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10<br />

IN PRIMO PIANO SETTEMBRE 2011<br />

del nostro futuro”. In Italia, infatti, 4<br />

giovani su 10 (indagine Eurobarometro)<br />

pensano che l’istruzione universitaria<br />

non sia necessaria. è il dato più<br />

alto di tutta Europa. La media di giovani<br />

europei è del 20%, ma tedeschi,<br />

cechi e olandesi - giusto per citarne alcuni<br />

- vogliono fare l’università. Tutti.<br />

Tra l’altro non è detto che chi non studia<br />

vada immediatamente a lavorare<br />

(anche perché di lavoro, per i giovani,<br />

non ce n’è: l’Italia ha anche la maglia<br />

nera europea per disoccupazione giovanile<br />

che nel primo trimestre del<br />

2011 è arrivata al 29,6%, con un picco<br />

del 46,1% per le donne del Mezzogiorno).<br />

L’Istat ha anche calcolato che in<br />

Italia ci sono più di due milioni (pari<br />

al 21% dell’intera popolazione giovanile)<br />

di Neet, acronimo inglese che sta<br />

per Non in Education, Employment or<br />

Training. Giovani al palo, insomma,<br />

che non lavorano, non fanno l’univer-<br />

La laurea? Si eredita. È un fenomeno che gli esperti chiamano<br />

“ascensore sociale bloccato”, e che fa sì che la classe della famiglia<br />

di origine influenzi decisamente il futuro culturale e<br />

professionale dei giovani. Tra gli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso<br />

l’ascensore era decisamente ripartito e in una famiglia di<br />

umili origini poteva spuntare un laureato. Oggi questo accade<br />

molto meno o non accade affatto. Perché sempre più spesso la<br />

scelta dell’università è legata al reddito familiare disponibile.<br />

Secondo dati Eurostat la media dei laureati italiani (tra 25 e<br />

34 anni) è del 19%. Ma il tasso schizza al 60% se passiamo a<br />

famiglie in cui i genitori sono in possesso della laurea. In buona<br />

sostanza, in Italia, i figli dei cittadini più istruiti hanno una<br />

probabilità sette volte superiore di raggiungere la laurea rispetto<br />

ai coetanei che vivono in contesti più deprivati.<br />

Non solo. Secondo lo studio di Almalaurea che citiamo in queste<br />

pagine, infatti, fra i laureati di estrazione borghese sono<br />

più frequenti le lauree in medicina (9% contro il 3% dei figli di<br />

genitori operai) e giurisprudenza (15% contro 11%). A cinque<br />

anni dal conseguimento del titolo, sono significativi anche i<br />

differenziali occupazionali: più alta la quota di occupati tra i<br />

laureati delle famiglie borghesi (83% contro l’80% delle fami-<br />

sità, né seguono attività formative.<br />

Gente in attesa di un futuro che forse<br />

non arriverà.<br />

La laurea che non paga<br />

Oggi non si fa l’università, forse, soprattutto<br />

per questo: perché il lavoro<br />

non c’è, né prima, né dopo l’università.<br />

“In Italia – ha spiegato il direttore generale<br />

del Censis Giuseppe Roma,<br />

nel corso di una audizione alla commissione<br />

lavoro – la laurea non paga. I<br />

nostri laureati lavorano meno di chi<br />

ha un diploma, meno dei laureati degli<br />

altri paesi europei”. Qualche dato: in<br />

Italia trova un’occupazione il 66,9%<br />

dei laureati di 25-34 anni, contro una<br />

media europea dell’84%.<br />

Anche secondo il XIII Rapporto Almalaurea<br />

sulla condizione occupazionale<br />

dei laureati (laureati 2009 intervistati<br />

nel 2010 e laureati del 2007<br />

intervistati a tre anni dalla laurea),<br />

Di padre in figlio<br />

QUANDO LE LAUREA SI EREDITA<br />

non sono pochi i campanelli d’allarme.<br />

Aumenta ulteriormente la disoccupazione<br />

fra i laureati triennali (dal<br />

15 al 16% a un anno dal conseguimento<br />

del titolo) e più si studia, meno si<br />

lavora: per i laureati specialistici la disoccupazione<br />

sale al 18%. Con alcune<br />

significative differenze, però. Sempre<br />

secondo Almalaurea, alcuni (pochi)<br />

percorsi di studio assicurano un lavoro<br />

a un anno dalla laurea: medicina al<br />

98%, architettura all’86%, ingegneria<br />

all’84%, economia-statistica all’86%.<br />

Inoltre i guadagni dei dottori perdono<br />

peso. Lo stipendio dei laureati brevi è<br />

sceso in questi anni del 5%. Quello degli<br />

specializzati del 10%.<br />

Altro elemento di preoccupazione è<br />

l’aumento del lavoro atipico e la robusta<br />

crescita del lavoro nero. “Con una<br />

disoccupazione giovanile spaventosa<br />

– spiega Roberto Nicoletti, prorettore<br />

agli studenti dell’Università di Bo-<br />

glie operaie); inoltre, sempre a cinque anni dalla laurea, tra i<br />

laureati d’estrazione borghese il guadagno mensile netto è di<br />

circa 200 euro in più dei “colleghi” d’origine operaia.<br />

Ancora più paradossale lo stretto legame che si istituisce tra<br />

la laurea del padre e quella del figlio (maschio), ma solo in alcune<br />

discipline. Il 43% dei padri ingegneri ha un figlio laureato<br />

in ingegneria; così come il 42,7% di quelli laureati in giurisprudenza.<br />

Il 32,3% dei padri economisti indirizza il figlio verso la<br />

stessa laurea, così come il 31% dei medici. Cosa si dovrebbe<br />

fare per dare pari opportunità a tutti, eliminando quelle condizioni<br />

di svantaggio che impediscono uguali carriere? “Esiste<br />

certamente un problema di ordini professionali – spiega il prorettore<br />

di Bologna Nicoletti – al cui interno si tramanda la professione<br />

di padre in figlio. Poi è chiaro che oggi l’università ha<br />

meno risorse e dunque riesce a intervenire solo minimamente<br />

nei confronti degli studenti meritevoli in condizione di svantaggio<br />

economico. Noi ci proviamo, cerchiamo di dare un segnale<br />

importante alle famiglie, ma è poco più che una goccia<br />

nel mare”. Per la cronaca, l’Università di Bologna, dopo Bari, è<br />

l’università meno costosa d’Italia e anche quest’anno non ha<br />

aumentato le rette.

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