DONNE VENETE - Dalla Grande - Centro Studi Ettore Luccini
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Donne venete dalla grande emigrazione alla Resistenza<br />
Cap. 1 – Il duro passato delle donne<br />
la popolazione locale.<br />
Anche in Piemonte iniziò un movimento di massa dalle campagne<br />
alla città che coinvolse le forze lavoro più giovani venete.<br />
L’emigrazione verso le città delle ragazze dall’area vicentina e padovana<br />
si era intensificata negli anni 1930-31-37, e ciò preoccupava il clero<br />
che in uno scritto così notava:<br />
Inesperte della vita, inconsce del trambusto o delle seduzioni delle<br />
città […] è preferibile che vivano elemosinando qui piuttosto che andare<br />
incontro alla rovina morale e fisica per il miraggio del guadagno<br />
e di una malintesa libertà.<br />
I parroci dei Colli Euganei ricordavano, ad esempio, le visite fatte dal 1933<br />
al 1937 alle “vignaiole” del Maccarese, un’area di bonifica di oltre 3.000<br />
ettari nel comprensorio di Fiumicino nel Lazio, realizzata dal fascismo<br />
con l’impiego massiccio delle famiglie contadine venete: qui, tra il 1934 e il<br />
1936, lavoravano 800 donne venete (padovane); così nell’Agro Romano,<br />
e in Sardegna, si insediarono altri nuclei veneti.<br />
2. Le donne in Valbrenta e la coltivazione del tabacco<br />
Le antiche coltivazioni del gelso, della canapa, del granturco e del<br />
miglio nella Valbrenta furono soppiantate all’inizio del 1600 dalla monocoltura<br />
del tabacco.<br />
La tabacchicoltura della Valle, coltivazione secolare di importanza<br />
storica, ha significato la risorsa pressoché unica per la sopravvivenza della<br />
popolazione.<br />
In primavera, il terreno dei piccoli appezzamenti era da preparare per il<br />
tabacco, e veniva quindi ripulito dei gambuii (gambi) del precedente raccolto.<br />
Fin dai tempi lontani, «dopo aver vangato gli uomini emigravano in<br />
cerca di un altro lavoro, lasciando il compito della piantagione e della<br />
successiva cura delle piante alle donne e ai bambini» (Sasso 1991, p. 90;<br />
cfr. anche Parolin 1966), che, alla fine di febbraio, preparavano i semenzai<br />
(le vanéde o vanése), fuori casa al riparo dai venti, per l’allevamento<br />
delle piantine da trapiantare nei fazzoletti di terra – i tipici<br />
terrazzamenti (tochi de tera) in luoghi impervi nella destra Brenta,<br />
sostenuti da muretti di massi a secco (masiere o margére) strappati alla<br />
montagna ora in degrado – quadrettati e spaziati dal rastrello (cristo).<br />
Con un lungo lavoro di zappa, in un momento successivo, si toglieva la<br />
raga (una stellaria abbondante nei campi), si sostituivano le piantine<br />
non attecchite, si effettuava una prima sarchiatura dopo una decina di<br />
giorni, seguita da una seconda con spargimento di loàme (letame) e<br />
infine da una rincalzatura dopo due settimane.<br />
Tra luglio e agosto, quando appariva il bottone del fiore, avveniva la<br />
cimatura che lasciava 8-10 foglie, quindi ancora donne bambini e anziane<br />
costantemente in attenta osservazione erano sempre pronti ad estirpare<br />
le erbacce, ad asportare rabutti (germogli) come pure alla pulitura delle<br />
foglie basse “matte”; si contavano poi le foglie da portare al magazzino.<br />
Il clima della zona risultava favorevole al tabacco per le brezze<br />
continue e le piogge frequenti che caratterizzavano la primavera e l’estate<br />
con stagioni miti, ma elementi temuti erano il vento, la grandine e le<br />
brinate precoci.<br />
Tra settembre e ottobre si raccoglievano le foglie più basse, poi le più<br />
alte – più pregiate – sistemate nelle stanze superiori più ventilate delle<br />
abitazioni, cioè nelle concalde o màsare per il surriscaldamento o fermentazione.<br />
Da questo momento l’osservazione e la cura erano costantemente<br />
effettuate da tutta la famiglia; si passava all’essicazione nei<br />
granai: le foglie venivano messe sugli smussi (pertiche) su teàri (telai);<br />
terminata questa fase si preparavano i mazzi essicati e si mettevano in<br />
banca (in cataste) per un mese al fine di ottenere il giusto grado di u-<br />
midità, distinguendoli per grandezza, per qualità di foglie (colore, profumo<br />
etc.).<br />
Questo lavoro, molto delicato, fatto con arte acquisita da secoli, veniva<br />
svolto da tutti in stalla per non impregnare di odore intenso (inebriante<br />
come una droga) tutta la casa; i pacchetti da 50 foglie venivano poi portati<br />
al Monopolio. Questo è sempre stato frutto di un anno di lavoro, per generazioni,<br />
ora è solo consegnato alla storia (Bordignon 1997, pp. 52-55).<br />
Comuni<br />
Campolongo<br />
San Nazario<br />
Solagna<br />
Valstagna<br />
Produzione di tabacco negli anni 1921, 1965, 1975<br />
Produzione n° piante<br />
1921<br />
1965<br />
1975<br />
2.300.000 1.250.000<br />
239.997<br />
3.500.000 560.000<br />
63.332<br />
1.200.000 650.000<br />
112.335<br />
6.000.000 2.300.000 293.330<br />
Fonte: Signori 2002, pp. 348-349. I tipi di tabacco coltivati erano il “nostrano del Brenta”<br />
per il sessanta per cento, il “resistente 142” per il trenta per cento, il “Kentucky” per il dieci<br />
per cento. L’area coltivata a tabacco nel 1960 era di 1000 ettari, nel 1958 di 1600 ettari.<br />
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