uomini di equipaggio trasportava una bomba nucleare a caduta libera<br />

alla velocità di oltre 2300 km/h ad una distanza che dipendeva solo dalla possibilità<br />

di effettuare rifornimenti in volo.<br />

Ritornando alle due superpotenze possiamo constatare che, terminata la<br />

guerra di Korea, il teatro di operazione mondiale era ormai definito, mentre gli<br />

sviluppi <strong>del</strong>la missilistica ponevano ben determinati limiti all’impiego dei bombardieri.<br />

Gli statunitensi costruirono dapprima grossi aerei plurimotori, poi puntarono<br />

sull’alta velocità ed infine sulla capacità di penetrazione; I russi, contemporaneamente,<br />

dopo aver valutato la possibilità di bombardieri strategici ultraveloci<br />

puntarono su bombardieri medi, con possibilità di operare con carichi<br />

nucleari anche sulle grandi distanze.<br />

Il B-47 fu il primo dei grossi bombardieri messi in linea dagli americani<br />

ma la sua carriera durò poco in quanto dopo soli cinque anni dall’entrata in servizio<br />

venne sostituito dal più famoso B-52; quest’ultimo, caratterizzato dalla<br />

presenza di ben otto reattori, con le sue varie versioni rimase in prima linea per<br />

oltre 35 anni fino al 1993.<br />

Contemporaneamente in unione sovietica comparivano due pietre miliari<br />

11


12<br />

Primo bombardiere supersonico <strong>del</strong>l'USAF il B58 é qui rappresentato con tutti i carichi<br />

trasportabili; in basso a sinistra si nota il fuso aerodinamico che trasportava un<br />

ordigno termonucleare ed un serbatoio ausiliario per le missioni di penetrazione<br />

<strong>del</strong> bombardamento tattico: il Tu-20 ed il Mya-4.<br />

Assai simili strutturalmente e per capacità operative, i due velivoli erano<br />

totalmente diversi per ciò che riguardava le unità motrici; infatti mentre il Mya-<br />

4 era un quadrireattore con i motori posti al raccordo tra ali e fusoliera il Tu-20,<br />

contrariamente alle tendenze <strong>del</strong> momento, montava quattro turboeliche da ben<br />

15000 HP ognuna che muovevano due eliche quadripala controrotanti.<br />

Le prestazioni erano molto simili sotto tutti i punti di vista, é da segnalare<br />

però che, per la particolare struttura <strong>del</strong>le eliche che potevano ruotare a velocità<br />

transoniche, con 810 km/h il Tu-20 risulta il più veloce velivolo ad elica di<br />

produzione di serie mai costruito.<br />

Negli U.S.A. la possibilità di disporre di motori sempre più potenti, l’esperienza<br />

maturata nel volo supersonico e la presenza di sistemi missilistici nei<br />

territori ostili portarono allo sviluppo <strong>del</strong> B-58 prima e <strong>del</strong> B-70 poi.<br />

Il primo, dotato di una grande ala a <strong>del</strong>ta e di quattro reattori con postbruciatore,<br />

entrò in servizio nel 1959 e fu il primo bombardiere supersonico<br />

nelle fila <strong>del</strong>l’aviazione americana; portava un grande fuso aerodinamico sotto<br />

la fusoliera in cui era contenuto il serbatoio ausiliario ed il carico nucleare:<br />

giunto sul bersaglio a velocità supersonica il B-58 sganciava il tutto sull'obietti-


vo e iniziava la manovra di fuga a Mach 2 con il pieno di carburante e in configurazione<br />

“pulita”.<br />

Il B-70 invece non entrò mai in servizio nonostante fosse una macchina<br />

fantascientifica per gli anni ‘60; si trattava di un <strong>del</strong>ta con alette stabilizzatrici<br />

anteriori, i suoi sei reattori gli permettevano una velocità di Mach 3 pari a oltre<br />

3200 km/h e nel volo ipersonico le estremità alari si piegavano verso il basso<br />

per “ingabbiare” le onde d’urto e sfruttarle per la propulsione.<br />

Un incidente di volo, in cui un F-104 venne risucchiato dai vortici d’estremità<br />

<strong>del</strong> B-70 ed entrambi gli aerei ne uscirono distrutti, chiuse definitivamente<br />

la carriera <strong>del</strong> grosso esamotore, tuttavia é lecito pensare che ci fossero<br />

anche problemi di bilancio, dal momento che ogni volo costava allo stato circa<br />

un milione di dollari (di allora).<br />

Da notare come questo aereo, anche se non entrò in servizio, diede il via<br />

allo sviluppo <strong>del</strong> caccia più veloce <strong>del</strong>la storia: il MiG-25, concepito appunto<br />

per l'intercettazione <strong>del</strong> B-70.<br />

Anche i russi tentarono la strada <strong>del</strong> bombardiere strategico iperveloce e<br />

anch’essi la abbandonarono dopo poco tempo; il progetto di Tupolev nominato<br />

T-4 (con “T” i sovietici indicano i prototipi di aerei supersonici) riuscì a superare<br />

mach 2.5 ma, visto l’abbandono <strong>del</strong> B-70 negli U.S.A. e visto anche il costo<br />

di gestione <strong>del</strong>l’apparecchio, si pensò che il posto giusto per questo quadrireattore<br />

con ala a <strong>del</strong>ta fosse il museo Monino a Mosca.<br />

Per onor di cronaca diciamo anche che il T-4 ebbe il discutibile privilegio<br />

di essere il primo aereo al mondo a costare più <strong>del</strong> suo peso in oro!<br />

Lo sviluppo <strong>del</strong>la missilistica si spostò, nella metà degli anni ‘60, sempre<br />

più verso i missili da crociera (o “Cruise”); capostipite di questa famiglia di<br />

armi fu la V1 tedesca che colse impreparati gli inglesi nel 1944.<br />

Molto più veloci e perfezionati i Cruise <strong>del</strong>la nuova generazione resero<br />

praticamente inutili i grossi e veloci (e costosi) bombardieri degli anni ‘60: ora<br />

era sufficiente un aereo che potesse portarsi in prossimità <strong>del</strong>l’obiettivo senza<br />

essere scorto e poi lanciare il missile che avrebbe seguito autonomamente la<br />

rotta fino al bersaglio.<br />

Ciò che rendeva interessante ora l’impiego dei bombardieri strategici era<br />

la possibilità di colpire con successo diversi obiettivi impiegando un solo velivolo<br />

caricato con alcuni missili.<br />

Per rendere poco visibile un bombardiere si poteva agire sul suo profilo<br />

di missione oppure sulla riflessione radar; i bombardieri ora in servizio nell'U-<br />

SAF rispecchiano questi canoni: il B-1 e il B-2.<br />

Caratterizzati da una lunga e sofferta gestazione, più per cause politiche<br />

che altro, entrambi sono gioielli <strong>del</strong>la tecnologia aeronautica in grado di restare<br />

in aria oltre 20 ore mediante rifornimento in volo e raggiungere ogni parte <strong>del</strong><br />

globo.<br />

13


14<br />

Il B-1 é stato concepito come “penetratore”: dotato di ali a geometria<br />

variabile infatti é in grado di volare a 50 metri dal suolo a velocità molto vicine<br />

ai 1000 km/h evitando gli ostacoli orografici grazie ad un particolare apparato<br />

detto TFR (Terrain Following Radar); le sue stive possono contenere fino a 3<br />

tamburi rotanti, ognuno con la capacità di 6 missili o bombe termonucleari.<br />

Il B-2 invece é un aereo veramente anticonvenzionale: primo aereo tuttala<br />

ad entrare in servizio attivo, ha un potere di disperdere le emissioni radar tanto<br />

da offrire una superficie di rilevamento di un metro quadro, contro i 465 m²<br />

reali. Ciò non lo rende “invisibile” ai radar, ma permette che la individuazione<br />

<strong>del</strong>l'aereo avvenga quando ormai é in zona per lo sgancio dei missili.<br />

L’ultima generazione dei bombardieri sovietici, tutti progetti <strong>del</strong> Tupolev<br />

Bureau, comprende due velivoli a geometria variabile: il Tu-26 ed il Tu-<br />

160.<br />

Mentre il Tu-160 é esternamente identico al B-1 statunitense il Tu-26 é<br />

un bombardiere medio senza riscontri in occidente; in grado di trasportare un<br />

missile AS7 Kitchen semiannegato in fusoliera, il Tu-26 é stato concepito inizialmente<br />

come bombardiere marino con funzioni antinave ma la sua capacità<br />

di rifornirsi in volo porta il suo raggio d’azione a coprire tutto il mondo.<br />

È da notare come la tecnologia elettronica abbia notevolmente ridotto la<br />

richiesta di personale a bordo: il B-36 richiedeva ben 15 uomini di equipaggio,<br />

il B-2 ha bisogno di solo 2 piloti!<br />

Quale sia il destino dei bombardieri strategici non é ben chiaro: c’è chi<br />

asserisce siano una specie in via d'estinzione e chi ritiene siano, ora e sempre,<br />

l’arma decisiva.<br />

Personalmente credo che, con la caduta <strong>del</strong> patto di Varsavia, non vi sia<br />

più lo stimolo per costruire grosse e complicate macchine dal momento che i<br />

conflitti attuali tendono ad assumere l’aspetto di guerre civili.<br />

Un’intervento armato in paesi <strong>del</strong> terzo mondo risulta già complicato<br />

politicamente solo con la presenza di contingenti di pace, già azioni tattiche sono<br />

difficoltose da compiere, figuriamoci le strategiche!<br />

Probabilmente si cercherà di allungare il più possibile la vita di questi<br />

ultimi rappresentanti dei bombardieri strategici, tanto per tenere vivo l’effetto<br />

deterrente da essi provocato.<br />

Chiudiamo ricordando una frase latina di 2000 anni fa: SI VIS PACEM<br />

PARA BELLUM! (se vuoi la pace prepara la guerra) e finora sembra aver funzionato.


ARMI E VELE<br />

IN JUGOSLAVIA<br />

PAOLO PINTI<br />

D<br />

all’incontro di alcuni appassionati di barche a vela e di oplologia è nata<br />

l’idea di organizzare un charter in Jugoslavia con un bellissimo<br />

Ketch di 16 metri.<br />

La Jugoslavia è giustamente famosa fra i velisti per il mare pulito e riparato<br />

dalle moltissime isole, per le coste rocciose ricche di piccoli porti accoglienti,<br />

per il buon pesce fresco e per le città ricche di fascino e storia.<br />

Basterà pensare a Sebenico o a Spalato o Ragusa: tutte splendide città ricchissime<br />

di testimonianze <strong>del</strong>la dominazione veneta, con case in pietra che ricordano<br />

quasi in ogni particolare quelle di Venezia.<br />

Ma lo scopo preciso di questo viaggio voleva essere la «scoperta» <strong>del</strong><br />

Un bel portale di palazzo a Dubrovnik<br />

con un mortaio e palle in pietra<br />

per decorazione<br />

Un cannone in ferro sugli spalti di Ragusa<br />

(Dubrovnik)<br />

15


16<br />

All’interno di una <strong>del</strong>le porte d’accesso<br />

al centro storico di Curzola c’è una<br />

piccola cappellina arricchita, forse<br />

come ex voto, da due cannoni in ferro.<br />

Una targa in lingua incomprensibile<br />

ricorda forse l’evento al quale tali<br />

armi sono legate e vi si legge chiaramente<br />

la data 1571: Lepanto<br />

maggior numero possibile di testimonianze<br />

oplologiche: armi e fortificazioni<br />

antiche.<br />

La prima piacevole scoperta è<br />

avvenuta a Ragusa (Dubrovnik): le<br />

sue mura fortificate sono semplicemente<br />

eccezionali, con vari forti, bastioni,<br />

ecc. e circondano interamente<br />

la città sia verso terra che dalla parte<br />

<strong>del</strong> mare.<br />

Per gli studiosi di fortificazioni<br />

Sempre vicino alla stessa porta d’accesso<br />

si conserva un arco trionfale eretto<br />

nel 1650 in onore <strong>del</strong> veneto Leonardo<br />

Foscolo, difensore di Candia contro i<br />

turchi. È ornato con trofei d’armi e il<br />

particolare curioso è che i cannoni posti<br />

ai lati, in basso, hanno raffigurata una<br />

nuvoletta di fumo, segno che stanno facendo<br />

fuoco<br />

Un grosso pezzo d’artiglieria in ferro<br />

con il Leone di San Marco protegge ancora<br />

la bellissima Curzola dalla flotta di<br />

barche da diporto che circonda la città


Particolare <strong>del</strong>la spada. La presenza<br />

di una marca simile ad una torre<br />

deve far attribuire la paternità <strong>del</strong>la<br />

lama a Federico Picinino<br />

Particolare <strong>del</strong> cannone con il Leone<br />

Marciano<br />

c’è di che star bene per un bel po’. È possibile percorrere tutte le mura, visitando<br />

le varie postazioni ed ammirando un panorama stupendo.<br />

Ogni tanto una feritoia con un pezzo d’artiglieria per arrivare poi al museo<br />

navale con vari cannoni ed altre interessanti testimonianze <strong>del</strong>l’antica marineria.<br />

All’interno <strong>del</strong>la città vecchia gli spunti oplologici non si contano. Lungo<br />

il corso principale (Stradun) di fronte alla chiesa di San Valacco c’è un obelisco<br />

con un guerriero in armatura <strong>del</strong> 1413, opera di Bonino da Milano, ottima fonte<br />

per riscontri sulla tipologia <strong>del</strong>l’armamento difensivo <strong>del</strong>l’epoca.<br />

Vicino all’obelisco c’è un bel palazzo con un portale sovrastato da palle di<br />

pietra per mortaio, nonché da un mortaio pure in pietra.<br />

La vera sorpresa è costituita dal museo <strong>del</strong>le armi antiche ospitato nella<br />

Casa <strong>del</strong> Rettore.<br />

Ben sistemate in vetrine moderne e complete di didascalie abbastanza precise<br />

vi sono armi di un certo interesse: un bel mascolo d’artiglieria medievale,<br />

due mo<strong>del</strong>li di cannone settecenteschi, alcuni jatagan, tre alabarde, una partigiana,<br />

tre morioni, una cotta di maglia, uno spadone a due mani, due schiavone e<br />

varie armi da fuoco albanesi e italiane a pietra focaia, ed altri reperti sempre da<br />

guardare con cura.<br />

Veleggiando verso nord è doverosa una sosta a Curzola, altra città circondata<br />

da splendide mura, con bastioni di notevole bellezza e, naturalmente, mu-<br />

17


18<br />

Il Museo di Curzola è piuttosto interessante, ricco di testimonianze eterogenee <strong>del</strong>l’antichità<br />

<strong>del</strong> posto. Nella foto, cinque «schiavone», una spada da lato e una splendida<br />

ragazza. Veneziane le prime e forse milanese la seconda, mentre la mancanza<br />

<strong>del</strong>la marca di San Marco in Moleca, <strong>del</strong>la «mosca convenzionale», ecc., deve far<br />

escludere l’origine veneta <strong>del</strong>la ragazza bionda (moglie <strong>del</strong>l’autore, n.d.r.)<br />

nita di antichi pezzi di artiglieria.<br />

Notevole il cannone con lo stemma di San Marco, in ghisa, lungo circa 3<br />

metri.<br />

Altri «cannoni» più piccoli sono conservati all’interno di una porta d’accesso<br />

e in una cappellina votiva al cui altare fanno da ornamento. Una targa in<br />

slavo commemora (forse) una battaglia navale <strong>del</strong> 1571 (Lepanto?).<br />

A fianco <strong>del</strong>la cappellina c’è un arco trionfale eretto nel 1650 in onore <strong>del</strong><br />

veneto Leonardo Foscolo, difensore di Candia contro i turchi.<br />

L’arco è ricco di trofei d’arme, tra i quali si distingue bene un cannone su<br />

ruote mentre spara (è rappresentata la nuvola di fumo).<br />

Sulla parte più alta di Curzola c’è la cattedrale che ci riserva una sorpresa<br />

davvero notevole: una panoplia di armi in asta che una targa classifica come ex


voto <strong>del</strong> 1483, ma che in<br />

realtà sono molto più tarde.<br />

Si tratta di alabarde<br />

italiane <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> ‘500,<br />

brandistocchi e corsesche<br />

<strong>del</strong> ‘500, quadrelloni da<br />

breccia e da marina (i più<br />

corti), una picca e due<br />

(chissà come stanno lì) armi<br />

che sembrano naginata giapponesi<br />

(il buio totale rende<br />

difficile un esame anche approssimativo<br />

e la foto, pessima,<br />

è stata realizzata con<br />

una esposizione lunghissima).<br />

Per lo più dovrebbe<br />

trattarsi di armi venete e sarebbe<br />

utile per uno studio<br />

accurato procedere alla verifica<br />

<strong>del</strong>l’eventuale esistenza<br />

di marche d’armaiolo.<br />

Di fronte alla cattedrale<br />

c’è un bel palazzo che<br />

ospita un pittoresco museo,<br />

il Gradski Muzej.<br />

Una parte <strong>del</strong>la piccola raccolta di armi <strong>del</strong>la IIª<br />

guerra mondiale <strong>del</strong> Museo di Curzola<br />

C’è di tutto: dagli oggetti<br />

d’epoca romana, alla<br />

ricostruzione di una cucina <strong>del</strong> secolo scorso, a ceramiche inglesi, a reperti di<br />

marineria, ecc. e naturalmente, armi.<br />

Poche ma d’indubbio pregio. Una rustica panoplia regge sei spade, e precisamente<br />

cinque schiavone ed una spada da lato.<br />

Tre schiavone hanno il caratteristico pomo in bronzo e le lame recano la<br />

«mosca convenzionale».<br />

La spada da lato ha il codolo recante una scritta indecifrabile e un disegno<br />

che sembra una torre (Picinino?).<br />

Una saletta contigua ospita una piccola rassegna di armi partigiane e di<br />

testimonianze <strong>del</strong>la dura lotta nell’ultima guerra.<br />

19


20<br />

Ma anche l’esame di<br />

quadri ed altre opere d’arte<br />

si può ricavare qualche elemento<br />

utile per lo studioso di<br />

armi antiche, come per esempio<br />

dallo spadino (o spada)<br />

ritratto insieme all’ufficiale<br />

di marina in un dipinto<br />

pure conservato in tale museo.<br />

Una caratteristica costante<br />

e davvero curiosa <strong>del</strong>la<br />

Jugoslavia almeno da Zara<br />

a Ragusa è che in tutti i negozi<br />

che vendono gioielli e<br />

prodotti in filigrana - e ce ne<br />

sono a decine in ogni via di<br />

tutte le città <strong>del</strong>la costa e <strong>del</strong>le<br />

isole - sono esposte armi<br />

antiche, con un cartellino<br />

che avverte che non sono in<br />

vendita.<br />

Per lo più si tratta di<br />

bellissimi jatagan, ma ci sono<br />

anche pistole balcaniche<br />

a pietra e persino armi inglesi<br />

ed italiane sempre ad avancarica.<br />

È un fenomeno strano:<br />

non è facile spiegare il perché<br />

<strong>del</strong>l’accostamento fili-<br />

Cattedrale di Curzola. Una ricca panoplia di armi<br />

in asta ricorda qualche evento <strong>del</strong> 1483: in realtà<br />

<strong>del</strong> 1483 non c’è nulla, essendo tali armi assai più<br />

tarde. Un esame accurato porterebbe sicuramente<br />

ad interessanti scoperte sulla presenza di marche<br />

nei ferri di tali armi veneziane<br />

grana-arma, eppure è indiscutibile che tale accoppiata è riscontrabile in decine<br />

di negozi.<br />

Sebbene ostentatamente non in vendita, tali armi possono essere esaminate<br />

e per il loro elevatissimo numero costituiscono un incomparabile serbatoio di<br />

riscontri tipologici per lo studio di jatagan e pistole albanesi.<br />

Diciamo che questo è l’aspetto più curioso per il visitatore-oplologo, ma il<br />

più affascinante è certo quello <strong>del</strong>le fortificazioni.<br />

Tutte di stampo veneto, in bellissima pietra bianca, fanno parte integrante


<strong>del</strong> paesaggio, specie per chi arriva dal mare, come nel nostro caso.<br />

Piccoli e grandi porti sono difesi da mura bianche con lo stemma <strong>del</strong> leone<br />

marciano che rappresentano una vera e propria mostra all’aperto di fortificazioni,<br />

ricche di varianti, bastioni, torri, feritoie, ecc.<br />

In definitiva un’ottima meta dal punto di vista oplologico, ma certamente<br />

di gran rilievo per quello velistico e nautico in genere.<br />

Ormai i marinai sono diffusi ovunque, moderni e ben attrezzati e ricchi di<br />

ogni comfort.<br />

La traversata dalle coste italiane non presenta particolari difficoltà e una<br />

volta sul posto le centinaia di isole offrono spunti continui per riprese fotografiche<br />

eccellenti, per la<br />

ricerca di posticini isolati<br />

nei quali ancorare<br />

e fare il bagno,<br />

baie tranquille per trascorrere<br />

la notte e, in<br />

conclusione, per vivere<br />

una meravigliosa<br />

vacanza in acque pulite<br />

e trasparenti anche<br />

se indubbiamente<br />

freddine.<br />

Certo, musei e<br />

fortificazioni possono<br />

essere visitati anche<br />

per chi giunge via terra<br />

o in traghetto, ma<br />

spostarsi in Jugoslavia<br />

per mare è certamente<br />

più facile oltre che più<br />

affascinante e divertente.<br />

Una meta da non<br />

perdere ed un’esperienza<br />

incredibile.<br />

Un ritratto di ufficiale con ben evidenziata la spada. Purtroppo<br />

tale opera non è datata, né le eventuali didascalie<br />

assenti) in lingua sarebbero di grande aiuto<br />

21


22<br />

La colorazione<br />

degli acciai<br />

inossidabili<br />

ROBERTO ALLARA<br />

I<br />

l problema di eseguire una colorazione degli acciai inossidabili è stato risolto<br />

in modo compiuto in tempi relativamente recenti. Per il passato ci si<br />

limitava a una gamma limitata di tinte che traevano origine da trattamenti<br />

termici. Daremo alcune indicazioni sui differenti metodi.<br />

La brunitura,<br />

cioè l’annerimento<br />

superficiale, può essere<br />

effettuata in due<br />

modi:<br />

- Immersione dei<br />

particolari, accuratamente<br />

sgrassati e puliti,<br />

in un bagno costituito<br />

da bicromato<br />

sodico fuso a temperatura<br />

di 400 °C per<br />

circa 30 minuti; al<br />

termine <strong>del</strong> bagno gli<br />

oggetti vengono raffreddati<br />

e lavati accuratamente<br />

con successiva<br />

asciugatura;<br />

- Immersione in una soluzione costituita da 180 parti di acido solforico, 50 parti<br />

di bicromato di potassio e 200 parti di acqua distillata, mantenuta ad una<br />

temperatura di 90-100 °C e con una durata di immersione di 20-30 minuti;<br />

seguono un lavaggio accurato ed un risciacquo.<br />

La colorazione può essere effettuata con tre differenti metodi.<br />

- Il primo consiste nello scaldare uniformemente il manufatto ad una tempera-


tura che corrisponde ad un desiderato colore di rinvenimento, e nel lasciarlo<br />

successivamente raffreddare. Ovviamente la possibilità di scegliere<br />

una gamma di colori è limitata a quella degli ossidi superficiali che si possono<br />

formare. Nella tabella <strong>del</strong>la pagina precedente si possono leggere le<br />

temperature e le colorazioni corrispondenti per gli acciai inossidabili martensitici<br />

e ferritici. La superficie colorata è tenace e resistente.<br />

- Il secondo consente di pervenire ad una colorazione dorata di diversa tonalità<br />

e consiste nell’immersione dei manufatti, precedentemente sgrassati e puliti,<br />

in un bagno costituito da nitrato di sodio o di potassio ad una temperatura<br />

di 400-450 °C. La durata <strong>del</strong>l’immersione è compresa tra i 5 e i 40<br />

minuti e le tonalità più forti si ottengono con temperature vicine al limite<br />

superiore. Segue, come al solito, un accurato lavaggio e l’asciugatura.<br />

- Il terzo sistema trova applicazioni sempre maggiori sia per la uniformità di<br />

colorazione che si ottiene che per la gamma piuttosto ampia di colori. Il<br />

sistema consiste nell’immersione <strong>del</strong> pezzo da colorare, sempre ben sgrassato<br />

e pulito, in un bagno costituito da 250 parti in peso di acido cromico,<br />

490 parti in peso di acido solforico e 100 parti in peso di acqua distillata,<br />

alla temperatura di 80-85 °C.<br />

23


24<br />

In queste condizioni la formazione dei colori è guidata dalle variabili<br />

temperatura e tempo secondo le leggi indicate nel diagramma di pagina 23, e<br />

consente un’ottima riproducibilità, non in funzione <strong>del</strong>la forma <strong>del</strong> particolare.<br />

La colorazione può essere eseguita su pezzi di dimensioni e forma qualsivoglia,<br />

a condizione di disporre di vasche di dimensioni adeguate. La successione<br />

dei colori in funzione <strong>del</strong> tempo di immersione è: bronzo, blu, oro, rosso,<br />

porpora e verde. Naturalmente sono ottenibili diverse tonalità per ciascun colore,<br />

variando opportunamente i tempi in un certo intervallo.<br />

La colorazione così ottenuta è però poco resistente all’usura e in generale<br />

alla abrasione, ed è perciò necessario far seguire un procedimento di<br />

“indurimento” <strong>del</strong>la pellicola colorata. Questo indurimento è eseguito con un<br />

trattamento catodico che segue un lavaggio in acqua fredda, successivo, a sua<br />

volta, al trattamento di colorazione.<br />

Terminato l’indurimento si procede ad una lavaggio in acqua calda e alla<br />

successiva asciugatura. Il bagno si compone di 250 parti in peso di acido cromico,<br />

2,5 parti in peso di acido fosforico e 1000 parti in peso di acqua distillata; la<br />

densità di corrente è di 0,2-0,4 A/dm 3 , ed il tempo <strong>del</strong> trattamento varia tra i 5<br />

ed i 10 minuti.<br />

E’ opportuno che il trattamento di indurimento segua immediatamente<br />

quello di colorazione, per evitare danneggiamenti alla superficie colorata; l’indurimento<br />

provoca una leggera variazione, prevedibile ed uniforme, <strong>del</strong>la tonalità<br />

<strong>del</strong> colore raggiunto durante la prima fase.<br />

Il metodo è applicabile su tutti i tipi di acciai austenitici, con colori più<br />

brillanti per quelli <strong>del</strong>la serie AISI 300. Anche gli acciai ferritici <strong>del</strong> tipo AISI<br />

430 e AISI 434 si comportano in maniera analoga, mentre sui tipi martensitici,<br />

specialmente con quelli con tenore di carbonio minore <strong>del</strong>lo 0,1%, di solito ci si<br />

limita ad una brunitura a causa <strong>del</strong>l’attacco superficiale che si può sviluppare.<br />

Va rilevato che mascherando opportunamente alcune porzioni di superficie è<br />

possibile ottenere figurazioni e coloriture anche con differenti colori. E’ infatti<br />

il tempo di immersione che determina il colore, e quindi si può procedere ad<br />

immersioni successive, mascherando alcune parti, per ottenere colorazioni differenti<br />

sulla stessa superficie.<br />

Ricordiamo anche che la mascheratura può essere effettuata con resine<br />

fotosensibili, così da poter riprodurre fotograficamente anche disegni e immagini.


F<br />

9 Glisenti<br />

MARCO GASPARINI<br />

a sempre piacere quando un appassionato ci chiede consiglio su problemi<br />

di ricarica; per qualcuno il piacere maggiore sta nella sensazione che provocano<br />

le parole “Tu, che sei un esperto...”, per me invece il gusto sta<br />

nella risoluzione dei problemi tecnici.<br />

Qualche tempo fa, un collezionista mi chiese consiglio sulla ricarica <strong>del</strong><br />

glorioso 9 Glisenti e subito ricordammo assieme i bei tempi andati.<br />

Prima <strong>del</strong> 1975 circolavano ancora liberamente le varie Glisenti mod. 10,<br />

le Brixia, le Beretta mod. 15 e le più rare mod. 23 e regolarmente si sentivano<br />

storie di nasi colpiti da carrelli impazziti, canne gonfiate ed altre amenità <strong>del</strong><br />

genere.<br />

Tutto ciò contribuì non poco alla fama di debolezza e fragilità <strong>del</strong>le pistole<br />

bresciane, tanto più che nessuno osava dire che le cartucce impiegate erano 9<br />

parabellum di oscura provenienza o peggio le esuberanti 9M38 <strong>del</strong> MAB.<br />

Ora che le pistole in questione sono tranquillamente detenibili poiché non<br />

sono più considerate micidiali armi d’assalto, sorge il problema <strong>del</strong> munizionamento<br />

e da qui parte la sfida!<br />

La cosa più semplice é il reperimento dei bossoli, potendosi tranquillamente<br />

utilizzare i bossoli <strong>del</strong> 9 Para o, per i più economi e pazienti, quelli <strong>del</strong><br />

9x21 accorciandoli fino a 19.15 mm (é un lavoraccio!)<br />

La ricerca é partita dal catalogo Fiocchi 1976; in occasione <strong>del</strong> centenario<br />

<strong>del</strong>la ditta venne emesso questo dettagliato fascicolo in cui veniva esposta tutta<br />

la produzione corrente.<br />

Alla voce “Cartucce a percussione centrale per armi portatili automatiche<br />

e semiautomatiche a canna rigata” si possono trovare il 9 Glisenti, il 9<br />

Parabellum ed anche il 9M38.<br />

Per ognuna di queste sono riportate, oltre a peso <strong>del</strong>la palla lunghezze, velocità<br />

ed energia, le pressioni massime di esercizio pari a 1400 bar per il 9 Glisenti<br />

e 2500 bar (!) per le altre due.<br />

Questi valori, pur lasciandomi un po’ perplesso, dovrebbero essere attendibili<br />

vista la provenienza, e rendono giustizia alle mod. 10 per aver retto almeno<br />

un po’ pressioni 80% maggiori al normale.<br />

Ora viene la parte più difficile, e cioè trovare dei dati di ricarica attendibili<br />

e congruenti con i valori trovati.<br />

Sul libro “Cartucce” di Frank Barnes vengono indicate due ricariche con<br />

palla da 116 grani e i dati sperimentali <strong>del</strong>le cartucce militari.<br />

Le tre velocità date sul Barnes (320 m/s) risultano leggermente più basse<br />

di quanto compaia sul catalogo Fiocchi, tanto più se si considera che la GFL<br />

dichiara 365m/s ma con palla da 124 grani.<br />

L'unico difetto di questi dati è dovuto al fatto che le polveri indicate sono<br />

obsolete ed in generale introvabili in Europa; le riportiamo per dovere di crona-<br />

25


26<br />

ca: 3.6 grani di 230P o 4<br />

grani di Bullseye.<br />

La fortuna comunque<br />

non ci abbandona in<br />

quanto la sorella maggiore<br />

<strong>del</strong>la 9 Glisenti, la 9<br />

Parabellum, é la cartuccia<br />

per semi-auto più usata<br />

nel mondo.<br />

Per questa munizione,<br />

i cui dati dimensionali<br />

sono identici a quelli <strong>del</strong>la<br />

9 mod. 10, sono disponibili<br />

innumerevoli combinazioni<br />

di ricarica tra<br />

cui cercare quello più adatto.<br />

Spulciando tra tutti i<br />

fascicoli, manuali o foglietti<br />

volanti che mi sono<br />

passati tra le mani ho<br />

travato oltre cento cariche,<br />

ma non mi sono fidato<br />

molto, poiché per il<br />

Cartuccia a pallottola per pistola mod. 910 e cartuccia<br />

a pallottola mod. 910 per mitragliatrice, da “Notizie<br />

Sintetiche” <strong>del</strong> Laboratorio Pirotecnico di Bologna<br />

(1916).<br />

9 Para sono previsti 2600 bar al massimo e quindi le polveri usate possono dare<br />

velocità anche basse con picchi di pressioni superiori però ai 1400 bar richiesti<br />

con conseguente pericolo per le meccaniche.<br />

Per non rischiare le nostre preziose Glisenti ho un solo dato che ritengo<br />

sicuro al 95%; l’ho preso direttamente dal manuale Vectan che riporta oltre ai<br />

soliti valori anche le pressioni ricarica per ricarica.<br />

Con palla in piombo da 125 grani, 4.6 grani di BA9 danno 300 m/s con<br />

una pressione dichiarata di 1250 Bar: perfetto!<br />

Dato che la polvere in questione è molto comune nelle nostre zone e che<br />

le palle da 124-125 grani si possono trovare sia di fabbrica (ad esempio le Fiocchi<br />

teflonate), che da stampo (RCBS, Lee ecc.) ritengo che questa carica sia ottima<br />

per provare le gloriose Brixia & Co.<br />

Come inneschi utilizzerei gli universali CCI small pistol, in quanto i Fiocchi<br />

hanno dimostrato di essere molto robusti e quindi da non utilizzare per i primi<br />

esperimenti, inoltre eviterei di spostarmi dalle dosi indicate, almeno finché<br />

non si troveranno altri dati; per le cariche fornite si dovrebbero comunque ottenere<br />

risultati alquanto costanti, visto il buon riempimento <strong>del</strong> bossolo, ma si<br />

tratta di supposizioni tutte da verificare a fuoco.<br />

Spero di poter quanto prima testare in poligono queste cariche sia per vedere<br />

la precisione e la costanza <strong>del</strong>le cartucce che, soprattutto, per “resuscitare”<br />

questi spicchi di storia oplologica italiana.


Una lacuna<br />

dei nostri vocabolari<br />

MARIO TROSO<br />

e esaminiamo i vocabolari <strong>del</strong>la lingua italiana con riferimento a chi impu-<br />

S gnava armi in asta, troviamo che tutti, in genere, indicano:<br />

picchiere = soldato armato di picca<br />

alabardiere = soldato armato di alabarda<br />

e meno frequentemente:<br />

partigianiere = soldato armato di partigiana (Zingarelli).<br />

Non compaiono: ronconiere, falcioniere, corseschiere, ecc.<br />

Eppure almeno la denominazione ronconiere risulta in due documenti letterari<br />

<strong>del</strong>l’ultimo quarto <strong>del</strong> XV secolo e conferma, tra il resto, che il nome più<br />

antico di quest’arma è roncone e non ronca. Da ronca dovrebbe derivare, eventualmente,<br />

ronchiere termine che, a differenza di ronconiere, non trova conferma<br />

nei documenti storici.<br />

Il primo documento è tratto dalla Cronaca <strong>del</strong> Ferraiolo la cui prima edizione<br />

risulta essere apparsa a Napoli tra il 1486 ed il 1490. Il manoscritto (1) è<br />

corredato da 99 illustrazioni che fungono da commento visivo e si legano direttamente<br />

al testo.<br />

Nel settembre 1486 il Re di Napoli, Ferdinando I, mentre si svolge in Castelnuovo<br />

una grande festa nuziale, fa arrestare il conte di Sarno, suo ospite,<br />

perchè implicato nella congiura dei baroni contro di lui. Il castellano, Pasquale<br />

Carlone, esegue l’arresto scortato da “multe ronconiere <strong>del</strong>la guardia”.<br />

“Lo s(igniore) re, che era chiaro et informato de multe<br />

tradimente, fece infenta (finta) de mannare a chiamare<br />

lo conte de Sarno dintro la camara dove sua maistà<br />

steva et, como fo per dintro le diverse camare,<br />

trovaie (il conte trovò) lo s(igniore) messer Inpascale,<br />

castellano <strong>del</strong>lo ditto castiello, con multe ronconiere<br />

<strong>del</strong>la guardia....” (2)<br />

Da notare il tratto napoletano con vocale e finale a indicare, indistinta-<br />

27


28<br />

mente, singolare e plurale: inimice nostre per inimici nostri, ronconiere per<br />

ronconieri.<br />

Il secondo documento è tratto da “La rotta di Serezana (Sarzana) e Serezanello<br />

(Sarzanello)”, Firenze circa 1500. (Torino, Biblioteca Reale, Inc.<br />

I.49, strofa 41.).<br />

È un testo <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> ‘400 composto da 69 strofe che si riferisce ad un<br />

episodio <strong>del</strong>la guerra tra Firenze e Genova <strong>del</strong> 1486, risoltasi con la vittoria dei<br />

Fiorentini che ricuperano la città di Sarzana. Nella strofa qui riprodotta sono<br />

indicati alcuni dei personaggi che da soli o con truppe assoldate partecipano a<br />

quella guerra al servizio di Firenze. La Regina <strong>del</strong> nostro “ronconiere” dovrebbe<br />

essere Isabella, sposa di Ferdinando il Cattolico, Re di Castiglia e Leon dal<br />

1474 al 1504.<br />

Probabilmente esisteva un corpo d'élite, costituito da ronconieri, che veniva<br />

identificato come “Guardie <strong>del</strong>la Regina” o qualcosa <strong>del</strong> genere.<br />

“Uno spagnuolo di Spagna vi viene<br />

Ferrando ronconier <strong>del</strong>la Regina<br />

Bartol da San Miniato non si tiene<br />

Lodovico da Ferrara vi chamina<br />

Thomaso ciciliano che ritenne<br />

e Genovesi già nella collina<br />

e quel da Castiglion con altri alquanti<br />

con Lorenzone ancor de cavalcanti.” (3)<br />

La presenza <strong>del</strong>la denominazione ronconiere in due fonti ben distinte e<br />

geograficamente lontane conferma l’uso diffuso di quest’arma. In entrambi i<br />

casi il riferimento ad un impiego particolare sta ad indicare che l’arma, in quel<br />

periodo e in quegli ambiti, era adottata da truppe scelte.<br />

In conclusione, alla luce di quanto messo in evidenza, riteniamo che non<br />

dovrebbe mancare, nei nostri vocabolari la denominazione “ronconiere = soldato<br />

armato di roncone (o di ronca)”.<br />

_____________________________<br />

1 ms. M 801 conservata nella Pierpont Morgan Library di New York (USA).<br />

2 Ferraiolo, “Cronaca”, 92r. (18), p. 13. Firenze 1987.<br />

3 “Guerre in ottava rima”, v. II (guerre d’Italia), p. 33. Modena 1989


30<br />

UN SECOLO FA:<br />

IL RECLUTAMENTO IN ITALIA<br />

SERGIO COCCIA<br />

N el<br />

1995 il nostro Parlamento ha votato una legge, quella sull'Obiezione<br />

di coscienza, che mette praticamente fine al nostro Esercito o,<br />

quanto meno, lo relega sempre più ad essere un ramo secco. Non è<br />

nostro compito giudicare l'operato <strong>del</strong> Parlamento di una Democrazia nata<br />

dalla Resistenza e fondata sul Lavoro, ma semplicemente far conoscere ai cultori<br />

<strong>del</strong>la Nostra breve, ma ricca storia militare, come era organizzato il Regio<br />

Esercito Italiano circa un secolo fa.<br />

Introduzione<br />

Il periodo che prenderemo in esame è quello <strong>del</strong> 1892, da poco avevano<br />

visto la luce le nuove regole sul reclutamento.<br />

Dopo vent’anni dall’unità d’Italia -concetto relativo visto che mancavano<br />

ancora <strong>del</strong>le regioni alla vera unità- la nascente Nazione, con alterne vicende, si<br />

stava dedicando a guerre con uno spirito completamente diverso da quello che<br />

aveva animato le guerre d’Indipendenza. La febbre <strong>del</strong> Colonialismo aveva in-<br />

Fregio da berretto d'artiglieria da montagna, il tondino è interamente ricamato in quanto<br />

esisteva un solo Reggimento (coll. dott. D’Orazio)


vaso anche questa giovane Nazione.<br />

Ma come avveniva il reclutamento?<br />

come era composto il<br />

nostro esercito? quanto durava la<br />

ferma?<br />

Principio<br />

Il principio, fondamentale<br />

sancito dalle leggi vigenti, era<br />

quello <strong>del</strong>l'obbligo generale personale<br />

al Servizio Militare.<br />

Tutti i cittadini erano soggetti<br />

alla leva, ognuno faceva<br />

parte <strong>del</strong>la classe <strong>del</strong>l’anno in cui<br />

era nato, per cui tutti i cittadini<br />

italiani nati dal 1 Gennaio<br />

es.1860 al 31 Dicembre <strong>del</strong>lo<br />

stesso anno, facevano ovviamente<br />

parte <strong>del</strong>la classe <strong>del</strong> ‘60.<br />

Normalmente concorrevano<br />

alla leva coloro che nell’anno in<br />

corso compivano i 20 anni, ed il<br />

vincolo al servizio durava fino ai<br />

39 anni.<br />

Fregio da berretto da ufficiale contabile (coll.<br />

dott. D’Orazio)<br />

Gli idonei che non appartenevano all’Esercito Permanente (E.P.) o alla<br />

Milizia Mobile (M.M.), facevano parte <strong>del</strong>la Milizia Territoriale (M.T.). Per<br />

capire cosa si intendesse per E.P., M.M. e M.T. vedi successivamente.<br />

Eccezioni<br />

Naturalmente l’obbligo generale personale al servizio non veniva inteso in<br />

senso assoluto.<br />

Diverse eccezioni erano stabilite sia riguardo problemi di incapacità morale<br />

e fisica, sia problemi relativi alla tutela di interessi relativi alle famiglie, agli<br />

studi ed alle professioni.<br />

a- Incapacità morale. Chi aveva riportato particolari condanne (es. lavori forzati),<br />

non era soggetto ad obblighi militari.<br />

31


32<br />

b- Incapacità fisica o intellettuale. Occorreva essere di buona e sana costituzione<br />

fisica, essere più alti di m 1,55, con un perimetro toracico di m 0,80.<br />

La lista di tutte le imperfezioni fisiche previste erano allegate al regolamento.<br />

c- Eccezioni nell’interesse sociale.<br />

- Esenzione <strong>del</strong> servizio di I e II categoria per motivi di famiglia con assegnazione<br />

alla III categoria;<br />

- Surrogazione <strong>del</strong> fratello, a vantaggio <strong>del</strong>le famiglie;<br />

- Proroghe nella prestazione <strong>del</strong> servizio nell’interesse degli studi;<br />

- Volontario di un anno.<br />

Volontario di un anno<br />

Questa particolare figura va vista in maniera particolareggiata per la sua<br />

implicazione con lo studio <strong>del</strong>le uniformi.<br />

I motivi per cui era riconosciuta, questa eccezione, erano diretti a favorire<br />

gli studi, gli interessi <strong>del</strong>le famiglie e chi svolgesse particolari mestieri.<br />

Occorreva avere minimo 17 anni, non aver avuto problemi con la giustizia,<br />

aver superato il I anno di Liceo od Istituto tecnico.<br />

Fregio da berretto da ufficiale <strong>del</strong>l'artiglieria a cavallo (coll. dott. D’Orazio)


Occorreva pagare una somma fissata da un Regio Decreto, mai superiore a<br />

£ 2.000 per la Cavalleria e £ 1.500 per le altre armi.<br />

Poteva prorogare la prestazione <strong>del</strong> servizio per motivi di studio e per problemi<br />

legati alla sua professione.<br />

Ordinamento generale<br />

<strong>del</strong>le forze militari<br />

Per prima cosa occorre far presente che gli idonei al servizio venivano divisi<br />

in 3 categorie.<br />

La 3ª categoria era formata di diritto da tutti coloro, idonei, che erano considerati<br />

“sostegni di famiglia”, tutti gli altri, i disponibili, venivano assegnati<br />

alla 1ª ed alla 2ª.<br />

Il contingente di 1ª C. era determinato per legge ogni anno; quelli che erano<br />

in più e non avevano diritto alla 3ª, formano il contingente di 2ª, che poteva,<br />

con apposito Regio Decreto, essere diviso in due parti.<br />

Berretto ufficiale fanteria di linea (coll. dott. D’Orazio)<br />

33


34<br />

Il criterio per la determinazione <strong>del</strong>l’ordine da eseguire nella destinazione<br />

alla 1ª Categoria, era quello <strong>del</strong>l’estrazione.<br />

Questa estrazione avveniva con criteri determinati, alla presenza di alcune<br />

Autorità civili e militari, e a quella dei cittadini che compivano in quel periodo<br />

i 20 anni.<br />

Per alcuni cittadini, detti “capilista”, non si applicava il principio <strong>del</strong>l’estrazione.<br />

Difatti, alcuni soggetti, che si erano sottratti con frode all’inserimento<br />

<strong>del</strong>le liste degli anni precedenti, venivano inseriti direttamente nella I categoria,<br />

appunto senza estrazione.<br />

Le forze militari <strong>del</strong>l’Esercito erano organizzate secondo tre linee o reparti,<br />

la 1ª era rappresentata dall'Esercito Permanente (E.P.), la 2ª era <strong>del</strong>la Milizia<br />

Mobile (M.M.) e la 3ª era rappresentata dalla Milizia Territoriale (M.T.)<br />

Quelli di 1ª e 2ª Categoria appartengono successivamente alle 3 linee, salvo<br />

gli operai d’Artiglieria, la Cavalleria ed alcune specialità dei Servizi che non<br />

transitano nella M.M.<br />

Per eventuali servizi d’ordine e di sicurezza pubblica all’interno era istituita<br />

la Milizia Comunale <strong>del</strong>la quale facevano parte contemporaneamente tutti i<br />

militari in congedo illimitato di 1ª, 2ª e 3ª Categoria (iscritti sia all’E.P., alla<br />

Berretto da ufficiale <strong>del</strong> treno <strong>del</strong> genio (coll. dott. D’Orazio)


M.M. ed alla M.T.).<br />

Una parte <strong>del</strong> contingente di 1ª categoria poteva essere assegnato, come<br />

vedremo successivamente, alla leva di mare.<br />

Obblighi di servizio e ferme<br />

Vediamo ora, nel dettaglio, quanto e come si svolgeva la ferma.<br />

La durata era di un anno per i “Volontari di un anno”, di qualsiasi arma.<br />

Questa figura è stata precedentemente trattata.<br />

Tre anni ( o due a secondo quanto stabiliva la legge annuale di leva), per la<br />

Fanteria, l’Artiglieria, Genio, Treno, Sanità, Sussistenza, assegnati alla R. Marina,<br />

mentre gli operai di Artiglieria avevano sempre la ferma di tre anni.<br />

Di quattro anni era la ferma <strong>del</strong>la Cavalleria.<br />

Cinque anni per Carabinieri, capi-armaioli, musicanti, deposito stalloni,<br />

uomini di governo degli stabilimenti militari di pena, maniscalchi e vivandieri<br />

ed i sottufficiali <strong>del</strong>le varie Armi.<br />

Dopo il periodo di ferma prescritto, pur rimanendo nella prima categoria,<br />

erano inviati in congedo illimitato fino all'anno previsto per quel tipo di servizio<br />

(vedi tavola 1).<br />

Berretto da ufficiale dei lancieri (coll. dott. D’Orazio)<br />

35


36<br />

Quelli <strong>del</strong>la seconda categoria rimanevano nelle E.P. per otto anni, dopo di<br />

che passavano alla M.M. fino al compimento <strong>del</strong> dodicesimo anno, in seguito<br />

transitavano nella M.T.<br />

Normalmente, nei periodi di pace, rimanevano in congedo illimitato, ogni<br />

anno dovevano però essere richiamati i militari di una classe per un periodo che<br />

variava dai due ai sei mesi .<br />

La terza categoria apparteneva, per tutto il vincolo <strong>del</strong> servizio, alla M.T.,<br />

ed in tempo di pace, rimaneva in congedo illimitato. Non c’erano particolari<br />

prescrizioni, per la sua istruzione, ma la legge stabiliva che le chiamate alle armi,<br />

per i militari di M.T. poteva essere di trenta giorni per ogni quattro anni.<br />

Gli ascritti nella Cavalleria, Carabinieri, capi-armaioli, musicanti, deposito<br />

stalloni, uomini di governo degli stabilimenti militari di pena, maniscalchi vivandieri,<br />

gli operai di Artiglieria, non transitavano mai nella Milizia Mobile,<br />

ma passavano direttamente alla Territoriale; le ultime tre classi <strong>del</strong>la Cavalleria<br />

venivano, però ascritte al Treno <strong>del</strong> Genio e di Artiglieria. Ciò è facilmente<br />

spiegabile visto che il Treno era composto da traini animali (cavalli).<br />

La legge, prevedeva obblighi particolari di servizio per i cittadini appartenenti<br />

per leva o ascritti ai distretti <strong>del</strong>la Sardegna. Difatti, finita la ferma, cessavano<br />

di far parte <strong>del</strong>l’E.P. ed erano assegnati alla Milizia Speciale <strong>del</strong>l’Isola<br />

Berretto da ufficiale generale (coll. dott. D’Orazio)


(M.S.) e lì rimanevano, fino al passaggio nella M.T. La seconda categoria veniva<br />

assegnata alla M.S. fin dal principio e transitava insieme alla prima categoria<br />

nella M.T. .<br />

La composizione<br />

<strong>del</strong>l'Esercito Permanente - E.P. -<br />

Nel periodo da noi preso in esame l’E.P. risultava essere diviso nelle seguenti<br />

Armi e Servizi.<br />

- Stato Maggior Generale. Erano gli Ufficiali Generali che erano in tutto 149.<br />

Di cui 5 d’Esercito, 48 Tenenti Generali, 92 Maggiori Generali, 3 Maggiori Generali<br />

Medici ed 1 Commissario. Di questi 145 erano in servizio e 4 a disposizione.<br />

Questi Generali svolgevano varie funzioni di comando nei vari reparti<br />

che di seguito illustreremo.<br />

- Corpo di Stato Maggiore. Composto da 4 Ufficiali Generali (già menzionati<br />

nello Stato Mag. generale), tra cui il Capo di Stato Maggiore <strong>del</strong>l’Esercito, 266<br />

Ufficiali di S.M. (da capitano a Colonnello) e 10 Ufficiali Contabili.<br />

- Arma dei Reali Carabinieri. Suddivisa in 11 legioni territoriali più una allievi,<br />

43 Divisioni territoriali, 113 comp., 376 tenenze, 84 sezioni, e circa 3200<br />

Berretto da ufficiale superiore <strong>del</strong> genio (coll. dott. D’Orazio)<br />

37


38<br />

stazioni.<br />

- L'Arma di Fanteria era composta da varie specialità, iniziamo dalla Fanteria<br />

di linea. 48 Brigate su due reggimenti, per un totale di 2 Reggimenti Granatieri<br />

(facenti parte <strong>del</strong>le Brigate di Fanteria, la 1ª) e 94 Reggimenti di Fanteria di<br />

linea (dal <strong>1°</strong> al 94° ).<br />

Della Fanteria facevano parte i Bersaglieri, su 12 Reggimenti.<br />

Gli Alpini, specialità <strong>del</strong>la Fanteria, erano inquadrati su 7 Reggimenti.<br />

Anche i Distretti erano considerati facenti parte <strong>del</strong>la Fanteria. Suddivisi in<br />

87, di cui 8 di prima classe 79 di seconda, prendevano il nome dalla città dove<br />

risiedevano. Anche il personale degli stabilimenti militari di pena rientrava,<br />

amministrativamente, nella Fanteria.<br />

Sottotenente <strong>del</strong> <strong>1°</strong> reggimento genio, sulle spalline il tipico<br />

fregio <strong>del</strong>l’Arma, la corona reale (archivio autore)


Gli Ufficiali <strong>del</strong>le fortezze, anche se vestivano l'uniforme <strong>del</strong>l’Arma di appartenenza<br />

erano, amministrativamente, <strong>del</strong>la Fanteria.<br />

- L’Arma di Cavalleria. Era una <strong>del</strong>le più complesse. Composta da 9 Brigate<br />

su 24 Reggimenti di 6 squadroni, tatticamente e dal punto di vista disciplinare,<br />

si ripartivano in mezzi Reggimenti su 3 squadroni ognuno. le Brigate potevano<br />

avere due reggimenti (la 1ª- 4ª- 5ª- 9ª ), tre (la 2ª - 6ª - 7ª - 8ª) e quattro (la 3ª di<br />

stanza a Milano).<br />

- L’Arma di Artiglieria. Anche questa, vista la diversità degli impieghi, era<br />

abbastanza complessa.<br />

Comprendeva :<br />

- 6 Ispettori ;<br />

- 4 comandi d'Artiglieria da Campagna, 2 da Fortezza;<br />

- 24 Reggimenti d'Artiglieria da Campagna;<br />

- 1 Reggimento Artiglieria a Cavallo;<br />

- 1 Reggimento Artiglieria da montagna;<br />

- Reggimenti Artiglieria da fortezza, erano in tutto 5, di cui i primi due erano<br />

da Costa (25° e 26°), gli altri 3 da fortezza (27° - 28° - 29°);<br />

- Direzioni e stabilimenti di Artiglieria, con circa 170 Ufficiali; 5 comp.<br />

operai con 15 Ufficiali e 500 sottufficiali e truppa;<br />

- Veterani.<br />

- Arma <strong>del</strong> Genio.<br />

Comprendeva :<br />

- 3 Ispettori;<br />

- 6 Comandi Territoriali;<br />

- 4 Reggimenti; i primi due erano composti da 4 brigate Zappatori (12<br />

comp.), 2 brigate Zappatori-Minatori (6 comp.), e 2 comp. Treno; il 3° Regg.<br />

(telegrafisti) era composto da 3 brigate Zappatori (7 comp.), 3 brigate Telegrafisti<br />

(6 comp.), 1 brigata Specialisti (1 comp.), e tre comp. Treno; il 4° Regg.<br />

Pontieri-Lagunari, era su 8 comp. Pontieri, 1 brigata (2 comp.) Lagunari, 1 brigata<br />

Ferrovieri (4 comp.) e 3 comp. treno;<br />

- Varie direzioni (Genio per la Marina, officine di costruzione materiale<br />

<strong>del</strong> Genio).<br />

- Corpo Sanitario. Diviso in ispettorato, direzioni, stabilimenti, comp., scuola<br />

e gli Ufficiali Medici dei reparti.<br />

- Corpo di Commissariato. Era composto da 12 direzioni territoriali di Commissariato,<br />

1 stabilimento di Sussistenza, 12 comp. di Sussistenza e di Ufficiali<br />

di Commissariato addetti a servizi speciali.<br />

39


- Corpo Contabile Militare.<br />

- Corpo Veterinario.<br />

- Corpo Invalidi e Veterani. Il Corpo era formato da Ufficiali e Soldati inabili<br />

al Servizio attivo. Dovevano avere 18 anni di servizio e non aver diritto alla riforma.<br />

Se l'inabilità era causata dal Servizio, potevano far parte <strong>del</strong> Corpo anche<br />

prima dei 18 anni. Il personale di truppa era impiegato in servizi di usciere,<br />

custode e piantone nei comandi e negli uffici territoriali.<br />

- Istituti, Scuole ed Accademia, Enti minori.<br />

LA MILIZIA MOBILE - M. M. -<br />

Era costituita da:<br />

- Fanteria. Comprendeva 48 Regg. di linea ( da 1 a 48); 18 btg. Bersaglieri<br />

(da 1 a 18); 22 comp. Alpini (da 76 a 97 inglobati nei Regg. Alpini <strong>del</strong>l’-<br />

E.P.).<br />

- Artiglieria. Da campagna 12 brig. , 12 comp. treno; da montagna era su 3<br />

brig.; a cavallo, c’era solo 1 comp. treno; da fortezza, 11 brig.; oltre a<br />

questi la M.M. aveva alcuni reparti speciali <strong>del</strong>la Sicilia, in particolare<br />

da campagna, 1 brig. ed 1 comp. treno, da fortezza 2 comp..<br />

-Genio. 5 brig. zappatori, 2 brig. minatori, 3 comp. telegrafisti, 2 comp. ferrovieri,<br />

4 comp. pontieri, 1 comp. lagunari e 4 comp. treno.<br />

- Sanità e Sussistenza. 12 comp. Sanità, 12 comp. Sussistenza.<br />

- Milizia Speciale di Sardegna. Composta da 3 Regg. di Fanteria di linea su 3<br />

btg. di 4 comp., 1 btg. Bersaglieri di 4 comp.; 1 squadrone di Cavalleria;<br />

1 brigata di 2 batt. di Artiglieria, 1 comp. da fortezza, 1 comp. treno; 1<br />

comp. zappatori; 1 comp. sanità; 1 comp. sussistenza.<br />

La Milizia Territoriale<br />

Risultava composta da:<br />

- Fanteria di linea. 320 btg. (5 <strong>del</strong>la Sardegna), raggruppabili in reggimenti o<br />

unità maggiori; 22 btg. Alpini.<br />

- Artiglieria da fortezza. 100 comp. che potevano esser riunite per costituire<br />

20 brigate.<br />

- Genio. 30 comp. che potevano essere riunite per formare al massimo 6 brigate,<br />

per la Sardegna 1 sezione che faceva parte <strong>del</strong>la comp. art. da fortez-<br />

41


za.<br />

- Sanità e Sussistenza. 13 comp. di Sanità (1 per la Sardegna) e 13 di Sussistenza<br />

(1 per la Sardegna).<br />

La leva Marittima.<br />

Il principio fondamentale per questa leva era lo stesso di quella di terra.<br />

Tutti gli idonei erano personalmente obbligati fino al 31 Dicembre <strong>del</strong>l'anno<br />

che compivano i 39 anni.<br />

A differenza che nell’Esercito, dove per particolari Armi o Servizi, il reclutamento<br />

era fatto, diciamo regionalmente, per distretto, per essere iscritti alla<br />

leva di mare occorreva aver esercitato un particolare mestiere.<br />

Pescatori, operai di cantieri navali, fuochisti, studenti di istituti nautici,<br />

facevano parte <strong>del</strong>la leva navale. Si evince chiaramente che la condizione necessaria<br />

era quella di avere una certa esperienza nel settore.<br />

Le eccezioni ed i temperamenti erano gli stessi <strong>del</strong>l’Esercito. Non era, però,<br />

fissata per gli iscritti alla Leva Marittima, alcun limite minimo di statura, né<br />

di perimetro toracico. Tali limiti venivano richiesti solo per chi si arruolasse<br />

come mozzo. Per quest'ultimi il perimetro toracico doveva essere minimo di 83<br />

cm, per chi avesse 16 o 17 anni, 84,3 cm fino ai 18 anni e di 85 cm fino ai 19.<br />

La statura minima di 155 cm e non doveva essere più <strong>del</strong> doppio <strong>del</strong>la circonferenza<br />

toracica. Il peso doveva corrispondere approssimativamente a 345 grammi<br />

per ogni cm di altezza.<br />

Anche per la Marina esisteva il volontario di un anno, ma con maggiori<br />

limitazioni.<br />

Poteva esser concesso solamente ai diplomati di scuola di nautica (capitani<br />

marittimi, costruttori navali, macchinisti), agli alunni che erano almeno da un<br />

anno in questo tipo di scuole o a coloro che frequentavano studi nautici presso<br />

professori autorizzati.<br />

Come precedentemente visto, una parte <strong>del</strong> contingente di 1ª categoria<br />

<strong>del</strong>la leva di terra poteva essere assegnata alla Regia Marina. Il motivo era che,<br />

viste le limitate categorie di persone che avevano pratica di mare, e quindi titolo<br />

per essere arruolato in Marina, occorreva integrare il reclutamento .<br />

Sulla scelta “pesava” soprattutto la statura. Difatti gli idonei di 1ª Categoria,<br />

con statura inferiore a 1 metro e 60 centimetri, potevano entrare a far parte<br />

<strong>del</strong>la leva di mare.<br />

43


44<br />

Come per l’Esercito gli abili al servizio erano divisi nelle solite tre categorie,<br />

con le stesse modalità.<br />

Differenza sostanziale era la divisione in solo due - non tre come per l’Esercito<br />

- grandi reparti.<br />

- Marina da guerra attiva,<br />

- Riserva navale.<br />

La prima corrispondeva, si fa per dire, all’E.P. ed alla M.M., la seconda<br />

alla M.T..<br />

I marinai di 1ª e 2ª categoria appartengono fin dall’inizio alla marina da<br />

guerra attiva per 12 anni, successivamente alla Riserva Navale; quelli di 3ª categoria<br />

appartenevano per tutto il tempo alla Riserva Navale.<br />

Obblighi di servizio e ferme<br />

Il servizio era di un anno inferiore all’Esercito, difatti iniziava a 21 anni e<br />

terminava a 39 (18 anni complessivi invece dei 19).<br />

Anche qui c’era una differenziazione <strong>del</strong>la durata <strong>del</strong>le ferme, per i provenienti<br />

dall’Accademia Navale, i musicanti e gli ammessi alle altre scuole di marina,<br />

durava 6 anni, quattro anni per gli iscritti di leva e volontari, tre anni per i<br />

provenienti dalla leva di terra e, naturalmente, un anno per i volontari di un anno.<br />

La 1ª categoria, quindi, ultimata la ferma (vedi tabella 2), andava in congedo<br />

ma rimaneva ascritta al corpo RR . Equipaggi fino al 31 Dicembre <strong>del</strong> 12°<br />

anno, dopo passava alla Riserva Navale. Quelli di 1ª categoria forniti dalla leva<br />

di terra, restavano, ultimata la ferma, ascritti al Corpo RR. equipaggi fino al<br />

passaggio alla M.M. <strong>del</strong>la propria classe.<br />

La 2ª categoria era ascritta al Corpo RR. Equipaggi per i primi 12 anni e<br />

alla riserva navale nei rimanenti. In tempo di pace rimanevano normalmente in<br />

congedo.<br />

I militari di 1ª e 2ª categoria in congedo potevano essere chiamati alle armi<br />

per Decreto Reale, o totalmente, o per classi, o per specialità di servizio, sia<br />

per rassegne che per istruzione o altre eventualità.<br />

La Riserva Navale, in pace, prendeva le armi temporaneamente, per istruzione<br />

o per ragioni di ordine interno.


F ilo<br />

Il lancia-torpedini<br />

Bettica<br />

ITALO CATI<br />

spinato, reticolati, ostacoli di ogni genere, squallida e snervante vita<br />

di trincea, irrigidimento <strong>del</strong>le linee contrapposte. A questo si era arrivati<br />

in modo progressivo dopo le prime battaglie <strong>del</strong>la Grande Guerra.<br />

Su tutti i fronti, e in particolare su quello italiano, le armate di Cadorna<br />

durante le prime offensive isontine si erano trovate al cospetto di un nemico<br />

ben trincerato che poteva battere con fuoco di mitragliatrici dall’alto <strong>del</strong>le quote<br />

carsiche le truppe in avanzata, che inevitabilmente si trovavano avviluppate da<br />

un groviglio di ostacoli artificiali frenandone lo slancio con conseguenti perdite<br />

Descrizione<br />

1. Coda 2. Vitone a galletto<br />

3. Maschio 4. Testa cilindrica<br />

5. Zoccolo<br />

45


46<br />

Carichette aggiuntive<br />

1. Barra <strong>del</strong>la carichetta aggiuntiva 2. Carichetta aggiuntiva<br />

3. Carica di spinta 4. Barra <strong>del</strong>la carica di spinta<br />

non indifferenti di materiale umano.<br />

Per ovviare a tale situazione, vennero impiegati dei nuclei di ardimentosi<br />

facenti parte <strong>del</strong>le cosiddette “Compagnie <strong>del</strong>la Morte” composte di volontari,<br />

che protetti dalle corazze Farina e muniti di pinze e cesoie tagliafili, attaccavano<br />

con generoso sprezzo <strong>del</strong> pericolo i reticolati Austro-ungarici aprendo in essi<br />

dei varchi permettendo alla fanteria in attacco di insinuarvisi e di conseguenza<br />

impegnarsi per la conquista <strong>del</strong>la postazione contrapposta.<br />

Anche i militari “arditi” dei reparti d’assalto avevano in organico dei nuclei<br />

di specialisti tagliafili, che però una volta aperti i passaggi effettuavano direttamente<br />

dei colpi di mano contro obiettivi già individuati e mirati in partenza.<br />

Tutte queste azioni molto pericolose procuravano non poche perdite agli<br />

organici di questi particolari nuclei, assottigliandone non poco le schiere. Occorreva<br />

trovare altri mezzi idonei allo scopo senza rischiare di più la vita di valorosi<br />

combattenti.<br />

Nasceva così a fattor comune su tutti i fronti europei la così detta<br />

“artiglieria da trincea” che aveva lo scopo con le sue armi a tiro curvo, effettuato<br />

da posizioni fisse di prima linea, di agire direttamente con successo contro<br />

fortificazioni e contro il famigerato binomio reticolato-mitragliatrice, a cui poco<br />

poteva il tiro teso <strong>del</strong>le artiglierie a grande gittata.<br />

Va detto che già da alcuni anni precedenti all’inizio <strong>del</strong> conflitto, i tede-


Descrizione <strong>del</strong>la torpedine<br />

1. Anima 2. Miccia di innescamento<br />

3. Miccia di accensione 4. Innesco<br />

5. Esplosivo 6. Tappo di legno<br />

schi, con largo intuito avevano previsto tale impiego, ed erano provvisti di minenwerfer<br />

da 17 cm di cui fornirono anche i loro alleati Austro-ungarici, che<br />

con successo le usavano contro le postazioni italiane.<br />

Per ovviare a tale problema, lo Stato Maggiore <strong>del</strong> Generale Cadorna nel<br />

1916 approvvigionò la nascente specialità dei “bombardieri” con una serie di<br />

armi di produzione nazionale, come i vari lanciabombe e mortai Minucciani,<br />

Torretta, Carcano, Ansaldo e infine l’insolito, ma molto efficace, lanciatorpedini<br />

studiato e messo a punto dal capitano <strong>del</strong> Genio Alberto BETTICA di<br />

Torino.<br />

Questa particolare arma conteneva in sé tutti gli elementi per il tiro che<br />

dovevano essere adoperati in operazioni normalmente eseguite con le armi da<br />

fuoco ordinarie e che, per cause “emozionali”, durante il combattimento alle<br />

brevi distanze non potevano essere accuratamente svolte.<br />

Altre caratteristiche erano:<br />

- Piccolo peso, piccolo volume, facile assemblamento, costo limitato grazie ai<br />

materiali con cui l’arma veniva costruita, facilmente trovabili in commercio;<br />

- Notevole facilità nel tiro (otto colpi al minuto circa);<br />

- Gittata massima ed effetto schegge di 150 metri, con tiro eseguito con proiettili<br />

di peso uguale.<br />

Essendo i lancia-torpedini <strong>del</strong>le armi molto versatili, non abbisognavano<br />

di appostamenti speciali per il tiro e venivano inquadrati a sezioni nel numero<br />

di tre per reggimento di fanteria e a sezione unica nelle compagnie Arditi, con il<br />

compito di precederli e seguirli durante le azioni offensive essendo tali armi<br />

facilmente trasportabili (peso 19 kg) in quanto munite di passanti per il fissaggio<br />

<strong>del</strong>le cinghie di trasporto a mo’ di zaino.<br />

47


48<br />

DESCRIZIONE DELL’ARMA<br />

La struttura molto particolare, era composta da uno zoccolo di appoggio<br />

fatto di legno molto forte, che comprendeva una testa semicilindrica ferrata, su<br />

cui appoggiava e si muoveva il maschio, unitamente alla sua piastra ed al settore<br />

di elevazione.<br />

La coda veniva fermata a terra durante il tiro da sacchetti a terra, il maschio<br />

di acciaio era imperniato al centro <strong>del</strong>la testa semicilindrica in modo da<br />

poter ruotare in un settore di elevazione di 40° circa.<br />

Tale movimento era frenato da un settore di elevazione fissato per mezzo<br />

di un vitone a galletto.<br />

DESCRIZIONE DELLA TORPEDINE<br />

Era costituita da un tubo di ferro il cui interno veniva diviso in due parti<br />

da un tappo fermato al tubo per mezzo di una strozzatura. L’anima, che veniva<br />

“investita” sul maschio al momento <strong>del</strong>lo sparo, conteneva la carica di spinta,<br />

Dati sugli effetti ottenuti<br />

1. Linea serventi portamunizioni e tiratori<br />

2. Zona colpita da schegge<br />

3. Linea trincee nemiche<br />

4. Zona colpita con effetti di distruzione<br />

5. Linea dei pezzi<br />

6. Linea serventi portamunizioni (di rincalzo)<br />

7. Zona ricoperta da schegge<br />

XX.XX. Linea dei reticolati


compressa contro il tappo da una barra. L’anima aveva due fori diametralmente<br />

opposti, uno per il passaggio <strong>del</strong>la miccia di accensione, l’altro per l’accensione<br />

<strong>del</strong>la miccia di innescamento.<br />

L’interno <strong>del</strong>la torpedine conteneva la carica di scoppio costituita da esplosivo<br />

dirompente, compresso contro il tappo, sul quale, per impedire i contatti<br />

con la vampa <strong>del</strong>la carica di spinta, veniva preventivamente disposta a forzamento<br />

una rosetta di piombo ed un cuscinetto di paraffina.<br />

La miccia d’innescamento faceva capo all’innesto, il quale era fissato nell’interno<br />

<strong>del</strong>la carica di scoppio.<br />

All’esterno <strong>del</strong> tubo, le micce erano protette da una fasciatura di fettuccia.<br />

L’anima <strong>del</strong>le torpedini e la miccia di accensione venivano protette da un cappuccio<br />

di carta paraffinata.<br />

Le casse porta munizioni contenevano otto ordigni, l’accenditore <strong>del</strong>la<br />

miccia e uno straccio per la pulizia.<br />

CARICHETTE AGGIUNTIVE<br />

Il potenziamento <strong>del</strong>la gittata poteva essere aumentato per mezzo di carichette<br />

aggiuntive costituite da un pacchetto di 10 grammi di polvere nera che,<br />

incollate ad una barra collocata nella torpedine, faceva si che la stessa barra venisse<br />

a risultare a contatto con il maschio allorché vi era la “calzatura” sull’arma.<br />

Particolare da non trascurare era l’assicurarsi che le carichette fossero a<br />

contatto con la carica di spinta <strong>del</strong>le torpedini.<br />

ESECUZIONE DEL TIRO<br />

Ripari di fortuna in prima linea e anfratti <strong>del</strong> terreno risultavano ottimi per<br />

il posizionamento <strong>del</strong>l’arma in vista <strong>del</strong>l’esecuzione <strong>del</strong> tiro. Pochi sacchetti a<br />

terra servivano a proteggere il tiratore e le munizioni dalla vampa. Il tiro veniva<br />

eseguito in maniera molto semplice e senza nessuna indicazione speciale, bastava<br />

investire la torpedine sul maschio e provocare l’accensione <strong>del</strong>la miccia.<br />

Lo zoccolo di appoggio che veniva fermato a terra con materiale di fortuna,<br />

dava l’elevazione sostenendo e dirigendo la torpedine al momento <strong>del</strong>lo<br />

sparo. Essendo la rapidità <strong>del</strong> tiro maggiore di quella di rifornimento <strong>del</strong>le munizioni,<br />

occorreva preparare un numero di colpi sufficientemente congruo al<br />

caso, in base allo scopo che si voleva conseguire. La gittata poteva essere au-<br />

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50<br />

mentata o diminuita variando l’elevazione, eseguendo il tiro più o meno curvo.<br />

INCIDENTI DI TIRO<br />

Le torpedini, generalmente, erano collaudate prima di essere incassate,<br />

tuttavia venivano ricontrollate prima <strong>del</strong> tiro ed eventualmente scartate se stentavano<br />

ad essere investite sul maschio.<br />

Altri inconvenienti potevano essere:<br />

- Mancata accensione <strong>del</strong>la carica di spinta, causa il deterioramento <strong>del</strong>la miccia.<br />

- Colpo corto o scoppio prematuro, causato da una falla nel metallo <strong>del</strong>l’arma.<br />

DATI SUGLI EFFETTI OTTENUTI<br />

Un lancia-torpedini, servito da personale provetto, poteva sparare 60 colpi<br />

in otto minuti circa. Ogni proietto scoppiando, come già detto in precedenza,<br />

esercitava un’azione distruttiva per un raggio di due metri circa, con effetto<br />

schegge di 150 metri. Si aveva, così, per ogni colpo una zona di efficacia di 10<br />

metri quadrati e, un tiro sistematico e preciso in una rosa di 10 metri di diametro,<br />

complessivamente una zona di 150 metri quadrati dopo aver ricevuto 60<br />

colpi risultava annientata in tutti i suoi obiettivi.<br />

Rapportando questi dati su tre sezioni inquadrate una per ogni battaglione<br />

per reggimento di fanteria, si aveva un totale di 18 armi che, poste a 10 metri<br />

una dall’altra ed avendo ognuna di esse una dotazione di 64 colpi sortiva i seguenti<br />

effetti:<br />

- Una striscia di 200 metri di lunghezza, profonda 14, che veniva colpita in otto<br />

minuti da 1152 torpedini, equivalenti a 3 tonnellate di ferro e 1000 kg di esplosivo,<br />

rappresentava 2800 metri quadrati su cui si esercitava, compenetrandovi,<br />

l’azione distruttiva; inoltre, vi era una zona lunga 500 metri quadrati<br />

e profonda 300 coperta di schegge.<br />

Come visto, l’effetto era veramente devastante e molto efficace, tuttavia<br />

queste armi furono ingiustamente non molto valorizzate: furono avvicendate<br />

progressivamente a partire dal 1917, sia dal lanciabombe francese Stokes, sia<br />

dalle bombarde, sempre di tipo francese, da 58 mm A e B e da 240 mm nei mo<strong>del</strong>li<br />

corto e lungo, nonché dalle potentissime 340 e 400 mm.


LÊultimo volo <strong>del</strong> col. Smith<br />

Atterrare su un grattacielo<br />

MARCO GASPARINI<br />

28 luglio 1945.<br />

L<br />

a guerra in Europa é finalmente finita e sul fronte <strong>del</strong> pacifico si sta<br />

preparando l'attacco nucleare al Giappone; il colonnello <strong>del</strong>l’USAAF<br />

William F. Smith Jr, pluridecorato pilota con 50 missioni di bombardamento<br />

su Francia e Germania al suo attivo, sta prestando servizio di supporto e<br />

addestramento.<br />

La sua prossima missione consiste nel trasferire un North American B-<br />

25 dall’aeroporto di Bedford, Mass., dove é stato sottoposto alla sverniciatura<br />

<strong>del</strong> verde tipico <strong>del</strong> teatro europeo, a quello di Sioux Fall, South Dakota, da dove<br />

poi proseguirà per la costa <strong>del</strong> Pacifico.<br />

Un normalissimo volo di trasferimento dunque, tanto che le mitragliatrici<br />

non erano state caricate, né tantomeno vi erano bombe nella stiva.<br />

Il piano di volo prevedeva uno scalo tecnico a Newark (attualmente aeroporto<br />

per voli interni <strong>del</strong>la circoscrizione di New York), il traffico commerciale<br />

e le condizioni meteorologiche comportavano lo spostamento <strong>del</strong>lo scalo<br />

sull’aeroporto La Guardia di New York, a circa 25 Km a nordest da Newark.<br />

Effettuati tutti i controlli pre-volo il pilota ed il navigatore si stavano<br />

portando in testa alla pista richiedendo il permesso di decollo quando una Jeep<br />

si affianca all’aereo e segnala al pilota di fermarsi: é comparso un passeggero<br />

per New York.<br />

Si trattava <strong>del</strong> marinaio M.A. Perna che doveva raggiungere i suoi familiari<br />

al più presto dopo aver avuto la notizia <strong>del</strong>la morte di suo fratello durante<br />

un assalto di Kamikaze sul fronte Pacifico.<br />

Caricato il passeggero a bordo, l’aereo decolla e punta verso sud chie-<br />

51


52<br />

dendo periodicamente le condizioni meteorologiche al La Guardia.<br />

Il viaggio prosegue senza storia a 300 metri di quota e 400 Km/h fino a<br />

New Haven, nel Connecticut; ormai ad un tiro di schioppo da New York il colonnello<br />

si prepara all’atterraggio e qui, per uno stupido lapsus, comincia la tragedia.<br />

Il colonnello comunica al La Guardia di trovarsi a 15 miglia a Sudest<br />

dall’aeroporto, mentre la posizione corretta era di 15 miglia a NORDEST.<br />

La torre di controllo comunicò le condizioni di vento al suolo e la pista<br />

attiva ma Smith continuava a chiedere a Newark se ci fosse possibilità di atter-<br />

Come appariva il 79° piano <strong>del</strong>l'Empire State Building dopo il terribile impatto <strong>del</strong> bombardiere


are là, preferendo il più attrezzato aeroporto a ovest <strong>del</strong>l’Hudson.<br />

Ottenuta finalmente l’autorizzazione all’atterraggio ed avuto il percorso<br />

di discesa, l’aereo scese sotto le coltri di nuvole permettendo all’equipaggio di<br />

vedere l’East River, scambiandolo però per l’Hudson, 5 km più a ovest.<br />

Più o meno sopra il Triborough Bridge, Smith virò portandosi sopra<br />

Manhattan credendo di trovarsi sopra il New Jersey e si portò in quello che lui<br />

riteneva il finale.<br />

Flap fuori, giù il carrello, motori e passi <strong>del</strong>le eliche regolati per l’atter-<br />

Un’immagine pittorica <strong>del</strong>l’urto. Dopo tre settimane dall’incidente le riparazioni erano<br />

già concluse e solo i lavavetri potevano notare la differenza tra la costruzione originale e<br />

il restauro<br />

53


54<br />

raggio e quindi una decisa discesa... proprio sulla Fifth Avenue!<br />

Il bombardiere schivò di un soffio la Cattedrale cattolica di St.Partrik, il<br />

Rockefeller Center e il palazzo <strong>del</strong>la RCA e quando il pilota si accorse <strong>del</strong>la<br />

situazione tragica diede massima potenza ai motori puntando il muso verso l’alto<br />

e virando a destra.<br />

Purtroppo tra l’aereo e la salvezza si trovava l’Empire State Building,<br />

all’epoca il più alto edificio <strong>del</strong> mondo con i suo 396 metri, e il B-25 concluse<br />

il suo volo piantandosi tra il 78° ed il 79° piano e restandovi incastrato.<br />

Essendo sabato gli uffici erano praticamente deserti, inoltre il brutto<br />

tempo aveva ridotto il numero dei visitatori agli osservatori <strong>del</strong> 86° e 102° piano,<br />

tuttavia alcune persone nel palazzo al momento <strong>del</strong>l’impatto sono concordi<br />

nel dire che la cima <strong>del</strong> grattacielo si sarebbe spostata di circa 60 centimetri!<br />

La gondola <strong>del</strong> motore sinistro con tutto il carrello attraversarono il palazzo<br />

da parte a parte tagliando le corde di uno dei vari ascensori <strong>del</strong> grattacielo;<br />

Betty Lou Olivier che lavorava come operatrice degli ascensori cadde per<br />

oltre 300 metri fino nei sotterranei riportando miracolosamente solo la frattura<br />

<strong>del</strong>le gambe e di una vertebra.<br />

L’ala sinistra cadde sulla 34° strada e fortunatamente non causò danni a<br />

persone; le bombole d’ossigeno vennero scagliate nel centro <strong>del</strong> palazzo dove<br />

innescarono un incendio, inoltre i vapori tossici <strong>del</strong>l’incendio <strong>del</strong> carburante<br />

affumicarono la terrazza <strong>del</strong>l’86° piano.<br />

Bilancio <strong>del</strong>l'incidente: 3 morti (pilota, navigatore e passeggero), 1 ferito<br />

(Betty Lou) e 7 intossicati dal fumo; poteva essere una strage!<br />

L’inchiesta attribuì tutta la colpa al pilota, in realtà sia la torre di controllo<br />

di Newark che quella <strong>del</strong> La Guardia avevano la loro buona parte di responsabilità<br />

permettendo all’aereo di continuare a volare in una zona che era interdetta<br />

al traffico (quella a “sudest” <strong>del</strong>l’aeroporto): probabilmente informando il<br />

colonnello Smith che si trovava fuori zona costui avrebbe potuto rendersi conto<br />

<strong>del</strong> suo errore e quindi atterrare tranquillamente.


Enrico Bertasi,<br />

l’ultimo Signore<br />

<strong>del</strong> “Falco d’Italia”<br />

VINCENZO MARRONE E ROBERTO MANIERI<br />

In anni di lavoro ha restaurato la collezione Marzoli<br />

esposta nel castello di Brescia<br />

Modi gentili, grande maestria e modestia, ormai rara, sono i primi aspetti che<br />

colpiscono confrontandosi con il restauratore <strong>del</strong>la collezione di armi antiche<br />

bianche e da fuoco che costituiscono il Civico Museo <strong>del</strong>le armi Luigi Marzoli.<br />

Lo abbiamo incontrato ed intervistato nel suo laboratorio. Tra momenti di recupero<br />

storico, illustrazione di tecniche ormai dimenticate e saggi di grande<br />

capacità, abbiamo parlato di restauro, <strong>del</strong>la sua filosofia e <strong>del</strong> suo significato.<br />

L<br />

e mani di Enrico Bertasi, il restauratore <strong>del</strong>le armi antiche esposte presso<br />

il Civico Museo <strong>del</strong> castello di Brescia, hanno rimesso in vita tutti i pezzi<br />

<strong>del</strong>l’eccezionale collezione Marzoli. Questo museo, per importanza<br />

storica ed artistica, costituisce una <strong>del</strong>le strutture più considerate a livello mondiale<br />

e richiama presso le proprie sale numerosissimi studiosi da ogni parte <strong>del</strong><br />

mondo.<br />

Il restauratore, personalità eccezionale e tecnico di grande competenza e<br />

serietà, è la persona a cui, da diversi anni, l’amministrazione <strong>del</strong> fondo Luigi<br />

Marzoli ha assegnato l’incarico di provvedere al restauro ed ai piccoli interventi<br />

conservativi imposti dal materiale assolutamente originale esposto presso le sale<br />

o conservato nei depositi comunali.<br />

L’immediata sintesi <strong>del</strong>la lunga e sapiente pratica di artigiano riacconciatore<br />

di nitide forme che il tempo aveva sbozzato, storto, ammaccato o ossidato<br />

si spalanca subito davanti ai nostri occhi nella piccola officina ospitata nella sua<br />

abitazione situata in Castello quello che, nella storia, viene definito il “Falco<br />

d’Italia”.<br />

Bertasi, quando lo incontriamo per realizzare questo servizio per “EXA 96<br />

tabloid” ci mostra i pezzi a cui sta attualmente lavorando: un’armatura <strong>del</strong> ‘600<br />

e uno “sfondagiaco” tedeschi e l’ingegnoso acciarino di una pistola a due canne<br />

sovrapposte, anche quella <strong>del</strong> XVII secolo, funzionante con un sistema che permette<br />

alla seconda carica, contenuta nello sco<strong>del</strong>lino, di porsi immediatamente<br />

sotto il cane, una volta sparato il primo colpo.<br />

L’oggetto guizza nelle mani <strong>del</strong> nostro ospite e ci viene svelato il meccanismo.<br />

Sotto l’effetto di una molla reggispinta a lamina e ovviamente forgiata a<br />

mano dall’antico costruttore, il bacinetto <strong>del</strong>la canna inferiore si scopre per ef-<br />

55


56<br />

fetto <strong>del</strong>l’arretramento meccanico di quello superiore dopo che, ad arma sparata,<br />

si arretra il pesante cane che reca la pietra e si riposiziona la martellina. I due<br />

bacinetti alimentano la vampa che percorre due distinti foconi, garantendo così<br />

al nobile proprietario <strong>del</strong> bel “ferro” ben due colpi per difendersi dalle insidie<br />

<strong>del</strong>la strada o <strong>del</strong> rivale di corte. Ma la nostra attenzione viene rapita ora da un<br />

brandistocco, poi da una spada la cui fornitura ci ricorda una forma analoga di<br />

una spada tedesca da ufficiale <strong>del</strong>la guerra dei Trent’Anni <strong>del</strong> secolo XVII conservata<br />

a Stoccolma presso il Livrustkammaren ed infine da un’armatura che<br />

Enrico Bertasi svolge il proprio lavoro alle dipendenze <strong>del</strong> Comune di Brescia. Autentica<br />

personalità nell’ambito <strong>del</strong> restauro lega il proprio nome al restauro <strong>del</strong>le armi<br />

antiche <strong>del</strong>la collezione Marzoli


troneggia nel mezzo<br />

<strong>del</strong> laboratorio, i cui<br />

pezzi appaiono trattenuti<br />

per poche fibre da<br />

un cuoio cotto dagli<br />

anni e duramente corrotto<br />

dai lubrificanti<br />

versati sulle placche<br />

metalliche sagomate.<br />

“Quell’armatura<br />

non è un granché” ci<br />

dice Bertasi mentre<br />

stiamo lentamente<br />

scrutando il pezzo, “...<br />

lo si vede dall’interno<br />

e, soprattutto, dall’elmo<br />

che era uno dei<br />

manufatti più difficili<br />

su cui era chiamato a<br />

cimentarsi un artigiano<br />

<strong>del</strong>l’epoca”. Notiamo,<br />

infatti, che l’elmo<br />

di quell’antico uomo<br />

d’arme tedesco non è<br />

costituito da un pezzo<br />

unico, come dovrebbe<br />

essere, ma da due metà<br />

saldate sulla sommità.<br />

“Gli artigiani<br />

più bravi forgiavano<br />

l’elmo tutto intero,<br />

mantenendo spessori<br />

sottili o incrementandoli<br />

là dove si rendeva<br />

necessario per garantire<br />

la protezione o la<br />

comodità di chi doveva<br />

poi portarlo in battaglia”<br />

conferma Bertasi.<br />

Il maestro battitore<br />

partiva infatti da una<br />

lastra di metallo forgiato<br />

a più riprese e,<br />

secondo alcune scuole,<br />

fatto riposare in una<br />

lettiera di calce per<br />

qualche mese, trattamento<br />

a seguito <strong>del</strong><br />

57<br />

Armatura tedesca da campo. La conservazione di reperti di<br />

importanza storico-culturale quali le armi antiche comporta<br />

una serie di problematiche la cui risposta va ricercata ora<br />

nel supporto <strong>del</strong>la moderna chimica, ora nella grande esperienza<br />

e nella professionalità dei restauratori in grado di<br />

applicare le tecniche tradizionali


58<br />

quale la struttura acquistava particolari caratteristiche meccaniche (alcuni scavi<br />

seguiti da ritrovamenti hanno localizzato la zona attualmente occupata dalla ditta<br />

Uberti, a Zanano di Sarezzo, come una di quelle presso la quale giacevano i<br />

forgiati bolliti a “calcinare”) e quindi procedeva alla lavorazione di imbutitura e<br />

stiraggio vero e proprio avvalendosi <strong>del</strong> supporto di aiutanti di bottega addetti<br />

al mantice, alla staffa <strong>del</strong> maglio ed alla “botta” <strong>del</strong>la dima.<br />

I soli strumenti erano gli utensili sagomati, la fucina ed il martello, mentre<br />

i vari trucchi <strong>del</strong> mestiere erano i segreti di un’arte ormai definitivamente persa.<br />

Il metallo, durante la lavorazione veniva più volte riscaldato e fatto rinvenire<br />

per togliere alle lamiere l’effetto sfoglia <strong>del</strong>l’incrudimento superficiale operato<br />

dalla martellatura e l’opera continuava ininterrottamente sino a lavoro concluso.<br />

Nascevano allora i morioni tondi, a cresta o gli aguzzi realizzati integralmente<br />

da un’unica lamiera o prendevano forma e volute gli spallacci <strong>del</strong>le pesanti<br />

armature da campo o da giostra in spesso acciaio.<br />

Mentre Bertasi ci conferma tutto ciò, dai pochi oggetti che ci ha mostrato,<br />

abbiamo già capito lo stile che ispira il suo metodo di operare, di accostarsi a<br />

dei pezzi trasudanti storia, intaccati dal ferro <strong>del</strong>le battaglie e dallo schianto dei<br />

cavalli che travolgono fanterie composte da uomini spesso rozzi strappati alla<br />

Uno scorcio <strong>del</strong>la collezione Luigi Marzoli che costituisce il Civico Museo <strong>del</strong>le Armi di<br />

Brescia. Questo museo, famoso in tutto il mondo, è stato costituito in seguito ad un lascito<br />

legato al Comune di Brescia. La condizione che subordinava il passaggio di proprietà <strong>del</strong>la<br />

famiglia Marzoli al Comune era la costituzione di una struttura museale adeguata a disposizione<br />

<strong>del</strong>la cittadinanza e di tutti gli studiosi di oplologia e di storia


campagna o al rude lavoro <strong>del</strong>la montagna.<br />

Il modo di lavorare di Enrico non tende ad aggiungere ad armature, fucili<br />

o altri “reperti” storici pezzi nuovi che ne ripristino artificialmente lo splendore.<br />

Il suo obiettivo, in ogni lavoro, è riportare l’oggetto alle condizioni in cui<br />

il costruttore lo ha completato, effettuare cioè un restauro solamente conservativo<br />

che riesca, per quanto possibile, a trarre dal pezzo la sua luce originale.<br />

“Il maestro non sono io, ma l’artigiano che, secoli fa, ha forgiato e mo<strong>del</strong>lato<br />

l’arma. Insomma se la molla di un acciarino è rotta, si può provare a<br />

saldarla bollendola (ossia forgiandola e ottenendo la sua saldatura per brasatura<br />

al color bianco) ma non ritengo corretto sostituirla con una nuova”.<br />

La corruzione <strong>del</strong> tempo era evidente nell’immagine a lato: il restauro è stato qui preciso<br />

e materialmente ricostruttivo. La lama è stata saldata per mezzo di bollitura e quasi<br />

resa integra con riporto di metallo<br />

59


60<br />

Il rispetto per il lavoro di quei grandi e poveri maestri armaioli che Bertasi<br />

ha saputo infondere nella sua certosina opera lo si coglie, per intero, visitando il<br />

museo <strong>del</strong>le armi. Questa collezione Bresciana, al contrario di altre <strong>del</strong> suo genere,<br />

dà la suggestiva impressione che i singoli pezzi esposti ci trascinino indietro<br />

nel tempo.<br />

Ogni arma non sembra, infatti, “restaurata” ma solo ben conservata. Le<br />

bruniture originali, realizzate secondo le regole alchemiche <strong>del</strong>la fornace creativa<br />

e dei reagenti “magici”, magari ottenute unicamente lasciando bruciare sopra<br />

la lama, ben sgrassata e priva di segni, un falò di tralci e legni di vite, sono effettuate<br />

con lo stesso metodo adottato da Vincenzo Perugini, armaiolo in Nuvolera,<br />

quando vuole brunire di un bel blu Colt la braghetta di un acciarino. Sotto<br />

il velo di olio siliconico di protezione, l’opaca e fredda luce che emana ogni<br />

singolo reperto esposto, lascia la netta sensazione che coloro che cinque secoli<br />

fa indossavano o brandivano il pezzo siano ancora vivi e vegeti, in giro per il<br />

colle Cidneo su cui si erge incombente il castello.<br />

Crediamo sia difficile trattare in questo modo ciò che è antico e che dà<br />

l’impressione di essere irrimediabilmente perso, ma Bertasi anche di fronte alla<br />

situazione apparentemente più disperata, mai si è dato per vinto. “La soluzione<br />

è una sola: olio di gomito... e qualche piccolo trucco che non desidero svelare<br />

perché nessuno si possa permettere di fregiarsi <strong>del</strong> titolo spesso abusato di e-<br />

Brunitura, agemina e incisione: niente male come difficoltà. L’arma, un fucile da tiro<br />

ad avancarica, era assolutamente ossidata e dopo settimane di lavoro ecco il risultato.<br />

Per i più curiosi quello <strong>del</strong>l’immagine è un finto luminello e <strong>del</strong> resto sono assenti qui<br />

cane e batteria. La sua presenza si giustifica solo per disporre di una simmetria generale.<br />

L’incisione riporta la storia di Guglielmo Tell


sperto e danneggiare così pezzi magari rari”. E in effetti crediamo che un piccolo<br />

o grande o quantomeno ingegnoso trucco ci vuole quando, è lui stesso a<br />

dircelo, si trovano situazioni molto compromesse in cui sono mescolati insieme<br />

ossido, doratura, agemina e brunitura.<br />

Il restauratore è chiamato a rimuovere l’ossidazione sanando le superfici,<br />

senza compromettere gli strati superficiali <strong>del</strong>la brunitura, lasciando inalterate<br />

le parti rimesse in oro. Gli aggressivi suggeriti dalla chimica moderna si scontrano<br />

con lo spirito e la tecnica di Bertasi. E sugli scaffali appaiono flaconi di<br />

alcool a 94°, gli oli minerali più strani, un piccolo flacone di acetone, resine<br />

dalle essenze esotiche dimenticate nelle scaffalature dei colorifici di un tempo e<br />

tanti, veramente tanti intrugli fatti di soluzioni, emulsioni e depositi di ossidi e<br />

terre decantate negli anni. Bertasi ci mostra allora il pezzo che gli ha dato la più<br />

grande soddisfazione di artigiano restauratore: è una spada dall’impugnatura<br />

costituita da una miriade di fili d’oro intrecciati. Fu trovata nel greto di un torrente<br />

a Pizzighettone, in condizioni ovviamente pietose, come mostrano le foto<br />

<strong>del</strong> servizio. Ciò che Bertasi è riuscito a trarre da quel pezzo di metallo informe<br />

è veramente incredibile.<br />

La sua abilità sembra diretto retaggio di quei rinomati artigiani bresciani<br />

che hanno seminato per tutta l’Europa migliaia di armature, spade, fucili, elmi,<br />

pistole, corazze. Uno di questi capolavori bresciani compare su molti libri di<br />

storia: è l’armatura di Re Luigi XIV, il “Re Sole”.<br />

Guardiamo l’elsa rigirandola tra le mani, stringiamo il pomolo e avvertiamo<br />

il contatto con il metallo freddo, il dito scorre sul filo <strong>del</strong>la lama ancora abbozzato<br />

nonostante l’erosione tipica di un’arma da scavo. Un tempo, spada alla<br />

mano un uomo ha affrontato degli avversari con quella lama e con essa nel pugno<br />

è caduto, ferito, sentendosi lambire il corpo dalle fredde acque <strong>del</strong>la roggia.<br />

Ora la spada è li, memoria salvata dalla corruzione <strong>del</strong> tempo, a ricordarci la<br />

nostra storia e gli innumerevoli episodi che l’hanno costellata, episodi di piccoli<br />

e decisi uomini che indossavano protezioni di metallo e deprecavano l’uso <strong>del</strong>le<br />

prime armi da fuoco perché toglievano il diritto, ed il privilegio, <strong>del</strong>la lotta a<br />

contatto diretto, ad armi pari.<br />

Erano altri tempi e la spada tra le nostre mani lo conferma. Brescia viveva<br />

di una fama diffusa in tutta Europa, anche perché, quanto usciva dalle officine<br />

Bresciane e, soprattutto, Gardonesi non erano solo armature per nobili. La Serenissima,<br />

infatti, affidò per secoli a Brescia, il ruolo di arsenale <strong>del</strong>le sue armate.<br />

Questo richiamo a Venezia ci dà l’occasione per parlare <strong>del</strong>le famose<br />

“canne” Gardonesi che non scoppiavano mai tra le mani di chi le usava.<br />

“Sinceramente non ho ancora capito in cosa consistesse l’oggettiva superiorità<br />

dei fucili costruiti a Gardone. Per me avevano scoperto un trattamento<br />

termico che evitava il collasso <strong>del</strong>la canna. È un segreto che è rimasto sepolto<br />

nel tempo come quello <strong>del</strong> sistema di brunitura che ancora oggi non si riesce a<br />

riprodurre nelle sue gradazioni”.<br />

Bertasi sembra accennare a questo insondabile segreto dei gardonesi, quasi<br />

con una punta di rammarico, come se avesse provato chissà quante volte a<br />

carpire quel segreto senza riuscirvi. “Una cosa è certa” continua Enrico “la<br />

61


62<br />

quantità di sali e bran<strong>del</strong>li di resine naturali che rilevo nelle pieghe <strong>del</strong>le armature,<br />

dimostra che gli antichi uomini d’arme non dovevano certo essere inclini<br />

all’amore per l’igiene personale. Si versavano infatti sugli abiti quantità<br />

notevoli di soluzioni deodoranti perché le imbottiture <strong>del</strong>le armature assorbivano<br />

e raccoglievano la sudorazione, lo sporco, il fango e, durante la caccia, il<br />

sangue <strong>del</strong>le prede quando, naturalmente, non era quello <strong>del</strong> malcapitato avversario<br />

o il proprio. Quando procedo alla pulitura <strong>del</strong>le armature sciolgo<br />

spesso le incrostazioni lasciate dalle resine profumate e l’aroma si sparge in<br />

tutto il laboratorio. Se la mia ricerca non fosse mirata a rimuovere i sali di acido<br />

presenti nelle pieghe <strong>del</strong> metallo per impedire che la loro riattivazione corrompa<br />

le superfici, questo fatto potrebbe essere degno di uno studio specifico”.<br />

L’ultima tappa di questo nostro colloquio con il restauratore <strong>del</strong> Museo<br />

<strong>del</strong>le Armi è costituita dai cannoni, le colubrine, le bombarde e le spingarde che<br />

sono ospitate numerose nelle stanze <strong>del</strong> museo e che ancora sono perfettamente<br />

funzionanti ed in grado di sopportare una carica di polvere. È una coda <strong>del</strong>la<br />

nostra conversazione che ci dà modo di capire da dove provenissero quelle improvvise<br />

esplosioni che, a volte, hanno lasciato attonita la città che guardando<br />

verso il castello si chiedeva se, per caso, fosse ritornato il generale Heynau, la<br />

“iena” <strong>del</strong>le dieci giornate. Bertasi ha prestato la propria collaborazione per girare<br />

alcune scene di un cortometraggio prodotto dalla Camera di Commercio di<br />

Brescia e dal Consorzio Armaioli Bresciani sul tema <strong>del</strong>la costruzione <strong>del</strong>le armi.<br />

Una scena vede una vecchia artiglieria deflagrare tra fumi, lapilli e sbuffi<br />

una piccola quantità di polvere nera. La palla non c’era, ma l’effetto di realismo<br />

è stato assicurato.<br />

Ormai è sera avanzata, ci congediamo dall’amico Bertasi e ci avviamo<br />

verso il portone <strong>del</strong> castello. La notte è fredda e cupa, scendiamo la breve rampa<br />

che introduce alla portella, un tempo custodita dal corpo di guardia.<br />

Lungo la ripida parete <strong>del</strong>lo spalto alla nostra sinistra, un’ombra lunga disegna<br />

una sagoma contratta nella quale riconosciamo gli spallacci. La scorgiamo<br />

minacciosa, incombente, quasi diabolicamente protesa verso di noi.<br />

Poi Bertasi spegne la luce <strong>del</strong> laboratorio e la sagoma <strong>del</strong>la vecchia armatura<br />

cessa di stagliarsi contro l’incandescenza <strong>del</strong>la forte lampada <strong>del</strong> banco e<br />

l’ombra svanisce nell’oscurità.<br />

Forse quel giorno a Pizzighettone era il tramonto.<br />

Ci aggiustiamo i cappotti e nel nostro silenzio ci convinciamo che è solo<br />

suggestione. Per un momento però, in noi, l’uomo è tornato. Lo abbiamo fatto<br />

brevemente rivivere. La spada dall’impugnatura d’oro ancora brandita nel pugno.<br />

Grazie, Bertasi, ora siamo certi di aver capito.<br />

_________________<br />

L’articolo è stato riprodotto per gentile concessione degli autori.


Baionette Italiane<br />

GIANRODOLFO ROTASSO<br />

Baionetta mod. 1814 per fucili da fanteria<br />

<strong>del</strong> Regno di Sardegna e Regno d’Italia.<br />

Questa baionetta, con lama a sezione triangolare a lati sgusciati e manicotto<br />

a spacco con ghiera di fissaggio, deriva dal famoso mod. 1777 - Anno<br />

IX francese.<br />

Il sistema di innesto di quest’arma <strong>del</strong>l’età napoleonica fu adottato durante<br />

la Restaurazione dalla maggior parte degli eserciti europei e lo si ritroverà<br />

ancora impiegato su baionette <strong>del</strong> nostro secolo.<br />

Gli eserciti degli Stati preunitari italiani ed in particolare <strong>del</strong> Regno di<br />

Sardegna, di cui il Piemonte fece parte integrale <strong>del</strong>l’Impero, conservarono<br />

questo tipo di baionetta fino all’Unità d’Italia. In seguito il Regio Esercito la<br />

utilizzò fino alla completa distribuzione <strong>del</strong>la «sciabola-baionetta» <strong>del</strong> fucile<br />

Vetterli.<br />

Il mo<strong>del</strong>lo adottato nel 1814 per la fanteria <strong>del</strong>l’Armata Sarda è simile a<br />

quello francese che durante l’Impero veniva costruito dalla «Manifattura Imperiale<br />

di Torino». La stessa baionetta fu adottata per i moschetti d’artiglieria<br />

(fino al 1844) e da minatori e, con lama leggermente più lunga (mm. 514) fu<br />

inastata anche sui moschetti da RR.CC. a piedi.<br />

Il fodero era in cuoio annerito con puntale in ferro o in ottone e con cinturino<br />

per il fissaggio alla tasca <strong>del</strong> budriere (alla francese). In seguito, munito<br />

di cappa con bottone e poi con gancio in ferro e cinturino, veniva portato in una<br />

apposita “camera” <strong>del</strong>la tasca (1864).<br />

- Lunghezza totale <strong>del</strong>la baionetta: 528 mm<br />

- Lunghezza <strong>del</strong>la lama: 460 mm<br />

- Lunghezza <strong>del</strong> manicotto: 67 mm<br />

- Diametro interno <strong>del</strong> manicotto: 22 mm<br />

- Peso <strong>del</strong>la baionetta: 300 gr<br />

- Peso <strong>del</strong> fodero: 155 gr<br />

(le dimensioni sono soggette a tolleranze).<br />

63


64<br />

Sciabola-baionetta da Bersaglieri<br />

<strong>del</strong> Regno di Sardegna e Regno d’Italia.<br />

L’adozione <strong>del</strong>la carabina a canna rigata per questo particolare Corpo,<br />

fondato da La Marmora, comportò anche l’adozione di una baionetta, denominata<br />

«sciabola-baionetta», con lama a filo e punta da poter essere usata, disinastata,<br />

come «daga».<br />

Il primo mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> 1836, <strong>del</strong> quale non si conoscono esemplari (come,<br />

<strong>del</strong> resto, non è nota nemmeno la carabina), non ebbe successo, in quanto, da<br />

come risulta da una relazione <strong>del</strong>l’epoca, aveva l’impugnatura piuttosto debole.<br />

Nel 1839, con l’adozione di una nuova carabina simile agli Jägerbüchse<br />

degli Stati tedeschi, venne adottata una baionetta di mo<strong>del</strong>lo prussiano<br />

(Hirschfämger mod. 1809). Questa nuova sciabola-baionetta aveva la lama<br />

dritta ad un filo, punta e breve falso filo, e impugnatura in ottone a lungo incastro<br />

laterale a “T”, con molla a dente d’arresto per il fissaggio alla braga <strong>del</strong>la<br />

canna <strong>del</strong>la carabina.<br />

Il fodero era in cuoio annerito con cappa e puntale in ottone.<br />

Questo mo<strong>del</strong>lo fu mantenuto anche con le successive carabine, ossia le<br />

mod. 1844, 1848 e 1856. Queste ultime, inoltre, trasformate a retrocarica nel<br />

1867 con il sistema «Carcano», mantennero la stessa baionetta fino alla totale<br />

sostituzione avvenuta con le armi sistema «Vetterli».<br />

- Lunghezza totale <strong>del</strong>la baionetta: 606 mm<br />

- Lunghezza <strong>del</strong>la lama: 470 mm<br />

- Lunghezza <strong>del</strong>la lama al tallone: 30 mm<br />

- Peso <strong>del</strong>la baionetta: 870 gr<br />

- Peso <strong>del</strong> fodero: 180 gr


Sciabola-baionetta d’Artiglieria<br />

<strong>del</strong> Regno di Sardegna e Regno d’Italia<br />

In seguito all’adozione <strong>del</strong>la sciabola-baionetta per i Bersaglieri, anche agli<br />

Artiglieri venne data una baionetta immanicata, eliminando in tal modo la baionetta<br />

da Fanteria mod. 1814 e la daga mod. 1833.<br />

Questa baionetta, a lama diritta a doppio filo, simile alla vecchia daga<br />

(1833), venne adottata nel 1843 con la denominazione di “sciabola-baionetta” e<br />

fu inastata sul moschetto “ridotto” adottato l’anno successivo come mod. 1844.<br />

L’impugnatura era in ottone intagliato a lungo incastro laterale a “T”, con<br />

molla a dente d’arresto per il fissaggio alla braga <strong>del</strong>la canna <strong>del</strong> moschetto.<br />

Il fodero era in cuoio annerito con cappa e puntale in ottone.<br />

- Lunghezza totale <strong>del</strong>la baionetta: 590 mm<br />

- Lunghezza <strong>del</strong>la lama: 455 mm<br />

- Larghezza <strong>del</strong>la lama al tallone: 30 mm<br />

- Peso <strong>del</strong>la baionetta: 720 gr<br />

- Peso <strong>del</strong> fodero: 180 gr<br />

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66<br />

Sciabola-baionetta per<br />

armi Remington <strong>del</strong> Regno d’Italia<br />

Si tratta di una baionetta di tipologia francese, usata per i fucili Chassepot<br />

mod. 1866, adottata anche dallo Stato <strong>del</strong>la Chiesa per i fucili e carabine Remington<br />

sistema «Rolling-Block».<br />

Aveva una lunga lama a “jatagan” con grande sguscio fino al falso filo.<br />

L’impugnatura era in ottone intagliato con incastro a “T” sul dorso e con piolo<br />

a dente d’arresto, per il fissaggio all’arma da fuoco, azionato da una molla a<br />

lamina. La crociera era in acciaio e recava l’anello con vite di regolazione e un<br />

grande gancio per il fascio d’armi.<br />

Il fodero era in cuoio <strong>del</strong> tipo piemontese in sostituzione di quello in lamiera<br />

di ferro, ex pontificio, con cappa e puntale in ottone.<br />

Le armi Remington mod. 1868, in dotazione all’esercito pontificio all’epoca<br />

<strong>del</strong>la presa di Roma, furono distribuite ai Bersaglieri nel 1871.<br />

- Lunghezza totale <strong>del</strong>la baionetta: 690 mm<br />

- Lunghezza <strong>del</strong>la lama: 568 mm<br />

- Larghezza <strong>del</strong>la lama al tallone: 29 mm<br />

- Diametro interno <strong>del</strong>l’anello di crociera: 17,5 mm<br />

- Peso <strong>del</strong>la baionetta: 680 gr<br />

- Peso <strong>del</strong> fodero: 200 gr


Sciabola-baionetta mod. 1870<br />

Primo tipo (denominata “Tipo E”<br />

dal 1874)<br />

Fu la prima baionetta costruita ex novo per l’esercito <strong>del</strong> Regno d’Italia.<br />

Aveva una lunga lama diritta ad un filo, punta e falso filo con grande sguscio<br />

fino al debole ed il suo asse era leggermente spostato rispetto a quello <strong>del</strong>l’impugnatura.<br />

L’impugnatura, in ottone, manteneva la sagoma <strong>del</strong>le baionette dei Remington<br />

pontifici ed anche l’anello <strong>del</strong>la crociera aveva la vite di regolazione, mentre<br />

il gancio, di disegno diverso, recava all’inizio un piccolo sperone. Il fornimento<br />

era trattenuto alla lama da un bottone avvitato al codolo.<br />

Il fodero era in cuoio annerito con cappa e puntale in ottone di tipico gusto<br />

piemontese.<br />

- Lunghezza totale <strong>del</strong>la baionetta: 690 mm<br />

- Lunghezza <strong>del</strong>la lama: 565 mm<br />

- Larghezza <strong>del</strong>la lama al tallone: 27 mm<br />

- Diametro interno <strong>del</strong>l’anello di crociera: 17,5 mm<br />

- Peso <strong>del</strong>la baionetta: 750 gr<br />

- Peso <strong>del</strong> fodero: 205 gr<br />

Secondo tipo (denominata “Tipo D”<br />

dal 1874)<br />

Era simile al primo tipo, ma con lama più corta di 45 mm.<br />

Le lame <strong>del</strong> primo tipo accorciate si riconoscevano dallo sguscio più lungo.<br />

Il fodero ebbe dal 1875 la cappa munita di bocchetta di acciaio con linguette.<br />

- Lunghezza totale <strong>del</strong>la baionetta: 645 mm<br />

- Lunghezza <strong>del</strong>la lama: 520 mm<br />

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68<br />

Sciabola-baionetta mod. 1870 adottata nel 1874<br />

(denominata “tipo U” dal 1891)<br />

Manteneva la stessa lama <strong>del</strong> “tipo D”, mentre il fornimento era di nuovo<br />

disegno.<br />

L’impugnatura, composta da un cappuccio di ferro o di ghisa fisso alla lama,<br />

aveva le guance di corno o di ebanite trattenute da due viti passanti; la vite<br />

verso il cappuccio fermava anche la corta molla che azionava il piolo a dente<br />

d’arresto.<br />

La crociera aveva l’anello senza la vite di regolazione ed il gancio non presentava<br />

più il piccolo sperone.<br />

- Lunghezza totale <strong>del</strong>la baionetta: 645 mm<br />

- Lunghezza <strong>del</strong>la lama: 520 mm<br />

- Larghezza <strong>del</strong>la lama al tallone: 27 mm<br />

- Diametro interno <strong>del</strong>l’anello di crociera: 17,5 mm<br />

- Peso <strong>del</strong>la baionetta: 550 gr<br />

- Peso <strong>del</strong> fodero: 195 gr


Sciabola-baionetta mod. 1870<br />

adottata nel 1879<br />

(denominata “tipo Z” dal 1891)<br />

Era simile alla sciabola-baionetta <strong>del</strong> “Tipo U”, dalla quale differiva per<br />

avere il fornimento amovibile, trattenuto alla lama da un bottone avvitato al<br />

codolo.<br />

Le guance erano in ebanite nera.<br />

- Lunghezza totale <strong>del</strong>la baionetta: 645 mm<br />

- Lunghezza <strong>del</strong>la lama: 520 mm<br />

- Larghezza <strong>del</strong>la lama al tallone: 27 mm<br />

- Diametro interno <strong>del</strong>l’anello di crociera: 17,5 mm<br />

- Peso <strong>del</strong>la baionetta: 550 gr<br />

- Peso <strong>del</strong> fodero: 195 gr<br />

69


70<br />

Sciabola-baionetta mod. 1870<br />

(Tipo regolamentare dal 1879)<br />

Era simile alla sciabola-baionetta <strong>del</strong> “Tipo Z”, dalla quale differiva principalmente<br />

per avere la molla <strong>del</strong> piolo più lunga e tenuta ferma dalla seconda<br />

vite <strong>del</strong>le guance.<br />

Il fodero era di nuovo disegno con cappa e puntale in ottone ed anche in<br />

ferro.<br />

- Lunghezza totale <strong>del</strong>la baionetta: 645 mm<br />

- Lunghezza <strong>del</strong>la lama: 520 mm<br />

- Larghezza <strong>del</strong>la lama al tallone: 27 mm<br />

- Diametro interno <strong>del</strong>l’anello di crociera: 17,5 mm<br />

- Peso <strong>del</strong>la baionetta: 550 gr<br />

- Peso <strong>del</strong> fodero: 180 gr


<strong>Circolo</strong> <strong>Culturale</strong> “<strong>Armigeri</strong> <strong>del</strong> <strong>Piave</strong>”<br />

Sommario <strong>del</strong>le pubblicazioni<br />

edite<br />

a partire dal 1997<br />

SAGGI DI OPLOLOGIA<br />

G. Rotasso, Le armi nei secoli <strong>del</strong> Rinascimento, pp. 5-26 - V. Posio, Le armature<br />

<strong>del</strong>le Grazie, pp. 27-38 - P. Pinti, Artiglierie veneziane a Nauplia, pp. 39-<br />

76 - G. Ricci Curbastro, I Rosaglio, pp. 77-86 - C. Calamandrei, Per Ascari d’-<br />

Africa, pp. 87-94 - S. Zannol, Il munizionamento <strong>del</strong> ‘91, pp. 95-128 - S. Coccia,<br />

I Guastatori <strong>del</strong> Genio Alpino, pp. 129-150.<br />

QUADERNI DI OPLOLOGIA<br />

N. 1 - 1995<br />

P. Pinti, Armi e misure, pp. 3-7 - M. Gasparini, Mistel (ovvero le bombe più costose<br />

<strong>del</strong>la seconda guerra mondiale), pp. 8-10 - N. Ciampitti, L’Ordinanza<br />

italiana Bodeo 1889, pp. 11-15 - M. Gasparini, Cannoni imbarcati, pp. 16-22 -<br />

F. Gasparini, Il coltello da combattimento tedesco <strong>del</strong>la IIª guerra mondiale,<br />

pp. 23-26 - N. Ciampitti, Pistola a rotazione Tettoni mod. 1916, pp. 27-30 - G.<br />

Rotasso, L’armamento individuale dagli eserciti preunitari all’esercito italiano<br />

<strong>del</strong>la Repubblica, pp. 31-59.<br />

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