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consumatori<br />

A Ferrara ricerche di frontiera<br />

Uno degli obiettivi attuali della<br />

ricerca biomedica è di ripristinare<br />

organi o tessuti alterati<br />

inducendone la rigenerazione a parte<br />

dell’organismo. Tale obiettivo sta per<br />

concretizzarsi grazie a una nuova materia<br />

multidisciplinare: l’ingegneria<br />

dei tessuti. Essa costituisce la sintesi<br />

delle conoscenze nei campi della biologia<br />

molecolare e cellulare, dell’istologia,<br />

delle tecnologie biomediche e<br />

dei biomateriali, ponendosi come un<br />

settore di frontiera delle scienze biomediche.<br />

Per alcuni tessuti, come ad esempio<br />

la pelle, sono già disponibili materiali<br />

innovativi, denominati biomateriali,<br />

che “risvegliano” le giuste cellule nel<br />

paziente, favoriscono la rigenerazione<br />

del tessuto che temporaneamente<br />

vengono chiamati a sostituire. In<br />

questo contesto risulta evidente che<br />

i biomateriali devono consentire la<br />

mobilitazione e l’aumento del numero<br />

delle cellule, ma nello stesso tempo<br />

non devono influenzare le caratteristiche<br />

naturali delle cellule stesse. La<br />

valutazione di questo ultimo parame-<br />

ottobre 2006<br />

vivere bene<br />

tro per i biomateriali di nuova sintesi<br />

è l’elemento determinante per il loro<br />

eventuale impiego umano. Tale valutazione<br />

riveste un’importanza ancora<br />

maggiore per quei tessuti altamente<br />

organizzati e specializzati, come ad<br />

esempio il tessuto osseo. Le caratteristiche<br />

di resistenza, stabilità ed elasticità<br />

dell’osso sono infatti garantite<br />

da una precisa e coordinata azione di<br />

due popolazioni di cellule ossee. Gli<br />

osteoblasti sono i responsabili della<br />

produzione di matrice ossea, mentre<br />

gli osteoclasti assicurano l’eliminazione<br />

delle porzioni di osso non più<br />

correttamente funzionanti. L’utilizzo<br />

di protesi di vario tipo è ormai prassi<br />

consolidata da numerosi anni in<br />

ambito ortopedico, ma fino ad ora la<br />

scelta di materiali protesici si è basata<br />

soltanto sulla loro tollerabilità,<br />

vale a dire sulla mancanza di reazioni<br />

infiammatorie o di effetti tossici. Di<br />

conseguenza, il buon esito di tali interventi<br />

non è assolutamente prevedibile,<br />

dipendendo unicamente dalla<br />

risposta soggettiva del paziente. Fino<br />

ad oggi l’unica metodologia per tale<br />

46<br />

caratterizzazione era rappresentata<br />

dall’utilizzo di animali da laboratorio.<br />

Era necessario indurre delle fratture<br />

traumatiche estese, che venivano poi<br />

trattate con il biomateriale in esame.<br />

Dopo un certo tempo si andava a verificare<br />

in questi animali la quantità e la<br />

qualità del tessuto osseo di nuova formazione.<br />

I problemi etici, le difficoltà<br />

di gestione, i tempi di realizzazione<br />

ed i costi di una siffatta procedura<br />

sono facilmente immaginabili. Grazie<br />

alle metodologie del DNA ricombinate<br />

e all’ingegneria genetica, nel laboratorio<br />

del professor Mauro Tognon<br />

dell’Università degli Studi di Ferrara,<br />

il gruppo di ricerca coordinato dalla<br />

dottoressa Cristiana Morelli ha sviluppato<br />

e brevettato un sistema cellulare<br />

in grado di aggirare la necessità<br />

dell’impiego di animali da laboratorio<br />

in questa fase della sperimentazione.<br />

I ricercatori ferraresi hanno coltivato<br />

e modificato geneticamente delle cellule<br />

ossee umane, inserendo nel loro<br />

patrimonio genetico una porzione<br />

di DNA proveniente da una medusa,<br />

l’Aequorea victoria. Questa medusa<br />

attira le sue prede brillando nel buio<br />

sottomarino grazie alla produzione<br />

di una proteina fluorescente verde.<br />

La porzione di DNA necessaria per la<br />

produzione di questa proteina è stata<br />

appunto inserita nelle cellule umane,<br />

rendendole fluorescenti. Una serie<br />

estremamente dettagliata di esperimenti<br />

molecolari su queste cellule<br />

ibride ha dimostrato che la presenza<br />

della proteina fluorescente non ha<br />

minimamente alterato le caratteristiche<br />

ossee delle cellule umane. Le<br />

cellule ingegnerizzate mantengono<br />

dunque la capacità di formare tessuto<br />

osseo esattamente come succede<br />

nell’organismo umano, ed inoltre<br />

sono facilmente riconoscibili, grazie<br />

alla produzione della proteina fluore-

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