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DONNE VENETE - Dalla Grande - Centro Studi Ettore Luccini

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Donne venete dalla grande emigrazione alla Resistenza<br />

Cap. 2 – La partecipazione delle donne…<br />

dannato al confino, riuscì a fuggire riparando a Parigi; lei, ricercata dalla<br />

polizia fascista perché ritenuta «fanatica antifascista poliglotta», lo raggiunse.<br />

Molti furono i confinati politici trevigiani, così come furono non pochi<br />

gli antifascisti che partirono per unirsi al 1° nucleo delle Brigate Internazionali<br />

diretto nella Spagna repubblicana. Tra questi c’era anche il fuoriuscito<br />

Piero Dal Pozzo. Rientrato a Parigi nel ‘39, dopo la vittoria franchista,<br />

egli fu costretto dalla polizia francese ad abbandonare il paese (i<br />

comunisti italiani erano tenuti sotto stretto controllo), e si trasferì con<br />

Dina in Belgio. E quando ripassò clandestinamente la frontiera francese<br />

fu costretto nel campo di internamento di Vernet, mentre Dina, fermata a<br />

Tolone senza documenti, finì nel campo di Rieucros. Il governo collaborazionista<br />

di Vichy, nel 1942, si sbarazzò di Dal Pozzo consegnandolo alle<br />

autorità italiane, che lo incarcerarono a Ventotene, dove egli conobbe<br />

Curiel e ne trascrisse le lezioni.<br />

La moglie Dina, anch’essa prelevata dalla polizia fascista, venne dapprima<br />

reclusa nel carcere di Treviso (dove strinse amicizia con due<br />

studentesse comuniste di Lubiana, M. Stekar e M. Vodopivec), ed indi<br />

spedita al confino per 5 anni nel campo di Baronissi (Salerno). Nel dopoguerra<br />

Dina diede vita con altre compagne alla sezione provinciale dell’Udi,<br />

e per l’Udi andò poi organizzando periodi di soggiorno balneare a Grado per<br />

bambini deboli e/o malati di cui fu responsabile per più di un decennio.<br />

Livio Vanzetto ricorda, dopo avere elencato le formazioni partigiane o-<br />

peranti nel trevigiano e i morti del Grappa, che<br />

7.000 erano gli uomini in rapida e incontrollabile crescita nel corso<br />

dell’insurrezione finale e che oltre un terzo degli altri 700 partigiani,<br />

trevigiani caduti, nel corso della guerra di Liberazione, muore negli<br />

ultimi giorni del conflitto, fase drammatica anche per la popolazione<br />

civile, che – nella ritirata dei tedeschi – vede lo sterminio di 70 ostaggi<br />

al Castel di Godego e un’intera famiglia a Caerano S. Marco, senza<br />

contare le vittime dei martellanti bombardamenti (a Treviso 1.500<br />

solo il 7 aprile ‘44). (v. Il Veneto nella Resistenza 1997, p. 240)<br />

In questa epopea tragica, in questo ultimo anno fu importante l’apporto<br />

combattivo delle donne, spinte dalla necessità di agire, motivate<br />

da una situazione grave di minaccia di morte. Tra tutte, spicca il nome<br />

di Tina Anselmi che sempre ha rivendicato pubblicamente la sua partecipazione<br />

alla Resistenza; è un simbolo dell’impegno delle donne – non<br />

solo di quelle cattoliche – nella Resistenza. E la sua successiva attività<br />

politica, e di molte altre, è la testimonianza che la Resistenza segnò davvero<br />

«un passaggio decisivo nella qualità della presenza della donna» nella<br />

vita del nostro paese.<br />

A proposito della Resistenza veneta, Andrea Zanzotto ha scritto:<br />

Chi visse quel periodo tremendo ha sperimentato adulto, bambino o<br />

vecchio, uomo o donna che fosse, la furia nazifascista: queste zone<br />

pagarono un prezzo altissimo in vite umane, in devastazioni, incendi<br />

e vessazioni di ogni genere […] L’incredibile ferocia delle rappresaglie<br />

faceva sì che tutti qui, si trovassero davvero sulla linea del fuoco […]<br />

La Resistenza qui e in tutto il Veneto compiva la sua opera in condizioni<br />

particolarmente sfavorevoli, dato che le nostre valli erano vie di<br />

transito obbligate per l’invasore e perciò tenute sotto un controllo pesantissimo<br />

[…] La Brt. Mazzini, passando per varie fasi, operò costanti<br />

difficoltà logistiche […] al limite dell’estremo rischio […] Infine<br />

proprio i sacrificati, gli scomparsi sono coloro che più continuano a<br />

parlarci, sanguinando nella nostra memoria […]. (Masin 1989, p. X)<br />

Lina Titonel “Katia” catturata a Treviso e destinata all’internamento in<br />

Germania, durante un bombardamento riuscì a fuggire, ma un nuovo arresto<br />

a Venezia la portò nelle carceri di S. M. Maggiore, dove trovò altre<br />

donne della Resistenza e uomini: insieme a loro preparò l’insurrezione<br />

(riuscita) nella notte tra il 25 e il 26 aprile. Con lei nella stessa cella n. 9<br />

patirono le stesse sofferenze: Ottorina Bonato (Verona), Parisina Lazzari e<br />

Lidia Martini (Padova), Salvina Sini (Milano), Ida Cesana (Venezia), Teresa<br />

Calzolari, Elda Zerbini, Lina Varisca, Elsa Bastianello, Elvira Chiozzotto,<br />

Angela Vicentini, Irma Pensio. (Masin 1989, pp. 136-137).<br />

8. La Resistenza a Venezia<br />

L’avvio della Resistenza veneziana si può far coincidere con la costituzione,<br />

nel 1942, del c.d. Fronte Nazionale d’Azione, confluito poi nel<br />

Cln (Borghi 1995). Le prime formazioni furono piccoli gruppi non molto<br />

organizzati; oltre a Venezia operavano nel mestrino, a Mirano, nella<br />

Riviera del Brenta, a Camponogara, a Portogruaro, a San Donà di Piave,<br />

a Cavarzere, a Chioggia, ma alcune brigate veneziane agirono anche nel<br />

Basso Friuli, nel Basso Polesine, nel Trevigiano (ad esempio a Motta di<br />

Livenza), mentre a sua volta la padovana “Sabatucci” sconfinava spesso<br />

nel territorio veneziano.<br />

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