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DONNE VENETE - Dalla Grande - Centro Studi Ettore Luccini

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Donne venete dalla grande emigrazione alla Resistenza<br />

Cap. 2 – La partecipazione delle donne…<br />

Maria Lazzari (Padova, 1903), cresciuta nell’ambiente familiare di profondi<br />

sentimenti antifascisti, riuscì a collegarsi, ancor prima della caduta<br />

del fascismo, con elementi del partito comunista, tra cui i componenti la<br />

famiglia Luisari (il capofamiglia, Gino, torturato mortalmente con l’avv.<br />

Italo Cavalli a Padova, sarà gettato dal ponte di Cagnola con i pesi ai<br />

piedi).<br />

La sua attività nella guerra di Liberazione, per aiutare i partigiani nella<br />

città o per indirizzarli in montagna, fu incessante. Venne arrestata insieme<br />

alla sorella Parisina il 16 settembre ‘44, in seguito ad una delazione,<br />

per aver nascosto un ebreo (Marcello Levi, catturato in seguito ad un rastrellamento,<br />

e spedito in un lager da cui non è più tornato); rilasciate, ma<br />

riprese dalle SS, vennero portate per un mese nel carcere di S.M. Maggiore<br />

a Venezia: Maria fu poi trasferita a Trieste nel carcere del Coroneo, e<br />

Parisina nel campo di concentramento di Bolzano, dove trovò il prof.<br />

Meneghetti reduce da P.zzo Giusti (la “Villa triste” di Padova). Da Trieste<br />

a Ravensbrück quindi cominciò il lungo calvario del lager e, mentre il<br />

carro piombato partiva da Trieste, Maria gettò una lettera (datata 10<br />

gennaio 1945), indirizzata alla sorella Parisina (raccolta e spedita da uno<br />

sconosciuto) che questa gelosamente custodì e consegnò poi all’Anpi di<br />

Padova. Quando la Liberazione sembrava vicina, i nazisti incolonnarono<br />

le deportate verso Bergen-Belsen. Fu la marcia della morte: Maria si spense<br />

per tifo petecchiale. Le ultime parole della sua lettera erano:<br />

Tornerò certo […] Tornerò ad abbracciare tutti voi, miei carissimi […] e<br />

quando parleremo di tutto vedrai che la testa mi ha servito…<br />

Un’altra storia. Dopo l’8 settembre 1943 Maria Borgato da Saonara assieme<br />

alla nipote Delfina Borgato si adoperò per salvare e far espatriare<br />

gli ex prigionieri inglesi braccati dai tedeschi; il 13 marzo ‘44, tradite forse<br />

da un compaesano, vennero – come già ricordato – arrestate e deportate<br />

prima a Bolzano e poi in Germania, per finire inghiottite dal lager femminile<br />

di Ravensbrück: Maria, anziana, finita fisicamente, venne trasferita<br />

nel campo dei forni, da cui non uscirà. Le padovane sopravissute a<br />

quel lager furono Milena Zambon e Maria Zonta, come si salvarono Rosa<br />

Pettenghi (Pavia), Lidia Rossi (Genova), Maria Rossi (Bologna), Maria<br />

Saladin, Maria Vidale Raimondi e Ada Greco. Da ricordare che a Ravensbrück<br />

nel ‘40 vennero deportate 10.000 donne tra polacche, austriache<br />

e zingare, e quindi donne olandesi, norvegesi, e dal ‘42 quelle francesi.<br />

Nel 1944 le francesi formvano con le russe e le polacche il gruppo più<br />

numeroso. Nel dicembre ‘44 le donne ivi registrate erano ormai 58.000,<br />

e vi erano pure 850 bambini; 18.000 erano già state soppresse.<br />

Lidia Martini Sabbadin ebbe a raccontare che le sorelle Teresa e Liliana,<br />

vennero portate dal carcere di S.M. Maggiore di Venezia, e dopo una<br />

lunga marcia, vennero portate al campo di Mauthausen (dove Teresa<br />

trovò Andrea Redetti, suo futuro sposo) e poi nel campo di smistamento<br />

di Grein-Linz.<br />

Assunta Buccianti Doralice di Castelbaldo fu destinata al campo tedesco<br />

di Brik, al confine cecoslovacco.<br />

Lazzaretto Eleonora Salvo di Abano, da Treviso fu portata con altre a<br />

Weissenfeld (Lipsia), un piccolo campo con 2.000 prigionieri di tutte le<br />

nazionalità.<br />

6. La Resistenza nel Polesine<br />

«Il Polesine per la sua struttura economica e secolare lotta contro l’acqua<br />

è sempre stata terra di sofferenza e dolore, di partenze forzate e di lotte<br />

sociali» (Residori 1996). Nei racconti delle intervistate da Sonia Residori,<br />

il tema dominante è quello<br />

della fatica del vivere quotidiano resa ancor più drammatica dall’entrata<br />

in guerra nel 1940. Il filo conduttore su cui anelli e tessere<br />

di narrazione vengono posti […] traspaiono un vissuto senz’altro<br />

sofferto […] “ha l’è stà fame […] un dannasso laorare. E quando<br />

vegneino a casa cataveni poco magnare […] poc caffelatte e poc pan<br />

e gnanca vin, on bottiglion de vino oto giorno lo portino vanti;<br />

sempre laorar fa na mussa”.<br />

Documenti confermano la realtà di indigenza e disagio che hanno dovuto<br />

affrontare le donne intervistate nei territori esaminati (Porto Tolle con<br />

18 località, Ariano, Ca’ Dolfin, Ca’ Mello del Delta Po). Le loro case erano<br />

raggruppate in borgate sparse per i campi, isolate o attorno a grandi a-<br />

ziende agricole, distanti vari chilometri dal paese:<br />

“na casetta […] con mina i soffitti, co ‘i travi […] de legno e i cupi de<br />

sora, gaveino tre stanse e dormivino tutti […] ierimo in sette […]; iera<br />

‘n’altra fameia tacà co ‘na stanza sola […]; ierimo in do fameie e gaveimo<br />

do stanse”. C’erano poche strade impercorribili per alcuni mesi<br />

all’anno: oltre la bici però usavano carri trainati […] “Eh ghevino le<br />

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