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PAOLO PAGANI<br />
Virtù e comunità<br />
La spinta verso il bene è in noi naturale; ma la nostra capacità di tradurre<br />
la vocazione destinale in un concreto progetto di vita, questa è<br />
dovuta alle immagini di vita che ci formiamo all’interno della vita morale<br />
già in atto in chi ci precede o ci circonda, e rispetto alla quale anche la<br />
nostra vita morale si struttura. Una vita morale che si attua secondo una<br />
certa forma è un ethos; e un ethos (una forma di vita) è sempre partecipato<br />
da una comunità.<br />
Questa classica evidenza è stata riproposta, in epoca a noi contemporanea,<br />
dal filosofo americano Alasdair MacIntyre, con il volume Dopo la<br />
virtù (1981). MacIntyre ci ricorda che non ci sono virtù, senza comunità<br />
e tradizioni al cui interno esse possano essere trasmesse, coltivate e innovate.<br />
Tali comunità sono: le famiglie, le comunità di lavoro, quelle sociali<br />
e quelle religiose. Ora, una insostituibile virtù è proprio quella di saper<br />
coltivare i luoghi al cui interno le virtù di cui parlavamo possano maturare<br />
ed essere testimoniate. Anzi, nell’attuale momento storico, quella ora<br />
richiamata appare proprio come la virtù più urgente. Senza questi luoghi,<br />
infatti, l’uomo tendenzialmente diviene un semplice prodotto del potere<br />
politico, e si riduce ad un insieme di funzioni socialmente controllabili.<br />
dialoghi n. 3 settembre 2007<br />
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