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Comunicare fisica.07 - proceedings alta risoluzione

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visto come laboratorio estremo, per mettere alla prova le leggi fisiche in condizioni non riproducibili sulla<br />

Terra. Si riconosce in questo lessico il ruolo di una metafora istituzionale, che sul piano narrativo corrisponde<br />

all’“invenzione” dell’astrofisica o almeno al tentativo di darne una definizione, soprattutto riguardo all’immagine<br />

degli enti e alla professionalità degli scienziati 3 . La necessità è chiara: serve a dare un taglio attuale all’attività di<br />

ricerca rispetto all’astronomia romantica del passato, e a distinguere la figura dell’astrofisico –ancora assai vaga<br />

nella percezione del pubblico 4 – da quella dell’astronomo, imperniata sullo stereotipo galileiano. La scoperta<br />

della doppia pulsar PSR J0737-3039 nel 2003 fu un caso emblematico nell’uso della metafora del laboratorio,<br />

in quel caso particolarmente appropriata sul piano scientifico, tanto che gli uffici stampa degli enti scopritori<br />

sottolinearono con enfasi proprio questo aspetto nei loro comunicati 5,6 .<br />

4 Lo scienziato è pazzo?<br />

Il tentativo di rinchiudere di nuovo l’astrofisico in laboratorio è anche quello di superare l’icona dello scienziato<br />

pazzo, nipote televisivo del filosofo naturale rinascimentale, ritenendo che renderla asettica nel suo nuovo<br />

camice bianco le conferisca maggiore credibilità. Si preferisce es<strong>alta</strong>re l’affidabilità meticolosa del ricercatore<br />

alla sua estrosità, con il risultato di dover poi correre ai ripari con iniziative quali la –Notte Europea della<br />

Ricerca 7 – che puntano tutto sulla riscoperta di un’umanità nascosta dello scienziato. Così finiscono per<br />

esprimere soprattutto il senso di disperazione che la comunità scientifica vive nei confronti della società,<br />

essendosi ridotta a dover dimostrare che anche i ricercatori sono esseri umani, e possibilmente sanno anche<br />

ballare.<br />

5 Conflitto di disinteressi<br />

Ma non bisogna dimenticare che la scelta del laboratorio come nuova metafora per l’universo ha conseguenze<br />

forti quando raggiunge il pubblico. Pubblici diversi richiedono linguaggi diversi: il valore di un universo inteso<br />

come laboratorio varia notevolmente da un pubblico di esperti a uno di non esperti. Perciò si può dire che il<br />

laboratorio è una buona metafora interna (“inreach”), valida tra colleghi, ma per l’outreach diventa un incubo.<br />

Su questo snodo della comunicazione si pongono evidenti problemi di rapporto col target: il pubblico pensa<br />

che l’astronomo sappia tutto del cielo, ma gli astronomi il cielo non lo conoscono. Conoscono l’universo il loro<br />

laboratorio. Da qui la trita frustrazione dello scienziato che non sa rispondere se non con l’ultima delle pulsar a<br />

chi ancora gli domanda qual è la prima stella della sera. Qui la comunicazione tra astronomi e pubblico rischia<br />

di incepparsi se non trova un raccordo narrativo che riesca a coniugare il fascino primordiale del cielo con le<br />

frontiere della ricerca.<br />

Un esempio chiarissimo in cui l’elemento narrativo diventa risolutivo viene da alcune eccellenti iniziative di<br />

divulgazione nel mondo anglosassone: l’Origins Education Forum della Nasa 8 , e il progetto UNAWE (Universe<br />

Awareness) dell’Eso 9 . Are we alone? Where did we come from? Si noti come queste siano, prima ancora che<br />

domande sull’universo, domande su di noi, e come tali puntino ad una risposta sulla spinta di un coinvolgimento<br />

emotivo per qualcosa che ci riguarda in prima persona.<br />

Figura 1: Relatività della cultura: sul famoso disco d’oro a bordo del Voyager II la posizione del Sistema Solare (in basso a sinistra) è<br />

indicata ad un’immaginaria civiltà aliena in relazione alle pulsar più vicine al Sole. Ma la maggior parte degli uomini nemmeno sa che<br />

cos’è una pulsar.<br />

41 COMUNICARE FISICA.07<br />

TRIESTE 1/6 OTTOBRE 2007

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